E dopo una lunga pausa, rieccoci a discutere di MotoGP, con un inverno che è stato abbastanza avido di scoop.
Si è partiti con i test, che ci hanno dato ancora Ducati e Honda come le due favorite anche per il 2018, mentre dal lato Yamaha, alcune cose stanno cambiano e migliorando, ma ci sono ancora dei dubbi e cose da capire, ma andiamo per punti.
Ali
Punto in comune per tutte le case è ormai lo sviluppo della ali anteriori, con le soluzioni più disparate, alle quali quasi la totalità dei team ancora non riesce a trovare la quadra. La cosa che accomuna tutti i piloti, è scendere dalla moto senza capire quale sia il reale vantaggio e svantaggio, sul tempo sul giro, di questa soluzione:
Vantaggi: La moto si impenna meno in uscita di curva e concede più feeling all’anteriore in curva.
Svantaggi: Resistenza aerodinamica e maggior difficoltà nel cambio di direzione
In casa Ducati c’è grossa discordanza di opinione, con Dovi che continua a trovarsi meglio senza le ali e Petrucci gli fa seguito, mentre Jorge Lorenzo ne tesse molte lodi, pur dichiarando di perdere 7 km/h a causa di esse. Miller sposa la linea dello Spagnolo, ma a creare altra confusione è Butista che proprio non capisce l’utilità, visto che fa gli stessi tempi con e senza ali.
Nel box Honda si è più propensi al non volerle, pur comprendendo il vantaggi nelle uscite di curva. Marquez dichiara che con le ali riesce a fare un solo giro spinto, dopo di che il feeling viene meno, in primis dettato dalla lentezza del cambio di direzione della moto e poi perchè perde sensibilità all’anteriore nelle curve. Fanno eco a queste opinioni anche Pedrosa e Crutchlow. Insomma, c’è parecchio da lavorarci su.
In Yamaha le nuove ali, molto più smussate di quelle viste a Valencia, trovano un buon giudizio da parte di Rossi e Vinales, ma le considerano vantaggiose e da utilizzarsi solamente nelle piste da grandi accelerazioni come Zeltweg, dichiarandole poche adatte a circuiti come Sepang.
Per Aprilia si continua con soluzioni molto simili a quelle viste nel 2017, come pure per Ktm. Entrambi i team sono ancora all’affinamento della moto nella parte telaistica e motoristica, più che concentrarsi sulla parte alata.
Suzuki presenta delle ali molto svergolate verso il basso, ma i problemi di trazione e in frenata, oltre alla definizione del motore 2018, non danno tempo ai piloti di concentrarsi su questo aspetto.
Tempi e setting
Sarebbe troppo facile basare tutta la valutazione sui giri veloci, ma sarebbe molto fuorviante, visto che come sempre c’è stato chi si è soffermato maggiormente a fare test di assetto e comparative di telaio e motore, o chi ha cercato il long run.
Ducati trova un Dovizioso quanto mai contento delle sue prestazioni e della sua moto, ritrovandosi a girare molto veloce e con molta costanza nei tempi, 2.00 alto, tenendosi alla larga da tentativi di giri da qualifica, mentre Lorenzo è stato un pò meno costante, ma che stampa il tempone record alla fine dei tre giorni di test, forse mirando a far calmare i dubbi sul suo conto . Il Maiorchino si dice contento del feeling con la moto, e risulta essere anche parecchio rilassato. Cadalora dichiara che ora Jorge guida la D16 in maniera molto più simile a quello che aveva con la M1, segno che a Borgo Panigale si sia fatto un gran lavoro nell’inverno. Petrucci per ora lavora ancora sulla comparativa fra 2017 e 2018.
Honda nei primi due giorni pareva avere problemi di telaio e motore, ma nel terzo giorno pare aver trovato la quadra nella strada da percorrere, fornendo al campione del mondo una moto che gli ha permesso di girare con tempi molto costanti, sul 2.00 basso, tanto che in una ipotetica gara, avrebbe vinto lui. Pedrosa e Crutchlow non sono distanti da Marquez, quindi diciamo che c’è ancora del lavoro da fare, ma la strada intrapresa è più che buona.
Yamaha è qualcosa di incerto e poco chiaro, perchè dopo i primi due giorni che han fatto spendere parole di elogio sulla moto, definita da Vinales e Rossi come nettamente migliore della 2017, nel terzo giorno presenta nuovi grattacapi ai due alfieri di Iwata. La moto è si migliorata molto nel feeling in curva, staccata e consumo gomma, però ha nuovamente fatto uscire un limite della 2017, ossia che senza aver modificato nulla, senza uno spiegabile motivo, la moto va più lenta, tanto da non permettere una simulazione di long run, nel terzo giorno, causa tempi troppo lenti per essere indicativi. Ci sarà da lavorare, ma ancora non è il caso di creare allarmismi.
Suzuki ha definito quale sia il motore per la stagione 2018, trovando piena soddisfazione nei due piloti, ma come si diceva sopra, c’è ancora da lavorare su frenata e trazione, ma Rins inizia a dimostrare di capire bene la moto, potrebbe stupirci nella prossima stagione, Iannone è il caso che non sottovaluti il compagno di box.
Ktm è un cantiere ancora molto aperto, quindi difficile da analizzare, ma non pare ci siano grossi problemi, eccezion fatta per il grosso richio occorso ad Espargarò, finito a muro per un problema ai freni. Lo Spagnolo è uscito illeso dalla carambola, ma dovrà riposare qualche giorno per riprendersi dalle botte rimediate
Aprilia vale il discorso di Ktm, moto completamente rivista, che ha fornito buon felling ad Espargarò, mentre Redding ancora non ci si trova, attendiamo i prossimi test per vedere come andrà con il nuovo motore.
Apro un capitolo Tech3 e Zarcò perchè il pilota Francese ha lodato la moto 2017 sin da Valencia e per tutto l’inverno, dicendo che il suo stile la faceva andare veloce e che le lamentele dei due ufficiali erano ingiustificate. Si arriva a Sepang, ed ecco che anche a lui si presentano gli stessi problemi che erano apparsi nel test 2017 a VR46 e MV25, tanto da iniziare a considerare se non sia il caso di correre con la 2016. Complimenti.
L’edizione 2017 della 24 Ore della Florida si era decisa negli ultimi 20 minuti di gara, con un controverso contatto tra i leader Ricky Taylor (Wayne Taylor Racing) e Filipe Albuquerque (Action Express). Quest’ultimo ebbe la peggio, ma non gli andò bene il risultato tanto che, nel giro d’onore, colpì con rabbia il fianco della vettura dell’avversario. Ma esattamente un anno dopo, il fuoriclasse portoghese ha avuto la sua rivincita, e ha portato alla vittoria la sua Cadillac, condivisa con Joao Barbosa e Christian Fittipaldi che, insieme al team Action Express, tornano alla vittoria a Daytona dopo soli quattro anni.
Risultati Prototipi
Cadillac quindi si riconferma con un’altra grande doppietta, messa a segno grazie alle vetture di Action Express. Ottengono dei buoni risultati anche le LMP2, con l’Oreca di Jon Bennett, Colin Braun, Romain Dumas, Loic Duval (team CORE) che si prende il terzo gradino del podio. Dopo di essa, il primo DPi classificato si trova, incredibilmente, in nona posizione, con l’Acura di Castroneves, Rahal e Ricky Taylor che, insieme alla vettura gemella, si è trovata a combattere con problemi tecnici. La numero 7 infatti ha riportato alcuni danni a causa di un contatto, mentre la numero 6 è stata costretta al cambio dell’alternatore. Una gara sfortunata per il team Penske, che comunque ha dimostrato di essere una delle forze maggiori del campionato. Disastro per il team Taylor, la cui vettura è stata ritirata a sei ore dalla fine dal padrone Wayne, infuriato a causa delle ben cinque forature allo pneumatico posteriore destro. Gran polemica quindi per Continental: le forature infatti hanno causato problemi anche ad entrambe le Nissan, a due Oreca, alla Cadillac n. 31 e ad una Mazda, a cui si aggiungono entrambe le Ligier dello United Autosports in prova. La casa tedesca sostiene però che le rotture si siano verificate a causa del mancato rispetto, da parte dei team, dei consigli forniti. Wayne Taylor però non è d’accordo. Per concludere, grande delusione per Mazda e Nissan, con tutte e quattro le vetture ritirate. Le Ligier del team United Autosports si sono classificate in quarta e tredicesima posizione. La seconda, quella di Alonso, Norris ed Hanson, ha accusato problemi a freni ed acceleratore e ha perso molto tempo ai box dopo essere stata anche in testa alla gara. Problemi anche per l’Oreca di Stroll, Rosenqvist, Juncadella e Frijns, che ha accusato problemi ad un ammortizzatore a causa di una foratura.
Risultati GTLM
Anche Ford si riconferma e anche Ford fa doppietta. La GT di Dixon-Westbrook-Briscoe porta infatti la vittoria numero 200 al team Ganassi, ed è seguita dalla vettura gemella di Hand-Mueller-Bourdais. Il terzo posto viene conquistato dalla Corvette di Magnussen-Fassler-Garcia, che si devono inchinare allo strapotere del team Ford nonostante si fossero presi la pole position. Gara travagliata per la Ferrari 488 GTE del team Risi, guidata da Vilander, Pier Guidi, Calado e Rigon. La macchina del team texano ha infatti accusato numerose forature ai suoi pneumatici Michelin. Faticano anche Porsche e BMW, le cui vetture occupano le ultime quattro posizioni ma che sono comunque giunte al traguardo.
Risultati GTD
Trionfo per Lamborghini e per il team Grasser nella terza classe. Mirko Bortolotti, Rolf Ineichen, Rik Breukers e Franck Perera portano alla casa di Sant’Agata la prima vittoria in una gara da 24 ore. Una vittoria ancor più clamorosa se si considera che entrambe le Huracan della squadra austriaca sono state spostate in fondo allo schieramento dopo aver fallito le verifiche tecniche. Una grande Acura conquista la seconda piazza con Alvaro Parente, AJ Allmendinger, Trent Hindman e Katherine Legge (team Shank), mentre in terza posizione c’è un’altra Huracan, quella di Andrea Caldarelli, Bryce Miller, Bryan Sellers e Madison Snow (Paul Miller Racing). Quarto posto per la Mercedes di Keating, Bleekemolen, Stolz e Christodoulou. La vettura del team Riley era in seconda posizione quando è stata costretta ad un ulteriore rifornimento per evitare di rimanere a secco. La prima Ferrari classificata è quella di Bird, Bell, Sweedler e Montecalvo (Scuderia Corsa) in quinta posizione. Sfortuna invece per le Ferrari che sono partite dalla prima fila. La 488 dello Spirit of Race ha perso tempo a causa di un incidente, mentre quella di Risi è rimasta ai box a causa di un principio d’incendio. Il campione in carica Alessandro Balzan è giunto invece in decima posizione. Le polemiche non hanno risparmiato la classe GTD. La direzione gara ha infatti inflitto cinque minuti di penalità, durante la notte, all’Audi R8 del team Land, guidata da Kelvin e Sheldon van der Linde, Christopher Mies e Jeffrey Schmidt. Uno stop-and-go causato da un apporto di carburante troppo veloce. Ma dai controlli post-gara è emerso che la squadra tedesca non meritava alcuna penalità. Il team, uno dei favoriti per la vittoria, è stato così costretto ad arrivare in settima posizione a causa di un’irregolarità mai commessa. Un fatto interessante a cui probabilmente seguiranno sviluppi.
Il 5 gennaio, il team Wayne Taylor Racing ha caricato sulla sua pagina Facebook una foto che raffigurava i due fratelli Jordan e Ricky Taylor, separati dalla scritta “only one can repeat”. Ed infatti, i due vincitori della 24 ore 2017 si trovano quest’anno a correre per due team diversi, con Jordan rimasto nel team di famiglia e Ricky in forza allo squadrone di Penske. 21 giorni dopo, Renger van der Zande qualifica la Cadillac numero 10 davanti all’Acura di Castroneves per soli sette millesimi di secondo. E così, i due fratelli Taylor si ritrovano con i loro equipaggi nelle prime due posizioni.
La gara partirà sabato 27 gennaio alle ore 20.15.
Vediamo ora il recap delle qualifiche per ogni classe. (NOTA: i risultati si riferiscono alla posizione nella categoria, non nella classifica assoluta)
Prototipi
Cadillac e Acura si sono quindi giocate la pole position. Un risultato sorprendente per la squadra di Penske al debutto nella serie. E le vetture con telaio Oreca sono state difatti le uniche a contrastare le Cadillac, con le LMP2 di Pato O’Ward (Performance Tech) in quarta posizione e di Robin Frijns (Jackie Chan DC) in sesta. Cadillac si prende, oltre alla pole position, la terza posizione con Albuquerque (Action Express), la quinta con Vautier (Spirit of Daytona) e la settima con Nasr (Action Express). Da segnalare che l’unico italiano presente nella categoria prototipi, Eddie Cheever III, partirà dalla quinta posizione. Qualifica abbastanza soddisfacente per il team Joest: la Mazda di Jonathan Bomarito si è presa infatti la nona posizione, ma la vettura di René Rast è rimasta ferma ai box dopo che gli ingegneri hanno riscontrato alcune anomalie tra i dati. Disastro per le Nissan del team Extreme Speed, con la numero 2 di Scott Sharp rimasta ai box per una precauzionale sostituzione del motore e la numero 22 di Nicolas Lapierre ferma per incidente dopo un paio di giri. Solo tredicesimo Fernando Alonso, con le Ligier che faticano notevolmente sul tracciato di Daytona. L’unica, lentissima, Riley presente (team BAR1) si è classificata in diciassettesima posizione con Alex Popow.
GTLM
Ancora una volta Corvette dimostra l’eccezionalità della propria vettura, con la C7.R di Jan Magnussen che si qualifica prima rifilando due centesimi alla Ford GT di Joey Hand. Un risultato importante se si considera che la vettura risale al 2014, mentre le altre della categoria hanno debuttato dal 2016 in poi. Chiude il podio la Porsche 911 di Laurens Vanthoor, staccata di oltre un decimo. Qualifica difficile per la Ferrari del team Risi, con Toni Vilander che si qualifica terzultimo, e per le nuovissime BMW M8 GTE di Alex Sims ed John Edwards, ultime. Ormai è sempre più evidente che il team di Giuseppe Risi si orienterà verso altre categorie. Vilander ha confermato infatti che il programma in GTLM quest’anno si limiterà a massimo quattro gare sicure (includendo Daytona e Sebring). È stato comunque annunciato che il team texano prenderà parte alla 24 Ore di Le Mans nella categoria GTE-AM, grazie ad una collaborazione con Ben Keating.
GTD
Doppietta Ferrari in GTD, con la 488 di Daniel Serra (Spirit of Race) che artiglia la prima posizione davanti alla vettura di Miguel Molina (Risi Competizione). Una sorta di premio di consolazione per il team texano che dovrà quindi prendere in considerazione la possibilità di disputare l’intera stagione in questa classe. La Lamborghini Huracan di Mirko Bortolotti (team Grasser) conquista la terza posizione seguita da una sorprendete Lexus RCF dell’ex pilota IndyCar Jack Hawksworth. Chiude la top-5 la Ferrari di Alessandro Balzan (Scuderia Corsa). L’ultima 488 si qualifica quattordicesima con Sam Bird. Solo dodicesima la Porsche 911 di Sven Mueller (team Manthey), su cui salirà anche Matteo Cairoli. Faticano invece le Mercedes, con la prima delle tre partecipanti che si prende la tredicesima posizione con Ben Keating (team Riley). Per quanto riguarda gli altri costruttori, Alvaro Parente ha portato la sua Acura NSX (team Shank) in settima posizione, Sheldon van der Linde (team Land) ha classificato la sua Audi R8 subito dietro, mentre l’unica BMW M6 presente si è classificata decima con Cameron Lawrence (team Turner). Per concludere: la Lamborghini di Andrea Caldarelli (Paul Miller Racing) partirà dalla sedicesima posizione, mentre la Mercedes di Loris Spinelli (P1 Motorsports) prenderà il via dal fondo a causa di un problema ai freni che ha compromesso le qualifiche. Festa italiana quindi in questa categoria, che ha visto una qualifica molto imprevedibile dato che le vetture hanno prestazioni molto simili e il parco piloti è molto vario.
Orari
Partenza ore 20.15 (Sabato 27 gennaio)
Diretta su imsa.tv per tutte le 24 ore; su Eurosport dalle 20.15 alle 21.15 di sabato e dalle 17.45 fino alla fine (domenica)
La vulgata vuole che la guida delle monoposto elettriche di Formula E sia tutto sommato semplice. Le principali motivazioni portate a sostegno di questa tesi sono legate ai numeri che, per l’appassionato medio, rappresentano le prestazioni e quindi la difficoltà di controllo al limite di una macchina da corsa. Effettivamente le monoposto di questa categoria hanno una velocità massima limitata per regolamento dalla FIA, per questioni di sicurezza, a 225 km/h; la potenza in qualifica è per regolamento pari a 272 CV (300 CV dalla prossima stagione), mentre in gara è di 231 CV e rimarrà invariata nei prossimi anni per consentire di percorrere tutto l’e-Prix senza il cambio macchina. Il peso minimo è di 888 kg (con il pilota), quindi in gara il rapporto potenza/massa è circa 0.26, decisamente più basso di una vettura di F1. Il contraltare alle caratteristiche tecniche di queste monoposto è la difficoltà di adattamento che diversi piloti professionisti hanno incontrato nel portarle al limite, sia in qualifica che in gara. L’esempio più evidente è quello di Lotterer che, in veste di debuttante in F1, si permise il lusso di andare decisamente più forte in qualifica del compagno di squadra (per la verità non un campionissimo), mentre in queste sue prime apparizioni in Formula E sta decisamente subendo le ottime prestazioni di Vergne, senza riuscire a sfruttare il potenziale della propria Techeetah motorizzata Renault.
Ma allora cosa rende difficile la guida in questo “monomarca”, visto che i numeri sembrano descrivere una formula poco prestazionale ma i piloti sostengono tutto il contrario? Cosa rende così selettivo questo campionato, tanto da poter apprezzare le differenze fra i conduttori in modo perfino maggiore che nella complicatissima Formula 1?
Innanzitutto una provocazione sui numeri non contestualizzati e legati alle prestazioni: un motore V8 di F1 precedente all’era delle PU ha una coppia che si aggira fra i 270 e i 300 Nm, mentre un turbodiesel 1600 cc che equipaggia la MiTo del 2008 ha una coppia massima dichiarata di 320 Nm!
Come già visto in uno dei precedenti articoli (http://nordschleife1976.com/high-voltage-bring-trasmissione-di-un-veicolo-elettrico/) la curva di coppia di un motore elettrico è decisamente vantaggiosa per l’utilizzo nella trazione stradale, in quanto il suo andamento è praticamente sovrapponibile a quello della curva di coppia ideale che si cerca di ottenere tramite l’impiego del cambio di velocità su un veicolo dotato di tradizionale motore a scoppio. Il vantaggio di un motore elettrico, che nel caso della guida al limite di una FE diventa anche un problema, è che la coppia massima è disponibile non appena la bobina inizia a girare all’interno dello statore; si ottiene così l’effetto del “calcio nella schiena” che subivano i piloti di F1 nella prima era turbo degli anni ’80. Il range di utilizzo del motore elettrico da parte del pilota sta fra la base speed e la velocità di rotazione massima consentita dal livello tecnologico del powertrain. Se si ipotizza di trovarsi quindi ad accelerare alle basse velocità, cioè con un numero di giri vicino alla base speed, si ha la potenza massima disponibile con una velocità di rotazione molto bassa. Dalla definizione di coppia ( dove P è la potenza e ω è la velocità di rotazione) è facile capire che siamo in presenza di valori molto elevati di questa grandezza, che corrispondono a notevoli forze di trazione applicate alle ruote posteriori difficilmente controllabili dal pilota. Se uniamo a questa caratteristica le specifiche tecniche di queste monoposto per quanto riguarda i parametri geometrici fondamentali (la carreggiata massima è di 1800 mm da regolamento, contro i 2000 mm delle monoposto di F1), le caratteristiche degli pneumatici (gomme intagliate per lavorare anche in condizioni di pioggia e abbastanza dure da non dover essere sostituite per tutte le sessioni del fine settimana) e il layout dei circuiti, sia per quanto riguarda la presenza di muretti che delle sconnessioni sull’asfalto, è chiaro che questo insieme di fattori da solo rende queste vetture tutt’altro che semplici da portare al limite.
Nella figura successiva sono riportate le curve di coppia e potenza per un veicolo elettrico, con funzione esplicativa dei concetti precedentemente espressi.
Alle difficoltà appena descritte è necessario inoltre aggiungere quelle relative all’assetto del veicolo. A differenza di una monoposto tradizionale, il cui setup è definito per avere la massima prestazione in termini di aderenza in curva, in Formula E le scelte aerodinamiche sono, per la gara, volte a ridurre al minimo la resistenza all’avanzamento, con l’obiettivo di consumare il minor quantitativo possibile di energia. Come è noto infatti in questo campionato vince chi è maggiormente efficiente, ma il carico aerodinamico comporta attriti e quindi perdite, per cui far lavorare la vettura con le incidenze minime è fondamentale. Dal punto di vista del pilota ciò equivale a gareggiare in condizioni simili a quelle che si sperimentano in F1 a Monza, applicate però agli angusti e sconnessi circuiti cittadini della categoria elettrica.
Le caratteristiche appena elencate sarebbero sufficienti per mostrare che in realtà guidare una monoposto di Formula E non è un’operazione assolutamente facile, ma a queste condizioni è necessario aggiungerne altre, che rappresentano la vera peculiarità della categoria e derivano dalla natura elettrica del campionato.
Innanzitutto analizziamo la qualifica: come detto, in questa sessione del week-end i piloti hanno a disposizione la massima potenza, 200 kW. Per regolamento nella fase finale della SuperPole i cinque che si giocano la partenza al palo hanno a disposizione un solo giro lanciato, nello stesso stile delle qualifiche di F1 dei primi anni 2000, prima dell’introduzione delle tre manche. In realtà, anche nella fase di qualificazione alla SuperPole, i giri lanciati sono al massimo due, in quanto il tempo a disposizione è molto ridotto (5 minuti), la batteria si scarica molto velocemente in modalità di qualifica e la percorrenza del giro di uscita, di quello di lancio e di quello di raffreddamento comporta una perdita elevata di tempo. La necessità di ottenere un buon crono con pochi tentativi, se non con uno solo, è già una difficoltà notevole che i piloti di altre categorie non devono affrontare. Si deve inoltre considerare che non sono ammesse le termocoperte, quindi il pilota esce con gomme fredde e deve riuscire a scaldarle nel giro di uscita dal box e in quello di lancio, operazione certamente non semplice, specialmente per pneumatici duri come quelli utilizzati in Formula E. La stessa operazione di riscaldamento deve essere eseguita dal pilota per quanto riguarda i freni. Nel giro lanciato si recupera energia solo tramite due sistemi:
il sistema automatico che si attiva agendo sul pedale del freno (brake ReGen)
il sistema automatico che si attiva lasciando il pedale dell’acceleratore (engine braking)
La prima tipologia agisce con lo stesso principio del MGU-K in F1, quindi è una frenata rigenerativa, effettuata nella parte centrale della staccata. Viene determinata tramite mappatura e fornisce una ricarica proporzionale alla forza applicata al pedale del freno.
La seconda modalità fornisce semplicemente un freno motore che può essere paragonato a quello che si ha in un veicolo dotato di motore a scoppio quando si rilascia l’acceleratore ad un numero di giri superiore al minimo. In questo modo il rotore lavora non come motore ma come dinamo e ricarica così la batteria. Agisce in tutti i momenti della frenata, in quanto il pilota non ha mai il pedale sull’acceleratore.
Durante il giro di qualifica è fondamentale mantenere la giusta temperatura dei freni. Si hanno infatti tre range di temperatura alle quali varia il comportamento dei materiali d’attrito:
300-400°C: zona di transizione, la coppia cresce linearmente in questo range
400°C e maggiori: temperature ideali per la coppia frenante richiesta
La temperatura dei freni deve essere mantenuta lungo il tracciato anche con una accurata scelta della ripartizione della frenata; questa è influenzata, oltre che dalla scelta di ripartizione in uscita dai box, anche dall’impostazione del recupero dell’energia, dato dalla somma dei due contributi precedentemente mostrati. Questi agiscono sull’asse posteriore in quanto legati al motore elettrico; una qualsiasi modifica di setup sul fronte della rigenerazione di energia determina quindi una variazione della ripartizione di frenata (brake migration). Il problema principale è che questo fenomeno non è soltanto statico, cioè dipendente dalle scelte effettuate ai box prima di scendere in pista, ma anche dinamico, cioè attivo nelle fasi di percorrenza del giro di qualifica. Il giro lanciato infatti inizia con una carica della batteria (SoC) superiore all’80%. In questa configurazione (per decisione della FIA allo scopo di salvaguardare la vita della batteria) la capacità di ReGen cresce linearmente allo scaricarsi della batteria, per poi assestarsi su un valore costante massimo di 150 kW (imposto anch’esso dalla Federazione) per valori di SoC inferiori all’80%, come si può vedere in figura.
Questa caratteristica comporta un surriscaldamento dei freni nella fase iniziale del giro, in quanto tutta la coppia frenante è fornita dai materiali d’attrito; nella parte centrale del circuito, con una maggiore capacità di ReGen, la vettura viene arrestata anche grazie ai due sistemi di recupero di energia precedentemente descritti, per cui è facile che i dischi e le pastiglie posteriori si raffreddino e lavorino nella zona di transizione di temperatura, perdendo quindi efficienza frenante. Questo squilibrio comporta un trasferimento della ripartizione sull’anteriore, alla quale può facilmente seguire il bloccaggio delle ruote in staccata. Questo insieme di parametri è ulteriormente influenzato da un altro fattore: la temperatura della batteria. Sia in qualifica che soprattutto in gara è facile surriscaldare questo elemento del veicolo; se ciò si verifica vengono modificati i parametri di ReGen (come si può vedere nella figura successiva) con la conseguenza di avere un’ulteriore causa di variazione della ripartizione di frenata.
Infine, è necessario considerare l’effetto del valore massimo di ReGen imposto dalla FIA (150 kW): la ripartizione di frenata viene impostata ai box sulla base di certi picchi di forza frenante, alla quale deve essere combinata la decelerazione imposta dai sistemi di rigenerazione dello SoC. Supponiamo di settare la ripartizione della frenata per avere ottimo bilanciamento in fase di trail braking (zona di ingresso curva, media pressione sul pedale del freno) in considerazione anche degli effetti dell’azione di ReGen; nella parte iniziale della frenata, quando cioè si ha il picco di potenza frenante richiesta, il limite massimo di 150 kW non riesce con tale ripartizione a generare una coppia tale da garantire un equilibrio fra l’azione sull’assale anteriore e quello posteriore. Anche in questo caso si ha il bloccaggio delle ruote sterzanti.
Tutti questi fenomeni si amplificano in gara, a causa delle diverse condizioni di guida e delle scelte estreme di setup, ma anche per le maggiori possibilità di avere variazioni di temperatura della batteria e dei freni in un run di circa 25 minuti rispetto alle condizioni di giro singolo in qualifica. Questo spiega i frequenti bloccaggi che si vedono in Formula E, anche da parte dei piloti più esperti.
In gara il consumo per giro si attesta fra il 60% ed il 65% di quello che si ha in un giro di qualifica, grazie alla tecnica del lift (rilascio del pedale dell’acceleratore prima della zona di frenata). Se il pilota non chiede potenza si ha automaticamente engine braking (come visto in precedenza); per risparmiare energia senza avere freno motore viene utilizzata un’ulteriore leva, detta lift paddle, che permette di far avanzare la vettura per inerzia senza ricaricare la batteria. A questo risparmio di energia viene associato un maggior recupero della stessa grazie all’aggiunta di una terza tecnica, il paddle ReGen. Questo sistema consiste nell’incremento del freno motore richiesto direttamente dal pilota tirando una leva dietro al volante. Normalmente è settato alla massima potenza di recupero, agisce come gli altri sull’assale posteriore e fornisce un effetto “freno a mano”, che rende la vettura difficile da governare, specialmente in ingresso curva dove una elevata coppia sul posteriore genera un sovrasterzo certamente indesiderato dai piloti.
L’introduzione di questo ulteriore elemento comporta una notevole modifica della tecnica di guida in gara rispetto alle categorie tradizionali del motorsport.
Particolarmente critica diventa infatti la fase di approccio alle curve, dall’inizio del lift fino al punto di corda. Nella figura successiva viene riportata la riproduzione della telemetria relativa ad una curva generica affrontata da un pilota di FE.
Come si può vedere, l’approccio alla curva in gara si può suddividere in quattro fasi fondamentali, che in qualifica si eliminano in quanto il recupero di energia avviene solo tramite il freno motore:
Zona di lift
Zona di paddle ReGen
Zona di brake ReGen
Zona di Engine Braking
Nella prima fase il pilota azione la lift paddle per far proseguire il veicolo verso la curva senza subire il freno motore di ricarica della batteria che si attiverebbe in automatico al rilascio dell’acceleratore. Questa operazione serve solo a ridurre il consumo di energia e non ne permette il recupero, come indicato nella parte bassa del grafico.
Nella seconda fase il pilota inizia a ricaricare la batteria tramite la paddle ReGen e inizia la frenata. Come si vede nella zona di grafico relativa all’energia, in questo tratto il recupero è massimo (-150 kW); la velocità diminuisce e si inizia ad approcciare l’ingresso curva. Questa fase è preferibile che si concluda prima di iniziare il trail-braking, infatti come anticipato l’effetto “freno a mano” potrebbe portare un forte sovrasterzo in grado di far andare in testacoda la vettura. In questa zona della frenata è fondamentale cercare di ottenere una velocità di inizio ingresso curva molto vicina a quella che si ha in qualifica, per non perdere troppa prestazione.
La terza fase si ha nella zona di ingresso curva, la ricarica avviene con il brake ReGen ed è ridotta rispetto a quella eseguita dal paddle. La transizione fra la seconda e la terza fase è molto critica anche perché è qui che il pilota aziona anche il pedale del freno, cercando di copiare con la curva di frenata l’andamento della pressione di fine frenata della modalità di qualifica, come si vede nel confronto fra la curva di brake blu e quella rossa. In questa fase è inoltre fondamentale cercare di copiare il più possibile il profilo di velocità di qualifica; la problematica maggiore è che l’andamento giusto deve essere ottenuto con la somma dei contributi frenanti del paddle della fase precedente e dell’impianto frenante nella fase di ingresso curva.
La zona di engine braking è comune ad entrambe le configurazioni e viene eseguita in automatico in base alla mappatura della centralina; c’è da considerare però che l’azione frenante imposta dal pilota deve terminare leggermente prima del raggiungimento del punto di corda, in quanto la velocità minima viene raggiunta grazie al contributo frenante del motore, per cui è necessario affidare ad esso l’ultima decelerazione nei metri immediatamente precedenti alla curva.
L’energia totale ricaricata è data dall’area sottesa alla curva di recupero ed è evidenziata con la campitura di colore azzurro per la modalità di gara e di colore rosso per la qualifica, sessione in cui viene persa tutta la zona di ripristino relativa alla fase di paddle ReGen.
Se a tutte queste tecniche di guida si aggiungono le difficoltà legate alla batteria ed all’impianto frenante che abbiamo già elencato, è chiaro che la guida di queste monoposto è tutt’altro che semplice, proprio al contrario di quanto la vulgata vuole ostinatamente continuare ad affermare.
Nel video seguente la tecnica del lift ‘n’ coast spiegata dal canale ufficiale della Formula E.
Ciao a tutti gli appassionati di F1 e benvenuti alla prima (P)review del 2018 sul Blog del Ring che sarà dedicata a Mercedes e Ferrari, rivali nel 2017 e sicuramente anche nel 2018…
I rumors e le indiscrezioni sulle vetture che vedremo in pista fra circa un mese per i consueti Test sulla pista di Barcellona sono cominciati già dopo il GP di Abu Dhabi del 2017, ma (come sempre) bisogna aspettare il momento più caldo (cioè le ultime settimane che precedono la presentazione) per avere informazioni quanto più veritiere possibile e in linea con ciò che poi vedremo durante le presentazioni e, soprattutto, per “scremare” le tante voci false che puntualmente vengono fuori.
Cominciamo la nostra preview parlando del team Campione del Mondo in carica, Mercedes AMG Petronas. Per questa stagione 2018 gli anglo-teutonici, forti di un recupero strabiliante nel 2017 dopo un inizio in cui si sono stati presi abbastanza in contropiede dall’Armata Rossa, si sentono convinti e fiduciosi nel perseguire le scelte fatte: parola d’ordine continuità. E non a torto, aggiungerei io. Si sapeva, infatti, che la “diva” W08 EQ Power+ avrebbe dato numerosi grattacapi agli ingegneri per sua stessa natura ma si sapeva anche che si sarebbe evoluta velocemente per via di quella scelta progettuale che, a loro dire, risulta più “lungimirante” rispetto a quella dei team avversari. Il tempo ha dato ragione a loro, anche se personalmente ritengo che la vera vittoria l’abbiano ottenuta con il bando delle soluzioni degli avversari (Ferrari in primis), in mancanza delle quali hanno potuto evolvere la propria vettura con tranquillità mentre gli altri sono stati costretti a riprogettare nel periodo più importante della stagione (i mesi antecedenti alla pausa estiva). Quindi, alla luce di quanto appena detto, risulta ovvia la scelta del team Mercedes di proseguire con la stessa filosofia del 2017, cioè con passo lungo (non sarà accorciato come quanto dichiarato da qualche “esperto” del settore), basso rake (non ci sarà un innalzamento in stile Ferrari e Red Bull) e alta efficienza aerodinamica. Una W09 quindi identica alla W08? Non esattamente.
Mercedes, non dimentichiamolo, nel 2017 non è stato il team da battere sul fronte telaistico: seppur abbiano vinto con autorevolezza attraverso un perfetto matrimonio tra aerodinamica e potenza non si sono mostrati i migliori sulle coperture Pirelli 2017 (che saranno molto simili alle 2018). Per questo motivo in questa stagione cercheranno di risolvere i vecchi problemi attraverso un migliorato bilanciamento dei pesi e un migliorato bilanciamento del carico aerodinamico, più spostato ora al posteriore (strada già intrapresa nelle ultime gare del 2017). Ovviamente il diamante del team, come già ribadito più volte, rimane la PU: con l’incredibile sviluppo (che, credetemi, ha lasciato di stucco molti motoristi avversari) portato a partire dal GP di Silverstone e completato in Brasile con la PU di Hamilton, Mercedes ha ottenuto non solo un’incredibile potenza (ci sono stati alcuni GP in cui Ferrari ha corso anche con 40cv in meno rispetto ai teutonici), ma soprattutto una disarmante affidabilità (oltre 7 mila km) che sarà punto chiave di questo 2018, visto l’utilizzo di sole 3 unità per tutta la stagione e un bassissimo consumo di carburante (correre addirittura con 10kg in meno di benzina fa una bella differenza). Hanno dichiarato di voler pensare solo alla potenza nel 2018, attraverso una PU completamente riprogettata grazie anche al gran lavoro sugli attriti compiuto da Petronas, chissà cosa ne verrà fuori…
Spero che qualche Ferrarista stia ancora continuando a leggere nonostante le notizie poc’anzi date, dato che ora parlerò della futura Ferrari 2018 che sarà presentata il 22 Febbraio insieme alla sua “collega” anglo-teutonica. La Ferrari Progetto 669 (ancora non si conosce il nome ufficiale della monoposto di Maranello), la cui progettazione è terminata già a partire da metà dicembre (periodo in cui è stato effettuato anche il crash test), parte da una base telaistica molto solida (quella della SF70H) da cui erediterà alcune peculiarità ma avrà zone in cui ci sarà profonda innovazione, soprattutto nelle aree carenziali della passata stagione. Quindi per quanto riguarda Ferrari ci sarà una Evoluzione.
Comincio subito col dire che tutto quel marasma generato dalla stampa italiana sulla questione “sospensioni” non ha colto di sorpresa i tecnici italiani, anzi. Le nuove direttive FIA (che di fatto riducono l’escursione dell’altezza da terra a max 5mm a vettura statica tramite il pivot del braccio dello sterzo) nascono infatti da una lettera fatta da Ferrari stessa nel periodo del GP di Suzuka (infatti dalle terze libere del USA GP “misteriosamente” è sparita la sospensione anteriore portata a Spa e ora si capisce il motivo). Il team di tecnici di Maranello, cercando di risolvere i “problemi di feeling” accusati da Vettel ma soprattutto Raikkonen con quella soluzione, hanno cercato anche di evolverla in ottica 2018, ipotizzando un suo utilizzo come mezzo di regolazione dell’altezza da terra (stessa idea venuta a Red Bull, addirittura in modo più estremo); per evitare “brutte sorprese” hanno chiesto alla FIA se fosse legale, la quale ha risposto nel modo che conosciamo cioè bloccandone l’utilizzo “improprio”. Sul tipo di sospensione invece che sarà utilizzata non vi sono ancora notizie certe: si vocifera di un sistema completamente idraulico (stile Mercedes e Red Bull per intenderci) già in progettazione nel periodo estivo che andrebbe a sostituire il sistema ad attuazione idraulica montato nel 2017 (ovviamente si parla di sospensione anteriore) ma, al momento, sono informazioni in attesa di conferma. Non c’è bisogno di conferma invece per quanto riguarda la “tranquillità” (parlerei più di fiducia) sulle qualità telaistiche della nuova vettura: i dati della galleria del vento (con vettura senza ali per testare l’efficienza del corpo vettura), uniti alle numerose informazione sugli pneumatici raccolte nel 2017, sono in linea con le aspettative e questo pare abbia reso migliore l’atmosfera alla GeS.
Ma quali sono le novità attese sulla vettura 2018? Si parla di un retrotreno nuovo: come già sperimentato nei test di fine stagione ad Abu Dhabi alcuni mesi fa, Ferrari cambierà la filosofia del diffusore e con esso anche il fondo e l’ala, per ottimizzare i flussi che provengono dalla parte anteriore, ridurre al minimo le turbolenze degli pneumatici (area in cui si era già fatto molto nel 2017 con le innovative pance molto arretrate nonostante il passo corto) e massimizzare il carico riducendo la resistenza all’avanzamento (area carente del 2017, l’efficienza aerodinamica). Un’altra area in cui si sta lavorando alacremente è Halo: l’obbrobrio che saremo costretti a sopportare a partire da questa stagione sarà, come già visto nei test di Abu Dhabi (su McLaren), sfruttato come componente aerodinamica e sarà una zona importante visto anche il peso considerevole: chi riuscirà a minimizzarne gli effetti negativi avrà un bel vantaggio e Ferrari, unica a prevederlo già sulla vettura 2017, sta cercando di sfruttare il know-how superiore per adattarsi meglio a questo cambio regolamentare. Attese anche soluzioni interessanti nella zona dei mozzi ruota (dopo l’ennesima delibera FIA nella scorsa stagione) per velocizzare i pit.
Arriviamo alla nota dolente: la Power Unit, area carenziale evidente già dopo i primi GP del 2017 e area in cui maggiormente Ferrari ha lavorato per risolvere tutti i problemi (in primis consumo e affidabilità) che hanno privato la Ferrari del titolo nel 2017. Dalle informazioni ricevute si evince che i motoristi di Maranello (diretti da Corrado Iotti) abbiano risolto buona parte dei problemi della precedente PU, rendendola quindi meno “assetata” e più “affidabile”. Non si parla però di quanta potenza in più è stata trovata: ci si aspetta un approccio quindi più da “piedi per terra” nei primi GP per poi sviluppare la nuova base durante l’anno, alla luce anche degli sviluppi che porterà Shell (che ha buona parte delle colpe sui problemi della PU dei quali Ferrari è consapevole, tanto da chiedere disponibilità a Petronas per una partnership tecnica per il 2018, chiaramente rifiutata per ovvi motivi). Quando si parla di novità sulla PU certamente non si parla solo di ICE, si intende anche nuova disposizione degli organi ausiliari (come i radiatori) e novità anche nella trasmissione che si sta cercando di perfezionare e migliorare (non tuttavia senza problemi).
Cosa dobbiamo aspettarci quindi in questo 2018? Sia Ferrari che Mercedes hanno affilato le loro armi: hanno lavorato sui propri punti deboli con grande dedizione cercando di diventare quanto più perfetti possibile. Quindi varrà maggiormente il gran lavoro su telaio (e in parte sul motore) di Ferrari o la perfetta integrazione tra Power Unit e aerodinamica di Mercedes? Siamo tutti ansiosi di vedere questi bolidi lottare coraggiosamente per la vittoria dei GP… Red Bull (e chissà McLaren) permettendo, ovviamente.
Chris Ammirabile
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