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TEST F1 2022- BARCELLONA

La scelta di non trasmettere immagini ufficiali delle prime giornate di prove della “nuova F1” è a dir poco discutibile.

Il Dio denaro comanda sempre, anche di fronte alla volontà (presunta e dichiarata) di volere avvicinare nuovi appassionati a questo sport. Certe scelte lasciano davvero l’amaro in bocca, ma questo è.

Il Bring ha deciso di lasciare uno spazio aperto per chi volesse commentare quanto sta accadendo al Montmelò, ben consapevoli che i risultati pubblicati a fine giornata lasceranno sempre molto all’immaginazione e poco alla realtà che andremo a vivere con il primo Gp 2022.

Buon divertimento

BASTIAN CONTRARIO: IL CAPPIO SI STRINGE

Prima della partenza del GP americano svoltosi domenica scorsa, annunciavo su Twitter che alla prima curva si sarebbe deciso il titolo del mio Bastian Contrario di questa settimana. Evidentemente sono stato troppo ottimista, in quanto i due acerrimi nemici (sportivamente parlando, si capisce) alla prima curva nemmeno ci sono arrivati per farmi prendere questa decisione. Nello specifico, devo ringraziare l’osannato (ormai le masse sono cotte per l’olandese volante) Verstappen per quanto accorso in partenza e, dunque, per il titolo di questo articolo.

Chi legge e non ha visto il GP potrebbe credere che ci sia stato un incidente, quando invece i due piloti, in termini di contatti, sono stati pulitissimi (il che conoscendoli è veramente incredibile). Nessun contatto per fortuna (nostra), solo che ora il cappio inizia a stringersi e spazio per respirare inizia ad essercene davvero poco. Cos’ha combinato il buon Max in partenza? Ha impostato la sua partenza non sull’uscire dalla prima curva primo, conservando così la pole conquistata al sabato, bensì si è concentrato esclusivamente sul chiudere il suo avversario, stringendolo a bordo pista così come si stringe il cappio per un condannato a morte. Stranamente, e per sfortuna di Verstappen, il campione del mondo azzecca la partenza in maniera perentoria e tira dritto per la sua strada. Al paese mio, eseguire una buona partenza significa uscire dalla prima curva quanto meno avendo conservato la posizione di partenza e, in alternativa, se si imposta la suddetta partenza sul chiudere l’avversario, ci si aspetta che questo venga chiuso per davvero e che magari perda anche posizioni. Ebbene al buon Max non è riuscito nulla di tutto questo, sbagliando clamorosamente e mandando a ramengo tutto quello che ha fatto al sabato.

Il risvolto psicologico di questo laccio che si stringe è sintomatico (lo so oggi vado sul tecnico!) di un’ansia da prestazione e di una voglia di concludere che francamente stride con il comportamento in pista dell’olandese. Parliamoci chiaro: davvero Max crede che potrà comportarsi così la prossima volta ( 7 novembre prossimo in Messico) in partenza? Hamilton ha troppa esperienza e troppo “mestiere” per permettere che questo riaccada. Si ricordi, non tanto Monza quanto quello successo in UK, dove il campione del mondo, vuoi per bravura vuoi per fortuna, ne uscì incolume (spedendo in ospedale l’olandese) rimediando un più venticinque molto pesante. Hamilton da poco ha lanciato la carica su Twitter dicendo a gran voce che “non è finita un cazzo!” e ciò mi fa pensare che in Messico, se il ragazzino riproverà a fare lo scherzetto della chiusura del cappio, probabilmente gli andrà male. Certo, attualmente chi ha più da perdere è il campione del mondo considerando la classifica mondiale piloti: allo stato attuale Hamilton per riprendersi la testa della classifica deve vincere tre GP di fila se Verstappen è sempre secondo. In un mondiale, dove non c’è concorrenza se non quella marginale dei rispettivi compagni, lo scenario è presto concretizzato o nella vittoria dell’uno o dell’altro o con l’abbandono di uno dei due… ed in questo caso il mondiale prenderebbe tutt’altra piega. Come ho sempre detto su queste righe, l’esperienza è dalla parte del campione del mondo e la battaglia da asilo nido, che abbiamo visto nelle FP2 con tanto di dito medio di Verstappen, è servita solo ad innervosire quest’ultimo evidentemente. Il ragazzino, nonostante il “fottuto idiota” detto per radio, se l’è legato al dito l’episodio e scommetto che anche se gli hanno “fatto la scuola”, come si usa dire dalle mie parti, se n’è fregato altamente di tutte le parole dantesche “non ti curar di lui… ma guarda e passa” che gli sono state dette e allo spegnimento dei semafori, invece di andare dritto, è andato obliquo, perdendo capra e cavoli. Solo il suo muretto ha evitato che il cappio si stringesse attorno al suo di collo, seguendo alla lettera il manuale del perfetto “muretto di ghiaccio” e piazzando gli undercut decisivi nei momenti decisivi.

Max pagasse da bere a tutta la squadra per il risultato ottenuto, perché solo grazie alla loro freddezza decisionale ha avuto la possibilità di brindare sul gradino più alto, risultando così più alto di Shaquille O’Nealle. Mercedes ormai è sputtanata e, se il suo pupillo non vincerà questo mondiale, presto lo sarà anche lui: al sottoscritto spiace essere così duro, anche perché i tifosi “del nero” sono di notoria reputazione sensibile e suscettibile, solo che è innegabile che se Hamilton ha fatto incetta di record per tutto il globo è perché è sempre stato solo. Due sono i mondiali in cu ha dovuto lottare veramente da quando è nata la (maledetta) era turbo ibrida; il 2016 e il corrente anno. Nel primo caso bene non è andata e se non erro nel 2026 dovrebbe uscire anche il libro con le sue memorie (così disse Lewis immediatamente dopo aver tagliato il traguardo di Abu Dhabi: “fra dieci anni scriverò un libro”). Quest’anno cosa accadrà? I presupposti perché si ripeta il 2016 ci sono tutti… manca solo la rottura del propulsore all’uno o all’altro. Mi pare evidente che allo stato attuale uno zero in casella da parte di uno dei due decreterebbe la fine del mondiale: uno zero per Hamilton sarebbe il chiodo della bara, uno zero per Verstappen sarebbe l’inizio di un incubo. Non male come presupposti. Che peccato che Ferrari non sia della partita. Eppure anche con la rossa il laccio si sta stringendo sempre di più: i piloti sono contenti del comportamento della vettura, soprattutto da parte del propulsore. Addirittura il gap motoristico con McLaren è stato azzerato e solo l’efficienza aerodinamica della monoposto color papaya al momento porta gli inglesi in leggero vantaggio. I soliti detrattori preferiscono focalizzarsi sul distacco rimediato, eppure si seguita a non volersi rendere conto che tutto questo lavoro non era scontato e soprattutto è rivolto all’anno che verrà. La parte turbo ibrida montata dalla rossa quest’anno è la base per la monoposto del 2022 e francamente il lavoro che stanno facendo a Maranello lascia ben sperare. Le aspettative crescono ed il cappio intorno al collo di Binotto inizia ad essere sempre più corto… resta da vedere se alla fine torcerà il suo di collo o quello dei suoi (purtroppo) tanti detrattori, orfani del tedesco che rimedia magre figure contro il “suo datore di lavoro”.  La via della salvezza passa attraverso un progetto ben riuscito dall’inizio (del nuovo mondiale) e da due giovani piloti che hanno voglia di vincere su tutti: Le Clerc è sempre più concreto ed è migliorato in maniera impressionante sulla gestione delle gomme. Del resto non dimentichiamo da quanto tempo è in F1 e di fatto non sta facendo altro che completare il suo apprendistato, proprio come Max (ve lo ricordate quando andava a sbattere e veniva deriso?). Carlos, è cresciuto in maniera esponenziale: dopo un inizio timido, oserei dire ampolloso, è arrivato al punto di superare in classifica il compagno (Vettel in due anni non c’è mai riuscito… così, per dire!), anche se per poco. Al che mi viene da chiedermi che cosa mai potranno fare questi due ragazzi con una monoposto competitiva. Le speranzee sono tante e l’attesa è lunga perché siamo ancora ad ottobre ed il mondiale 2022 inizierà solamente a Marzo, quindi per stringere cappi a Maranello c’è tempo. Per fortuna ci sono Hamilton e Verstappen a tenerci svegli: ogni GP sarà decisivo e qualunque scelta da parte dei piloti, e soprattutto dei loro rispettivi muretti, sarà fatale. Ultimamente Mercedes ha mostrato che il suo muro ha delle crepe. Sotto pressione tutto si amplifica e necessariamente bisogna rischiare… persino il collo con attorno un cappio che si stringe.

Vito Quaranta

GRAZIE PER QUESTI 20 ANNI, KIMI.

Kimi Matias Raikkonen si ritira dalla Formula Uno.

E adesso come lo riempio sto foglio bianco?

Era nell’aria da tempo, è vero. Ma quando la notizia ufficiale arriva il colpo uno lo accusa…eccome se lo accusa.

Un amico ieri mi ha scritto in privato “mi deve un fegato”. Un altro ha ribattuto che un fegato lo deve anche a se stesso… Verissimo, perché con una testa differente le vittorie sarebbero state ben altre. Ma non sarebbe stato il Kimi che conosciamo, quello che appiedato dai rossi rispondeva che non gliene fregava un’accidenti di vincere un altro mondiale tanto non gli avrebbe cambiato la vita. Al solito aveva ragione lui, uno che si è permesso il lusso di correre per piacere di farlo e non con l’ossessione di farne una ragione di vita. Uno che ha capito che le corse sono pur sempre un “di cui” della vita stessa.

Se la McLaren non si fosse rotta ogni due per tre in quegli anni. Se la dirigenza rossa avesse avuto la lungimiranza (non ci andava tanto) di puntare su di lui nei due periodi rossi. Se bla bla bla.

A che serve guardare indietro se tanto il passato non lo puoi cambiare? Va bene così, risponderebbe Kimi: non perdiamoci tempo.

Quel ragazzo schivo aveva capito tutto sin dall’inizio e ne ha tratto giovamento. Non si è fatto cambiare da quel mondo, dai soldi, dal successo che è riuscito ad ottenere. E’ rimasto se stesso a dispetto di tutto e tutti diventando un personaggio unico ed inimitabile senza volerlo diventare.

Un personaggio poco attraente per i media, secondo quel presidente Ferrari che lo appiedò nel 2009 con tanto di contratto ancora in corso. Per rincorrere quella chimera che lo stesso gli aveva regalato due anni prima e che, ironia del destino, non si è mai più fatta acchiappare da allora.

Oggi non è tempo di rimpianti, oggi è tempo comunque di gioia. Perché? Kimi si ritira, che dici?

Per chi scrive lo è, nonostante ne sentirà la mancanza sulle piste del Mondiale. Lo è perché confesso di aver stimato e tifato molti piloti in tutti questi anni (oltre 40) che vivo questa passionaccia per il Motorport. Ma ne ho amati davvero molto pochi. Avevo smesso negli anni 80 dopo aver perso per strada nell’ordine Gilles, Stefan ed Henri. Troppo forte il dispiacere di doverli piangere, al punto di essere riuscito a non affezionarmi più a nessuno fino a quel 2001.

Come si spiega questo ritrovato affetto dopo tanti anni? Non me lo spiego e manco ci penso di farlo. Fu una sorta di folgorazione dal suo primo Gp. Tanta era la curiosità di vedere un pischellino senza storia alle prese con una F1. E lui la ripagò con i punti al debutto (sesto eh, non decimultimo come oggi). Da quel giorno fu un crescendo di gioie e di dolori.

La prima incazzatura la presi quando Ron (testa d’uovo cit) se lo portò in casa senza che in Ferrari battessero ciglio seppur avessero un legame stretto con Sauber già ai tempi.

Ce ne sono altre di incazzature, ma le gioie sono state talmente grandi da farle passare in secondo piano.

Al Ring con la Mecca non riuscì nemmeno a fiatare… non ci credevo. Semplicemente mi pareva impossibile che una gara (e forse anche un mondiale) si potesse perdere a quel modo. Però mi tenni le imprecazioni di scorta per quel Montreal in cui Luigino riuscì ad abbracciarselo da dietro in pit lane… Che poi imprecai anche contro di lui per la flemma mostrata mentre indicava il semaforo al giovincello…

Le gioie di cui ho goduto hanno un intensità enorme.

La prima vittoria in Malesia. Il giorno di Suzuka in cui decise di diventare un iradiddio. Il debutto rosso a Melboune quando spianò l’intera griglia per tutto il weekend.

Interlagos 2007 ha lo stesso livello di intensità dei mondiali di calcio dell’82. Come puoi pensare di vincere con quello svantaggio? Ci provi e basta, esattamente come fecero gli azzurri finiti del girone di ferro con Brasile ed Argentina. Perché quando è il tuo momento è il tuo momento, non ci sono discussioni.

Abu Dhabi 2012 mi costò un tatuaggio promesso se mai fosse tornato in F1 a far vedere che la classe non è acqua.

Austin 2018 mi fece vedere il fondo della bottiglia di Talisker Dark Storm portata direttamente quell’estate dalla Scozia…insomma una serata simile a quella regalata dallo stesso al Galà Fia di fine anno.

Kimi è stato un maestro.

Sono pronto a scommettere che continueremo ancora  a parlare di lui. Non ci credo che gli basterà tenere le mani solo su Minttu senza ogni tanto stringere un volante. Penso e spero che lo potremo rivedere a bordo di qualche Hypercar del Wec. Perché se è vero che il tempo gli ha tolto quella velocità pura che in certi momenti è stata inarrivabile per tutti, è anche vero che non gli ha tolto la visione di gara e la capacità di gestirsi che ne completava la classe sin da ragazzino.

Ho detto tutto e niente. Volevo dire qualcosa e non credo di esserci riuscito. Finisce un era della F1? No, la F1 ha cambiato era tempo fa, ed un dinosauro come Kimi ci ricordava i tempi che furono.

Perdonatemi ma non riesco ad andare oltre.

Continuate sotto voi se volete.

 

PS:Potrei riscriverlo 100 volte e non ne sarei mai soddisfatto. Di fronte agli addii anche l’Ice si scioglie.

IL KIMI BAMBINO

(immagine tratta dal sito bandiera a scacchi)

 

IL KIMI PIU’ DEVASTANTE

(immagine tratta da motorbox)

(immagine tratta da pinterest)

(immagine tratta dal sito new atlas)

IL KIMI PIU’ SFIGATO

(immagine tratta da twitter)

IL KIMI PIU’ COMPLETO

(immagine tratta da motorsport)

(immagine tratta da eurosport)

IL KIMI PIU’ SPENSIERATO

(immagine tratta dal sito rallyssimo)

IL KIMI CHE SI DIVERTIVA

(immagine tratta mow)

(immagine tratta dal sito F1 sport)

IL KIMI MATURO

(immagine tratta da sportmediaset)

(immagine tratta da stellantis)

(immagine tratta dal sito automoto)

 

(immagine di copertina tratta dal web)

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 6-ALBERTO ASCARI E LE VITTORIE DEI PRIMI TITOLI MONDIALI

Nella sesta parte della bellissima storia del Drake torniamo ai motori, alla velocità e a quella meravigliosa adrenalina che i piloti provano durante le competizioni.

C’eravamo lasciati, sportivamente parlando, con la prima vittoria della Ferrari in un Gran Premio, precisamente il Gran Premio di Gran Bretagna vinto da José Froilán González.

Quella vittoria, così speciale per Enzo Ferrari, fu solo un preambolo di ciò che stava per succedere nel periodo successivo. La Ferrari si stava solo preparando a dar vita ad un momento incredibile della sua storia, ovvero i primi titoli mondiali ottenuti nel 1952 e nel 1953 da Alberto Ascari. 

Ma chi è Alberto Ascari?

 

Credo che per conoscere bene la vita del Drake bisogna concentrarsi anche sull’analizzare le vicende delle persone che, durante la sua vita, lo hanno circondato. Non solo la conoscenza del nucleo famigliare di Enzo Ferrari è determinante nella nostra narrazione, ma è importante saperne di più sui piloti e sui tecnici che hanno accompagnato Ferrari durante il suo percorso in questa terra.

Alberto Ascari può essere considerato una delle persone più importanti nella storia del Cavallino Rampante, inoltre è, attualmente, l’unico pilota italiano ad aver raggiunto la massima consacrazione mondiale in Formula 1.

Ascari fu un pilota fortissimo dal talento cristallino, e, considerando il numero basso di gran premi che allora si effettuavano all’epoca, vinse parecchio. In cinque stagioni ottenne 13 vittorie e salì sul podio la bellezza di 17 volte.

Un numero incredibile per i piloti dell’epoca.

Come pilota era davvero completo e aveva uno stile di guida molto pulito e preciso, Alberto non strapazzava la sua vettura, anzi la trattava con dolcezza, prevenendo spesso molte noie meccaniche.

In gara era solito imprimere subito un ritmo decisamente elevato alla competizione e, nei primi giri cercava di accumulare un discreto vantaggio da amministrare nella seconda parte di gara, per questa caratteristica era temuto da molti, soprattutto da Juan Manuel Fangio. 

Alberto era un uomo davvero singolare, con una volontà di ferro, sapeva decisamente ciò che doveva fare, risultava a tutti molto pignolo e preciso ed era uno dei pochi che curava la forma fisica. Aveva capito, prima di altri, quanto un fisico forte potesse rappresentare un valore aggiunto alla gestione sia di una singola gara che di un intero campionato del mondo.

Amava moltissimo la famiglia ma secondo Ferrari non era un padre come tutti, anzi aveva un mondo molto particolare per gestire il rapporto con la prole.

“Una volta gli chiesi la ragione per cui si dimostrava tanto severo con i suoi figlioli, ben sapendo quanto li amasse. Mi rispose: “Ogni volta che rientro da una corsa, porto tutto quello che penso possa farli contenti, in genere cerco di soddisfarli in tutti i loro desideri, i loro bisogni, anche i loro capricci; ma quanto a me, preferisco trattarli con durezza: non voglio che mi amino troppo. Un giorno o l’altro potrei andarmene. Soffriranno di meno, se non me li sarò lasciati venire troppo vicini” (Dialogo fra Enzo Ferrari e Alberto Ascari)

Ascari era anche superstizioso, detestava i numeri 13 e 17 e se, putacaso un gatto nero attraversava la strada erano dolori, prima si fermava e aspettava che qualcuno lo sopravanzasse.

Era talmente tanto ubbioso che, in gara, usava sempre il suo casco e il suo abbigliamento a cui provvedeva personalmente in modo anche maniacale.

Ascari, nato a Milano il 13 luglio del 1918,  ha imparato ad amare le corse già da piccolissimo. Il padre Antonio era uno dei più forti corridori del tempo e per il piccolo Alberto non era solo un padre ma soprattutto un eroe da emulare.

Antonio però morì molto presto, il 26 luglio 1925, durante il Gran premio di Francia a Monthlèry. Per Alberto la morte del padre coincise con una rivoluzione della sua vita, di lì a poco, infatti, venne mandato in collegio.

Alla tenera età di 11 anni cominciò il suo amore per le moto tanto che cominciò la carriera nel mondo delle due ruote. Questo percorso, caratterizzato da molte vittorie, fra cui il Gran Premio del Lario, durò sino al 1940.

Nel 1940 avvenne il passaggio nel mondo delle quattro ruote. Alberto Ascari esordì, in coppia con Giovanni Minozzi, alla Mille Miglia su un tracciato modificato in virtù della guerra, a bordo di una Auto Avio Costruzioni 815 fornita da Enzo Ferrari.

Il 10 giugno dello stesso anno avvenne la sua partecipazione anche alla Targa Florio.

Ma, ahimè, venne la guerra che fermò tutto, anche la carriera di Ascari si interruppe bruscamente e il pilota milanese fu costretto a riparare veicoli militare insieme a Villoresi, altro pilota degno di nota dell’epoca. I due si conobbero in una circostanza davvero particolare: Villoresi decise di mettere in vendita la sua Maserati 2300 nel cui motore Ascari trovo vari difetti.

Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, fu Villoresi a procacciare ad Alberto un contratto con la Maserati mentre l’anno successivo Piero Taruffi, pilota sia automobilistico che motociclistico e progettista italiano, persuase Piero Dusio a consegnare una delle sue vetture della Cisitalia ad Ascari, che arrivò secondo al Gran Premio d’Egitto.

La collaborazione con Villoresi non si fermò e insieme comprarono una Maserati con cui parteciparono a varie gare. Vedendo la bravura del pilota milanese la Casa del Tridente concluse che Ascari doveva guidare una vettura ufficiale. Alberto a bordo di una Maserati ufficiale partecipò ad una gara istituita sul circuito di Modena. Alberto vinse ma questo momento di gloria fu rovinata dalla morte di Giovanni Bracco, che, a causa di un bruttissimo incidente, piombò sulla folla.

Ascari ebbe una piccola parentesi in Alfa Romeo ma il richiamo della Ferrari era sempre più forte e, dopo un brutto incidente, avvenuto in Brasile, insieme a Villoresi, nel 1949 approdò proprio nella Ferrari, gestita proprio da quell’uomo che 9 anni prima gli aveva affidato una macchina da corsa.

L’avventura di Ascari cominciò al volante di una 166 F2 con la quale vinse molte gare, ma quella più speciale fu la vittoria ottenuta a Monza, stesso circuito dove trionfò il padre Antonio, 25 anni prima.

L’anno successivo per il pilota italiano giunsero 10 vittorie tra le quali Nurburgring e Silverstone, ebbe purtroppo poca fortuna nella  Mille Miglia. In F1 ottenne un secondo posto a Monaco e Monza in una stagione dominata dall’Alfa Romeo.

 

Il 1951 si rivela un anno più proficuo per la Ferrari in Formula 1, la 375 di Ascari riuscì in diverse occasione ad impensierire l’Alfa Romeo riuscendo a vincere al Nurburgring e poi in Italia, davanti al proprio pubblico.

Ascari ebbe una grandissima delusione in Inghilterra dove si ritirò, mentre il compagno di squadra Froilan Gonzalez agguantava la prima vittoria alla Ferrari.

La Ferrari è oramai vicina all’Alfa Romeo, talmente tanto che nell’ultima parte del mondiale sembra decisamente più in forma della squadra milanese.

Nel 1952 l’Alfa si ritira dalle competizioni e i regolamenti subiscono delle variazioni, fra le quali c’è una novità importantissima, ovvero quella di  far partecipare alla F1 anche le monoposto di F2, fra le quali spicca la Ferrari 500 F2.

E’ il 7 settembre 1952, il giorno tanto atteso per Enzo Ferrari, il giorno in cui Alberto Ascari fu incoronato campione del Mondo sul circuito di Monza. Fu proprio Alberto a portare il primo titolo iridato a Maranello.

Un pilota italiano e una macchina italiana improvvisamente si trovavano in cima al mondo, cima raggiunta dopo un dominio incontrastato: cinque pole position, sei giri veloci e sei vittorie per il pilota milanese , tutto ottenuto in 8 gare. Davvero un’avanzata invincibile la corazzata italiana nel 1952.

Oltre il campionato del mondo la squadra di Modena vince anche alla Mille Miglia, l’unico neo di quella stagione da sogno è la disfatta della Ferrari e di Ascari alla 500 Miglia di Indianapolis, dove il duo italiano non riesce a terminare la gara, causa ritiro per un problema ad una ruota.

Nel 1953 la Ferrari e Alberto Ascari si concedono il bis e si rivelano martellanti: 9 gare e la Ferrari ne vince 7, cinque delle quali ancora con Ascari che si conferma campione del mondo, sempre a bordo di una 500 F2.

Gli anni successivi vedono invece affermarsi la Mercedes che, con il pilota argentino Juan Manuel Fangio, si impone su tutta la concorrenza. La squadra tedesca deciderà di ritirarsi dopo la strage di Le Mans 1955, quando in una sua vettura volando sul pubblico ucciderà 80 persone.  La Ferrari vinse a Monaco, con Maurice Trintignant, dopo che le Mercedes si erano ritirate e Ascari finì nelle acque del porto.

Uscitone solo con una frattura del setto, non seguì i consigli dei medici di riposare e partecipò subito ad un test privato, a Monza, in cui la Ferrari stava provato la 3 litri Sport. Come afferma il Drake, Alberto aveva fretta di tornare a correre perchè dopo un incidente, bisogna subito rimettersi al volante per evitare di pensarci sopra e di crearsi un’inibizione. 

Aveva talmente tanta foga di correre di nuovo che entrò in pista oltretutto senza indossare il casco e al secondo giro trovò la morte. Per alcuni Alberto morì perchè aveva avuto un malore, per altri invece morì perchè un manovale aveva attraversato la pista proprio nel momento in cui era presente il pilota italiano, effettivamente era l’ora di pausa e non erano previste attività.

Si racconta che il manovale avesse addirittura confessato tutto ad un sacerdote ma prove certe non sono stata mai trovate di questo confronto.

E’ cosa certa che la vettura non aveva segni di una frenata violenta, dopo un’attenta indagine, voluta anche e soprattutto da Ferrari, trovarono che la macchina era in condizione perfette, da quel punto di vista.

Il 26 maggio 1955 ci lasciò davvero un grande pilota che amava le corse talmente tanto da non poterne fare a meno. 

«Io obbedisco soltanto a una passione. Le corse. Senza non saprei vivere.»( Alberto Ascari)

 

Ma di Alberto il Drake cosa ne pensava? Ecco a voi un estratto preso dal libro Le mie gioie Terribili

Il pilota Alberto Ascari aveva uno stile preciso e deciso, ma era l’uomo che aveva bisogno di partire in testa. Ascari in testa era difficilmente superabile: oserei dire ch’era impossibile superarlo…relegato in seconda posizione o più indietro, non era il combattente che io avrei desiderato di vedere in certe occasioni. Non perché disarmasse, ma perché quando doveva inseguire e doveva superare l’antagonista evidentemente soffriva non di un complesso d’inferiorità ma di un nervosismo che non gli consentiva di esprimere la sua classe. Per Ascari valeva proprio l’opposto della norma: di solito infatti il pilota che si trova in prima posizione è preoccupato di mantenerla, si può distrarre nel controllare la situazione dietro a lui, studia il proprio passo, è spesso incerto se spingere o no; Alberto invece si sentiva sicuro proprio quando faceva la lepre; in quei momenti il suo stile diventava superbo, e la sua macchina imprendibile.

 

Laura Luthien Piras