Sospensioni attive: quando il futuro ritorna al passato

Nella storia della F1 si sono viste tecnologie estremamente interessanti abolite per ragioni di costi e/o sicurezza, e che poi sono state successivamente reintrodotte. E’ il caso del motore turbo e vi potrebbe essere, il prossimo anno, quello delle sospensioni attive.

Il caso che si è creato recentemente a proposito dei sistemi sospensivi è stato spiegato molto bene in questa sede sia per quanto riguarda il quesito posto dalla Ferrari sia per la risposta della FIA. A scatenare la curiosità di Maranello sono state le soluzioni che Mercedes e Red Bull hanno già utilizzato nella passata stagione. Leggendo l’ottima spiegazione fornita, a chi scrive, che ha più dimestichezza con bit e byte rispetto a fisica e meccanica, è sorta spontanea una domanda: ma come si fa a definire una sospensione “passiva” in presenza di una retroazione che consente di modificare il comportamento di un tradizionale meccanismo basato su molla e ammortizzatore? Può questa retroazione essere demandata ad un fluido e a dispositivi meccanici, senza che ci sia una elaborazione che attivi degli attuatori che a loro volta regolano la pressione nel circuito idraulico? Perché è evidente che utilizzando una centralina elettronica questo (e anche di più) si potrebbe fare molto più facilmente ed efficacemente, ma il regolamento lo vieta dal lontano 1994, anno in cui furono bandite le cosiddette sospensioni attive.

E allora, anziché rispondere al suddetto quesito, il che richiederebbe l’intervento di un esperto qual chi scrive non è, può essere interessante, come facciamo ogni tanto, guardare al passato per capire dove potremo andare in futuro. E il passato in questo caso ci fa andare indietro di un numero di anni tondo tondo, esattamente 30. Era il 1987 quando un macchina gialla guidata da una futura leggenda della F1 portò per la prima volta alla vittoria un sistema di sospensioni controllate elettronicamente. Non a caso quella macchina era una Lotus. Perchè era stato il geniale Chapman a sviluppare un simile sistema su una vettura di F1, 5 anni prima. Chi aveva preso in carico il team aveva deciso di riprendere quel progetto e di svilupparlo per usarlo in gara.

Anno 1987, dicevamo. La Lotus aveva abbandonato il motore Renault. I giapponesi volevano iniziare la collaborazione con Ayrton Senna, e così arrivò il miglior motore del momento, l’Honda, anche se nella versione dell’anno precedente, visti gli accordi esistenti con la Williams. Dopo tanti anni cambiò anche il colore, dal nero JPS al giallo del nuovo sponsor tabaccaio. La macchina di quell’anno era siglata 99T, e passerà alla storia, oltre che per essere la prima auto con sospensioni attive a disputare una stagione intera, anche per essere l’ultima Lotus vincitrice di un GP. Negli anni successivi la competitività del team scemò rapidamente, e la storia in F1 di questo glorioso marchio si interruppe a metà degli anni 90 (non vanno considerati, ai fini dell’albo d’oro, gli utilizzi del marchio stesso fatti in tempi recenti).

Il vantaggio offerto da un sistema di sospensioni attive, è in teoria enorme. Una centralina elettronica, elaborando in tempo reale i dati rilevati da sensori in grado di “leggere” le forze agenti sulle ruote, nonchè l’assetto grazie ad una piattaforma inerziale, invia i comandi ad attuatori idraulici posizionati su ognuna delle 4 sospensioni, regolandole indipendentemente per consentire alla vettura di mantenere un assetto sempre costante in termini di altezza da terra. Con grandi benefici sia dal punto della stabilità che dell’aerodinamica. Negli anni ’80 la tecnologia consentiva già di realizzare sistemi efficienti e miniaturizzati al punto giusto per potere essere montati su una vettura di F1, dove dimensione e peso sono parametri di vitale importanza.

La 99T consentì ad Ayrton Senna di ottenere 6 podi (sarebbero stati 7 senza la squalifica nell’ultima gara in Australia), con due vittorie non casualmente ottenute nei due circuiti con l’asfalto più irregolare, Montecarlo e Detroit. Il brasiliano si piazzò terzo in campionato, decisamente un ottimo risultato per una vettura spinta da un motore dell’anno prima e dotata di una tecnologia così innovativa. Segno che si trattava di una soluzione estremamente interessante. Che però la Lotus non montò sul modello successivo, ritenendo il sistema troppo pesante (25 kg) a fronte della cospicua perdita di cavalli (quasi 300) dovuta alla diminuzione per regolamento della pressione di sovralimentazione da 4 a 2.5 bar, considerando anche che almeno il 5% della potenza del motore serviva per mantenere il sistema stesso in funzione.

Nel frattempo anche la Williams sviluppò un suo sistema denominato “reattivo” in quanto la Lotus aveva il copyright del termine “attivo” per la F1, e facendolo debuttare nel GP di Monza che Piquet vinse. Ne continuò lo sviluppo anche per l’anno successivo, quando dal motore Honda passarono al molto meno potente Judd aspirato. Il quale, con quasi 400 cv in meno, non riusciva a mantenere in funzione il sistema garantendo una adeguata velocità di punta. Questo, unito ad un’elevata instabilità che rendeva le macchine inguidabili (al punto che a Silverstone il venerdì entrambe le auto erano lentissime e le sospensioni reattive furono smontate in tutta fretta durante la notte) portò all’abbandono temporaneo del sistema.

Le sospensioni attive ricomparvero sulla Williams FW14 del 1991 e sulla successiva FW14B del 1992, una delle vetture più sofisticate e dominanti della storia, la quale disponeva anche di cambio semiautomatico e controllo di trazione. Addirittura il sistema montato su quella vettura prevedeva la pre-programmazione della mappa della pista per potere adattare l’assetto con più precisione e tempestività.

Nel 1992 fu quindi chiaro che per vincere era necessario dotarsi di quel tipo di tecnologia, e tutti i team iniziarono a svilupparla e a portarla sui campi di gara nella stagione successiva. In alcuni casi con risultati disastrosi, come dimostrano i brutti incidenti di Zanardi a SPA e di Berger all’uscita dei box nel GP del Portogallo del 1993. E proprio in nome della sicurezza, la FIA avvio una serie di iniziative che portarono poi al divieto a fine stagione. Le sospensioni attive furono inizialmente considerate come parte di un vietatissimo sistema aerodinamico mobile, con minaccia di esclusione di tutte le vetture che ne facessero uso, poi, a seguito delle proteste dei team, si concesse una deroga fino a fine stagione.

Ma la messa al bando delle sospensioni attive anzichè migliorare la sicurezza diede vita alla tragica stagione 1994. Le FIA non pensò di introdurre contemporaneamente modifiche regolamentari sull’aerodinamica tenendo in considerazione il fatto che le auto non potevano più viaggiare ad altezza costante da terra. Le squadre osarono troppo, mantenendo altezze (e pressioni delle gomme) bassissime, e consegnando così ai piloti monoposto molto instabili. Quali furono le conseguenze è noto.

Negli anni successivi i team hanno cercato ossessivamente modi per ottenere da sistemi sospensivi passivi gli stessi risultati che si avevano con le sospensioni attive. Si è visto il mass damper, poi il FRIC e ora sistemi con terzo elemento idraulico, sui quali abbiamo già espresso dubbi sulla reale passività. Come nel 1993, la FIA li ha sempre ritenuti non regolari in quanto parte di sistemi aerodinamici mobili. Ma è ormai evidente che la capacità di controllo è inferiore alla fantasia degli ingegneri e alle possibilità offerte dalla tecnologia. E, a questo punto, sarebbe forse più logico ammettere nuovamente questi sistemi, anche perché, al pari dell’ibrido, si stanno diffondendo anche sulla produzione di serie. Esattamente come tecnologie quali ABS, controllo di stabilità, controllo di trazione, cambio automatico, tutte non ammesse in F1.

Sembra che i team abbiano già chiesto alla FIA di riammettere l’uso delle sospensioni attive per il 2018, ma c’è ancora tutta la stagione 2017 da correre e non è improbabile che il tema delle sospensioni “quasi-attive” sia fonte di grandi discussioni già a partire da Melbourne. Con le solite minacce fra i team che poi sfoceranno sicuramente in compromessi come avvenne nel 2011 a Silverstone per gli scarichi soffiati. C’è da credere che a beneficiarne saranno sempre i soliti.

Alles liebe zum Geburtstag, Lauda

lauda_getty

68 anni.
Ha quasi vinto il mondiale dopo aver addrizzato un’auto nata storta.

E’ l’unico nella storia ad aver detto in faccia a Ferrari che avevano fatto un’auto di merda.

Ha vinto con un’auto superiore.

Ha vinto con un’auto inferiore.

Ha vinto con un’auto dotata di minigonne.

Ha vinto con un’auto a motore turbo.

E’ tornato a correre in un tempo record dopo un incidente quasi fatale.

Ha creato da zero due  compagnie aeree.

Ha vinto come presidente esecutivo di un team.

Non c’è bisogno di aggiungere altro.
Di certo c’è che la storia dell’automobilismo sportivo ha visto per tre volte lo stesso dualismo, in epoche diverse, formato da piloti immensi con le stesse caratteristiche:

Caracciola – Rosemeyer

Varzi – Nuvolari

Lauda – Villeneuve

Beato chi c’è stato, beato chi c’era.
Povero chi c’è ora, ancor di più chi ci sarà domani.

Caro Colin ti scrivo…

Ci sono uomini che hanno fatto la storia dell’automobile, in ambito sportivo ma non solo. Uno di questi è Enzo Ferrari, di cui ieri abbiamo degnamente ricordato il compleanno. Un altro è di sicuro Colin Chapman, la cui eredità, a differenza di quella del Drake, è costituita in larga parte dalle sue splendide monoposto, visto che l’attività di costruttore di auto stradali non ha avuto la stessa fortuna.

Il fondatore della Lotus era un tecnico di grande valore, con una incredibile vocazione all’innovazione, da perseguire a tutti i costi. Perchè, diversamente da come la pensava il Drake, all’innovazione e alla performance secondo lui si poteva sacrificare tutto il resto. Anche la sicurezza del pilota. Ed è proprio di questo aspetto, nel tempo oggetto di tante critiche, che vogliamo parlare.

Lo facciamo tornando ad un episodio forse poco conosciuto, risalente al 1969. Siamo al Gran Premio di Spagna, disputato sul pericolosissimo circuito cittadino ricavato sui viali del parco del Montjuic a Barcellona. Il protagonista è Jochen Rindt, alla guida della Lotus 49, una delle creazioni di Chapman destinate ad essere consegnate alla storia. La macchina che due anni prima aveva portato al debutto, vincendo, il glorioso motore Cosworth, e che l’anno precedente aveva vinto il campionato con Graham Hill dopo la prematura scomparsa di Jim Clark.

Da circa un anno in F1 avevano fatto la loro comparsa gli alettoni. I progettisti avevano capito che montando le ali al contrario rispetto agli aerei potevano ottenere una utilissima spinta verso il basso. Ciò però che non avevano ancora ben compreso era la modalità con la quale queste ali rovesciate funzionavano. Non conoscevano la reale dimensione dei carichi, in termini di kg, e nemmeno con precisione il percorso dei flussi d’aria. Era però chiaro che più le ali lavoravano in aria pulita e meglio era. Per questo motivo gli alettoni posteriori venivano posizionati sempre più in alto, e aumentavano sempre più di dimensione. Fino a quando la Lotus si presentò con una ala di due metri di larghezza posizionata ad un metro e mezzo di altezza e appoggiata praticamente su due bastoncini. In nome della massima leggerezza, che era una vera e propria ossessione per Chapman.

E in gara accadde ciò che, guardando le foto con le conoscenze di oggi, potremmo giudicare più che logico accadesse: il supporto dell’alettone posteriore cedette e Rindt ebbe un incidente dal quale uscì piuttosto malconcio, anche se con ferite non gravi dalle quali si riprese abbastanza in fretta. Ma la cosa interessante è ciò che successe dopo. Il campione austriaco prese carta e penna e scrisse a Chapman una lettera che diceva più o meno così: “caro Colin, le tue macchine sono maledettamente veloci, ma da quando guido per te ho avuto diversi guasti meccanici che potevano avere conseguenze molto serie. Ti suggerisco due cose: irrobustisci i pezzi più deboli, perchè qualche pound in più di sicuro non inciderà troppo sulla velocità delle auto, e prenditi del tempo per controllare che i tuoi addetti facciano le cose per bene“.

Il primo suggerimento colpiva Chapman proprio nel cuore delle sue convinzioni, e qui ci leghiamo ad un secondo documento scritto questa volta dallo stesso Colin. Correva l’anno 1975, quindi 6 anni dopo la lettera di Rindt. La Lotus attraversava un periodo di crisi, dopo i successi della 72, che era ormai alla sua sesta stagione e aveva finito il suo lunghissimo ciclo vincente. L’idea dell’effetto suolo doveva ancora arrivare, e per cercare di trovare la via del ritorno alla vittoria, Chapman scrisse, su un quaderno, un vero e proprio decalogo per progettare un’auto da corsa vincente. E il primo punto recitava quanto segue: “una macchina da corsa ha UN SOLO obbiettivo: vincere le gare“. E, subito dopo: “Può sembrare ovvio, ma ricordate che non importa quanto sia progettata in maniera intelligente, o risulti poco costosa, o semplice da manutenere, o anche quanto sia SICURA, perchè se non vince NON E’ NULLA!”

Tutto questo nonostante la morte di Clark nel 1968, le cui cause non furono mai accertate anche se il cedimento meccanico è sempre stata considerata quella più probabile, il sopra citato incidente di Rindt con successiva protesta scritta, e la tragedia di Monza del 1970 dove il pilota austriaco perse la vita probabilmente a causa del cedimento dell’alberino di uno dei freni anteriori, che Forghieri definì “più sottile di una matita”.

Questo è ciò che ci racconta la storia. E ovviamente Chapman non era l’unico, sia a quell’epoca che in tempi successivi, a giocare con la pelle dei piloti in nome della performance. Era abbastanza normale, soprattutto fra gli inglesi per i quali “motorsport is dangerous”, punto e basta.

La filosofia di Ferrari era completamente differente: le macchine dovevano essere robuste perchè prima di tutto avevano il compito di proteggere il pilota. Quando Lauda ebbe l’incidente al Nurburgring, venne chiamato un perito ad esaminare i rottami, e la conseguente relazione fu data ai giornalisti perchè fosse pubblicata, a testimonianza che nulla sulla macchina si era rotto. E sei anni dopo quando ci fu la tragedia di Villeneuve, anche a seguito delle pesanti critiche arrivate da più parti, venne condotta una indagine approfondita per escludere una debolezza strutturale del telaio, il quale venne comunque irrobustito.

Fino ad una trentina di anni fa, i progettisti non avevano particolari prescrizioni relativamente alla sicurezza. E quindi c’era un parametro in meno da considerare, proprio come voleva Chapman. Anche la regola sul peso minimo veniva costantemente aggirata dagli inglesi con vari sotterfugi. Poi finalmente qualcosa è cominciò a cambiare, fino a quando i fatti di Imola, causati anch’essi in parte da cedimenti meccanici, hanno imposto la svolta definitiva: la sicurezza DOVEVA diventare un parametro di progetto sottoposto a standard molto precisi cui nessuno poteva sottrarsi. E le tragedie sono finalmente diventate sempre più rare, non solo in F1 ma anche nelle altre categorie che a poco a poco si sono adeguate a questa filosofia costruttiva.

Fra poche settimane conosceremo gli effetti di un cambio regolamentare che è stato fatto specificamente per rendere le auto più veloci, per la prima volta in 50 anni. E, dopo tanto tempo che non accadeva, si è ritornato a parlare di timori per la sicurezza. Riguardando le foto di 50 anni fa non si può fare a meno di pensare a quanto sia cambiata la mentalità di chi progetta ma anche di chi guida le auto. Oggi si disquisisce sul fatto che una sospensione sia più o meno intelligente e possa così far guadagnare qualche decimo di secondo, nel 1969 si montavano alettoni di cui a malapena si conoscevano i principi di funzionamento, fissandoli con un po’ di nastro adesivo, e si andava in pista nella speranza di guadagnare qualche secondo. Cosa che spesso accadeva, anche se nessuno sapeva spiegare perchè. Ma accadevano anche disastri cui si poneva rimedio in fretta e furia e in modo approssimativo.

C’era sì più spazio per la creatività, ma questa veniva anche utilizzata in modo pericoloso per l’incolumità dei piloti.

Se Chapman vedesse il regolamento attuale probabilmente si chiederebbe come mai avendo l’obiettivo di ridurre di 5 secondi i tempi sul giro sia stato aumentato il peso minimo. E, probabilmente, sceglierebbe di fare un altro mestiere.

Buon Compleanno, DRAKE!

Enzo_Ferrari



A scrivere di F1, sia pure amatorialmente come facciamo noi, ci si può domandare se si è degni o meno di farlo. Stavolta possiamo tranquillamente metter via tutti i dubbi perchè è lapalissiano che non siamo degni di scrivere su Enzo Ferrari, un nome che fa tremare i polsi al giornalista più affermato figuriamoci a degli appassionati. La rete offre tutto lo scibile umano sulla sua esistenza, per sapere cosa ha fatto e quando basta ed avanza Wikipedia. Quello che la rete non offre, ovviamente, è la carrellata di sentimenti che le frasi più celebri del Drake suscitano in noi. Eccovi pertanto alcune di esse tra le più famose per vedere se in voi hanno suscitato la mia stessa reazione.

Pronti? Si parte!

“Date a un bambino un foglio di carta, dei colori e chiedetegli di disegnare un automobile, sicuramente la farà rossa”

Vero, con un numero 1 sul musetto e le prese NACA bianche in bell’evidenza……..

“La migliore Ferrari che sia mai stata costruita è la prossima”

Nessuna meraviglia quindi se dopo le prime gare del 1980 Furia dovette subìrne l’ira funesta per via della manifesta inferiorità della T5. Poche cose muovono all’ira come una scalfitura al proprio ego in bella vista……..

“Il secondo è il primo degli ultimi”

Sempre pensato che questa sia l’essenza dello spirito vitale di ogni essere umano. Basti pensare al processo riproduttivo della specie……..

“C’è chi valutava Gilles Villeneuve uno svitato, ma con il suo ardimento, e con la capacità distruttiva che aveva nel pilotare auto macinando semiassi, cambi e freni ci ha insegnato cosa fare. È stato campione di combattività e ha regalato tanta notorietà alla Ferrari. Io gli volevo bene”

….ma dopo Imola 1982 gli dicesti “basta che a vincere sia una Ferrari”…. Anche qui, come per sopra, quando un ego smisurato fa i conti con la propria coscienza spesso i conti son dolorosi……..

“L’aerodinamica è il risarcimento per chi non sa spremere cavalli dal motore”

Altro che “nomen omen” eh. Se qualcuno ancora si chiede come mai la Power Unit di Binotto ha messo nel mirino quella Mercedes Benz (partendo dallo svantaggio colossale del 2014 made in Marmorini su gentile richiesta di Tombazis avallata da Domenicali NDR) mentre telaio ed aerodinamica no……..

“Non si può descrivere la passione, la si può solo vivere”

Anche perchè il giorno in cui riesci a descriverla è solo perchè si è spenta. Chapeau

“Giù le mani dalla Ferrari: di me dite quello che volete”

Sfido chiunque a non aver pensato la stessa cosa riferita al proprio affetto più prezioso

“Loro due erano gli unici che vincevano anche quando perdevano”
(Su Tazio Nuvolari e Gilles Villeneuve)

….ragione per la quale la Febbre Villeneuve era diventata ingombrante….

“I vecchi sono come i mobili antichi, meno li sposti e più durano”

Trasposta alla gerontocrazia italiana imperante questa citazione è semplicemente oro colato

“Non fare mai del bene se non sei preparato all’ingratitudine”

E pure qua sfido chiunque a non esserci passato in mezzo, magari qualche dozzina di volte eh

“Piansi per la gioia. Ma le mie lacrime d’entusiasmo erano mischiate con quelle di dolore perché pensai: oggi ho ucciso mia madre.
(Commentando la prima vittoria delle sue vetture a Silverstone ‘51 quando battè le Alfa Romeo)”

Da rammentare ad ogni buonista/pietista in cui abbiamo la sventura di imbatterci. Semplicemente perchè nel momento della verità chi non crede nel “mors tua vita mea” o è disinformato o in malafede……..

“La macchina da corsa perfetta è quella che si rompe un attimo dopo il traguardo”

Kyalami 1977, la Fenice risorta dalle ceneri torna alla vittoria su una T2 che esala l’ultimo respiro appena tagliato il traguardo……..

“L’Azienda è composta prima dagli uomini che ci lavorano, poi dai macchinari ed infine dai muri”

Detto da un uomo nato nel diciannovesimo secolo da la misura dell’inadeguatezza del presente, dove in 99 Aziende su 100 l’ufficio Risorse Umane è un mero centro di costo……..

“Non sono mai stato né progettista né calcolatore. Sono sempre stato un agitatore di uomini e di talenti”

Ovvero la definizione di Manager fatta e finita. Che mette assieme i pezzi per farli funzionare anzichè specializzarsi sulla conoscenza di come funzioni ciascun pezzo

“Metto le lenti scure perché non voglio dare agli altri la sensazione di come sono fatto dentro”

Ho idea gli servissero anche davanti ad uno specchio. Ed infatti:

“Le vere domande che mi scombussolano non sono quelle dei giornalisti, ma quelle che continuo a farmi io”

Non oso immaginare con che ombre abbia  convissuto per tantissimi anni……..

“La fortuna e la sfortuna non esistono”

Da tatuare in fronte ai vari Domenicali, Arrivabene, compagnia cantante e lacchè

“Amo pensare che la Ferrari può costruire piloti quanto macchine. Alcuni dicono che Gilles Villeneuve sia pazzo. Ma io dico: lasciate che provi”

E siamo ancora in attesa del giorno in cui qualcuno in Ferrari avrà mai lo stesso coraggio dimostrato dal Drake ormai 40 anni fa.

Auguri, Enzo. Con la speranza che l’Azienda che porta il tuo nome non resti impermeabile al tuo spirito come succede ormai da anni anzi, pure peggio, da lustri.

Purtroppo

 

La Redazione