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F1 in pillole – Capitolo 13

Il Signor Gino era arzillo e con il passare degli anni non perse il vizio di uscire al sabato sera per ballare, pertanto era solito tornare tardi e dormire la domenica, ma l’8 ottobre del 2000 fu svegliato di soprassalto poco dopo le 7.00. Aveva la sfortuna di vivere a fianco del sottoscritto, solitamente attento alla norme del buon vicinato, ma un digiuno di 21 anni che si spezza dopo anni di delusioni e trionfi solo sfiorati meritava urla con un’estensione vocale degna di Bruce Dickinson.

Quella mattina aprì un ciclo straordinario in cui la Ferrari e Michael Schumacher sbaragliarono la concorrenza con una precisione chirurgica sotto ogni aspetto, combattendo anche contro un regolamento che veniva corretto in corsa per arginare un dominio incontrastato e destinato a scatenare l’eterna discussione sulla noia.

Credo che ogni vero appassionato di Formula 1 e Motorsport in generale possa ritenere una “libidine coi fiocchi” (cit. di Jerry Calà, ma anche del Sig. Gino) la perfezione messa in pista del Cavallino Rampante nel primo lustro del nuovo millennio, ma la prevedibilità di un campionato che sembrava già scritto in partenza non poteva che irritare i tifosi occasionali e la schiera di addetti ai lavori che farebbero meglio a parlare di calcio, tutti spuntati come funghi nell’era del dominio Ferrari.

La Formula 1 ha sicuramente cambiato pelle nel 1994, ma è indubbio che la piega che l’ha portata a prediligere le variabili artificiali al merito sportivo trovi le proprie radici in quegli anni, che vi raccontiamo con l’abituale attenzione per le cosiddette scuderie di secondo piano.

Arriva la Jaguar

Nel 1999 la Stewart Gp venne rilevata dal gruppo Ford che la rinominò Jaguar Racing con l’intento di promuovere la casa inglese. Eddie Irvine, dopo aver sfiorato il titolo nel 1999, entrò in contrasto con i vertici Ferrari per il proprio ruolo all’interno della scuderia e accettò l’offerta della Jaguar, che lo affiancò a Herbert, già in forze alla Stewart l’anno precedente; l’irlandese colse gli unici quattro punti stagionali del team, con cui chiuse la carriera alla fine del 2002, salendo due volte sul podio.

Red Bull mette le ali, la Sauber le perde

Attivo in Formula 1 dal 1995, Diniz ha ottenuto in tutto 10 punti, ma non è mai riuscito ad entrare tra i primi sei nel gran premio di casa e in occasione della sua ultima apparizione ad Interlagos non riuscì nemmeno a disputare la gara; nel corso del fine settimane infatti, entrambe le Sauber subirono il cedimento dell’alettone posteriore e vennero ritirate dall’evento per motivi di sicurezza. Curiosamente all’inizio dell’anno Autosprint aveva amplificato l’idea di alcuni tecnici di eliminare gli alettoni e riportare in F1 le minigonne, in modo da favorire i sorpassi. Diniz chiuse il campionato a zero punti e abbandonò, diventando per un breve periodo socio del team di Alain Prost, spostandosi poi in Brasile nel ruolo di manager.

Burti stuntman

Dopo aver iniziato la propria avvenuta in F1 al volante della Jaguar, Luciano Burti venne chiamato da Alain Prost per sostituire Mazzacane nel corso del 2001, cogliendo due ottavi posti come migliore risultato. Nel corso della stagione il brasiliano fu protagonista di due incidenti spettacolari: il primo ad Hockenheim dove la sua vettura decollò dopo aver tamponato la vettura di Schumacher che procedeva lentamente causa un guasto, il secondo a Spa, quando in seguito ad un contatto con Irvine uscì di pista a Blanchimont ad oltre 270 Km/h. Uscito fortunatamente senza gravi conseguenze, non ebbe altre occasioni in F1 e dopo un’esperienza da collaudatore Ferrari passò alle Stock Car brasiliane, prima di diventare commentatore di gare Formula 1 per la nota Rede Globo.

La Prost ai titoli di coda

La scuderia Prost, nata nel 1997 dalle ceneri della Ligier, colse nel primo anno risultati di rilievo, con materiale, tecnici e piloti della precedente gestione, salvo poi subire un calo nelle stagioni successive. Nel 2000 Jean Alesi terminò la stagione a zero punti, unico caso nella sua lunga carriera, mentre l’anno seguente ritornò in classifica con alcune sporadiche apparizioni tra i primi sei: ad Hockenheim il francese partì in settima fila e fu sesto al traguardo, a ridosso delle Benetton. Fu l’ultimo punto per la Prost e l’ultima gara nel team per Alesi, che dal Gp di Ungheria passò alla Jordan, con cui centrò un altro sesto posto, poi a fine stagione si ritirò dalla F1. Riguardo la scuderia francese, sulla seconda vettura Mazzacane venne sostituito da Burti, il quale si infortunò lasciando il posto a Enge, unico pilota F1 della Repubblica Ceca. La situazione finanziaria del team era comunque ormai compromessa: la mancanza di risultati, l’abbandono della Galouises e la rottura del rapporto con Diniz, che precedentemente era entrato in società, lasciarono il team privo di sostegni economici concreti e costringendolo a chiudere i battenti.

Brilla la stella di Alonso

A Suzuka si concluse il mondiale (già conquistato da Schumacher) con l’addio di due protagonisti degli anni passati, ovvero Hakkinen e Alesi, mentre in fondo al gruppo si mise in luce un giovane destinato a grandi traguardi: Fernando Alonso, il quale alla guida della Minardi, in prova si mise alle spalle le due Arrows, la Prost di Enge e il compagno di squadra Yoong, distante quasi due secondi dal suo tempo. In gara lo spagnolo confermò l’ottima prestazione terminando in undicesima posizione davanti ad avversari di vetture più prestazionali; nel corso del week end giapponese arrivò anche l’annuncio dell’ingaggio da parte della Renault, che impiegò Alonso per un anno come collaudatore e poi come prima guida, arrivando alla conquista di due titoli mondiali, nel 2005 e 2006.

Webber, buona la prima!

Dopo una proficua esperienza in Fia Gt Mark Webber tornò in monoposto con il team European Arrows di Stoddart, il quale rilevò la Minardi in F1 ingaggiando il pilota australiano, che nel frattempo aveva svolto il ruolo di tester Benetton. Il debutto fu entusiasmante: partito in nona fila, Mark Webber riuscì a cogliere un insperato quinto posto, unico piazzamento a punti del team nel corso della stagione, dopo aver resistito nel finale agli attacchi della Toyota di Mika Salo.

Chi va piano arriva sano ma non va lontano

Con la riduzione delle vetture al via sotto le 26 unità che un tempo determinavano il limite dei qualificati, dal 1996 al 2002 venne introdotta una nuova regola per prevenire la partenza di vetture molto lente, con esclusione di chi segnava in qualifica un tempo superiore al 107% del tempo ottenuto dalla macchina in pole position. Nel corso degli anni furono rari i piloti incappati in tale ostacolo, tra questi Alex Yoong, malese in forza alla Minardi che nel 2002 mancò la qualificazione in ben tre occasioni, come ad esempio a Imola, quando girò ad oltre sei secondi dalla pole e a due secondi e mezzo dal compagno di squadra Webber.

Addio all’Arrows

L’Arrows, nata alla fine del 1977 da una costola della Shadow, vanta una lunga esperienza in F1 e detiene il record di presenze (382) senza vittorie, con una pole position (colta di Patrese nel 1981) e cinque podi, oltre a un quarto posto nel mondiale (1988) come migliore risultato. Nel 1996 il team fu acquistato dalla Twr di Tom Walkinshaw che poi rilevò anche la Hart assumendone il fondatore Brian ma, a parte un lampo di Damon Hill all’Hungaroring nel 1997, il team accusò sempre maggiori problemi di liquidità stazionando costantemente a fondo griglia. Nel 2002 venne appiedato Verstappen per far posto all’esperto Frentzen, mentre Bernoldi continuò la sua avventura grazie all’appoggio della Red Bull, ma i risultati non arrivarono: al primo Gp entrambe le vetture accusarono problemi e subirono una squalifica, in Spagna Frentzen partì in quinta fila e fu sesto al traguardo, nell’ultima gara conclusa dall’Arrows a pieni giri. Seguì un altro punto a Monaco (prima bandiera a scacchi per Bernoldi), poi in Francia i piloti fecero un solo giro in qualifica per evitare una penale, mancando la qualificazione e il team sparì definitivamente dopo il Gp di Germania.

Il regalo di Fisico per i 200 Gp della Jordan

Alla fine del 2002 la Jordan perse lo sponsor principale con un ulteriore riduzione del budget e la stagione iniziò con due gare difficili, ma ad Interlagos Fisichella centrò la quarta fila (miglior risultato stagionale in prova) e in una gara resa caotica dalla pioggia riuscì a risalire fino ai vertici. Dopo gli incidenti di Webber e Alonso la corsa fu interrotta con attribuzione dei piazzamenti sul giro precedente: per un errore di cronometraggio la vittoria fu assegnata a Raikkonen, poi in una successiva riunione la federazione restituì il successo a Fisichella, che vinse per la prima volta in carriera, mentre per la Jordan fu l’ultima affermazione, proprio nella gara in cui il team festeggiò il 200esimo Gran Premio. Il compagno di squadra di Fisichella, il debuttante Firman, ingaggiato grazie a notevoli risultati in altre categorie, fu messo invece fuori causa dalla rottura di una sospensione; quella del 2003 fu l’unica stagione nel circus per l’irlandese, che colse un punto in Spagna, suo miglior piazzamento in Formula 1.

La Minardi davanti a tutti

“F1 2.0” is coming: nel 2003, oltre all’eliminazione del warm up, venne introdotto il parco chiuso, che vieta ogni tipo di intervento sulla vettura tra la fine delle qualifiche e la gara. Venne inoltre inserito un nuovo assurdo tipo di qualifica basato sul giro secco, scelta che a Magny Cours portò una particolare soddisfazione alla Minardi: le prove si svolsero infatti con pista che andava asciugandosi, con vantaggio degli ultimi piloti a scendere in pista, e Jos Verstappen fece segnare il tempo più rapido, portando la Minardi in testa ad una sessione cronometrata per la prima volta dal 1989, quando Pierluigi Martini aveva marcato la migliore prestazione nel warm up a Spa; le prove del sabato ristabilirono le gerarchie e Verstappen chiuse 19esimo davanti al compagno di squadra Wilson.

Ultimo punto Minardi a griglia completa

Di male in peggio: il regolamento delle qualifiche cambiò ancora basandosi su due sessioni, per cui nella prima tutti i piloti scendevano in pista nell’ordine inverso rispetto ai risultati della gara precedente, mentre per la seconda sessione, dove effettivamente i tempi erano ritenuti validi per la griglia di partenza, l’ordine d’ingresso si basava sui risultati del primo turno; a proposito, in Malesia la Minardi ottenne la miglior prestazione stagionale, con Baumgartner in nona e Bruni in ottava fila. L’italiano, che a Sepang concluse al 14esimo posto ottenendo il miglior risultato in F1 (ripetuto in altre due occasioni) risultò spesso più veloce del compagno di squadra, il quale riuscì però a cogliere un punto nell’imprevedibile gran premio degli Stati Uniti, dove Bruni fu coinvolto in una carambola al via.

Trulli Principe a Monaco

Passato alla Renault nel 2002, Jarno Trulli visse due stagioni in crescendo, poi nel 2004 le sue prestazioni migliorarono ulteriormente, portandolo a lottare ad armi pari con il compagno di squadra, l’astro nascente Fernando Alonso. A Monaco l’abruzzese visse un fine settimana di gloria, con pole position e vittoria, unica per la Renault nel corso del campionato e unica gara non vinta da Schumacher tra le prime 13. A metà stagione nacquero tensioni “contrattuali” tra Briatore e il pilota, che venne licenziato con un pretesto e dopo una gara di stop si accasò alla Toyota, dove corse nelle cinque stagioni successive.

Le ultime pagine della storia Jordan

Con il team in vendita e la nuova vettura, la EJ14, che di fatto era un’evoluzione del deludente modello precedente, in aggiunta alla mancanza di fondi che rese impossibile eseguire adeguati test, era lecito pensare che la Jordan avrebbe lottato a fondo griglia per tutto il campionato. In quella che fu l’ultima vera stagione per il team di Eddie Jordan (che nel 2005 mantenne il nome ma passò nelle mani del gruppo Midland) ebbe modo di debuttare Giorgio Pantano, il quale fu penalizzato da una vettura non competitiva e non riuscì a lasciare il segno che meritava, cimentandosi poi con successo in Gp2 (campione 2008), Superleague, Irl e Gt Open (campione classe GT2). A causa di un contenzioso in corso con il proprio manager, il pilota italiano perse l’appoggio di alcuni sponsor e fu provvisoriamente appiedato dal team, sostituito con il collaudatore Timo Glock. Qualificatosi in quarta fila, a Montreal il pilota tedesco riuscì a concludere la gara undicesimo davanti al compagno di squadra Heidfeld; a fine gara le Williams e le Toyota furono squalificate per le dimensioni irregolari delle prese d’aria dei freni anteriori, permettendo alle Jordan di entrare in zona punti. Dopo un’esperienza in Champ car, Glock tornò in Europa vincendo la Gp2, poi tornò dal 2008 in Formula 1, dove corse con Toyota e Virgin, ottenendo tre podi e un giro più veloce.

Ancora polemiche sulle qualifiche

Come accaduto l’anno precedente, quando fu quinto a Monza, il collaudatore della Williams Genè venne scelto per sostituire Ralf Schumacher, infortunatosi seriamente ad Indianapolis, ma in questo caso i risultati furono meno entusiasmanti: decimo in Francia, lo spagnolo fu dodicesimo a Silverstone in quella che fu la sua ultima apparizione in gara. Il week end inglese tra l’altro fu caratterizzato dalle polemiche in quanto durante la prima sessione di prove, utile per determinare l’ordine di uscita nelle qualifiche, molti piloti girarono volontariamente molto lenti, addirittura frenando in rettilineo, in modo da partire primi, temendo l’imminente arrivo della pioggia. Gené è diventato poi collaudatore Ferrari e affermato commentatore del settore, inoltre ha continuato a correre e non si è fatto mancare affermazioni importanti quali la 24 ore di Le Mans e la 12 ore di Sebring.

Tra limiti e penalità, la F1 perde credibilità

Dal mondiale 2004 venne disposto che ciascun pilota avrebbe dovuto disputare tutto il week-end di gara con un solo motore, con penalità di dieci posizioni sulla griglia di partenza in caso di sostituzione dello stesso (convertita in una partenza dal fondo dello schieramento se il cambio fosse avvenuto dopo le qualifiche). La Bar montava un propulsore Honda RA004E, particolarmente performante e affidabile, tanto da permettere al team di affrontare la stagione migliore della propria storia; oltre a Sato e Button, venne confermato il “terzo” Anthony Davidson, che nei turni del venerdi si mise più volte in luce segnando tempi vicinissimi a quelli dei titolari.

 

Tornando  a noi, come avete potuto leggere, le limitazioni e penalizzazioni che hanno compromesso il regolamento recente della F1 partono purtroppo da lontano; ci stiamo dunque avvicinando alla prossima puntata che rappresenta l’ultima di questa avventura tra i meandri della categoria, ma prima è necessario tornare un attimo a quella mattina del 2000.

L’entusiasmo si sentiva nell’aria, tutti al bar del paese parlavano della Ferrari e il futuro appariva radioso, ma il Signor Gino di F1 ne sapeva poco e incrociandomi per strada, con sguardo truce, ebbe modo di apostrofarmi: “S’et cumbinà stamatèina? Pariva ca i’eran drè maszat!” Tradotto in Italiano: “Cos’hai combinato questa mattina, sembrava ti stessero ammazzando”

 

A presto per l’ultima puntata.

Mister Brown

 

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (1)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (2)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (3)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (1)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (2)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991
Pillole di F1 cap. 10 – F1 nel caos (1)
Pillole di F1 cap. 11 – F1 nel caos (2)
Pillole di F1 cap. 12 – Verso il nuovo millennio

2018 F1 Canadian GP: An Introduction.

Archiviato anche quest’anno l’emozionante toboga monegasco, giunge l’ora della prima, estemporanea trasferta su suolo nord-americano, prima di tornare in Europa per ben 7 GP consecutivi, inclusa la pausa estiva.

DA DOVE VENIAMO

La lotta per il campionato piloti si è già abbondantemente avviata, come previsto, verso un duello tra il diversamente orecchinato e il collezionista di motoseghe. La tenzone vera e propria, fino ad ora almeno, non si è pero avuta in pista, bensi al di fuori, con intrighi regolamentari degni di un romanzo di Le Carré. Di recente, tra Brackley e Maranello, gli sport più praticati sono infatti il lancio della delazione e lo slalom tra le direttive tecniche FIA, con gli alemanno-britannici recentemente in grande spolvero; se questi mesi iniziali sono un’indicazione valida, si prevede una stagione combattuta ancor di più sulla lettera del regolamento, piuttosto che in pista.
A proposito di strani rigiri nei box, questo sara’ il primo GP in Sauber per Simone (non) Resta, la cui promozione / spostamento / siluramento (a seconda della vostra chiave di lettura) ha sollevato non pochi punti interrogativi.

DOVE ANDIAMO

Il circuito canadese presenta caratteristiche tecniche differenti da tutti quelli si è corso fino ad ora, solitamente di non facilissima intepretazione per quanto concerne gli assetti.
Prevedere la monoposto favorita è, quest’anno, un esercizio di difficoltà comparabile solamente a quella incontrata da Verstappen nel percorrere 10 giri senza incocciare in qualcosa.
Se i primi tre appuntamenti avevano lasciato presagire una superiorità della SF71H, la W09 sembra aver giovato degli aggiornamenti, ed ha colto l’unica doppietta dell’anno (se eccettuiamo quella che Magnussen tiene nell’abitacolo, nel caso le sue manovre non funzionassero a dovere). Probabile dunque che le due vetture avranno prestazioni molto simili sia in qualifica che in gara, e che le uniche variabili valide saranno la posizione in griglia e la possibilità di un undercut, dato che i sorpassi paiono espressamente vietati. Rimane da vedere se e come l’incognita “gabbiani alla prima curva” avrà un effetto sulla gara.

Al di fuori delle due prime donne, troviamo due stoccafissi che potrebbero tornare utili, previo ammollo di almeno tre giorni nel San Lorenzo. Terza forza a Montreal sarà probabilmente la Red Bull, con il solito Ricciardo pronto ad approfittare di eventuali problemi ai battistrada, e Verstappen pronto ad approfittare di eventuali sconti allo sfasciacarrozze di Sherbrooke, che una bargeboard o una endplate vengono sempre utili. Rimane da menzionare il buon Alonso, che comincia a realizzare che forse è proprio la McLaren a fare un po’ pena, anche se quanto meno quest’anno non partirà da Austin a causa delle penalità. GP di casa per Lance Stroll, che comunque avrà una casa in circa 96 nazioni del mondo, quindi non importa molto, anche perché la Williams di quest’anno non riuscirebbe probabilmente ad arrivare in cima al Mont Real in meno di tre ore.

Alla voce pneumatici, non dovrebbero esserci problemi, dato che si tratta del circuito preferito da Pirelli, essendo costruito su un’Isola. E anche questa volta la ******* l’abbiamo detta.

CHI SIAMO

Siamo delle persone così furbe che, nonostante l’aberrante noia che pervade la F1 di questi tempi, dedicheremo ore e ore del nostro weekend a non vedere un finlandese vincere.

THE CLINICAL REVIEW – GP AUSTRALIA 2018

Ciao a tutti e benvenuti alla Clinical Review post Gran Premio d’Australia 2018!

Prima gara della stagione, prima review, primi commenti (seri) e primi dibattiti. Quando ricomincia la F1 in primavera, rifiorisce anche la voglia dei tifosi (e non solo…) di discutere e, in questo articolo, cercherò di spiegare i notevoli spunti che sono emersi dall’atipica, ma non inutile, tappa australiana.

Nonostante i test di Barcellona e successivamente le qualifiche ci avessero delineato un quadro piuttosto chiaro delle forze in campo,  il GP, in realtà, ha sorpreso tutti: vince Sebastian Vettel su Ferrari, seguito da Lewis Hamilton e Kimi Raikkonen, attraverso una mossa abilissima degli strateghi di Maranello, quasi dettata dalla “disperazione” in quanto impossibile superare in pista, che però ci ha regalato un finale a sorpresa complice l’entrata della VSC a causa del ritiro dello sfortunato Romain Grosjean su Haas.

Cominciamo l’analisi parlando della Mercedes W09 EQ Power+, mostratasi, come da aspettative, la monoposto più completa di questo inizio di stagione 2018, confermando, di fatto, ciò che di buono aveva mostrato ai Test di Barcellona. Il team anglo-tedesco ha perfezionato quasi tutti i punti deboli della stagione 2017, sfruttando l’annata “di studio” precedente e risolvendo i problemi sulla nuova monoposto che si è mostrata da subito competitiva. Certamente non è passato inosservato il gap rifilato in qualifica da Lewis Hamilton ai competitors: ben 6 decimi abbondanti al primo inseguitore, Kimi Raikkonen, e poco di più a Vettel e Verstappen, che hanno fatto storcere il naso a tanti tifosi che si aspettavano una sessione al cardiopalma e invece si sono dovuti accontentare dell’ennesimo Record Lap dell’inglese, permesso (a detta di molti, compreso Helmut Marko) da una Power Unit molto superiore alla concorrenza, quasi disarmante. Ebbene, le cose non stanno proprio così: un errore importante (circa 2 decimi) in curva 13 di Sebastian Vettel e uno altrettanto “pesante” in termini di tempo di Max Verstappen hanno ampliato e reso fittizio il gap tra le monoposto. Dalle informazioni raccolte, infatti, il gap tra la PU Ferrari e Mercedes in Q3 (a Melbourne, da vedere se sarà così anche nei prossimi GP) sembrerebbe quasi inesistente (rispetto ai 25-30cv dell’ultima parte della stagione 2017) e considerando che su un circuito come l’Albert Park 10 cv sono circa 3 decimi al giro e che la Ferrari è ben lontana da aver espresso il suo vero potenziale (confermato dallo scarso feeling di Vettel e dai dati GPS) è facile intuire come quel gap sia costruito da telaio + fattore umano (ne va dato atto al Re Nero) e meno dalla potenza del motore (escludendo Renault ovviamente).

Situazione non diversa in gara, in cui LH ha mostrato un passo mediamente migliore di Ferrari di circa 3 decimi (praticamente lo stesso della qualifica) confrontando i tempi in cui sia Ferrari, sia Mercedes stavano spingendo (6 giri prima della sosta) e quelli di LH dietro a Vettel, capace di tenersi sempre a distanza (gap mai sceso sotto i 5 decimi in una pista in cui per sorpassare serviva almeno 1.5 secondi di gap tra le vetture o un errore del pilota). Ma dove fa la differenza questa W09 rispetto agli avversari? In curva, specialmente in ingresso, in cui addirittura riesce ad essere più veloce di Ferrari di circa 10-15km/h. Meno “buona” la trazione in uscita, in cui pecca ancora di un sovrasterzo che, seppur non eccessivo, non è il massimo per i compound più morbidi, che hanno una finestra di funzionamento molto bassa (e ridotta dal 2017 al contrario delle aspettative). Direzionalità eccellente grazie alla nuova sospensione anteriore, sempre completamente idraulica ma rivista nei cinematismi: terzo elemento di dimensioni voluminose e gruppo bilancieri-barre di torsione sostituito da due grossi bilancieri (collegati tra loro da una bielletta) che in sostanza eliminano la barra antirollio (la rigidezza viene mantenuta dal cinematismo stesso), semplificano e riducono il peso della sospensione, permettendo alla W09 di essere agile e “morbida” sui cordoli.

Parliamo ora di Ferrari che, in realtà, ha ben impressionato a Melbourne nonostante abbia mostrato, su una pista da medio-alto carico tutte le debolezze figlie di un progetto ancora molto acerbo e con grande possibilità di sviluppo (riportato da Seb e anche da fonti interne al team). La SF71H ha confermato le sensazioni che ho riportato nell’analisi finale dei test a Barcellona (ecco perché è sbagliato dire che le analisi dei test sono inutili…) che citerò qui di seguito:

“sarà interessante capire se sarà migliorato il grado di comprensione della vettura sul fronte bilanciamento aerodinamico: la scelta di una filosofia piuttosto estrema (alta efficienza, passo lungo e alto rake, anzi altissimo) è sicuramente una scelta valida in teoria, ma piuttosto complicata in pratica; a mio parere, infatti, la SF71H non ha generato nei test abbastanza carico al posteriore, probabilmente perché ancora non si è riusciti a sigillare il fondo al meglio (ricordate le scimitarre 2017 bandite dalla FIA?), e ciò ha comportato un leggero compromesso “al ribasso” all’anteriore, rendendo la vettura più bilanciata ma sicuramente più lenta in curva (nonostante ciò ottima sugli pneumatici).”

Ferrari è intervenuta a Melbourne abbassando il posteriore e quindi “forzando” il diffusore a lavorare, con ovvia perdita di carico derivante dalla riduzione dell’angolo di rake; ha portato un nuovo diffusore (con piccoli accorgimenti) e ha provato di conseguenza un’ala anteriore più carica, che poi non è stata confermata dai piloti dopo le FP. Tutto ciò si riassume in una vettura caratterizzata dall’elevata velocità di punta (grazie al grande lavoro sull’efficienza aerodinamica e da un anteriore “scarico” per bilanciare il posteriore) e un evidente sottosterzo in ingresso. Nonostante tutto Ferrari ha mostrato comunque un’ottima trazione in uscita dalle curve e un ottimo lavoro sugli pneumatici, utilizzando un’ala posteriore carica e dimostrando che, dal punto di vista sospensivo, la SF71H è a posto. Ragguardevole salto di qualità sul fronte Power Unit: il nuovo motore Ferrari sembra molto migliorato sul fronte potenza massima, grazie ad una diminuzione della compressione (tramite un aumento delle tolleranze) e ad un aumento, di rimando, della pressione turbo (tramite un meccanismo di sfiato della wastegate in fase di affondo in accelerazione). Promettente, al momento, anche l’affidabilità, al contrario di Mercedes che ha sofferto parecchio “l’aria calda” sia con Bottas, sia con Hamilton (Pu in protezione negli ultimi giri), sia con Stroll. Lavoro ancora non eccelso, però, sul fronte consumi (per il quale si attendono sviluppi di Shell) che non permette a Ferrari di aumentare l’incidenza delle ali (punto forte di Mercedes) e risolvere in modo più rapido le perdite di carico aerodinamico, in attesa di upgrades previsti per la Cina e GP successivi (in Ferrari contano di avere una vettura già più veloce di Mercedes per il GP di Baku).

Terminiamo l’analisi con l’ultimo team della Top 3 dei costruttori, la Red Bull. Tanto osannata nei test a Barcellona e tanto temuta in Australia (a causa del layout della pista che avrebbe dovuto esaltarne i punti di forza), dopo un’ottima qualifica, si è abbastanza “spenta” in gara, complice un danneggiamento del fondo di Verstappen e una gara nel traffico di Ricciardo che, comunque, si è tolto lo sfizio di siglare il giro più veloce in gara. La nuova RB14, chiaramente ispirata alla RB13 di fine stagione, è una vettura che ha mantenuto la filosofia “passo corto” (ormai unica dei top ad averlo) e quindi risulta essere naturalmente agile e scattante nei cambi di direzione, complice anche un elevato carico derivato da ali e corpo vettura. A mio parere sembra che abbia raggiunto già il top della forma al primo GP e non vedo, al momento, grandi margini di miglioramento, motivo per cui il diretto competitor, Ferrari, ha optato per un progetto con un più ampio grado di sviluppo, sfruttando, certamente, la maggior cavalleria che permette loro di essere davanti ai bibitari nonostante per questi primi GP “teoricamente” non lo possano essere. Detto questo però, quantificando il gap motoristico intorno ai 25 cv in qualifica (7 decimi e mezzo in teoria all’Albert Park), è evidente come RB abbia davvero un telaio migliore della concorrenza. Ma sarà possibile sfruttarlo partendo dietro in qualifica e non potendo superare (a causa della scarsa velocità di punta) in gara? Le difficoltà di Verstappen nel cercare di superare Magnussen credo dicano molto…

COSA VEDREMO IN BAHRAIN?

Quello di Sakhir è un circuito a medio-alto carico che richiede molta trazione “meccanica” e un perfetto utilizzo dei pneumatici in trazione che, a cause delle temperature e degli stress longitudinali, sono notevolmente sotto sforzo. Nel 2017 abbiamo assistito a una grande vittoria di Sebastian Vettel sfruttando il punto di forza della SF70H, il consumo gomme, e a una “debacle” Mercedes da quel punto di vista. Si potrà ripetere anche nel 2018? Sinceramente no, dato che la Mercedes sembra migliorata sul fronte pneumatici, ma Ferrari potrà essere più forte che in Australia grazie al basso carico e all’ottima gestione delle coperture, anche se non abbastanza, salvo sorprese, per impensierire Mercedes.

16.04.2017 – Race, Start

Alla prossima!

Chris Ammirabile

 

 

F1 in pillole – Capitolo 10

Nel corso degli anni ottanta la Formula 1 ha vissuto una costante crescita di popolarità mediatica, amplificata alla fine del decennio dall’epico duello tra Senna e Prost, le cui battaglie dentro e fuori dagli autodromi, amplificate ad uso e consumo dei media, hanno finito per attirare una nuova fetta di pubblico e proiettato il Circus dei Gp nell’olimpo degli sport più seguiti oltre all’universale calcio.

Chi in quegli anni ha ammirato bolidi dalle potenze mostruose e dalla tecnologia sempre più raffinata, domati da cavalieri senza macchia e senza paura in duelli indimenticabili, certamente non avrebbe mai immaginato che a breve la classe regina dell’automobilismo avrebbe perso i propri punti di riferimento, con il pensionamento dei grandi protagonisti della scena, un ricambio generazionale non all’altezza, un cambio di mentalità generale del pubblico e degli addetti ai lavori, sempre più rivolti allo show piuttosto che allo sport, il tutto gravato dalla tragica scomparsa del pilota più rappresentativo, caduto in battaglia in un nero fine settimana a Imola.

Ma prima di giungere alla conclusione, vediamo cosa successe in quel periodo.

Scuderia Italia, l’avventura continua

Dopo un’annata deludente senza nessun punto ottenuto, la Scuderia Italia si presentò al via del 1991 con un’evoluzione della vettura precedente e con il motore Judd, ottenendo risultati al di sopra delle aspettative: a Imola Lehto colse l’unico podio in carriera, bravo a sfruttare i numerosi ritiri (tra cui quelli delle Ferrari, con Alesi fuori al secondo giro e Prost addirittura nel giro di ricognizione) conducendo una gara regolare partendo dall’ottava fila. Grande promessa, venne ingaggiato dall’ambiziosa Benetton nel 1994 ma un grave incidente nei test lo costrinse a uno stop forzato; una volta rientrato non riuscì più ad esprimersi sugli stessi livelli e si ritirò a fine stagione. Il suo compagno di squadra Emanuele Pirro centrò un ottimo sesto posto a Montecarlo, cogliendo l’ultimo punto in carriera, poi a fine stagione abbandonò la F1 e si dedicò definitivamente alle competizioni a ruote coperte per una lunga carriera ricca di successi, tra cui due titoli super-turismo e cinque vittorie alla 24 ore di Le Mans.

Breve storia della Fondmetal in F1

La Fondmetal, gruppo industriale di forte esperienza, entrò in F1 come sponsor, poi come partner e infine rilevando la struttura dell’Osella, affrontando con alterne fortune due campionati del mondo. Nel 1992 l’ottimo Tarquini si qualificò con regolarità anche se fu penalizzato dalla fragilità della vettura, mentre Chiesa pagò la scarsa esperienza e la difficoltà nel correre con un mezzo poco competitivo. A Magny Cours lo svizzero riuscì a entrare in griglia per la terza volta in stagione, ma la sua gara non durò nemmeno il tempo di un giro, coinvolto in un incidente poco dopo il via; mancata la qualificazione a Silverstone ed Hockenheim, venne sostituito da Van De Poele, poi il team chiuse i battenti prima della fine del campionato.

Le tragicomiche avventure dell’Andrea Moda

Andrea Sassetti acquistò il materiale Coloni per iscrivere L’Andrea Moda con lo scopo di promuovere la propria attività, anche se le cose non andarono come previsto. Per vari problemi il team non scese in pista nelle prime due gare, arrivando all’allontanamento dei piloti Caffi e Bertaggia e all’arrivo di Moreno, che qualificò l’Andrea Moda per l’unica volta nella propria breve storia. A Montecarlo il brasiliano superò le pre-qualifiche e si qualificò all’ultimo posto a 5.450 sec dalla pole, mentre in gara fu costretto al ritiro dopo soli 11 giri per noie al motore Judd. Dopo quel “miracolo” di Moreno, per l’Andrea Moda fu di nuovo impossibile superare lo scoglio delle pre-qualifiche, fino a quando il team fu bandito in seguito all’arresto del patron durante il week end di Spa.

Per affiancare Moreno venne scelto McCarthy, già test driver dalla Footwork: il pilota inglese non si qualificò mai e spesso si limitò a pochi giri, addirittura a Silverstone disputò le prequalifiche su pista asciutta con gomme da bagnato, unico treno di gomme disponibile, facendo segnare il tempo di 1:46.719, distante 27.754 dalla pole di Nigel Mansell (il compagno di squadra Moreno con gomme da asciutto era comunque oltre gli 11 secondi). Perry McCarthy ha narrato la sua stagione all’Andrea Moda nella propria autobiografia Flat Out, Flat Broke: Formula 1 the Hard Way!

La storia della March ai titoli di coda

La March era rientrata in F1 alla fine degli anni ottanta con ottime prestazioni, poi passò nelle mani del gruppo Leyton House, i cui investimenti non diedero i risultati sperati, inoltre il patron Akira Akagi venne arrestato per frode alla fine del 1991, riportando il team alla denominazione originale. A causa delle difficoltà finanziarie la March disputò il 1992 con la vettura dell’anno precedente con cui Wendlinger riuscì a cogliere un miracoloso quarto posto, mentre il debuttante Belmondo visse una stagione travagliata, qualificandosi in sole 5 occasioni prima di essere sostituito da Naspetti, che abbandonò il campionato International Formula 3000 dove fino a quel momento occupava la prima posizione. Al debutto, sul circuito di Spa, il pilota italiano si qualificò agevolmente in ventunesima posizione a 7,2 secondi dalla pole di Mansell, mentre in gara fu dodicesimo; corse le cinque gare di fine stagione ottenendo un undicesimo posto come migliore risultato poi, dopo il ritiro della March, divenne collaudatore per la Jordan, scuderia con la quale corse il suo ultimo gran premio, quello del Portogallo nel 1993, ritirandosi per la rottura del motore. Nelle ultime due gare Naspetti fu affiancato da Jan Lammers, assente dal mondiale di Formula 1 dal 1982, poi una volta chiusa la stagione il team tentò di iscrivere la ormai obsoleta CG911B anche al mondiale 1993, ma in Sudafrica non si presentò e chiuse definitivamente i battenti.

Modena, promessa mancata

La stagione del debutto si era rivelata sorprendente per la Jordan, che nel 1992 si trovò invece a fronteggiare difficoltà economiche e tecniche: la nuova 192 era un’evoluzione della precedente progettata per il V8 Cosworth, pertanto fu difficile adattare il V12 Yamaha, che si rivelò tra l’altro poco affidabile e particolarmente “assetato” di benzina. Oltre a Gugelmin venne ingaggiato il talentuoso Modena, penalizzato dalla macchina e lontanissimo dalle prestazioni ottenute l’anno precedente con la Tyrrell, anche se con un sesto posto ad Adelaide ottenne l’unico punto stagionale per Eddie Jordan, nella gara che chiuse la sua carriera in Formula 1.

Nuovo tentativo per la Lola

La Scuderia Italia mosse i primi passi in Formula 1 con telai Dallara, ottenendo risultati incoraggianti, ma alla fine del 1992 l’accordo venne chiuso (pare per problemi tra il telaista e la Ferrari, fornitrice di motori) e avviato un nuovo percorso con la Lola, già presente precedentemente con Haas e poi Larrousse. I risultati furono disastrosi: i due piloti mancarono spesso la qualificazione e non arrivarono mai in zona punti, sfiorata solamente da Badoer a Imola. Chiusa anzitempo la stagione, Lucchini entrò in società con la Minardi, prima di tornare con grande successo a gare turismo e Gt.

Un piccolo record per Barbazza

Monzese di nascita, con alle spalle esperienze in America (terzo alla 500 miglia di Indianapolis nel 1987) e una poco fortunata stagione in Formula 1 con la Ags con la quale non riuscì mai a qualificarsi, nel 1993 Barbazza ebbe l’occasione di tornare nel circus con la Minardi stabilendo un piccolo primato: grazie ai due sesti posti di Donington e Imola fu infatti il primo ad andare a punti per due gare consecutive con la scuderia faentina. Sostituito da Martini a metà stagione, abbandonò la Formula 1 e tornò in America nella serie Imsa, dove la sua carriera si interruppe definitivamente a causa di un grave incidente alla 3 ore di Road Atlanta alla guida della Ferrari 333 Sp; in seguitò si distinse per il proprio lavoro nell’ambito della sicurezza sportiva.

Benvenuta Sauber

Peter Sauber inizio la propria attività costruendo vetture Formula 2 e Sport Prototipo, avviando una proficua collaborazione con la Mercedes, il cui appoggio fu determinante per il passaggio in Formula 1. La Sauber C12 debuttò nel 1993 e si dimostrò subito competitiva ma altrettanto inaffidabile e il promettente Wendlinger fu più volte costretto al ritiro, ma finalmente a Montreal arrivò il primo punto, cui seguirono altri tre piazzamenti che consentirono all’austriaco di terminare la stagione in una soddisfacente posizione di metà classifica. Nel 1994, dopo un buon avvio, Wendlinger fu vittima di un terribile incidente a Monaco che compromise la sua carriera in F1, passò allora con successo alle ruote coperte.

256 volte Patrese

Vicecampione in carica, dopo gli anni d’oro in Williams Riccardo Patrese venne scelto da Briatore per affiancare l’astro nascente Schumacher e mettere in campo la propria esperienza al fine di sostenere la grande crescita della Benetton. Trascorsa una prima metà di stagione tribolata, il padovano visse un finale in crescendo conquistando numerosi piazzamenti grazie ad ottime prestazioni; dopo aver festeggiato in Germania il traguardo dei 250 Gp, colse all’Hungaroring il suo ultimo podio giungendo secondo al traguardo, poi a fine stagione si ritirò, rifiutando durante l’anno seguente un’offerta della Williams, che lo aveva scelto per sostituire Ayrton Senna.

Andretti di nome ma non di fatto
Il figlio di “Piedone” arrivò in Formula 1 forte di grandi risultati ottenuti nelle corse americane, dove vinse anche un campionato CART nel 1991, anno in cui effettuò i primi test sulla Mclaren, scuderia con cui debuttò due anni più tardi. La stagione non iniziò nel migliore dei modi in quanto il team aveva perso i motori Honda e si era dovuta accontentare dei Ford “clienti”, inoltre Andretti faticava ad adattarsi alla categoria e il confronto interno con un campione navigato come Senna rese la situazione ancora più difficile. A Monza un testacoda lo portò in fondo al gruppo, ma con grinta l’americano recuperò terreno e riuscì a chiudere al terzo posto (suo miglior risultato), nella stessa pista dove era salito sul podio l’ultima volta il padre Mario nel 1982. Appiedato dopo il Gp d’Italia, Andretti tornò in America ripresentandosi al via del campionato CART.

Minardi stile Hot Wheels

Le forniture di motori Ferrari e Lamborghini non avevano portato risultati e lasciato un pesante disavanzo economico, per cui la Minardi iniziò il 1993 con una vettura dall’architettura semplice e i motori Ford dell’anno precedente, nonostante ciò si trattò della miglior stagione in termini di punteggio per il team faentino. Christian Fittipaldi (figlio di Wilson e nipote di Emerson), che ottenne ben 5 punti in campionato, a Monza fu protagonista di un arrivo spettacolare, terminando alle spalle di Martini dopo averlo colpito ed eseguendo un incredibile 360° in aria.

Apicella, carriera lampo

La carriera in F1 di Apicella non durò nemmeno un giro: chiamato da Eddie Jordan per disputare il gp d’Italia in seguito al ritiro di Boutsen, l’italiano si qualificò 23esimo e venne coinvolto in un incidente poco dopo il via. Contende questo particolare record di carriera lampo con Miguel Angel Guerra (Osella, Imola 1981).

Verso la regola del 107%

Per alcuni anni in Formula 1 l’elevato numero di iscritti rese necessaria l’esclusione di alcuni piloti per mantenere un massimo di 26 partecipanti alle gare poi, con l’abbandono di diversi team, a partire dal Gp del Brasile 1993 si decise di escludere uno solo dei 26 iscritti. Dal Gp di Germania vennero ammessi tutti i partecipanti, che nelle ultime gare dell’anno, causa il forfait della Scuderia Italia, divennero 24; in questo modo Toshio Suzuki, chiamato dalla Larrousse per sostituire Alliot, in Australia prese parte alla gara nonostante un pesante distacco in qualifica, situazione cui in futuro si cercò di ovviare con l’introduzione della regola del 107%.

Mclaren Lamborghini: sogno sfumato

Nell’estate del 1993 la Mclaren testò una Mp4/8 su cui era stato installato un potentissimo V12 Lamborghini: nonostante alcuni problemi relativi a lunghezza, consumi e affidabilità, Senna telefonò a Dennis dichiarandosi entusiasta, richiedendo addirittura di averlo subito, ma i vertici Mclaren avevano dei dubbi, inoltre la Peugeot garantì anche copertura economica, per questo motivo Dennis si accordò con la casa francese, irritando non poco Senna, e della Mclaren Lamborghini restano solo racconti e immagini di un bel sogno.

Imola tragica: Addio Ayrton e Roland

Oltre al classico appuntamento di Suzuka, nel 1994 e 1995 la F1 sbarcò in Giappone anche per il gran premio del Pacifico, disputatosi sul circuito di Aida. Dopo una lunga gavetta, Roland Ratzenberger realizzò a 34 anni il suo sogno di debuttare in Formula 1 grazie ad un contratto di cinque gare con il team Simtek. Mancata la qualificazione in Brasile, il pilota austriaco in GIappone si piazzò in ultima fila al fianco del compagno David Brabham, conducendo poi una gara regolare, chiusa all’undicesimo posto a cinque giri dal vincitore. Morì nel successivo gran premio a Imola a causa delle ferite riportate in un incidente avvenuto nelle prove del sabato, in un week end già sconvolto dal drammatico botto di Barrichello, fortunatamente risoltosi con lievi conseguenze.

Il 30 aprile 1994, giorno della tragedia di Roland, Ayrton Senna colse la sua 65esima ed ultima pole position, il giorno seguente anche l’asso brasiliano perse la vita e tra i rottami della sua Williams venne ritrovata una bandiera austriaca: Ayrton era sceso in pista per la gara con l’intento di celebrare lo sfortunato collega sventolando quella bandiera nel giro d’onore della sua 42esima vittoria, che purtroppo non arrivò mai. Nel fine settimana più nero che la Formula 1 ricordi anche uno spaventoso incidente al via, con tifosi feriti da rottami, oltre ad un meccanico colpito ai box dall’incolpevole Alboreto a causa di una ruota persa dalla sua Minardi. La Formula 1 arrivò in stato di shock al successivo Gp di Montecarlo, dove Karl Wendlinger uscì di pista durante le libere rimanendo per un lungo periodo in coma: riuscì a ristabilirsi e tornare a correre, pur senza giungere nuovamente ai livelli di competitività precedenti all’incidente.

Le pillole non finiscono qui, c’è ancora una lunga storia da raccontare, ma è inutile negare che quel primo maggio segnò uno spartiacque, e da quel momento nulla sarebbe più stato come prima.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991