Il mondiale 2022 arriva nella sua fase finale e torna su un circuito anomalo per definizione, il circuito stradale di Singapore.
Un circuito in cui l’unica vera insidia sono i muretti che scorrono veloci a pochi centimetri da ruote e sospensioni ma che in realtà non ha veri punti tecnici o rettilinei in cui fare una gran differenza.
Questo potrebbe essere un punto a favore per Ferrari e Mercedes, che potrebbero sfruttare il layout del circuito per mitigare le lacune dalle proprie monoposto e avvicinarsi alle(a) RBR18.
Ferrari dal canto suo continua a sviluppare la SF75, anche se ormai i tori sono ampiamente scappati dalle stalle, soprattutto in previsione 2023. Che sia una bufala o meno (e dai con questi bovini…) per i rossi c’è da capire e risolvere i problemi conseguenti all’introduzione del nuovo fondo portato in Francia e gli effetti della TD39 che hanno minato le prestazioni della rossa.
Si era parlato di un nuovo fondo da provare ma sembra che tutto sia stato rimandato al Gp del Giappone, pista più probante per verificare l’efficacia di un fondo studiato per avere più downforce e meno drag.
Ma la notizia bomba dell’ultim’ora e che si lega al nuovo fondo Ferrari “rinviato” è quella che vede due team, Red Bull e Aston Martin, in odore di sforamento del budget cap nel 2021. E che di conseguenza Ferrari, al limite con il budget cap per il 2022, abbia tirato per il momento i remi in barca in attesa degli sviluppi di un caso che potrebbe avere pesanti conseguenze sportive.
Se l’irregolarità fosse confermata, i due suddetti team rischierebbero una sanzione “minore” nel caso di uno sforamento entro il 5%, di una sanzione sportiva tipo una detrazione di punti o retrocessione nella classifica mondiale se so sforamento eccedesse il 5%.
Non è chiaro se la sanzione sarà riferita al campionato 2021 o a quello in corso ma scommettiamo che tutto finirà in una bolla di sapone. Immaginiamo già i commenti di una Red Bull a cui viene tolto il titolo piloti 2021 o quello di quest’anno a vantaggio di un Hamilton o della Ferrari, del tipo “abbiamo vinto sul campo ecc ecc” (dove l’abbiamo già sentita questa cosa in Italia?) e lo spirito con cui una Ferrari accetterebbe un titolo ” a tavolino”.
Forse l’unico contento sarebbe Hamilton, che raggiungerebbe il suo tatno agognato ottavo titolo (“si ma io non guardo i numeri e le statistiche…” e Toto Wolff che avrebbe la sua vendetta dopo ABD 2021 nel modo più doloroso possibile, a suon di carte bollate.
Tornando al GP, per tutti comunque sarà un’incognita dato che non si corre in pratica da tre anni. Nel mezzo sono cambiate le monoposto, è stato rifatto l’asfalto e ci sono le gomme da 18, in pratica un vero rebus per le squadre che avranno a disposizione in pratica solo i dati dei simulatori. Potrebbero esserci sorprese ma di solito, in queste condizioni, le monoposti più “prevedibili” sono quelle che meglio riescono a risolvere i problemi.
Per Verstappen questa parte finale di campionato assomiglia molto ad una luna di miele verso il suo secondo titolo iridato. Vantaggio abissale in classifica e una simbiosi al 100% con la sua RBR18 ne fanno il favorito per le restanti 6 gare di campionato, nettamente meritato in quanto non ricordiamo un singolo vero errore in questo 2022.
Per gli altri si tratta di raccogliere quello che si può e cercare di arrivare con il morale alto alla sfida dell’anno prossimo. Questo vale soprattutto per Leclerc che pensava fosse amore con la sua SF75 e invece era un calesse e ha dovuto fare i conti con qualche errore di troppo dovuto più che altro alla frustrazione di non essere dove avrebbe voluto.
Tutta esperienza per il giovane monegasco che ha l’imperativo di ridurre a livelli “verstappiani” il tasso di errore in questo finale di campionato e in vista del 2023.
Mercedes continua il suo 2022 di apprendistato e di trash talking/acting. Sembra che i dati al simulatore diano le frecce d’argento piuttosto in forma. Personalmente spero che facciano schifo ma al di là di questo sarà interessante sarà scoprire chi tra i due alfieri Mercedes sarà più competitivo. Se davvero Hamilton punta all’ottavo titolo nel 2023 come da lui stesso dichiarato deve cominciare seriamente a tenersi dietro il suo giovane compagno di squadra, altrimenti anche l’ombrellina Wolff sarà insufficiente a proteggerlo dal fango che gli arriverà addosso.
Per gli altri, scusate la franchezza, si parla essenzialmente di mercato piloti e di arrivare alla fine del 2022 senza fare grossi danni. Piastri è ormai definitivamente un pilota McLaren per il 2023, mentre Norris non si tira indietro nel tiro a Ricciardo affermando che “l’attuale monoposto ha le caratteristiche più affini allo stile di Ricciardo”. Verrebbe da esclamare “marrano!! Tu uccidi un uomo morto!!”
Non osiamo immaginare l’atmosfera in casa Alpine dopo la mossa “kansas-city” di Alonso. Probabile che il tutto si possa risolvere con l’utilizzo del solito strumento: la proverbiale faccia di tolla che lo spagnolo sa tirar fuori nei momenti delicati. Intanto sta già marcando il territorio della sua futura squadra esprimendo il desiderio di girare una scena in macchina in uno dei prossimi film di James Bond. Cosa farebbe il circus senza Alonso…
Alpine intanto sta invitando ai test per cercare il nuovo pilota praticamente qualsiasi persona si presenti con autocertificazione di aver guidato qualcosa che avesse quattro ruote. Al momento i papabili per il sedile del 2023 sono De Vries, Gasly, Ricciardo, Giovinazzi, Dohaan, insomma un bel pò di gente, senza dimenticare Mick Schumacher nel caso dovesse essere appiedato da Haas.
Uno che invece sarà molto rilassato in questo finale di stagione è Zhou che ha appena ricevuto la conferma per il 2023. Un bel colpo per il cinese che, onestamente, si aspettavano in pochi a inizio stagione.
Un altro che invece non ci sarà più in griglia, senza alcun rimpianto da parte di nessuno aggiungerei, è Latifi. Oggettivamente troppi errori e troppo lento il canadese che ha avuto uno dei pochissimi momenti di “gloria” nell’aver provocato il caos nel finale di ABD2021. Chissà se Marko&co lo hanno mai davvero ringraziato… Nel caso non l’abbiano fatto ecco una nuova occasione per dare il giusto merito ad un pilota che gli ha oggettivamente salvato il culo nel 2021.
Curioso il caso invece di Colton Herta, che vorrebbe approdare in F1 ma non ha la superlicenza FIA e quest’ultima ha già dichiarato che non la otterrà per il 2023. Nella forma non c’è nulla di sbagliato ma è evidente come questo sembra essere un altro sgarbo tra FIA e LM, con il presidente Sulayem che non perde occasione per rimarcare che gli aspetti sportivi della F1 sono di esclusiva competenza FIA. Anche quando, vedi TD39 o l’introduzione del doppio tirante per il Gp di Canada, di sportivo non c’è una benamata mazza se non fare un favore a Mercedes.
Dulcis in fundo le improbabili idee che Liberty Media e la Fia propongono per rendere più appetibile il “prodotto” F1. Nell’ordine: mondiale di 24 (ventiquattro!!!) GP, sprint race portate da 3 a 6, oltre a possibili futuri interventi su utilizzo DRS dal primo giro di gara, push to pass, doppia qualifica per stabilire la griglia di sprint race e gara domenicale.
Tutto ciò per aumentare lo spettacolo. Facciamo sommessamente notare che prima dell’introduzione di quella cagata della TD39, Ferrari e Red Bull se le suonavano di santa ragione in pista a tutto vantaggio dello “spettacolo”. Ora lo spettacolo è solo di Verstappen e le gare sono molto più noiose. Per fortuna che vige sempre l’adagio che “alla F1 serve una Ferrari vincente”. Ormai non fa più ridere neanche come barzelletta.
Terzo appuntamento di fila per la MotoGp e meno quattro alla fine del 2022.
Cento punti in palio e tre piloti racchiusi in 25 a giocarsi un titolo. Titolo che farebbe gola anche al quarto in classifica Enea Bastainini (che però ne dista ben 49). Lo tiene in gioco solo la matematica ma di fatto è virtualmente fuori dalla lotta: necessita di troppi pianeti allineati per nutrire una reale speranza.
Quartararo, Bagnaia e Espargarò ritroveranno l’asfalto di Buriram dopo tre anni. Le caratteristiche tecniche del tracciato favoriscono la Ducati per via degli allunghi. In realtà sarebbe più appropriato dire che sfavoriscono la Yamaha, visto che la GP22 ormai va bene ovunque.
(immagine tratta da twitter)
Anche in questo caso gli uomini e le macchine della MotoGp ritroveranno il tracciato thailandese dopo tre anni di assenza. Mancanza di dati recenti e maltempo pressochè certo sono le condizioni ottimali per coloro che cercavano di dare sapore ad un campionato che, sino a due mesi, fa sembrava assegnato.
Fare pronostici diventa quindi impossibile. L’assenza di informazioni “appiattirà” le differenze tra i vari teams ed i vari piloti, privilegiando chi sarà più avvezzo ad adattarsi alle mutevoli condizioni.
Potrebbe venirne fuori una vittoria KTM che in queste situazioni riesce sempre a sorprendere. Potrebbe venirne fuori anche una bella prestazione di Marquez che in caso di pioggia (e lo ha dimostrato sabato scorso) sopperisce con la classe e la sensibilità alla mancanza di forma fisica.
Insomma, potrebbe essere la gara degli outsider visto che non hanno nulla da perdere rispetto ai tre in lotta per il bottino grosso.
La gara di domenica scorsa ne è l’esempio lampante.
Se non hai nulla da perdere (e manco da guadagnare perché le line up 2023 sono già definite) puoi tirare a bestia e provarci, mentre a chi ha da perderci spunta il braccino.
Non è un caso quindi se a Motegi Quartararo & Co abbiano viaggiato nelle retrovie chi per un motivo chi per un altro. Lo stesso Bastianini (che è quello ha meno da perderci) non ha brillato in Giappone e in Thailandia è quello sul quale si dovrebbero puntare i due euro settimanali.
Con Mir ancora assente ritroveremo in sella su una Motogp il nostro pilota “operaio” Danilo Petrucci. Una passerella per lui in quanto, sia per la moto che per lo scarso feeling con la stessa, non potrà molto. L’eventuale pioggia potrebbe però aiutarlo a ben figurare.
Lo spagnolo, invece, deve aver capito che partecipare per il dovere di firma, con un team in chiusura ed una moto non prestazionale, sarebbe valso solo il rischio di farsi male nuovamente. Lo si può criticare?
Scrivere qualcosa di diverso da quanto scritto quando le gare si susseguono con questo ritmo diventa complesso. Soprattutto quando i regolamenti non permettono voli pindarici e variazioni sul tema di gara in gara. Questo ormai è anche il motociclismo….e pensare che nel 2023 ci saranno anche le corse del sabato che tendenzialmente spoilereranno il risultato della domenica. Ma noi ci aggrappiamo al pensiero che durante la minicorsa del sabato si possano raccogliere info utili per far meglio alla domenica.
Un curioso, quanto inutile sondaggio sul social twitter, di un bidonista inglese (per chi non è avvezzo alla storia della F1, sappia che apostrofo in codesto modo “le persone più competenti della F1”, come le definisce un noto telecronista urlatore seriale, perché, in antico tempo, gli inglesi per rientrare nel limite del peso zavorravano le monoposto letteralmente con bidoni pieni d’acqua!), mi ha dato uno spunto di riflessione su quello che sia la F1 attualmente e, soprattutto, su cosa siano divenuti ora i campioni della “vecchia guardia”. Il sondaggio chiedeva semplicemente se Verstappen fosse riuscito a vincere lo stesso il mondiale qualora sulla sua monoposto ci fosse stato LeClerc e naturalmente lui fosse stato in Ferrari. Al di là del risultato (ha vinto la logica: Charles su Red Bull campione naturalmente), era palese il tentativo del suddetto bidonista di esaltare il nuovo deus ex machina del momento e cioè il futuro bicampione Max Verstappen. Già perché dovete sapere che l’anglo austro (tra Toto e proprietà Red Bull gliela dobbiamo la citazione agli austriaci) tedesca F1 è sempre alla ricerca dell’idolo da adorare e con la caduta degli dei, a cui nemmeno l’epta campione Hamilton si può sottrarre, ha trovato immediatamente il suo rimpiazzo, proprio come il campione inglese ha rimpiazzato il suo omologo tedesco che ora è in Aston Martin.
Prima in F1 la caduta degli dei era un fatto inevitabile, fisiologico… naturale. Oggi giorno è una situazione quasi programmata. Verstappen (lui si che è il vero predestinato), sin da quando ha fatto ingresso nel circus (o circo?), è stato pubblicizzato senza mai nascondere la propensione del sistema F1 verso l’olandese. Pilota di indubbio talento e valore, determinato come pochi ed allevato a pane e motori sin dalla tenera età, irrompe nei circuiti di F1 già a diciassette anni. Ciò che ha sempre cozzato con il suo arrivo è stata l’ossessiva magnificazione del ragazzo, qualunque cosa facesse… errori compresi. Era chiaro sin da subito che il minorenne Max, in un modo o nell’altro sarebbe dovuto divenire campione e con una squadra come Red Bull questo non era che questione di tempo. Esagero? Avete mai visto lo stesso battage pubblicitario con Charles LeClerc? Il monegasco quest’anno non diverrà campione, eppure lui è il “titolare del palo” come si suol dire e questo è stato il suo primo anno in cui si è giocato il mondiale o, almeno marginalmente, ci ha provato. Qual è la differenza tra lui e l’olandese? Davvero LeClerc non è all’altezza di Verstappen? A giudicare dai primi due GP dell’anno, dove abbiamo assistito al loro testa a testa non mi sembra. Ovvio che Verstappen, avendo più esperienza (hanno la stessa età, eppure uno è entrato in F1 nel 2015 e l’altro nel 2018… scusate se è poco se in F1 tre anni possono fare la differenza!) ha avuto la possibilità di maturare determinati aspetti che oggi si ritrova, come la visione e la gestione della gara. Ovvio che ora abbia un comportamento meno irruento e più saggio, in quanto il suo (primo) mondiale l’ha vinto e quindi il sogno è stato esaudito e realizzato e, naturalmente, con la RB18 che non si rompe mai e che non conosce il significato di limite di spesa allo sviluppo fissato dal budget cap, se la può prendere comoda.
Il mezzo è tutto e sir Hamilton ne sa qualcosa e nessuno mi venga a dire che il re nero avrebbe raggiunto lo stesso risultato se si fosse scambiato il sedile con Vettel, perché “baffetto” su quella Mercedes gli avrebbe fatto un mazzo cosi! Infatti si veda la caduta rovinosa del campione inglese nei riguardi del suo connazionale e compagno di box. Di fatto Hamilton sta facendo esattamente la stessa fine che ha fatto Vettel con LeClerc… con la differenza che Russell non ha ancora vinto nessuna gara e, quindi, può ancora salvare la faccia. La classifica è impietosa: Russell, con una Mercedes zoppa (anche se dal Belgio è stata rivitalizzata dalla DT039) è a soli sette punti da Perez e a sedici da LeClerc (pazzesco) e, soprattutto, è avanti di trentacinque comodi punti all’ingombrante compagno. L’anno scorso gli “esperti”, tifosissimi proprio di sir Lewis tra l’altro, parlarono di “tonfo” di Charles, visto che la classifica finale diceva che Carlos gli era finito davanti. A parte cha la “fine analisi” non teneva in considerazione una serie di fattori (incluso quello che il monegasco ha rischiato di vincere l’anno scorso proprio a Montecarlo con la macchina che si ritrovava), ebbene ora cosa dovremmo dire di Hamilton? Il campione inglese ha spadroneggiato in lungo ed in largo ed ora che ha una macchina “più umana”, precipita tra i comuni mortali ed arranca a tal punto che dobbiamo sorbirci scenette al limite del patetico, dove a stento esce dalla macchina per poi zoppicare vistosamente. Il bumping dovuto al porpoising è per tutti i piloti in pista, nessuno escluso, evidentemente non per il campione inglese, tanto che il buon Toto ha dovuto invocare il sempre verde “motivi di sicurezza” come argomentazione valida per frenare la caduta del campione e di tutta la squadra che stava sprofondando lentamente nel mid field a causa di un progetto totalmente cannato.
La caduta degli dei è lenta e rovinosa ed a volte il botto che si produce, una volta raggiunti il suolo, può essere rovinoso. Questo è quello che è successo a Vettel, il quale non fa nulla per frenare questa caduta; anzi se mai l’accelera. Vettel è stato il pilota che ha inaugurato la dinastia dei domini nella F1 moderna: voglio dire, dopo l’era Schumacher abbiamo avuto una sana alternanza di campioni. A partire dal tedesco e cioè dal 2010, fino ad ora, salvo la parentesi “regolamenti di conti in casa” chiamata Nico Rosberg, abbiamo avuto solo due campioni ed ora pare la volta (dio ci scampi!) di Verstappen. La parabola di Vettel, quella della salita all’Olimpo, è stata a dir poco prodigiosa: tra talento (non si vince a Monza con una Toro Rosso sotto la pioggia per caso… diamo a Cesare quel che è di Cesare) e, soprattutto, l’onnipresente e imbattibile mezzo, supportato dal giusto peso politico della sua squadra, ne hanno fatto un dio da idolatrare e la beatificazione è stata raggiunta solo quando è arrivato in Ferrari… naturalmente. Il fatto è che proprio la Rossa è stata la sua rovina (di certo non dal punto di vista economico), in quanto il buon Vettel non ha saputo sfruttare l’occasione appieno (anche a causa della regressione della squadra e della reazione di AMG si capisce) e poi… e poi è arrivato LeClerc ed è dovuto scappare a gambe levate. La differenza tra lui e Alonso, perché entrambi sono in squadre disastrate ed appartenenti alla vecchia guardia, è che l’asturiano fa parlare i fatti e, quindi, la pista per lui, mentre il tedesco fa parlare la bocca e a sproposito anche. Un pilota ormai senza mercato, dove il rapporto prezzo qualità è totalmente sfavorevole, sapendo bene che è a fine carriera (credete sia un caso che si ritiri?), cerca di mungere la vacca facendo parlare di sé più per quello che dice, e le sue gesta di presunto impegno civile, che per i fatti in pista. Ancora riecheggiano nell’aria, in questa lunga pausa aspettando il GP di Singapore, le sue parole di scherno nei riguardi del nostro Presidente della Repubblica il quale, piaccia o meno, è pur sempre il nostro Presidente. Del resto Vettel non è la prima volta che scade nel volgare visto che mandò a quel paese il compianto Whiting in mondo visione. Arrancare, soprattutto, contro un compagno che è un vero mediocre e si ritrova in F1 solo perché il padre gli ha comprato una intera scuderia, non deve essere semplice soprattutto quando era abituato ad avere il mondo a i suoi piedi. Il declino di Seb non è iniziato ora certo, la sua avventura in Aston Martin evidentemente ne segna solo la coerente fine.
Mi auguro che Verstappen abbia degni avversari nell’avvenire e che Charles sia uno di questi, sia per lo spettacolo sia perché il suo talento, non venga mortificato dalla solitudine della concorrenza, proprio come accaduto con il suo acerrimo avversario in questi sette lunghi anni. L’ascesa all’Olimpo è dura, eppure i campioni della vecchia guardia insegnano che la caduta degli dei è un attimo.
Per me, e molto probabilmente per tutti i frequentatori di questo blog, è ovvio che la gerarchia deve mettere in cima sport. Tuttavia, salvo l’esser “talebani” di questa prospettiva, non c’è nulla di male se si tiene d’occhio anche la componente “spettacolo” ma è altrettanto ovvio che se privilegi questa invece di quella il rischio di sfasciare tutto è dietro l’angolo.
Abbiamo l’esempio sotto gli occhi nella motogp.
Il fenomeno Valentino Rossi ha portato la motogp da sport fondamentalmente di nicchia, poco seguito, poco pubblicizzato, poco pagato, poco organizzato ecc. ecc. a una ribalta mondiale seconda, nel motorsport, solo alla Formula 1. La cosa è stata gestita bene per un bel po’ di tempo, devo dire, anche grazie al fatto che il nostro non era solo un fenomeno mediatico. Sia le sue imprese sportive che il suo essere personaggio “spettacolare” sono state cavalcate da Dorna per fare in modo di attrarre assai, tanto e molto denaro ed è riuscita ad organizzare il tutto in modo molto più professionale rispetto al passato. La concertazione di questo percorso con i media, poi, è stata esemplare, al punto che, non solo in Italia, persino i telecronisti (come fu ed in qualche modo è tuttora per la F1) hanno una loro dimensione nell’immaginario degli appassionati.
Tutto bene, quindi.
Be’… ni.
Ovviamente la spettacolarizzazione degli eventi basati sul “personaggio” Rossi è stata sfruttata benissimo ma non aver capito che ad un certo punto era necessario fare uno step forward per consolidare quanto raggiunto è stato un errore gravissimo. Hanno costretto sto “poveraccio” (si fa per dire) a correre e rischiare l’osso del collo per anni e anni nonostante non fosse neanche lontanamente paragonabile, agonisticamente parlando, a quello che era nel decennio 2000/2010 e l’hanno spremuto fino a che hanno potuto. (Lui, beninteso, è stato molto più intelligente: ha capitalizzato, consolidato e portato a casa tutto il possibile – e ha fatto bene). Tutto al fine di continuare a prendere soldi, raccattare sponsor, dimensionare il circus, sempre sventolando davanti agli investitori il successo mediatico del “dottore”. Quest’anno, pensionatosi il fenomeno, assistiamo a Sboom di presenze, ascolti, sponsor e, soprattutto, soldi. La malsana gestione di Dorna della parabola discendente di Rossi ha portato a tutto questo. E il motivo è che hanno creduto che il clou dell’oggetto che avevano tra le mani, ossia lo “sport” motogp, fosse lo “spettacolo”, non lo sport stesso.
A maggior riprova di quanto sostengo ricordo che, nel corso del tempo, Dorna ha tentato di cavalcare e coltivare la componente “spettacolare” avviata con o, meglio, grazie a Rossi: in fondo era la strada più facile per spingere ancora di più su questo tasto.
Ma…
Stoner non ci stava.
Lorenzo per un certo periodo è stato costretto a fare pagliacciate che non facevano per lui (ricordo agghiaccianti tentativi di simulare passeggiate lunari davanti alla curva con le bandierine 93 nere sventolate da prezzolati).
Pedrosa non c’aveva la ghigna giusta.
Se parlo di Simoncelli mi viene il magone quindi evito.
Poi è arrivato Marquez e sembrava che avrebbero potuto replicare quanto fatto con Rossi.
La ghigna c’è, fenomeno è un fenomeno, spettacolare è spettacolare ecc. ecc.
Tuttavia il pasticcio del 2015 ha rovinato tutto e da allora la motogp si ha dovuto continuare, comunque e giocoforza, ad aggrapparsi a Rossi il quale, per ovvi limiti di età, non è che potesse fare granché.
Oggi abbiamo in pista piloti eccezionali, bravissimi, velocissimi e che onorano da par loro lo sport ma che non sono “personaggi” nel senso che Dorna vorrebbe. Leggo persino articoli con delle ridicole lagne sul fatto che i piloti di oggi sono troppo buoni, che sono troppo amiconi e che ciò non andrebbe bene per la motogp. Vero, se visto dal lato dello “spettacolo” ma… seriously?
Piccolo inciso: se a “spettacolo” tolgo le virgolette cade tutto il discorso – gli appassionati sanno che tutto è spettacolo puro ogni gara, con i piloti e i team impegnati al massimo per cercare di trovare la vittoria. Fine inciso.
Ad ogni modo, lo vedete il problema?
Nelle righe precedenti ho parlato solo di spettacolarizzazione del personaggio di motogp (quantomeno il tentativo) e non dello sport motogp. Qui sta l’errore.
Un personaggio come Rossi è unico (amato o odiato, forte davvero o aiutato, pagliaccio o genio – non me ne frega niente: è unico) e non lo puoi replicare. Tentare di replicare il fenomeno-Rossi era già l’Errore – non tanto il fatto di non esserci riusciti, che pure gli si potrebbe imputare. Dorna non ha consolidato, non ha valorizzato a sufficienza la componente “sport”, ha puntato sul “personaggio” Rossi e non sullo “sportivo” Rossi con il risultato, sin troppo prevedibile, che quando questi è declinato ed infine ritirato allora tutto l’ambaradan si è sgonfiato.
In quest’ottica è facile capire perché Marquez è rientrato (leggi: è stato costretto a rientrare) per gli ultimi gp della stagione in corso nonostante non sia esattamente la mossa più saggia da fare per il pilota. Si tratta dell’ennesimo tentativo di Dorna di insistere sull’aspetto “spettacolare” e “personaggistico” del suo prodotto, strenuo tentativo di dare un po’ di pepe mediatico al campionato e di andare poi a batter cassa a dritta e a manca per tentare di attrarre sponsor per la prossima stagione e alzare il prezzo dei diritti della stagione 2023.
E quanto pare funziona:
Se la Motogp rischia c’è un esempio in cui quel rischio si è concretizzato. E’ uno sport in cui oltre alla spasmodica ricerca dello “spettacolo” basato esclusivamente sul “personaggio” si è anche andati a distorcere la componente sportiva e se si distorce la componente sportiva si fanno solo dei danni.
Prendete il ciclismo: chi lo guarda più? E se lo guardi cosa stai guardando? Il vincitore è da ammirare? Oppure no? Il doping lo ha distrutto. Il doping ha così influito sulla sua componente sportiva che tutta la credibilità che questo sport si era costruito in decenni di fatiche (letteralmente!) è stato spazzato via. Gli ultimi vent’anni (e più) di ciclismo sono stati una farsa. Le gare continuano ad essere “spettacolari” (forse) ma non c’è una virgola di tensione e di passione in chi vi assiste perché tanto subito dopo il traguardo spegne la tv e se cerca notizie sui giornali o su internet è solo per sapere se Tizio ha vinto il Tour perché ha preso più Girandolina degli altri e se Caio ha vinto la Parigi-Roubaix grazie alla trasfusione di emicicli romboidali. Ha voglia, la federazione, a cercare di “spettacolarizzare” i grandi appuntamenti e a cercare di venderli alle tv e ai giornali a prezzi più alti per permettere alle squadre di cercare sponsor munifici: ti danno il minimo sindacale e solo se gli torna comodo (a dir il vero il “se gli torna comodo” sappiamo cosa vuol dire e di soldi ne girano tanti ma ciò non cambia il senso del discorso). Briciole, pezzetti, rimasugli. I media generalisti praticamente non se ne occupano più mettendo solo qualche trafiletto nelle pagine dello sport. Non c’è un ciclista che è uno a far da testimonial nelle pubblicità generaliste. La comunicazione delle aziende che sponsorizzano squadre o gare non punta mai sul ciclismo: niente foto, niente filmati, niente persone, niente luoghi – niente di niente. La gente che applaude e si agita sulle strade del Giro o del Tour, oltre ad essere infinitamente di meno di quanto non fosse fino a 20 e più anni fa, non è lì per tifare i corridori. Il tifo è solo apparente e persino dermatologico, oserei dire. Dei corridori non glie ne importa nulla. Non c’è rispetto per i corridori e si fa a gara a chi si avvicina di più per fare il selfie, la qual cosa ha talvolta portato, peraltro, a ridicole quanto pericolose cadute.
E tutto questo per cosa? Per aver fatto per 7 anni alti guadagni sulla pelle di quello là? Sì, proprio quello là che aveva avuto quella storia tragica ma che poi si è risollevato con tanta “fatica” e che è andato a vincere come mai nessuno prima. Bravo, bello “spettacolo” e ora? A chi lo vendi il Tour? E a quanto?
Se non si sta attenti è lì che si finisce.
La F1, nel bene e nel male, ha sempre privilegiato la componente sportiva e non ha mai puntato troppo sul singolo pilota. Anzi.
E lo ribadisco, nel bene e nel male. Perché anche quando è stata nel male lo ha fatto sul piano sportivo, controverso finché volete, ma pur sempre sportivo (così a veloce memoria: Senna 89, Schumy 94, stagione 2007, da ultimo Masi 2021).
Segnali di scopiazzamento da altre formule di elementi presuntivamente “spettacolari” ci sono stati: il punteggio stile moto-gp, il numero fisso per il pilota, la sprint race. Il primo tutto sommato ci stava: ha consentito alle scuderie di incassare di più dagli sponsor. Il secondo invece è un pericoloso segnale, nel senso del discorso che sto facendo anche se al momento, tuttavia, non sembra aver sortito effetti gravi. Il terzo è senza senso e basta.
Il punto è che lo “spettacolo”, con le virgolette, è diretta conseguenza dello spettacolo, senza virgolette.
E lo spettacolo-senza-virgolette è a sua volta diretta conseguenza della componente sportiva spinta all’estremo.
Quando c’è quest’ultima allora tutto gira bene: tensione, rivalità, performance, persino polemiche, colpi bassi e defaillance, tutto contribuisce a sostenere la tensione di chi vi assiste innalzandone il livello di competenza e di passione.
Non hanno invece alcun senso prettamente sportivo le pagliacciate e non tanto perché non siano “spettacolari”, con le virgolette, magari alcune lo sono pure, quanto perché non incidono minimamente sulla componente sportiva o, anzi, la deteriorano. La proposta di invertire la griglia, ad esempio, può rendere “spettacolari” le gare ma è per definizione contro-sportiva. Lo spettatore occasionale avrà qualche minuto di divertimento ma non avrà mai la tensione e la partecipazione che c’è in una gara “vera”, ossia in una gara dove la griglia è determinata dai migliori tempi in qualifica e dove la tensione si crea dalla capacità dei piloti e delle scuderie di affrontare la gara al meglio delle loro possibilità, sfidandosi su un terreno sportivamente coerente. Se Verstappen parte in pole position e Leclerc è con lui in prima fila c’è tensione. Se tutti e due partono dal fondo assisteremo solo ad un confuso ambaradan di sorpassi che non ha alcun valore sportivo e che trasforma i risultati delle gare in sgangherate ordalie che non possono dare soddisfazione alcuna.
Non è sportivo, per fare un altro esempio, cambiare le regole in corsa. La famigerata TD39, esempio più recente, magari non è vero che ha influito sulle performance di alcune scuderie (Binotto continua a giurarlo e spergiurarlo ma non mi interessa in questa sede) ma sta di fatto che è diventato il classico elefante nella stanza: Verstappen non lotta più con Leclerc perché sono stati bravi quelli di RBR a sviluppare la vettura o per colpa della TD39? Non importa più la vera ragione – LA TD è lì, con tutto il peso dietrologico che si porta appresso, e il dubbio rimane.
Ci sono anche esempi positivi.
Uno è l’atletica. Vivaddio ancora oggi, come 100 anni fa, si fanno i 100 metri piani, il salto in lungo, i 400 ostacoli, il lancio del peso, ecc. ecc.. Il doping viene contrastato in modo pesantissimo e non viene tollerato in alcun modo. I “personaggi” spuntano, ovviamente, ma sempre per loro merito sportivo: (fortunatamente) la copertura mediatica, che pure c’è ed è importante, non prevale al punto da oscurare l’evento sportivo vero e proprio. Spettacolarizzano ove possibile: le finali delle olimpiadi avevano una presentazione degli atleti piuttosto pomposa, giochi di luce e di musica ma poi ad un certo punto tutto si spegne e on-your-marks, set, go e chi va più forte vince. Non è che si mettono a fare i 105 metri o li fanno correre all’indietro per fare più “spettacolo”.
Un altro esempio positivo è la NBA. Forse l’esempio più fulgido di come gestire uno sport e i suoi atleti degli ultimi 30-40 anni. Il geniale “commissioner” David Stern, a partire dagli anni 80, prese in mano una lega allo sbando, martoriata da pochi soldi, pochi sponsor, persino droga e personaggi poco raccomandabili e la trasformò nel giro di pochi anni nella lega di sport professionistico più ricca del mondo. E lo è di gran lunga in sé, ossia la NBA è ricca in una quantità che nemmeno ci immaginiamo e che qualsiasi altro sport (calcio compreso) manco se lo sogna, il che vale anche nei suoi atleti di punta. Dei 50 sportivi più pagati al mondo ben 21 sono della NBA! (12 della NFL, football americano, mentre gli altri sport, calcio 5, tennis 3, golf 3, boxe 3, Hamilton Verstappen per la Formula 1 e poi c’è un tale McGregor che non ho capito che sport giochi a completare l’elenco). Su cosa puntò? Sullo sport (senza virgolette) e sullo spettacolo-senza-virgolette. Non cambiò neanche una virgola delle regole del gioco, non fece modifiche di alcun tipo. Si limitò, si fa per dire, ad esaltarne le componenti intrinseche tecniche ed agonistiche, eliminò gli aspetti controversi (tolleranza zero assoluto verso violenza, droghe, combine) e culminò con l’operazione (geniale!) Dream Team alle Olimpiadi di Barcellona del 92. Certo che puntò sui personaggi (Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan) ma questi erano la conseguenza della promozione non il contrario.
Lo sport era vero, non guidato, controllato, manipolato e nella sua “verità” e “autenticità” ha sviluppato le storie (le storie!) dei protagonisti. Giusto un piccolo esempio: si inventò la promozione “overseas” che consisteva (e consiste) nel prendere le squadre e farle giocare altrove. L’opener a Londra, Siviglia, Tokio, Mexico City: una partita vera, che conta per il campionato – non un esibizione da circo. Merchandising a gogo, diritti tv da paura, copertura totale, regole ferree per i media: quel che sempre si promuove è la NBA, non altro. E la NBA dev’essere lo sport basket ai massimi livelli.
(che poi si dice basketball: se a un americano dici che ti piace il basket comincia a girarsi intorno per vedere se il cestino della stanza è fatto di maioliche siciliane…)
Insomma: niente pagliacciate sulla componente sportiva e spettacolo, magari tanto ma sul contorno purché sempre diretto alla promozione dello sport.
Ammesso e non concesso, dunque, che si voglia far crescere la Formula 1 il primo punto da capire è che la componente sportiva deve assolutamente stare al primo posto. Questa dev’essere il fondamento, la “verità” e l’autenticità imprescindibile per ogni discorso che si voglia fare sul suo sviluppo. Sviluppo che si potrebbe fare anche di questo discorso ma che i limiti già ampiamente sforati di questo articolo lo fanno demandare a tempi altri. Sicché vado a concludere con due brevi considerazioni finali.
Poco fa ho usato due parole: competenza e passione.
Queste due parole sono la chiave per comprendere che il cosiddetto “zoccolo duro” di chi si interessa di uno sport risiede innanzitutto nella sua capacità di comprenderlo e capirlo e poi di seguirlo con la dovuta tensione e sana passione, la curiosità di vedere chi vincerà, chi saprà esprimersi al meglio e così via.
Crei competenza concertando con i media la spiegazione degli eventi che si svolgono, dando informazioni, esponendo dati, magari pretendendo che a commentare lo sport ci sia qualcuno che ne sa e non un improvvisato che non è riuscito a entrare nella redazione cronaca politica. Generi passione esaltando l’impresa sportiva, il componente tecnico, la grande rimonta o la perfezione di un gran chelem. La storia, santo cielo!, la storia dello sport è componente ineludibile dello stesso ove la competenza e la passione sono in rapporto biunivoco con gli appassionati perché dà loro materiale per ampliare il fuoco che arde loro dentro e da questo riceve, in cambio, tutta la tensione e aspettativa per il prossimo evento, sperando di poter rivedere in esso i fasti del passato reinterpretati nel contesto attuale.
Competenza e passione, dicevo, sono lo zoccolo duro: se ampli quelle ampli questo.
Infine, credo non sia sfuggito che non ho parlato di “tifo”. Il tifo è una conseguenza, come dire, psicologica e sociale dello sport (il discorso sarebbe lunghissimo: accenno solo al contributo dato dal tifo al plesso identitario dell’individuo, condizionato suo malgrado dalle passioni sportive, e per quanto attiene all’aggettivo “sociale” basti pensare al senso di condivisione e di comunità che il tifo genera, sia nel bene sia nel male) e ne rappresenta una sorta di variabile indipendente (alle volte positiva, alle volte negativa, per l’appunto). Il tifo è solo parzialmente sotto il controllo di chi governa uno sport quindi va trattato con le pinze. Il parziale controllo va inteso nel senso che si può generare del “tifo” esaltando il “personaggio” – indirizzi la curiosità degli spettatori e degli interessati non verso lo sport ma verso il personaggio – sfruttandone alcune caratteristiche in modo opportuno. Puntare sul “tifo” può anche portare a risultati molto rapidamente ma è un’arma a doppio taglio. Se indirizzi l’interesse verso un “personaggio” (capace di solleticare, ovviamente – è il caso di Valentino Rossi che facevo prima per la MotoGP) e non verso lo sport ti ritrovi con una marea di gente che arriva all’improvviso, ti bei dei risultati economici che ne conseguono ma poi tutto esce dal tuo controllo. Se il “personaggio” perde rischi le inquietanti deviazioni che il “tifo” comporta e poi, se costoro non sono stati “educati” a seguire quello sport quanto invece a seguire quel “personaggio” succede inevitabilmente che se il “personaggio” in questione si ritira costoro smettono di seguire. Il “tifo” non è lo stesso che zoccolo duro, ecco perché va trattato con le pinze. Se la Motogp è lì, con i numeri a dimostrare quanto pericolosa e traballante questa strategia la già citata NBA dimostra l’esatto contrario: quando si ritirò Michael Jordan (il ritiro vero quello del 1998) la lega non perse un epsilon di interesse ed anzi continuò ad espandersi.
Meditate, gente. Meditate.
(Si potrebbe approfondire ulteriormente – ho tagliato con l’accetta molti discorsi (compreso quello sul tifo che in realtà è molto più complicato) ma spero di aver contribuito a dare qualche spunto di riflessione.)
Bautista domina il round Catalano siglando una tripletta stratosferica. Mai in partita gli avversari, annichiliti. Qui al Montmelo ha fatto un altro mestiere.
Ho preso spunto per il titolo dal grido di gioia di un caro amico e tifoso Ducatista, “Il Capolista se ne va” perché questo weekend Alvaro Bautista ha letteralmente annichilito prima Razgatioglu e poi Rea.
Ha guidato il weekend percorrendo tutti i giri di gara in testa, di tutte e tre le gare. Praticamente gli altri Piloti l’hanno soltanto visto partire ed andare via. Umiliante per tutti, soprattutto per Jonnhy e Toprak. Il weekend di Toprak è stato altalenante, non è mai stato in grado di essere decisivo ed incisivo sia in prova che in gara.
Jonnhy e la sua Ninja ci hanno provato in tutti i modi, tanti gli errori di Rea che alla fine esce fuori dal weekend con un bel punto di domanda. Soprattutto si è visto un Alex Lowes finalmente pimpante ed in grado di tenere il passo di Rea.
Ottimo il weekend per gli altri Piloti Ducati, in particolare Rinaldi che riesce in gara due a prendersi una spettacolare 2^ posizione e rubare punti preziosi a Razgatioglu. Anche Bassani ha portato a casa punti importanti e si è ritrovato a battagliare in tutte e tre le gare con i Piloti di testa.
In gara 1 si rivede anche Garrett Gerloff. Lo sceriffo Texano, disperso dopo il botto di Assen 2021 in cui stese Razgatioglu, ritorna sul podio rubando punti importanti proprio al Turco. Nei box non erano contentissimi…
Chi delude le aspettative è ancora una volta Locatelli. Il Pilota Yamaha non ottiene un podio addirittura da aprile (Gara 2 ad Assen) e sembra un altro Pilota rispetto ad inizio stagione. Poco combattivo e per nulla in aiuto di Toprak, a differenza di Rinaldi e Bassani.
Chi si rivede è Alex Lowes che ritorna sul podio, seppur nella SP Race, dopo quello di Donington Park. Anche per lui vale il discorso fatto per Locatelli, è un lontano ricordo dell’Alex Lowes che conosciamo. Il 2023 probabilmente sarà l’ultimo anno nel Mondiale SBK.
Classifica Mondiale
Rimangono 4 Round, il prossimo a Portimao dove Rea e la Kawasaki potrebbero rifarsi. Ancora 12 gare alla fine, con 248 punti a disposizione dei Piloti. Ancora è tutto da scrivere, soprattutto se la pioggia ci mette lo zampino.
Francky
Life is racing, all the rest is waiting
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