MIT’S CORNER: SPORT O SPETTACOLO?

La Formula 1 è sport o a spettacolo?

Per me, e molto probabilmente per tutti i frequentatori di questo blog,  è ovvio che la gerarchia deve mettere in cima sport. Tuttavia, salvo l’esser “talebani” di questa prospettiva, non c’è nulla di male se si tiene d’occhio anche la componente “spettacolo” ma è altrettanto ovvio che se privilegi questa invece di quella il rischio di sfasciare tutto è dietro l’angolo.

Abbiamo l’esempio sotto gli occhi nella motogp.

Il fenomeno Valentino Rossi ha portato la motogp da sport fondamentalmente di nicchia, poco seguito, poco pubblicizzato, poco pagato, poco organizzato ecc. ecc. a una ribalta mondiale seconda, nel motorsport, solo alla Formula 1. La cosa è stata gestita bene per un bel po’ di tempo, devo dire, anche grazie al fatto che il nostro non era solo un fenomeno mediatico. Sia le sue imprese sportive che il suo essere personaggio “spettacolare” sono state cavalcate da Dorna per fare in modo di attrarre assai, tanto e molto denaro ed è riuscita ad organizzare il tutto in modo molto più professionale rispetto al passato. La concertazione di questo percorso con i media, poi, è stata esemplare, al punto che, non solo in Italia, persino i telecronisti (come fu ed in qualche modo è tuttora per la F1) hanno una loro dimensione nell’immaginario degli appassionati.

Tutto bene, quindi.

Be’… ni.

Ovviamente la spettacolarizzazione degli eventi basati sul “personaggio” Rossi è stata sfruttata benissimo ma non aver capito che ad un certo punto era necessario fare uno step forward per consolidare quanto raggiunto è stato un errore gravissimo. Hanno costretto sto “poveraccio” (si fa per dire) a correre e rischiare l’osso del collo per anni e anni nonostante non fosse neanche lontanamente paragonabile, agonisticamente parlando, a quello che era nel decennio 2000/2010 e l’hanno spremuto fino a che hanno potuto. (Lui, beninteso, è stato molto più intelligente: ha capitalizzato, consolidato e portato a casa tutto il possibile – e ha fatto bene). Tutto al fine di continuare a prendere soldi, raccattare sponsor, dimensionare il circus, sempre sventolando davanti agli investitori il successo mediatico del “dottore”. Quest’anno, pensionatosi il fenomeno, assistiamo a Sboom di presenze, ascolti, sponsor e, soprattutto, soldi. La malsana gestione di Dorna della parabola discendente di Rossi ha portato a tutto questo. E il motivo è che hanno creduto che il clou dell’oggetto che avevano tra le mani, ossia lo “sport” motogp, fosse lo “spettacolo”, non lo sport stesso.

A maggior riprova di quanto sostengo ricordo che, nel corso del tempo, Dorna ha tentato di cavalcare e coltivare la componente “spettacolare” avviata con o, meglio, grazie a Rossi: in fondo era la strada più facile per spingere ancora di più su questo tasto.

Ma…

Stoner non ci stava.

Lorenzo per un certo periodo è stato costretto a fare pagliacciate che non facevano per lui (ricordo agghiaccianti tentativi di simulare passeggiate lunari davanti alla curva con le bandierine 93 nere sventolate da prezzolati).

Pedrosa non c’aveva la ghigna giusta.

Se parlo di Simoncelli mi viene il magone quindi evito.

 

Poi è arrivato Marquez e sembrava che avrebbero potuto replicare quanto fatto con Rossi.

La ghigna c’è, fenomeno è un fenomeno, spettacolare è spettacolare ecc. ecc.

Tuttavia il pasticcio del 2015 ha rovinato tutto e da allora la motogp si ha dovuto continuare, comunque e giocoforza, ad aggrapparsi a Rossi il quale, per ovvi limiti di età, non è che potesse fare granché.

Oggi abbiamo in pista piloti eccezionali, bravissimi, velocissimi e che onorano da par loro lo sport ma che non sono “personaggi” nel senso che Dorna vorrebbe. Leggo persino articoli con delle ridicole lagne sul fatto che i piloti di oggi sono troppo buoni, che sono troppo amiconi e che ciò non andrebbe bene per la motogp. Vero, se visto dal lato dello “spettacolo” ma… seriously?

Piccolo inciso: se a “spettacolo” tolgo le virgolette cade tutto il discorso – gli appassionati sanno che tutto è spettacolo puro ogni gara, con i piloti e i team impegnati al massimo per cercare di trovare la vittoria. Fine inciso.

Ad ogni modo, lo vedete il problema?

Nelle righe precedenti ho parlato solo di spettacolarizzazione del personaggio di motogp (quantomeno il tentativo) e non dello sport motogp. Qui sta l’errore.

Un personaggio come Rossi è unico (amato o odiato, forte davvero o aiutato, pagliaccio o genio – non me ne frega niente: è unico) e non lo puoi replicare. Tentare di replicare il fenomeno-Rossi era già l’Errore – non tanto il fatto di non esserci riusciti, che pure gli si potrebbe imputare. Dorna non ha consolidato, non ha valorizzato a sufficienza la componente “sport”, ha puntato sul “personaggio” Rossi e non sullo “sportivo” Rossi con il risultato, sin troppo prevedibile, che quando questi è declinato ed infine ritirato allora tutto l’ambaradan si è sgonfiato.

In quest’ottica è facile capire perché Marquez è rientrato (leggi: è stato costretto a rientrare) per gli ultimi gp della stagione in corso nonostante non sia esattamente la mossa più saggia da fare per il pilota. Si tratta dell’ennesimo tentativo di Dorna di insistere sull’aspetto “spettacolare” e “personaggistico” del suo prodotto, strenuo tentativo di dare un po’ di pepe mediatico al campionato e di andare poi a batter cassa a dritta e a manca per tentare di attrarre sponsor per la prossima stagione e alzare il prezzo dei diritti della stagione 2023.

 

E quanto pare funziona:

Se la Motogp rischia c’è un esempio in cui quel rischio si è concretizzato. E’ uno sport in cui oltre alla spasmodica ricerca dello “spettacolo” basato esclusivamente sul “personaggio” si è anche andati a distorcere la componente sportiva e se si distorce la componente sportiva si fanno solo dei danni.

Prendete il ciclismo: chi lo guarda più? E se lo guardi cosa stai guardando? Il vincitore è da ammirare? Oppure no? Il doping lo ha distrutto. Il doping ha così influito sulla sua componente sportiva che tutta la credibilità che questo sport si era costruito in decenni di fatiche (letteralmente!) è stato spazzato via. Gli ultimi vent’anni (e più) di ciclismo sono stati una farsa. Le gare continuano ad essere “spettacolari” (forse) ma non c’è una virgola di tensione e di passione in chi vi assiste perché tanto subito dopo il traguardo spegne la tv e se cerca notizie sui giornali o su internet è solo per sapere se Tizio ha vinto il Tour perché ha preso più Girandolina degli altri e se Caio ha vinto la Parigi-Roubaix grazie alla trasfusione di emicicli romboidali. Ha voglia, la federazione, a cercare di “spettacolarizzare” i grandi appuntamenti e a cercare di venderli alle tv e ai giornali a prezzi più alti per permettere alle squadre di cercare sponsor munifici: ti danno il minimo sindacale e solo se gli torna comodo (a dir il vero il “se gli torna comodo” sappiamo cosa vuol dire e di soldi ne girano tanti ma ciò non cambia il senso del discorso). Briciole, pezzetti, rimasugli. I media generalisti praticamente non se ne occupano più mettendo solo qualche trafiletto nelle pagine dello sport. Non c’è un ciclista che è uno a far da testimonial nelle pubblicità generaliste. La comunicazione delle aziende che sponsorizzano squadre o gare non punta mai sul ciclismo: niente foto, niente filmati, niente persone, niente luoghi – niente di niente. La gente che applaude e si agita sulle strade del Giro o del Tour, oltre ad essere infinitamente di meno di quanto non fosse fino a 20 e più anni fa, non è lì per tifare i corridori. Il tifo è solo apparente e persino dermatologico, oserei dire. Dei corridori non glie ne importa nulla. Non c’è rispetto per i corridori e si fa a gara a chi si avvicina di più per fare il selfie, la qual cosa ha talvolta portato, peraltro, a ridicole quanto pericolose cadute.

E tutto questo per cosa? Per aver fatto per 7 anni alti guadagni sulla pelle di quello là? Sì, proprio quello là che aveva avuto quella storia tragica ma che poi si è risollevato con tanta “fatica” e che è andato a vincere come mai nessuno prima. Bravo, bello “spettacolo” e ora? A chi lo vendi il Tour? E a quanto?

 

Se non si sta attenti è lì che si finisce.

La F1, nel bene e nel male, ha sempre privilegiato la componente sportiva e non ha mai puntato troppo sul singolo pilota. Anzi.

E lo ribadisco, nel bene e nel male. Perché anche quando è stata nel male lo ha fatto sul piano sportivo, controverso finché volete, ma pur sempre sportivo (così a veloce memoria: Senna 89, Schumy 94, stagione 2007, da ultimo Masi 2021).

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Segnali di scopiazzamento da altre formule di elementi presuntivamente “spettacolari” ci sono stati: il punteggio stile moto-gp, il numero fisso per il pilota, la sprint race. Il primo tutto sommato ci stava: ha consentito alle scuderie di incassare di più dagli sponsor. Il secondo invece è un pericoloso segnale, nel senso del discorso che sto facendo anche se al momento, tuttavia, non sembra aver sortito effetti gravi. Il terzo è senza senso e basta.

 

Il punto è che lo “spettacolo”, con le virgolette, è diretta conseguenza dello spettacolo, senza virgolette.

E lo spettacolo-senza-virgolette è a sua volta diretta conseguenza della componente sportiva spinta all’estremo.

Quando c’è quest’ultima allora tutto gira bene: tensione, rivalità, performance, persino polemiche, colpi bassi e defaillance, tutto contribuisce a sostenere la tensione di chi vi assiste innalzandone il livello di competenza e di passione.

 

Non hanno invece alcun senso prettamente sportivo le pagliacciate e non tanto perché non siano “spettacolari”, con le virgolette, magari alcune lo sono pure, quanto perché non incidono minimamente sulla componente sportiva o, anzi, la deteriorano. La proposta di invertire la griglia, ad esempio, può rendere “spettacolari” le gare ma è per definizione contro-sportiva. Lo spettatore occasionale avrà qualche minuto di divertimento ma non avrà mai la tensione e la partecipazione che c’è in una gara “vera”, ossia in una gara dove la griglia è determinata dai migliori tempi in qualifica e dove la tensione si crea dalla capacità dei piloti e delle scuderie di affrontare la gara al meglio delle loro possibilità, sfidandosi su un terreno sportivamente coerente. Se Verstappen parte in pole position e Leclerc è con lui in prima fila c’è tensione. Se tutti e due partono dal fondo assisteremo solo ad un confuso ambaradan di sorpassi che non ha alcun valore sportivo e che trasforma i risultati delle gare in sgangherate ordalie che non possono dare soddisfazione alcuna.

Non è sportivo, per fare un altro esempio, cambiare le regole in corsa. La famigerata TD39, esempio più recente, magari non è vero che ha influito sulle performance di alcune scuderie (Binotto continua a giurarlo e spergiurarlo ma non mi interessa in questa sede) ma sta di fatto che è diventato il classico elefante nella stanza: Verstappen non lotta più con Leclerc perché sono stati bravi quelli di RBR a sviluppare la vettura o per colpa della TD39? Non importa più la vera ragione – LA TD è lì, con tutto il peso dietrologico che si porta appresso, e il dubbio rimane.

 

Ci sono anche esempi positivi.

Uno è l’atletica. Vivaddio ancora oggi, come 100 anni fa, si fanno i 100 metri piani, il salto in lungo, i 400 ostacoli, il lancio del peso, ecc. ecc.. Il doping viene contrastato in modo pesantissimo e non viene tollerato in alcun modo. I “personaggi” spuntano, ovviamente, ma sempre per loro merito sportivo: (fortunatamente) la copertura mediatica, che pure c’è ed è importante, non prevale al punto da oscurare l’evento sportivo vero e proprio. Spettacolarizzano ove possibile: le finali delle olimpiadi avevano una presentazione degli atleti piuttosto pomposa, giochi di luce e di musica ma poi ad un certo punto tutto si spegne e on-your-marks, set, go e chi va più forte vince. Non è che si mettono a fare i 105 metri o li fanno correre all’indietro per fare più “spettacolo”.

Un altro esempio positivo è la NBA. Forse l’esempio più fulgido di come gestire uno sport e i suoi atleti degli ultimi 30-40 anni. Il geniale “commissioner” David Stern, a partire dagli anni 80, prese in mano una lega allo sbando, martoriata da pochi soldi, pochi sponsor, persino droga e personaggi poco raccomandabili e la trasformò nel giro di pochi anni nella lega di sport professionistico più ricca del mondo. E lo è di gran lunga in sé, ossia la NBA è ricca in una quantità che nemmeno ci immaginiamo e che qualsiasi altro sport (calcio compreso) manco se lo sogna, il che vale anche nei suoi atleti di punta. Dei 50 sportivi più pagati al mondo ben 21 sono della NBA! (12 della NFL, football americano, mentre gli altri sport,  calcio 5, tennis 3, golf 3, boxe 3, Hamilton Verstappen per la Formula 1 e poi c’è un tale McGregor che non ho capito che sport giochi a completare l’elenco). Su cosa puntò? Sullo sport (senza virgolette) e sullo spettacolo-senza-virgolette. Non cambiò neanche una virgola delle regole del gioco, non fece modifiche di alcun tipo. Si limitò, si fa per dire, ad esaltarne le componenti intrinseche tecniche ed agonistiche, eliminò gli aspetti controversi (tolleranza zero assoluto verso violenza, droghe, combine) e culminò con l’operazione (geniale!) Dream Team alle Olimpiadi di Barcellona del 92. Certo che puntò sui personaggi (Magic Johnson, Larry Bird, Michael Jordan) ma questi erano la conseguenza della promozione non il contrario.

Lo sport era vero, non guidato, controllato, manipolato e nella sua “verità” e “autenticità” ha sviluppato le storie (le storie!) dei protagonisti.  Giusto un piccolo esempio: si inventò la promozione “overseas” che consisteva (e consiste) nel prendere le squadre e farle giocare altrove. L’opener a Londra, Siviglia, Tokio, Mexico City: una partita vera, che conta per il campionato – non un esibizione da circo. Merchandising a gogo, diritti tv da paura, copertura totale, regole ferree per i media: quel che sempre si promuove è la NBA, non altro. E la NBA dev’essere lo sport basket ai massimi livelli.

 

(che poi si dice basketball: se a un americano dici che ti piace il basket comincia a girarsi intorno per vedere se il cestino della stanza è fatto di maioliche siciliane…)

Insomma: niente pagliacciate sulla componente sportiva e spettacolo, magari tanto ma sul contorno purché sempre diretto alla promozione dello sport.

 

Ammesso e non concesso, dunque, che si voglia far crescere la Formula 1 il primo punto da capire è che la componente sportiva deve assolutamente stare al primo posto. Questa dev’essere il fondamento, la “verità” e l’autenticità imprescindibile per ogni discorso che si voglia fare sul suo sviluppo. Sviluppo che si potrebbe fare anche di questo discorso ma che i limiti già ampiamente sforati di questo articolo lo fanno demandare a tempi altri. Sicché vado a concludere con due brevi considerazioni finali.

Poco fa ho usato due parole: competenza e passione.

Queste due parole sono la chiave per comprendere che il cosiddetto “zoccolo duro” di chi si interessa di uno sport risiede innanzitutto nella sua capacità di comprenderlo e capirlo e poi di seguirlo con la dovuta tensione e sana passione, la curiosità di vedere chi vincerà, chi saprà esprimersi al meglio e così via.

Crei competenza concertando con i media la spiegazione degli eventi che si svolgono, dando informazioni, esponendo dati, magari pretendendo che a commentare lo sport ci sia qualcuno che ne sa e non un improvvisato che non è riuscito a entrare nella redazione cronaca politica. Generi passione esaltando l’impresa sportiva, il componente tecnico, la grande rimonta o la perfezione di un gran chelem. La storia, santo cielo!, la storia dello sport è componente ineludibile dello stesso ove la competenza e la passione sono in rapporto biunivoco con gli appassionati perché dà loro materiale per ampliare il fuoco che arde loro dentro e da questo riceve, in cambio, tutta la tensione e aspettativa per il prossimo evento, sperando di poter rivedere in esso i fasti del passato reinterpretati nel contesto attuale.

Competenza e passione, dicevo, sono lo zoccolo duro: se ampli quelle ampli questo.

Infine, credo non sia sfuggito che non ho parlato di “tifo”. Il tifo è una conseguenza, come dire, psicologica e sociale dello sport (il discorso sarebbe lunghissimo: accenno solo al contributo dato dal tifo al plesso identitario dell’individuo, condizionato suo malgrado dalle passioni sportive, e per quanto attiene all’aggettivo “sociale” basti pensare al senso di condivisione e di comunità che il tifo genera, sia nel bene sia nel male) e ne rappresenta una sorta di variabile indipendente (alle volte positiva, alle volte negativa, per l’appunto). Il tifo è solo parzialmente sotto il controllo di chi governa uno sport quindi va trattato con le pinze. Il parziale controllo va inteso nel senso che si può generare del “tifo” esaltando il “personaggio” – indirizzi la curiosità degli spettatori e degli interessati non verso lo sport ma verso il personaggio – sfruttandone alcune caratteristiche in modo opportuno. Puntare sul “tifo” può anche portare a risultati molto rapidamente ma è un’arma a doppio taglio. Se indirizzi l’interesse verso un “personaggio” (capace di solleticare, ovviamente – è il caso di Valentino Rossi che facevo prima per la MotoGP) e non verso lo sport ti ritrovi con una marea di gente che arriva all’improvviso, ti bei dei risultati economici che ne conseguono ma poi tutto esce dal tuo controllo. Se il “personaggio” perde rischi le inquietanti deviazioni che il “tifo” comporta e poi, se costoro non sono stati “educati” a seguire quello sport quanto invece a seguire quel “personaggio” succede inevitabilmente che se il “personaggio” in questione si ritira costoro smettono di seguire. Il “tifo” non è lo stesso che zoccolo duro, ecco perché va trattato con le pinze. Se la Motogp è lì, con i numeri a dimostrare quanto pericolosa e traballante questa strategia la già citata NBA dimostra l’esatto contrario: quando si ritirò Michael Jordan (il ritiro vero quello del 1998) la lega non perse un epsilon di interesse ed anzi continuò ad espandersi.

Meditate, gente. Meditate.

(Si potrebbe approfondire ulteriormente – ho tagliato con l’accetta molti discorsi (compreso quello sul tifo che in realtà è molto più complicato) ma spero di aver contribuito a dare qualche spunto di riflessione.)

 

Metrodoro il Teorematico