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WEC 6HR DI IMOLA 2024

Come anticipato quest’anno niente Monza per il WEC, ma Imola.

E per l’ennesima volta (e spero molte altre a seguire) metto in moto l’avventura per andare a vedere un campionato che, pur con i suoi limiti (vedi BoP alla René Ferretti), sta anno per anno attirando sempre più pubblico.

Quest’anno c’è stato l’ingresso di nuovo case nella classe Hyper. Lamborghini, Isotta Fraschini, BMW e il ritorno di Alpine con un auto sua.

E anche in Gt, dove siamo passati alla classe GT3, c’è stato l’ingresso delle nuove case; BMW, McLaren, Lamborghini, Ford (proprio USA 5,4L V8 dal rumore unico tipico delle muscle car) e Lexus.

Sabato mattina parto dalle Acque minerali e arrivo fino alla variante alta per le FP3

Il circuito del Santerno crea un piccolo problema, rende difficile il sorpasso delle Hyper sulle GT e mi accorgo che dalla Piratella a tutte le Acque minerali si passa difficilmente (cose che era ampiamente prevista dai piloti), quindi l’unico punto della pista dove sorpassare è la salita che porta alla variante alta. Questo fattore sembra aver giocato qualche ruolo durante la corsa, soprattutto nel finale.

Grande pensata dell’organizzazione di mettere i cartelloni pubblicitari a oscurare la vista di tutta la chicane da interno pista, bravi davvero.

Scendo giù dietro la collinetta della Rivazza fino alla ex variante bassa.

Mi avventuro verso la pit walk e qui incontro un grande problema organizzativo, fanno entrare da sotto la torre Ferrari e non riescono a creare una fila perché effettivamente di lì ci passa la strada che porta al paddock.

Sono riuscito a scambiare qualche battuta con i piloti, Alessio Rovera sempre disponibilissimo e anche gli Iron (uomini e donne) Schiavoni “deve esse’ un personaggio da nulla”.

Mi dirigo esterno variante alta per vedere le qualifiche, formato hyperpole (hyperpole, superpole,Q2 chiamatele come vi pare) per i primi 10.

In GT avanti Porsche con dietro Aston e poi BMW n°46.

Per le Hyper tripletta Ferrari, tutte e tre le auto come uniche sotto 1:30, la prima (con Fuoco) rifila più di 6 decimi alla prima delle Porsche (vincitrici della prima gara) quarta, dietro alle Porsche c’è Toyota, che danno con un buon passo gara. Ma sembra che la cura dimagrante (sempre da BoP) abbia reso le Ferrari favorite. Non male BMW e Cadillac anche se distanti dai primi, Peugeot e Alpine indietro con Lamborghini e Isotta (ultima).

Nel paddock riesco a scambiare due parole con i ragazzi dell’Isotta Fraschini, disponibilissimi. Chiedo delucidazioni su come venga applicato il BoP ad un nuovo entrante, visto che loro già al primo appuntamento sembravano molto penalizzati. Spiegazione: “Auto finita in galleria del vento, raccolgono i dati, misurano la posizione del baricentro e decidono” sono partito più in confusione di quando sono arrivato. Comunque grande merito a loro.

Domenica mattina arrivo all’autodromo e vado in direzione pit, c’è strapieno. Gente in fila un ora e mezzo prima che apra il pit walk, desisto. Dopo aver dato un’occhiata un paio di volte alla gara F1 e aver raccattato un paio di commenti dai piloti la mattina mentre entravano ai box (devo dire che qualcuno è veramente una merda, senza far nomi) aspetto la fine della gara per contattare PA che so in autodromo. Ci incontriamo sulla tribuna centrale, dopo una chiaccherata di una mezz’oretta sentiamo le auto che iniziano ad uscire, lo saluto e proseguo in direzione Tosa per la partenza.

Devo dire la verità, l’ho trovato mentre era intento a scrivere il post Gp, e non gli ho neanche detto grazie per tutto il lavoro fatto in questi anni. Dimenticanza, ma scrivendolo ora mi son salvato in calcio d’angolo.

Non faccio a tempo ad arrivare al Tamburello che già la Lamborghini si è girata, e penso :”si comincia bene!”

Pronti via e le auto arrivano alla staccata del Tamburello, sembra che la Alpine n°36 abbia fatto strike, coinvolgendo BMW le due Peugeot e la gemella (primo travaso di know how da F1 a WEC – cit.). Le rosse sfilano davanti il gruppo alla Tosa

In Gt la lotta davanti è per le due BMW una Porsche e una Ferrari, queste sembrano lottare per la vittoria dopo che le Dames hanno perso giri ai box per un guasto o un incidente. Ford e Lexus non sembrano all’altezza, si difende bene Aston, McLaren e Corvette nel limbo.

Nel secondo stint monta Rossi sulla BMW, sono in tanti i suoi tifosi, e devo dire che non ha sfigurato, ha anche recuperato un po’ di terreno. Devo dire che è della categoria.

Dopo un paio di ore mi sposto verso le Acque minerali con un ragazzo che ho conosciuto alla Tosa, ci mettiamo in tribuna e dopo un paio di ore mentre la corsa sembra andare in direzione Ferrari inizia la tragedia. Gocce d’acqua. A due ore dalla fine inizia a piovere.

Come ben noto comincia la disfatta. Già avevo detto che dalle Acque minerali alla variante alta è un punto per il sorpasso delle Hyper sulle GT, qui già comincio a sentire slittare le gomme quando le auto escono dalla traiettoria asciutta per il sorpasso, poi alla Rivazza una Ferrari va lunga. Le Ferrari non pittano per il cambio gomme da slick a wet (secondo travaso di know how da F1 a WEC – cit.) Porsche e Toyota sì. Quando le Ferrari si ferma ormai è tardi. Intanto assisto più a una gara di drifting che di Endurance.

Sul bagnato con la classifica che vede Toyota-Porsche-Porsche-Toyota-Ferrari con una BMW che ad un certo punto si attesta terza. In GT le BMW davanti (Farfus davanti Martin con quest’ultimo afflitto da penalità mentre lottavano per la prima posizione) con terza la Porsche ormai fuori dai giochi come le altre. Degna di nota dal mio punto di vista la prestazione di Bamber con Cadillac sul bagnato, alle Acque minerali passava forte.

Nel finale torna l’asciutto e Porsche si avvicina a Toyota per la prima posizione.

Ma come detto il traffico è un problema, pur avendone di più, Estre non riesce a passare Kobayashi oltretutto dovendo scontare 5 secondi di penalità.

Finisce cosi, con Toyota-Porsche-Porsche con quarta la Ferrari n°50 con Fuoco che recupera a suon di giri veloci (per la felicità della proprietà presente ai box) la seconda Toyota.

In Gt finisce BMW-BMW-Porsche anche qui con Ferrari quarta.

Ci si vede il prossim’anno Monza o Imola che sia.

 

Landerio

1985.09.01 – THE FASTEST MAN ON EARTH

Intro
Non è facile far scorrere lieve e agile una macchina larga quasi due metri e lunga quasi cinque come se fosse una Monoposto di Formula 2 ma lui pare riuscirci benissimo. Nella doppia piega della “Fermata del Bus” la lotta per il secondo posto è diventata quasi fisica con le due Porsche, la sua e quella del suo avversario, del suo nemico, che si affiancano e ballano sui cordoli. Ancora un giro; ancora una infinita discesa verso una piega velenosa dal nome sensuale, che si contorce, contro le leggi della fisica, fino ad arrampicarsi nei boschi delle colline delle Ardenne. Poi un lunghissimo rettilineo dal nome intimidatorio: “Kemmel”.
Ma lì al Kemmel non si passa; il suo avversario ha anche lui una Porsche ma la sua è del team ufficiale, una “Works”, termine tecnico per chi si appassiona al Motorsport. Oltretutto un modello evoluto rispetto a quella in mano al Campione del Mondo Endurance in carica.
No. Lì non si passerà mai; oltretutto la Porsche Works non è guidata da uno sprovveduto. Alla guida c’è Jacky Ickx; il Signore assoluto di questa striscia di asfalto nelle meravigliose colline belghe; l’idolo del pubblico e un pilota fenomenale, dannatamente ostile e duro da battere.
No. Bisogna inventarsi qualcosa che lui non si aspetti, che lo sorprenda, che lo lasci fermo sulle gambe e permetta di scappare via. Per poi difendersi al Kemmel con la cattiveria che ormai da troppo tempo a questa parte sembra aver preso piede nella Serie.

Bisogne fare qualcosa di incredibile.

Bisogna fare qualcosa di folle.

E il Campione del Mondo Endurance, l’uomo più veloce al mondo, è l’unico che lo possa fare. 

 Fight gone way beyond

“Patrese blocked me four times dangerously…he’s an animal…”
Klaus Ludwig – Joest Racing Porsche 956B Driver

Il mondo endurance sta vivendo una fase traumatica. Dopo un periodo lungo quasi due anni di assenza, nelle competizioni internazionali, di incidenti mortali, questi hanno ricominciato a falcidiare le gare. A Mosport, in Canada, approcciando in pieno la Curva 2, la Kremer Porsche di Manfred Winkelhock vira di colpo verso il muretto di contenimento. L’impatto, devastante, è praticamente frontale e la compressone non lascia scampo al pilota tedesco. Vengono analizzati i resti della 962C ormai ridotti ad una montagna di rottami ma non vengono trovati indizi di un cedimento della vettura. Si ipotizza un malore del pilota o una improvvisa foratura; non si spiega altrimenti un errore simile da parte di un pilota tanto esperto.
A Spa c’è in programma la 1000km per il Campionato Endurance e il venerdì di prove non cronometrate, Jonathan Palmer con la sua 956B Richard Lloyd Racing non ufficiale, impatta tanto violentemente da portare alla frattura delle gambe del pilota britannico. Si dirà che la Canon Racing Porsche 956 GTi utilizzata da Palmer, con la sua struttura a nido d’ape rielaborata a Silverstone, abbia attutito l’impatto tanto da salvare la vita al conducente.
I segni di un pericoloso ritorno delle tragedie nel mondo delle competizioni a motore ci sono tutti ma questo non pare essere l’unico problema che affiora nella serie. L’aggressività in pista sta raggiungendo picchi inconsueti e non passa gara che i cronisti accreditati ad assistere alle competizioni non raccolgano su taccuino le lamentele dei piloti per lo stile di guida dei loro avversari.
Domenica primo settembre, però, gli incidenti e le polemiche sono un ricordo lontano e, nonostante il campionato sia saldamente nelle mani del Works Team Rothmans Porsche di Derek Bell e Hans-Joachim Stuck, la gara è tutt’altro che scontata.
La lotta è febbrile già dalla partenza. Martin Brundle al sabato aveva azzardato che sarebbe riuscito a tenere la sua Jaguar XJR-6 al ritmo impressionante di 2min14sec; un secondo pieno sotto il record stabilito l’anno prima da Bellof di 2min15.57sec su Porsche 956. A parecchi addetti ai lavori e colleghi era sembrata una boutade del pilota inglese e invece la gara quasi subito dice che quel ritmo non basta nemmeno a mantenere la quinta posizione: davanti al pilota TWR Jaguar, Patrese, Bell, Mass, Boutsen e Ludwig scompaiono dalla vista con giri di media due secondi netti più veloci.
Thierry Boutsen aggancia la seconda piazza con la sua 956 Brun Motorsport Team ai danni di Riccardo Patrese su LC2; pochi giri dopo anche Klaus Ludwig arriva in prossimità dell’italiano ma una cosa è raggiungere la LC2 e una cosa ben diversa è riuscire a passarla. Ludwig, normalmente amabile e compassato, nel frenetico dopo gara muoverà non poche critiche allo stile di guida dell’alfiere della Martini Racing Team.
Al giro 75, in testa, Paolo Barilla sta conducendo la sua 956B del team Joest Porsche con trenta e passa secondi di vantaggio sul belga Jacky Ickx e sul tedesco Stefan Bellof che stanno furiosamente lottando per la seconda piazza. Secondo i calcoli ai box il Joest Team sta pagando la sua fuga solitaria con consumi che lo obbligheranno ad un numero di soste superiore e questo rende la seconda posizione in lotta fra Bellof e Ickx, molto più appetibile di quanto già non lo possa essere di suo.
Come se tutto questo non bastasse, ognuno di loro ha un ottimo motivo per volere quella piazza d’onore.
Jacky è il Signore delle Ardenne.
Bellof è il Campione del Mondo Endurance in carica.

 Bellof hatte keine Chance

“Ich bin unendlich traurig…”
Jacky Ickx – Rothman Porsche 962C Driver

“Die Kurve ist eine der gefährlichsten der Welt…”
Thierry Boutsen – Brun Porsche 956B Driver, Stefan Bellof team mate

Al giro 75, dopo quasi tre ore di gara, Stefan Bellof decide di rompere gli indugi e attaccare Jacky Ickx. Ora non fanno più parte dello stesso team Works e al muretto non c’è Norbert Singer, direttore sportivo della Porsche, che più di una volta aveva fatto in modo di non far incrociare in terra belga le traiettorie del velocissimo e insubordinato Stefan e del pilota che considerava Spa la sua personale terra di conquista.
Le due Porsche arrivano al Bus Stop quasi appaiate e ancora una volta la lotta diventa fisica con le monoposto che saltano sui cordoli e quasi si scontrano; affrontano il corto rettilineo di partenza ad una manciata scarsa di metri l’una dall’altra e alla Source, un tornante stretto e in leggera discesa, Bellof è a pochi centimetri dalla 962C di Ickx. Lungo la discesa che porta alla curva del Raidillon c’è una macchina più lenta e Ickx si sposta per doppiarla. Non rientra subito in traiettoria ma lascia uno spiraglio aperto, poco prima che la discesa si trasformi di colpo nella violentissima salita che porta al rettilineo del Kemmel. E’ proprio quello che Bellof sta aspettando; una disattenzione, una incertezza da parte del Signore di Spa. Senza pensarci un momento infila la sua monoposto affianco alla Porsche del Campione belga.
Ma Ickx non è un pilota che possa cadere vittima di disattenzioni o incertezze e la sua traiettoria non è un invito per chi lo insegue; Jacky probabilmente sta solo impostando l’ingresso al Raidillon ancora più veloce per cercare di scrollarsi di dosso lungo l’infinito rettilineo del Kemmel la presenza ingombrante dell’esuberante Campione in carica.
Appena Ickx ritorna in traiettoria per affrontare la salita, l’impatto.
Il muso della 956B di Bellof colpisce la coda della 962C di Ickx; la macchina di Jacky ruota in testacoda e finisce la sua corsa sbattendo violentemente contro i guard rail di protezione ma con un angolo di impatto innocuo. La macchina di Stefan parte dritta verso il muretto di protezione con una traiettoria malvagiamente simile a quella seguita dalla Porsche di Winkelhock tre settimane prima in Canada. L’impatto, devastante, viene chiaramente percepito persino ai box e riduce la 956B del pilota tedesco una massa informe di metallo. Scoppia un incendio sotto quello che resta della macchina di Bellof ma viene facilmente domato dai commissari di percorso e da Ickx che, dopo essere uscito dalla sua vettura, è corso in soccorso del pilota tedesco in direzione dei resti della Porsche Brun. Per Bellof non c’è nulla da fare. Verrà dichiarato morto venti minuti dopo il suo arrivo in ospedale.
Gli organizzatori fanno una rapida riunione con i team manager per decidere cosa fare. Peter Falk per la Porsche (che sostituisce l’infortunato Norbert Singer), Cesare Fiorio per la Lancia, Tom Walkinshaw per la Jaguar e Reinhold Joest per il Joest Team e decidono di comune accordo che non abbia più senso proseguire.
La corsa viene conclusa prima del suo limite di 1000 km. La statistica annovera il Team Martini Racing con la LC2 come vincitore ma nessuno né in Belgio e né in Italia ha voglia di festeggiare.
L’incidente è di quelli che lasciano un segno profondo nell’immaginario di una generazione intera di appassionati di Motorsport. L’idea di poter passare con un mastodonte come una Porsche 956B all’esterno di una delle curve più difficili e pericolose del mondo, non un rookie qualsiasi, ma un pilota come Jacky Ickx, è qualcosa che ancora a distanza di decenni lascia a bocca aperta.
Una follia, si disse allora.
Una follia, si continua a ripetere anche oggi.
Ma chi lo ripete, probabilmente, non ha seguito la carriera di Stefan Bellof che, sulle ali della follia, ha volato veloce sin dai suoi esordi.

 Quando le statistiche non dicono nulla

“He was the fastest driver since Gilles Villeneuve”
Martin Brundle – Tyrrell 012 driver, Stefan Bellof team mate

“In a racing car, Bellof was very similar to Villeneuve; incredibly fast and with freakish reaction. Like Gilles, too, he was also apparently without a sense of fear”
Nigel Roebuck – Motorsport Magazine columnist

“…all the drivers I had through my team, the two best were Jackie Stewart and Stefan Bellof….”
Ken Tyrrell – Tyrrell F1 Team

E’ il 1984 ed è una stagione seminale nel mondo delle competizioni su ruote, in particolare per quanto concerne la Formula 1. Nel 1984 si mostra per la prima volta la stella luminosa di un talento unico nel mondo delle competizioni. Il suo nome è Ayrton Senna e calamita l’attenzione di tutti con una prestazione straordinaria sulla pista di Montecarlo, nel Principato di Monaco, il 3 giugno 1984. La pista è resa un acquitrino scivoloso dalla pioggia insistente e Ayrton Senna piega il mondo al suo passaggio conquistando una seconda piazza che vale almeno quanto una vittoria. I cronisti che affollano le sale stampa scrivono del nuovo talento brasiliano. Alle sue spalle, come un’ombra c’è un ragazzo tedesco dall’aria mite e dal piede pesantissimo. Si chiama Stefan Bellof, guida una Tyrrell 012 e sta marcando a uomo il fenomeno brasiliano già da qualche tempo.
Alla gara di apertura del mondiale, a Rio de Janeiro, sotto la dicitura “First race in F1” compaiono quattro nomi: Philippe Alliot, Martin Brundle, Stefan Bellof e Ayrton Senna. Bellof riesce a malapena a qualificare la sua Tyrrell numero 4, motorizzata con un Cosworth DFY da 510 cavalli, in ventiduesima piazza. Il brasiliano con la Toleman Hart-Turbo da 600 cavalli è sedicesimo. Alla fine di un primo giro al fulmicotone, Senna ha già raggiunto la tredicesima piazza; Bellof è ad una incollatura dietro di lui, quattordicesimo. Alla fine del secondo giro il Tedesco lo infila senza apparente difficoltà. Nessuno dei due riesce a finire la gara ma se Ayrton Senna sarà giustamente in lizza per essere incoronato come fenomeno nascente della Formula 1, qualche conto con quel ragazzo biondo dai modi affabili e gentili, bisognerà pur farlo.
Torniamo a Montecarlo e ad una gara che con tutti i suoi incroci di traiettoria sia in pista che nelle vite dei protagonisti, pare scritta da uno sceneggiatore hollywoodiano. Durante le qualifiche la Tyrrell 012 riesce a malapena a garantire a Bellof una piazza sulla griglia di partenza. Ma domenica piove, e quando piove i cavalli del tuo propulsore contano molto meno di quanto il tuo piede riesca a scaricarne a terra. E il piede di Bellof è qualcosa che appare nel mondo delle competizioni raramente. Ken Tyrrell in persona sa bene come i motori turbo siano in difficoltà sull’asfalto bagnato e viscido del tracciato e si raccomanda con Stefan di non forzare la mano; in fondo è ultimo e gli basta solo aspettare che qualcuno là davanti faccia qualche errore. Bellof come sempre in tutta la sua carriera, sorride gentile, annuisce e poi una volta indossato il casco fa esattamente il contrario di quanto gli viene consigliato. Ingaggia battaglie epiche con chiunque gli si pari davanti infilando Rosberg con un sorpasso di cattiveria e precisione e Arnoux, alla curva del Mirabeau, con una manovra che ha dell’impossibile. La Storia, quella che viene tramandata e che riempie le pagine dei libri racconta, a proposito degli incroci di traiettorie fra le vite dei protagonisti, che Jacky Ickx, direttore di gara in quella piovosa domenica di giugno, fermerà la competizione poco prima che Alain Prost, in testa, subisca l’onta di vedersi sorpassare in pista da un fenomenale Ayrton Senna in rimonta forsennata. Non rimane nulla, sui libri, del fatto che, mentre Senna rimontava incessantemente su Prost, Bellof stava recuperando furiosamente su entrambi.
Bellof avrebbe avuto abbastanza margine per superarlo?
Senna lo avrebbe ostacolato fino al punto di finire entrambi fuori?
La storia personale dei due alfieri lascia pensare che entrambe le risposte sarebbero state “sì”.
Ma oggi sui libri la stagione fenomenale di Bellof del 1984 non appare.
Ken Tyrrel era rimasto l’unico fiero oppositore a norme che liberalizzassero i consumi a favore dei motori turbo di cui l’intero schieramento stava ormai facendo incetta. Il Boscaiolo si opponeva per questione di costi; non voleva cedere all’emendamento che ritardava di una stagione l’introduzione del limite posto a 195 Litri.
Non aveva capito o forse solo non aveva accettato quello che la FISA, l’ente della gestione della Formula 1 aveva deciso doveva essere il radioso futuro della motorizzazioni della Serie Maestra. Temeva che i Turbo avrebbero messo alla sentina le scalcinate finanze del suo team e sperava di poter continuare con l’eterno, e soprattutto economico, Cosworth V8 DFY.
E la FISA nel 1984 fece quello che ha sempre fatto con tutti quelli che in un dato momento considerava “nemici” o che semplicemente si frapponevano fra lei ed i suoi piani: trovò un sistema per piegarne la volontà a colpi di indagini, sospetti e squalifiche.
Due gare dopo la fenomenale prestazione monegasca, a Montreal, in un serbatoio secondario della Tyrrell vengono trovate tracce di idrocarburi che la FISA subito etichetta come additivi non permessi per la combustione. Inoltre vengono rinvenuti pallini di piombo nei serbatoi del refrigerante che subito vengono accusati essere zavorra mobile.
Ken Tyrrel nelle pieghe regolamentari aveva spesso trovato rifugio e quella manciata di competitività che sempre più spesso faticava a trovare altrove ma sto giro FISA calca la mano: sancisce squalifica e annullamento di tutti i risultati ottenuti. Anche quelli, come a Montecarlo, in cui la 012 aveva pienamente passato le verifiche regolamentari post gara.
Tyrrell annuncia ricorso e il risultato è la messa sotto indagine dei fori di accesso alle paratie sotto la vettura accusati di essere fori di estrazione illegali.
Tyrrel si deve piegare e della stagione 1984 di Bellof non rimane nulla.
Nulla della gara a Zolder, dove fatica a qualificare la sua 012 in ventunesima piazza e inanella sorpassi fino a concludere in sesta posizione.
Nulla di Imola dove si qualifica ancora ventunesimo e stavolta si issa con le unghie e con i denti in quinta piazza.
E nulla nemmeno di Digione quando, a furia di anticipare le cambiate e sforzare il suo Cosworth per non perdere contatto con i motorizzati turbo, finisce per far saltare sia il propulsore che i nervi di Ken Tyrrell.
Per fortuna nel mondo dell’Endurance sotto l’egida IMSA Bellof sta riscuotendo quel successo che il suo talento merita.
Nel Team Rothmans Porsche ufficiale vince il mondiale Endurance con prestazioni strabilianti, mettendo in fila Pole Positions, giri veloci e gare dal ritmo insostenibile per chiunque. Lo stile con cui Stefan affronta le gare ricalca quasi sempre lo stesso copione: parte dalla Pole e inanella giri ad un ritmo inarrivabile e alla fine del primo stint ha già un vantaggio siderale sul resto dello schieramento.
Giungono in questo modo le vittorie a Monza, in team con Derek Bell, al Nurburgring, a Spa-Francorchamps e a Sandown Park.
La Germania a quasi cinquanta anni di distanza pare avere trovato il degno erede di Bernd Rosemeyer.

 What if…

“I think it would be difficult as I am a Rothmans sponsored driver, and they are backed by Marlboro”
Stefan Bellof – Quoted by Autosport, 1983

Alla fine della stagione ’83 i tre talenti più interessanti del panorama motoristico sono Ayrton Senna, Martin Brundle e Stefan Bellof. Tutti e tre partecipano ad una sessione di prove cronometrate a Silverstone organizzata dalla McLaren.
John Watson scende in pista per primo e segna un tempo che dovrà fare da riferimento per le tre promesse durante le loro sessioni di prove; tutti e tre lo batteranno senza troppi problemi.
Senna, addirittura, marcherà la sessione con un tempo fenomenale ma ancora una volta i dannati numeri raccontano una storia solo a metà.
Le due MP4-1C preparate per i test sono equipaggiate entrambe con un Cosworth aspirato; una con un DFY e l’altra col meno potente DFV. Ayrton Senna alla conclusione delle prove, poco prima che una valvola ceda di colpo e mandi letteralmente in fumo la sessione, stacca un tempo di 1min13.9sec. Ma fino all’ultimo tentativo fatto da Senna, con gomme da gara nuove, le gomme per tutti i tester erano compound da gara usate. E fino a quel momento Senna girava sul piede di 1min14.3sec con il DFY. Bellof, con il DFV, che a detta di Dennis, pagava al gemello evoluto circa 3 decimi, girava in 1min14.6sec.
Se, come a detta di Derek Warwick, che osservava i test dal complesso Maggots, Becketts e Chapel, “Senna doveva avere quattro mani e quattro piedi”, Stefan Bellof non doveva averne molti di meno.
L’epilogo di questi test sarà il veto posto dalla Rothmans sulla Porsche, che aveva in contratto il giovane talento tedesco, per un eventuale passaggio alla McLaren sponsorizzata dalla Marlboro, un loro concorrente.
La disponibilità, poi, di Alain Prost per formare il lineup della McLaren per il 1984 sarà la pietra tombale delle chances di Bellof a Woking.
Certo, immaginare una coppia Lauda/Bellof per il 1984 rimane uno dei sogni irrealizzati più affascinanti del mondo del Motorsport, di sempre.
E ci lascia immaginare se l’approccio pragmatico, essenziale e votato all’economia in ottica della massimizzazione del risultato dell’Austriaco avrebbe potuto domare l’esuberanza folle del tedesco.
E, nel caso, che razza di Campione sarebbe potuto venirne fuori.

 6min11.13sec

“…I crept past the wreckage, a full 160mph shunt, expecting Bellof to be dead, but instead he was standing on the other side of the barrier, waving at me…”
Jochen Mass – Rothmans Porsche 956 driver

L’ingresso di Bellof nel mondiale Endurance nel 1983 è qualcosa di devastante da ogni punto di vista. Ovunque scenda in pista miete successi e demolisce in maniera spesso imbarazzante i record di velocità. Ma proprio in questa fase incomincia a ad apparire l’aspetto germinale di una delle caratteristiche più disarmanti dell’immenso talento tedesco. Bellof è inarrestabile sotto ogni punto di vista; sia quando infila la sua monoposto a velocità indicibili lungo le effimere strisce d’asfalto che all’epoca sono i circuiti mondiali e sia soprattutto quando mostra di non avere nessuna percezione del pericolo, né tantomeno della disciplina.
Norbert Singer il direttore sportivo della Porsche arriva a pianificare i turni di guida fra Bell e Bellof di modo che il tedesco non si trovi a battagliare con il team gemello quando questo è condotto dall’ostico Jacky Ickx, preferendo eventuali battaglie in pista con Jochen Mass.
La summa dell’esuberanza, dell’immenso talento e dei limiti di Bellof sta tutta nella 1000 km del Nurburgring che si svolge il 29 maggio 1983.
Le qualifiche iniziano con la pista ancora umida dalla pioggia del giorno prima con i tempi intorno ai 6min30sec di Bell e Ickx con le Porsche Works equipaggiate con le gomme da gara. Viene poi il turno di Mass e di Bellof a cui Singer ha garantito il set di gomme da qualifica. La Dunlop alla vigilia della gara aveva espresso dubbi sulla reale necessità di portare set da qualifica vista la lunghezza del tracciato e il rischio che il compound sia efficace solo per metà giro ma Singer confida nel fatto che gli ultimi 3 km del tracciato sono in pratica un infinito rettilineo e calcola che l’azzardo possa essere corso. Mass ferma il cronometro a 6min16.85sec; la risposta di Bellof è devastante; rifila 5 secondi al pilota del Rothmans Team numero 1 fermando il cronometro della sua Porsche numero 2 a 6min11.13sec. Percorre i quasi 23 chilometri e le 160 curve del tracciato ad oltre 200 kmph di media. Un crono che non verrà mai più battuto.
Norbert Singer prima della gara si raccomanda con i suoi alfieri Mass e soprattutto l’indisciplinato Bellof di mantenere la testa della gara e preservare i consumi e la meccanica del mezzo girando intorno ai 6min45sec di media. Bellof annuisce, sorride e appena finito di allacciare, il casco ingaggia con il cronometro la sua personale guerra di trincea. Mass fatica a mantenere il ritmo forsennato del tedesco che dopo due giri ha rifilato 11 secondi alla Porsche numero 1 della coppia Mass/Ickx e un minuto alla terza 956 numero 11 guidata da Fitzpatrick del John Fitzpatrick Racing Team. Al sesto giro il vantaggio di Bellof sul secondo è di 36 secondi. Terzo Keke Rosberg su una 956 del Canon Racing GTi Engineering a 2 minuti e 30 secondi. Arriva il turno di Ickx e Bell, che, al momento del cambio, sembrano molto più allineati alle richieste di Singer e il vantaggio accumulato dalla Porsche 2 di Bellof, svanisce nel turno di guida di Derek Bell.
Bellof riprende in mano la 956 e non accenna a rallentare nemmeno quando ha ricostruito il gap su Jochen Mass e conduce la gara con 30 secondi di vantaggio sul secondo.
Ferma il cronometro a 6min25.91sec.
Poi, cercando ancora una volta di migliorare il suo tempo, perde il controllo della Porsche a oltre 250 kmph nel pressi di Pflanzgarten disintegrandola contro lo barriere. Mass in contatto radio con il team li avverte dell’incidente e del fatto che Bellof è seduto sul guarda rail, sorride e si sbraccia per salutarlo.
Nell’epilogo di questa gara, nel nome scritto eternamente sui libri dei record con tempi inavvicinabili per chiunque, e sulla gara letteralmente disintegrata contro le barriere nell’effimero tentativo di migliorare un tempo già siderale, stanno, a mio modo di vedere, tutta la grandezza e tutti i limiti di Stefan Bellof.

 “Stibbich”

Stefan “Stibbich” Bellof sale sui kart a 16 anni; a 23 anni partecipa alla German National Formula Ford 1600 Championship vincendo al primo colpo. Vince la versione Internazionale della Formula Ford nel 1982. Viene iscritto alle ultime 7 gare della Formula 3 e desta scalpore mettendo in fila tre vittorie. Nello stesso anno viene iscritto alla Formula 2 con il Team Maurer equipaggiato con un potente ma delicato BMW. In F2 attira gli occhi su di sé vincendo la prima gara in assoluto a cui partecipa a Silverstone sotto il diluvio; partito nono, rifila quasi mezzo minuto al secondo classificato. Vince anche la gara successiva a Hockenheim con lo stile che caratterizzerà la sua breve carriera: mettendo in fila Pole e giro veloce. La striscia di due vittorie nelle prime due gare di un debuttante in F2 finisce diretta nei libri degli annali. L’azzardo di Willi Maurer che ha preferito all’esperto Mick Thackwell la giovane promessa tedesca sembra essere ampiamente ripagato.
Nel 1983 viene confermato con il Team Maurer ma il delicato propulsore bavarese lascia troppo spesso a piedi quel tedesco dallo stile troppo esuberante per la delicata meccanica della MM83.
Inoltre la Rothmans ha messo gli occhi su un tedesco da appaiare all’esperto Derek Bell su una Porsche 956 ufficiale; la strada per poter finalmente mostrare alla platea internazionale le doti velocistiche di Bellof sembra finalmente spianata.

 Outro

Spesso, troppo spesso nel raccontare le vicende degli eroi del Motorsport, ci tocca raccontare di eventi tragici; di vite troncate troppo presto; di storie che lasciano l’amaro in bocca per quello che è stato e per tutto quello che sarebbe potuto essere.

Volevo che questa storia fosse diversa.

Volevo che, per una volta, avesse un lieto fine.

Per questo è raccontata a ritroso, partendo dalla sua fine.

Per questo si conclude con l’inizio; con il mio personalissimo lieto fine.

 The fastest man on earth

Stefan Bellof nasce il 20 novembre 1957 a Giessen in Germania.

E’ un bimbo biondo con un sorriso gentile che gli rimarrà per tutta la vita e che sedurrà tutti coloro che lo incontreranno.

E un giorno diventerà l’uomo più veloce del pianeta.

Marco Fumagalli a.k.a. Marloc

WEC 6 ORE DI MONZA 2023

Anche quest’anno sono riuscito ad andare a Monza a vedere la 6 ore. Di seguito un piccolo resoconto della gara da bordo pista.

La prima impresione è stata il pubblico, decisamente aumentato (a occhio c’era il doppio della gente), effetto Ferrari – Le Mans, cavallini rampanti ovunque.

Se l’anno scorso si presentò Peugeot, quest’anno è la volta di Isotta Fraschini. Sì avete letto bene, marchio rinato negli ultimi anni e che entrerà nel WEC dal prossimo anno; era in pista solo per dimostrazione.

Sabato mattina puntata veloce alla prima variante per vedere le prove libere, nel mentre scambio opinioni con una coppia di ristoratori del bolognese mi accorgo che le Toyota rispetto allo scorso anno escono molto meglio dalla prima variante, molto probabilmente saranno loro quelli da battere.

Tempo della fine delle FP3 e parte la gara del campionato F1 Academy (campionato femminile corso con Formula 4). Subito alla partenza si vogliono infilare alla prima variante in sei o sette in un posto dove al massimo c’è spazio per 2 auto, brutto incidente. L’auto di una pilota si ribalta sopra le altre e c’è un principio di incendio, questo dopo il ricordo alla partenza per Dilano Van’t Hoff. Per me, fresco delle immagini di un paio di settimane fa, vedere un’auto ribaltata con il pilota dentro e le fiamme che stanno per partire, è stata non proprio una passeggiata. Non riesco a descrivere cosa stavo provando in quel momento, pensavo solo “Muovi qualcosa!!! Muovi qualcosa!!!”. Bhé, quando ho visto muovere un piede mi ha pervaso un senso di “leggerezza”.

Dopo questa altalena di emozioni direzione paddock e poi pit walk.

Quì, grazie alla mia grande “timidezza”, mi fiondo subito alla Corvette. Primo punto mi complimento perchè hanno il più bel sound di tutte le auto in pista. E poi non potevo non stringere la mano a Nicky Catsburg, capace di vincere tre 24 ore ( una assoluta Ring, Le Mans e Spa di categoria) nel giro di un paio di mesi. Questo fa scatenare l’ilarità dei compagni, per primo Ben Keating “Yeah, sure, you are a Legend”. Di quella via mi incontro con un signore che avevo conosciuto l’anno scorso e che è riuscito ad andare a Le Mans. Oltre al suo entusiasmo per la vittoria Ferrari mi riporta la grande impressione proprio del rumore della Corvette a Mulsanne (e quello della Nascar su tutto il circuito, entrambi unici).

Mi muovo all’Ascari per le qualifiche, hanno tolto i salsicciotti interno curva in entrata. Le Gt partiranno con davanti le Dames, Kubica porta la sua auto in pole in LMP2, ma la cosa più sorprendente è vedere Fuoco a soli 0,017 sec da Kamui. Io non me lo aspettavo, un po’ per il BoP, un po’ perché effettivamente Toyota sembrava meglio di Ferrari.

Ah, Peugeot dopo le fritture dello scorso anno sono riusciti a fare quarti

Altro giro per il paddock dove incontro Jim Glickenhaus, che gentilmente si ferma a fare due parole e anche un selfie (l’unico che mi sono permesso in questo fine settimana), e Laurens Vanthoor con cui scambio un paio di battute sulla condizione della pista (scambio = io chiedo e lui risponde).

Direzione verifiche per fare un paio di foto ed incontro un signore (anche lui aspettava di fare la foto alla Ferrari) con cui parte una conversazione sulla F1 da fine anni ’80 a inizio ’90; questo è il bello delle corse.

Domenica mattina subito Pit walk e a Monza si comincia a sentire il caldo.

Ferrari inarrivabile, ci saranno state duecento persone davanti al box, io mi fermo dalle Porsche (che come l’anno scorso riempe di gadget i tifosi) e becco Gimmi Bruni e a uno come me non poteva altro che scappare una domanda.

“Quando hai cominciato a crederci a Daytona”

“A un’ora dalla fine, avevamo il passo giusto”

“Sopratutto negli ultimi metri” replico io “avete vinto di un paio di decimi; ma che n’hai regalato all’australiano?”

“Io ?!?!”

” No, io! T’ha fatto vince’ la 24 hr sulla riga, mica il circuito sotto casa mia! Saltavi alto un metro”

Persona stupenda. Menzione d’onore a Frijns che prende un ragazzino che guardava e lo porta davanti la macchina dentro i box per fargli fare la foto, ho strinto la mano anche a lui. Ha tutto il mio rispetto.

er la partenza volevo andare alla roggia, era strapiena, ripiego sulla prima variante e fortunatamente trovo 2 tipi di Milano che al mio cenno che chiede se c’è posto per uno mi fanno il cenno di salire, grazie.

Parte la gara, la fila dei numeri pari è più veloce e la Ferrari 51 si trova affianco alla Toyota 8 (lotterebbero per il campionato), Ferrari toccata e si gira. Impressionante la Peugeot sul rettilineo, svernicia la Toyota.

Dopo una ventina di minuti la Toyota 8, che era rimasta indietro dopo la collisione con Ferrari, in una manovra in cui sembra voler prendere la scia all’auto davanti prima dell’Ascari, stringe l’Aston GT all’esterno facendola ritirare. Risultato SC e 1 minuto di penalità. Alla ripartenza solita bagarre per le LMP2.
Dopo un’ora e mezzo di corsa si cominciano a delineare certe situazioni, le Dames han preso il largo in GT e Toyota è stabile prima in Hyper con Ferrari e Peugeot a inseguire. Però lo spettacolo è ancora sentire la Corvette GT, quel V8 ha un rumore davvero tutto suo.

Provo ad andare all’Ascari ma è piena allora opto per la merenda e cerco panino e birra che posso trovare alla prima variante.

Dopo mangiato decido, mio malgrado, di muovermi verso la roggia, e quì faccio la più grande scoperta del fine settimana, han tagliato quasi tutti l’alberi lungo il circuito dal lì fino a Lesmo 2 inoltrato. Quì comincia il calvario.

Faccio tutta curva grande sotto il sole e proseguo per la roggia, sempre sotto il sole (sono le 2.30-3.00). Provo a mettermi sulle tribune e non reggo. Ero al punto di vedere San Pietro sulla traversa come Fantozzi. Piano vado verso Lesmo e fortunatamente c’è ancora qualche albero. Lì mi fermo per un’oretta, ormai non più conscio di cosa sta accadendo in pista, se non ci fossero le lucine per vedere i primi 3 di classe, bona ugo!

Dopo una Safety car, a circa un paio di ore dalla fine, riesco a fare mente locale sulla classifica (con l’aiuto del cellulare e dei passanti). Siamo a Toyota-Ferrari-Ferrari-Peugeot in Hyper con strategie pit che ancora non ho capito come erano messe; LMP2 ormai sembra delineata con Jota davanti e dietro Alpine, WRT e United Autosport a darsi lotta; Gt che si è trovata con le Dames indietro, molto probabilmente causa pit sotto SC, ha 3 Porsche davanti (Dempsey-Iron Lynx- GR seguite da Corvette che punta a vincere già il mondiale). Da quì camminata per fare le foto dal ponte del Serraglio.

Il finale visto all’Ascari, In Hyper car dopo gli ultimi pit la situazione è Toyota-Ferrari-Peugeot e così finirà, con la Ferrari che pur sembrando per un paio di giri di poter recuperare si arrende a Toyota. In Gt non si muove nulla e finisce tutto come descritto sopra, con Corvette campione del mondo. Il bello all’ultim’ora sono le LMP2 con le auto dalla seconda alla quarta in pochi secondi, Alpine allunga ma WRT e United Autosport danno battaglia fino all’ultimo giro arrivando a meno di un secondo l’una dall’altra.

Nota di merito:  Primo podio WEC per Peugeot

Come sempre l’esperienza vale, anche se devo dire, ci fossero stati un paio di gradi meno sarebbe stato meglio (a un certo punto ho sentito Temperatura dell’asfalto 51°).

Organizzazione Monza meglio dello scorso anno.

Oh, ci si vede alla 6hr di Imola 2024. Già, il prossimo anno, avendo dovuto anticipare la gara italiana a prima di Le Mans, si son trovati con Monza chiusa causa restauro.

 

Landerio

WEC 6 ore di Monza 2022

Finalmente sono riuscito ad andare a vedere il mondiale Endurance; Monza, il tempio della velocità, ma anche il circuito più vicino dove andare. Comunque aspettative buone, anche per l’esordio della Peugeot.

Il Sabato lo passo tra pit, camminando attorno alla parabolica, Ascari e prima variante

Di fronte ai box già dal venerdì (così ho sentito dire in Peugeot) hanno avuto il pieno davanti per vedere l’esordiente

Guardatela bene questa macchina, avrà una storia da raccontare.

Come l’auto “rosa” delle dames,

e queste due sopra a modo loro.

Giro per il retro box ed in ogni luogo che mi riesce entrare per scambiare due chiacchere con gli addetti ai lavori e con altri appassionati.

Notando all’Ascari che in ingresso le Gt saltano sui salsicciotti gialli ed i prototipi no, penso che sia per la maggior rigidezza dei secondi ma comunque lo chiedo ad un pilota; risposta “Anche, ma anche perché tocco sotto e  se gratto ne risente l’aereodinamica” (parola più parola meno).

Oppure senti alla Peugeout risponderti alla domanda “Perchè l’esordio a Monza e non il prossimo anno?” “Bhè, così noi abbiamo 3 gare in più rispetto alla concorrenza che entrerà il prossimo anno in vista di Le Mans”

In questo luogo voglio ringraziare il signore che sta a Monza, ma è di Genova (bella chiaccherata), che mi ha fatto compagnia mentre aspettavamo entrambi il momento di scattare questa foto

Sabato alle cinque e mezzo qualifiche 10 min per le gt e 10 min per i prototipi.

P1, quasi 1 sec alla Toyota

Ma la cosa sorprendente è stato vedere la 93 ferma tra la prima e la seconda di Lesmo, ed anche le Dames prendersi la pole in AM

Nel mentre mi scappa anche di fare conoscenza con 2 signori inglesi sulla sessantina che poi ritroverò al bar di Vedano e anche la domenica a pranzo.

Domenica mattina pit walk con sessione autografi e consueto scambio di battute con chiunque passi, anche Jim Glickenhaus. Devo dire per quanto riguarda la cordialità con gli estranei (leggasi gente che viene lì a rompere nel mentre lavori) AF Corse molto bene, molto disponibili anche i piloti, Toyota mi ha un po’ deluso sembrano quasi inavvicinabili (quanto meno lo è stato per me). Trovo anche il temp di scambiare due parole con un ingegnere della Peugeot, di seguito il dialogo (tradotto liberamente dall’inglese):-Che è successo ieri in qualificha? -Problemi. -Quello l’ho visto anche io! La macchina era ferma. -Problemi al sistema. -Che sistema? Meccanico, idraulico, pneumatico oppure (sottolineando bene) elettrico? -Ah, non te lo posso dire. -Allora provo con una domanda a cui mi puoi rispondere, avete risolto oppure oggi avrete lo stesso problema? -Il problema sembra risolto.  Bene penso io (la 93 dopo 10 minuti di gara sarà ferma)

Partenza rigorosamente vista alla roggia

Mentre mi sto spostando alla prima di Lesmo l’Aston di TF Sport perde il dietro in ingresso roggia, taglia di lato sui salsicciotti e si cappotta fino a schiantarsi in uscita curva con il pilota fortunatamente illeso

La gara riprende con Glickenhaus che salta, era prima anche con un bel vantaggio scontando anche una penalità, sembra una turbina (par che di domenica le turbine non siano tanto affidabili). Si ritrovano a lottare per la prima posizione in LMP le Toyota e l’Alpine mentre le Peugeot accusano problemi. In Gt avanti le Ferrari AF Corse con la Corvette.

Sulla via per il serraglio (4hr di gara) sono già alcuni giri che le Toyota e l’Alpine sono in battaglia. Ad un certo punto sento dire che in un tentativo di sorpasso l’Alpine e la n°7 si toccano con il risultato che la Toyota deve rientrare ai box (noto mentre mi passa davanti che ha il passaruota posteriore dx ciondoloni), risultato Alpine 1a e poi la coppia giaponese, con Ferrari-Corvette-Ferrari-Porsche vicine in Gt.

Ultima parte di gara vista all’Ascari, dove la tribuna avrebbe dovuto essere chiusa (il perché se lo sono domandati in molti, e molte tribune erano chiuse), ma è stata aperta per volere popolare (le persone hanno semplicemente spostato la transenna)

Ultimi minuti di gara spettacolo in Gt Ferrari e Porsche lottano per il 3° e 4° posto sembra con grandi staccat6one alla prima variante fino a che la Ferrari non la spunta prospettandosi un finale Ferrari-Corvette-Ferrari; ma le corse sono le corse e a 2 giri dalla fine entrambe le Ferrari devono fermarsi per un riabbocco veloce, sono senza benzina, ne approfitta Corvette vincendo davanti alla coppia rossa.

Vincitore di giornata è l’Alpine dopo la scornata con le Toyota (che effettivamente sembravano in affanno, non so se problemi di gomme, trazione o elettrico)

L’esperienza vale, incontrando anche persone per scambiare due parole che alla fine siamo tutti lì per le corse.

 

Nota di demerito all’autodromo di Monza, varie tribune chiuse e bar chiusi. Organizzazione molto al disotto delle aspettative.

 

Landerio

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 11 – DAYTONA 1967

Nella decima parte di questo meraviglioso viaggio nella storia di Enzo Ferrari e del Cavallino Rampante, che stiamo facendo insieme, ci eravamo lasciati con la Rossa di Maranello uscita con le ossa rotte dalla 24 ore di Le Mans del 1966.

Ma non possiamo andare avanti nella narrazione senza porre un minimo di attenzione ad una tappa che non può non essere raccontata: la vittoria della Daytona da parte dell’armata rossa italiana nel 1967.

Logo Rolex 24 at Daytona

La 24 Ore di Daytona, denominata ufficialmente Rolex 24 at Daytona, è una competizione di pura resistenza per vetture sport-prototipo e Gran Turismo, che si tiene a Daytona Beach, in Florida, sul circuito Daytona International Speedway. La 24 ore di Daytona ha preso ispirazione dalla 24 Ore di Le Mans per i suoi natali.

3 ore di Daytona 1962

Il punto di partenza di questa competizione non fu il 1966 ma bensì il 1962 quando venne introdotta la 3 Ore di Daytona, corsa valida per il campionato mondiale sport. Due anni dopo, nel 1964, la gara ebbe una piccola modifica e venne tramutata in una 2000 chilometri, con questa nuova distanza la gara più o meno raggiungeva la durata di 12 ore. Solo nel 1966 venne assunto il formato attuale di 24 ore, formato voluto a tutti i costi da Ford che voleva prepararsi per sconfiggere tutti alla 24 Ore di Le Mans!

Daytona 24 ore 1967

 

L’edizione del 1967 della 24 ore di Daytona fu davvero leggendaria e si inserì perfettamente in un’era storica dove correre era per eroi ed avventurosi piloti. C’erano poche certezze, tanti dubbi ma sicuramente era un’epoca in cui pullulavano aneddoti, racconti particolari e curiosità. Chi espone bene l’atmosfera di quel tempo è Mauro Forghieri nel suo libro “La Ferrari secondo Forghieri”.

La Ferrari secondo Forghieri dal 1947 a oggi Mauro Forghieri e Daniele Buzzonetti

 

“Fu una gioia immensa. E dire che il giorno prima avevamo dovuto fare le ore piccole perché nell’ultima parte delle prove, Parkes era uscito e aveva distrutto la parte posteriore della carrozzeria. A quell’epoca non si portavano ricambi così grandi e non avevamo nemmeno un team di oltre cento persone come la Ford; eravamo sempre non più di 24-25. Dunque dopo cena stavo assistendo il carrozziere e un meccanico che operavano sul codone, quando mi venne in mente di avere notato nel team del nostro importatore per gli Stati Uniti, Chinetti, un carrozziere piuttosto abile. Era un tipo magrissimo allampanato: lo cerco e gli offro di lavorare con noi per riparare il codone. Ha accettato subito, anche se il mio budget per gli extra era molto basso e ho offerto solo 150 dollari. Ha lavorato con abilità e tutti assieme abbiamo ridato forma al codone. Ho pagato l’aiutante che mi ha ringraziato con incredibile calore e poi tutti a letto. Il giorno successivo alla gara siamo all’aeroporto e noto sulla pista il nostro ‘carrozziere’, elegante e con un gran cappello texano in testa, dirigersi verso un aereo privato! Chinetti non mi aveva detto niente, ma si trattava di ricchissimo petroliere che per passione andava alle corse e cercava sempre di dare una mano! Rimasi di sasso quando venne a salutarmi, precisandomi che i 150 dollari li avrebbe messi in cornice per ricordo!”

Ma come si svolsero le attività di pista?

6 febbraio 1967, data da ricordare per sempre, data che dovrebbe essere menzionata più spesso sul web, eppure in pochi lo fanno. Stiamo sul catino di Daytona e sarà proprio su questo circuito che la Ferrari batterà la Ford e lo farà in grande stile, addirittura arrivando in parata.

Daytona 1967

 

La Ferrari finalmente avrà la sua rivincita contro il colosso americano di Detroit. Nel 1966 la Ford vince a Le Mans, mentre la Ferrari va avanti barcamenandosi fra un problema e l’altro: crisi in Formula 1, lotte con i sindacati che saranno un intralcio bello grosso per lo sviluppo delle vetture. La Ferrari ha bisogno di uno scossone e finalmente nel 1967 arriva una ventata di freschezza necessaria per il benessere dell’azienda modenese. In Ferrari venne sviluppata una berlinetta, denominata 330P4, nata come naturale prosecuzione della P3.

La P3 non era stata una cattiva vettura, in fin dei conti aveva primeggiato sia nella 1000 Km di Monza che in quella di Spa ma la Ford ebbe la meglio grazie anche alla GT40 MKII. La Ferrari non stette con le mani in mano e si impegnò per riuscire a colmare il gap che si era formato con la Ford. La 330P4 era una creatura nata dalle sapienti mani di Mauro Forghieri, nominato poc’anzi, dotata di un V12 e cilindrata più contenuta rispetto alla P3, 4 litri e tre valvole per cilindro.

Alcuni esemplari di P3 furono modificate con l’aerodinamica della P4 e vennero chiamate P3/4 o 412P. Tali vetture vennero consegnate a squadre private, per esempio Nart, Filippinetti e Maranello Concessionaries.

330 P4 Ferrari Daytona

La 330 P4 aveva meno resistenza, più deportanza e un assetto molto basso con il muso molto vicino a terra. Queste caratteristiche davano alla vettura una bella efficacia che Inoltre era equipaggiata da una nuova trasmissione interamente progettata in casa.

 

«Aerodinamicamente – sottolinea Forghieri – la P4 ha meno resistenza della P3, più deportanza e un assetto più picchiato, studiato nelle gallerie del vento di Pininfarina e di Stoccarda. Ed è un frutto maturato in un megatest invernale a Daytona dove andammo in dodici, una cosa eccezionale per la Ferrari di quei tempi, mentre per la P3 avevamo fatto solo una simulazione di 24 Ore a Balocco, nella quale mentre cronometravo avevo in testa una specie di profilattico di nylon per difendermi dalle zanzare. Vado oltre: la P4 aveva più depressione nella parte posteriore e più aria che passava sotto il veicolo, con i flussi interni migliorati. Non era mai parallela a terra, aveva quasi sempre il muso giù ed esprimeva deportanza costante».

Ed è proprio a Daytona che la P4 debutta insieme al nuovo direttore sportivo Franco Lini che prende il posto di Eugenio Dragoni.

Franco Lini

Perchè scegliere Lini?

Lini è considerato uno dei giornalisti più autorevoli del periodo, inoltre è un grande esperto delle gare e dei regolamenti sportivi, Enzo Ferrari lo vuole fermamente anche per dimostrare alla stampa del tempo che sapeva benissimo come organizzare la sua squadra.

Lini non stette a Maranello per molto tempo, anzi rimase solo un anno, il 1967, anno che poteva essere considerato per il Cavallino Rampante un su e giù continuo di emozioni e sensazioni, anno costellato di alti e bassi continui fra cui la parata di Daytona, di cui fra poco parleremo, la vittoria di Amon-Bandini alla 1000 chilometri di Monza, l’astinenza di vittorie in Formula 1 e la tragedia di Montecarlo, che vedrà Lorenzo Bandini morire prima del tempo.

Chi sono i piloti a partecipare per la Ferrari alla 24 Ore di Daytona?

Mike Parkes, Ludovico Scarfiotti, Lorenzo Bandini ed una nuova entrata, il neozelandese Chris Amon.

Tornando alla P4, la prima vettura vide la nascita già alla fine del 1966, questo diede a Maranello una grande possibilità, quella di provare la vettura proprio a Daytona, facendo un test di durata di 24 ore sul catino del circuito americano. I risultati furono incoraggianti: la vettura si rivelò da subito performante, veloce ma soprattutto affidabile, caratteristica fondamentale per gestire una gara di durata. In Ferrari acquisirono ben presto la consapevolezza di avere fra le mani un gioiellino che poteva dare parecchio fastidio al colosso di Detroit.

«Era impreziosita da particolari curatissimi, da orologeria svizzera. Per esempio, avevo rinunciato al radiatore classico per l’olio, ricorrendo a tubi alettati per evitare perdite di carico. Già nei test invernali a Daytona capimmo di avere in mano un’arma micidiale. Non tanto nei tempi sul giro, quelli potevano farli pure le Ford, quanto nella costanza, nel passo. Potevamo friggerli e così andò. Forse scoprimmo le carte presto, pungolando la loro terrificante reazione in chiave Le Mans, che fu vinta dalla Ford, ma a fine stagione il campionato fu nostro. La P4 ce l’aveva fatta» (Mauro Forghieri)

Da una parte c’è la Ferrari che vive in uno stato di profonda tensione, eccitazione e che è animata da una voglia di rivalsa unica, dall’altra lo squadrone americano invece è avvolto da una tranquillità invidiabile, complice anche la superiorità schiacciante mostrata l’anno prima a Le Mans.

Da una parte c’era la Ferrari che fa scendere in pista solo due P4 ufficiali e una P3 dotata dell’aerodinamica della P4 e chiamata  412 P, che venne consegnata al North American Racing di Luigi Chinetti, dall’altra c’è la Ford che, tranquilla delle proprie capacità,  porta con sè un arsenale quasi da guerra: sei GT40 MKII.

 

Porsche 910

Oltre la Ferrari e la Ford da ricordare la partecipazione della Porsche che dispiega tre 910 ufficiali,la Chaparral e circa 62 vetture private.

A conquistare la pole è la GT40 di A.J. Foyt e Dan Gurney, in seconda posizione sulla griglia partenza, al fianco della Ford c’è la Chaparral di Phil Hill e Mike Spence, staccata non di molto, solo due decimi, la prima delle Ferrari, al terzo posto, è la 412P di Pedro Rodriguez Jean Guichet. Dietro la 412P abbiamo la 330 P4 ufficiale guidata da Bandini e Amon. Dietro di loro vediamo la presenza delll’altra GT40 del duo Andretti – Ginther e la seconda  330P4 di  Parkes – Scarfiotti.

 

GT40 di A.J. Foyt e Dan Gurney

Sul giro secco la Ford è ancora avanti ma saprà concretizzare il vantaggio della qualifica in gara?

Direi proprio di no, sicuramente in qualifica la GT40 era una scheggia ma durante la competizione si rivelò essere poco consistente sul passo gara e davvero poco affidabile rispetto alle Rosse di Maranello. Nulla può la Ford contro la Ferrari che dopo 24 ore di gara, 666 giri percorsi e oltre 4000 chilometri accumulati vince. Infatti chi vide sventolare la bandiera bianca per prima fu la P4 di Bandini ed Amon. Ma la cosa assolutamente incredibile fu che tutto il podio venne colorato dal rosso Ferrari, infatti il secondo posto venne conquistato da Parkes e Scarfiotti e il terzo dalla 412P di Rodrighez Guichet. La prima Ford GT40 a classificarsi fu settima ed era quella ( indossando il numero 1) guidata da Bruce McLaren e da Lucien Bianchi.

 

Ferrari in parata alla Daytona 1967

Ma cosa era successo alle Ford?

La macchina di Foyt e Gurney si ritirò a causa della  rottura di una biella al 464° giro, le altre vennero eliminate per problemi di trasmissione fra il 274° e il 299° passaggio.

Oltre alla debacle americana rimarrà impresso nella storia del motosport l’arrivo in parata delle tre Ferrari al traguardo, parata ideata da Franco Lini per dare un tocco di drammaticità e pathos alla fine della corsa, oramai caratterizzato dalla monotonia creata dal dominio delle vetture italiane. Oltre l’intento di vivacizzare il finale c’era anche un tentativo di vendetta mediatica contro l’arrivo in parata delle Ford alla 24 Ore di Le Mans l’anno prima. Come si suol dire, Enzo Ferrari e il suo entourage diedero pan per focaccia al colosso americano, sia con i risultati in pista che con l’atteggiamento di fine gara. Seguendo la legge del contrappasso per analogia gli americani dovettero sottostare ad una pena simile rispetto a quella che loro avevano inflitto alla Ferrari l’anno prima. Per la Ford oltre il danno si aggiunse anche la beffa.

 

Disegno che riproduce l’arrivo in parata delle Ferrari a Daytona

 

Laura Luthien Piras