E’ dal giorno della presentazione della SF21 che questa immagine “tormenta” chi scrive.
Ho provato la stessa sensazione che provai nel 1981 mentre sfogliavo l’Autosprint che mi facevo comprare da papà al posto di Topolino.
Questi due numeri hanno accompagnato i tifosi rossi per tre lustri, trascinandosi dietro il periodo più buio della storia rossa e temprando il carattere degli inossidabili e irriducibili ultras. Ci hanno regalato poche gioie e tante sofferenze. Ci hanno aiutato a pazientare ed hanno messo alla prova la fede di tanti. Eppure restano nell’immaginario della maggior parte di noi come due numeri iconici, quelli di ciò che avrebbe dovuto essere e che non è stato.
Due numeri che sono stati portati in gara con fierezza da taluni e con scarsi risultati da talalatri. Però chi scrive non ha mai avuto la sensazione di trovarsi di fronte a due piloti che contemporaneamente potessero incarnare lo spirito dei veri titolari del 27 e del 28: Gilles e Didier.
Eppure alcune circostanze che li accomunano sono evidenti. Uno più veloce ed arrembante, l’altro più freddo e regolare, entrambi giovani da iridare. Una stagione disastrosa alle spalle (1980/2020), una stagione di rifondazione (1981/2021), la stagione della verità (1982/2022).
Ci sono voluti quaranta lunghi anni per avere circostanze simili, quindi perché no?
In fondo il 27 ed il 28 sono liberi per il 2022, perché no?
Il momento della carriera dei piloti attuali richiama il momento di Gilles e Didier, perche no?
Fossi un dirigente Ferrari mi adopererei per convincere i miei piloti ad indossarli con la consapevolezza che saranno in grado di rendere onore a quei numeri e di provare a portarli laddove i nostri dell’epoca furono impediti dalle circostanze.
Vado oltre. Fossi un dirigente Ferrari mi approprierei di quei numeri e li terrei per sempre sui musetti rossi, obbligando i piloti rossi a cambiare il proprio. Non venitemi a dire che non è possibile, perché tutte le regole (anche quelle della F1) hanno deroghe se solo ce ne è la volontà.
No, qui non si tratta di fare un parallelo tra le caratteristiche di guida dei piloti attuali con quelli di un tempo: i due “Carli” non saranno mai Gilles e Didier. Eppure c’è qualcosa che li accomuna, qualcosa di impalpabile che non si riesce a spiegare con le parole, qualcosa che ha a che fare con i sentimenti e non con la ragione.
Sarebbe bellissimo avere la possibilità di dare lustro a quei numeri per come lo avrebbero meritato.
Michele fu colui il quale portò più in alto di tutti il “27”, con grinta e tenacia, meritandolo ampiamente. Jean Alesi fu quello che lo indossò con più cuore, “sacrificando” una carriera magari diversa per amore della rossa. Però il pilota che più riuscì ad avvicinarsi all’interpretazione dello stesso fu Mansell, seppur per un anno soltanto.
Tra tutti i “28” chi si avvicinò di più all’originale fu il Berger della sua prima avventura rossa.
Per il resto nulla ha mai accomunato gli altri piloti agli originali.
Chissà… magari qualcuno in Pianura Padana avrà modo di leggerci e ci proverà? Sarebbe già qualcosa, un regalo a tanti bambini che hanno da poco scollinato i cinquanta con quei ricordi nel cuore.
(immagine di copertina modificata dalla redazione)
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.