2017 Formula 1 Pirelli Belgian Grand Prix: da marzo a luglio, in attesa di Spa

Finalmente, dopo la lunga pausa estiva, si riaccendono i motori sul circuito più affascinante del calendario di F1, Spa Francorchamps, fra i boschi delle Ardenne. Come sempre accade, alle difficoltà date dalla particolarissima tipologia di tracciato, che somma due tratti molto veloci ad uno estremamente tecnico, è da aggiungere la tipica variabilità del meteo delle colline belga, che sicuramente potrebbe scombinare i piani sia in fase di ricerca dell’assetto ottimale nelle prove libere, che nelle sessioni di qualifica e gara. Si arriva in Belgio dopo undici appuntamenti su venti totali, con un distacco di appena 14 punti fra Vettel ed Hamilton nel Piloti e 39 punti fra Mercedes e Ferrari nel Costruttori. Sicuramente questa tappa non ha il sapore di un crocevia fondamentale per quanto riguarda la classifica dei campionati, ma certamente da un punto di vista tecnico le indicazioni che si possono ricavare fra le pieghe storiche dell’asfalto delle Ardenne sono tante, soprattutto per capire se da qui a fine stagione si confermeranno sulle vetture dei top team certe caratteristiche viste dall’inizio del campionato.

Da Melbourne all’Hungaroring, da fine marzo a fine luglio, la F1 ha vissuto una primavera/estate bollente nella lotta al titolo mondiale. Tralasciamo le polemiche sugli avvicendamenti interni alla Scuderia, sui giochi di squadra di Ferrari e Mercedes, sui rapporti fra team-mate, sui presunti o reali favoritismi della FIA verso Maranello o Brackley, con in mezzo Milton Keynes che potrebbe rivelarsi comunque l’ago della bilancia di questa stagione, inserendosi fra i top in alcune occasioni da qui ad Abu Dhabi. Poniamo invece l’attenzione sull’altalena delle prestazioni vissuta in questi primi undici GP, nella speranza di poter capire cosa ci aspetta nelle prossime gare, salvo ribaltoni tecnici imprevedibili ma comunque possibili nella prima stagione del nuovo regolamento tecnico.

Innanzitutto, come già si era capito dai test, la contesa iridata è stata un tira e molla Ferrari-Mercedes, con la prima forte di una vettura capace di gestire al meglio gli pneumatici nell’arco della gara, la seconda ancora avvantaggiata nella spinta della PU, soprattutto in qualifica, dove la potenza massima sembra tuttora a disposizione per un tempo maggiore sulla Freccia d’Argento rispetto al Cavallino. L’altra forte differenza fra i due top team risiede nell’ormai tanto chiacchierato (e altrettanto mal compreso) passo delle due monoposto.

I tre parametri fondamentali sui quali si gioca questo mondiale, e dai quali ne scaturiscono altri altrettanto importanti, sono quindi i seguenti:

  • PU
  • Interasse
  • Pneumatici

Cerchiamo di analizzare i tre fattori in modo indipendente, anche se difficilmente possibile, in quanto ogni dettaglio di una macchina da corsa influenza inesorabilmente tutti gli altri, quindi una piccola variazione di uno di essi comporta modifiche, seppur indirette, su tutti gli altri. Ovviamente tutto ruota intorno alla tipologia di circuito che le monoposto devono affrontare, nonché ai diversi setup scelti che influenzano non certo in modo secondario il risultato in pista, tanto da poter esaltare, ma anche vanificare, il lavoro fatto “a casa” dal team in preparazione della vettura per la gara.

Power Unit

Sul fronte motore sembra ancora evidente la superiorità Mercedes, seppur non tanto marcata quanto lo era nelle passate stagioni. A conferma di ciò si possono analizzare le prestazioni in qualifica, nelle quali Hamilton e Bottas hanno a disposizione l’extra potenza utilizzabile per soli sei giri nell’arco di tutto il week-end. Nelle fasi del Q3 infatti si notano sempre dei notevoli salti di prestazione della Freccia d’Argento, tanto maggiori quanto più ampia è l’influenza della PU in base alla tipologia di circuito. In particolare sembrerebbe che tuttora la superiorità anglo-tedesca derivi dalla capacità di ricaricare la parte elettrica in modo più efficiente, permettendo così di avere a disposizione per un tempo più prolungato nell’arco del giro la potenza massima. Questa differenza si evidenzia soprattutto nei tratti dei circuiti in cui non si hanno violente frenate, abbinati a lunghi rettilinei che richiedono lo sfruttamento della parte elettrica per un tempo prolungato. In effetti, considerato ciò, è chiara l’origine del gap in qualifica in Bahrain, a Baku ed a Silverstone. La lotta è stata molto più serrata a Melbourne, Shanghai, Sochi e in Austria, tutti tracciati caratterizzati da lunghi rettilinei ma comunque dotati di numerose frenate e curve a medio-bassa velocità, che permettono di ricaricare più facilmente le batterie. Al Red Bull Ring, a dimostrazione della validità della Ferrari nei tratti di curve ad alta velocità, il settore centrale record del Q3 è stato realizzato da Vettel, con più di un decimo di margine su Bottas. Rispetto all’anno scorso è risultato evidente il passo in avanti della Rossa nei tratti veloci, come dimostra la prestazione a Silverstone. Nel settore centrale Raikkonen ha accusato un distacco di soli due decimi da Hamilton, tanto risicato che probabilmente se Vettel fosse riuscito a mettere insieme tutti e tre gli intermedi nel giro conclusivo avrebbe chiuso con un margine inferiore ai tre decimi. Se si valuta la conformazione del circuito inglese, pare chiaro a questo punto che lo svantaggio in qualifica patito dalla Ferrari in quasi tutte le gare della stagione è dovuto alla PU. Il divario maggiore si è avuto tuttavia a Baku, dove gran parte del margine si è costruito nel primo e nel secondo settore, quelli guidati. In questo frangente, con l’analisi delle top speed per settore, sembra che a Maranello abbiano optato per un assetto più scarico, vantaggioso nel tratto finale (solo due decimi di divario fra Hamilton e Vettel, nonostante il motore “fiacco” usato dal tedesco) ma decisamente penalizzante nei primi due settori. L’altro GP in cui la Mercedes ha mostrato netta superiorità è stato il Canada, per la verità solo con Hamilton, che riesce sempre a fare una certa differenza a Montreal. Anche qui, in una pista di motore caratterizzata esclusivamente da tratti stop ‘n’ go, la Ferrari ha mostrato il miglior comportamento nel settore che dovrebbe in realtà essere appannaggio del team inglese, il terzo. Dall’osservazione delle velocità di punta nei tre settori e della speed trap, al rilevamento prima della chicane finale, pare chiaro che anche in questo caso il Cavallino abbia adottato un assetto leggermente più scarico, probabilmente anche in ottica sorpassi. Probabilmente proprio le situazioni che si sono create in gara in Canada ed a Baku, riflettono bene la situazione PU: a Montreal abbiamo assistito alla rimonta di Vettel, con un passo decisamente superiore a tutti gli altri, tranne probabilmente i due Mercedes; nonostante ciò ci sono state diverse situazioni in cui il sorpasso non è stato assolutamente semplice, specialmente nella rincorsa alle due Force India. Certamente in quel caso il trenino che si era formato con Ricciardo non ha aiutato, annullando il vantaggio del DRS, ma sicuramente le due monoposto rosa hanno dimostrato un comportamento migliore della Ferrari sui lunghi rettilinei, nonostante l’ottima trazione di cui disponeva la Rossa in uscita dal tornantino del Casinò. D’altra parte in Azerbaijan si è verificata la situazione opposta, con Vettel che, specialmente in fase di ripartenza dalle neutralizzazioni con SC, faticava tantissimo a tenere la coda di Hamilton per provare quantomeno ad impensierirlo, mentre i motorizzati Mercedes dietro di lui, pur senza DRS, riuscivano a sfruttare ottimamente il vantaggio della scia, obbligando il tedesco ad azioni di difesa molto complicate. Anche nella fase finale di gara, nonostante Vettel tenesse a distanza Hamilton a fine del secondo settore, alla prima curva i due si sono ritrovati diverse volte molto vicini, situazione appunto mai verificatasi nelle prime fasi di gara, quando era la SF70-H numero 5 a seguire la W08-Hybrid numero 44.

In conclusione, sembra che da un punto di vista motoristico, specialmente per quanto riguarda l’MGU-H, a Brackley abbiano ancora un certo vantaggio da gestire, che permette di sfruttare la potenza massima su un tempo maggiore lungo il giro di pista, con notevoli guadagni specialmente nei lunghi rettilinei, nei quali anche nella parte finale la spinta del motore elettrico non manca. Questa caratteristica permette non solo di avere velocità di punta migliori, ma anche di poterle ottenere con assetti più carichi, ottenendo così benefici nei tratti guidati.

Interasse

Su questo aspetto della monoposto è stato detto di tutto. In un precedente articolo del Bring (http://nordschleife1976.com/analisi-on-board-gp-spagna-in-vista-di-monte-carlo/) avevamo già detto, come sostenuto peraltro da diverse persone competenti in materia, che la questione passo lungo-passo corto non influenza, da sola, le prestazioni dei due top team. Le prove del mondiale che si sono succedute fino ad ora confermano nettamente questa idea. Prendiamo Monte Carlo e Budapest: due circuiti con curve strette, basse velocità e ripetute accelerazioni; qui la teoria del vantaggio del passo corto viene ampiamente confermata, con due doppiette Ferrari, nonostante anche il problema allo sterzo di Vettel. Consideriamo ora Montreal e Baku, ma anche Melbourne o il Red Bull Ring: qui il presunto vantaggio del passo corto viene decisamente annullato, fra l’altro proprio nei settori dove avrebbe dovuto essere determinante avere una vettura più agile, cioè il primo tratto del Red Bull Ring, i primi due del Canada e di Baku, il primo di Melbourne, dove si hanno tutte curve a velocità non troppo elevate, con raggi di curvatura ridotti. Effettivamente, dal momento che la differenza di interasse in oggetto non è quella che si ha fra un autotreno ed una utilitaria, ha anche poco senso parlare di maggiore agilità di una vettura a passo corto rispetto ad una a passo lungo. Per essere precisi, la legge che lega l’angolo di sterzo con l’interasse del veicolo, il raggio della curva e la velocità di percorrenza è la seguente:

  • R= raggio di curvatura
  • δ= angolo di sterzo
  • l= interasse
  • V= velocità di percorrenza
  • K=, coefficiente di sottosterzo, con m massa del veicolo, b semi passo posteriore, a semi passo anteriore, rigidezza di deriva anteriore, rigidezza di deriva posteriore. Per K>0 il veicolo è sottosterzante, per K=0 ha un comportamento neutro (il più desiderabile in una macchina da corsa), per K<0 si ha sovrasterzo.

Come si vede dall’equazione, data una certa curva con raggio fissato e data la velocità del veicolo, al crescere dell’interasse aumenta l’angolo di sterzo necessario a percorrere la curva (considerando K costante). Ne segue che l’influenza del passo ricade sull’azione del pilota sul volante, ipotizzando ovviamente che i due veicoli con diverso interasse siano identici negli altri aspetti dinamici, cioè abbiano lo stesso coefficiente di sottosterzo. Ragioniamo allora su K: come si vede dalla definizione, dipende dalle rigidezze di deriva dei due assi, le quali sono funzione delle rigidezze fisiche delle sospensioni, ma anche di parametri geometrici come l’altezza del centro di rollio, o altri parametri d’assetto come il camber e la ripartizione del carico aerodinamico fra anteriore e posteriore. Tralasciando questi aspetti, non certo perché non siano determinanti, e concentrandosi semplicemente sui parametri geometrici a e b, si vede che K può variare notevolmente non solo in dipendenza dal passo e dalle rigidezze di deriva, ma anche dalla posizione del centro di massa del veicolo lungo l’asse longitudinale. In pratica, pur a parità di interasse, , , massa del veicolo, si può avere un diverso angolo di sterzo richiesto, su una stessa curva alla stessa velocità, per due veicoli che abbiano il centro di massa collocato diversamente fra asse anteriore e posteriore.

Sembra quindi chiaro che tutta l’attenzione che è stata posta sulla questione della differenza di passo fra la SF70-H e la W08 Hybrid, riguardo l’agilità su certi circuiti, non è giustificata, a meno di conoscere gli assetti prediletti dai piloti e tutti i parametri geometrici delle due vetture.

L’altro aspetto che invece è caratterizzato dalla diversa filosofia di progettazione del team Mercedes rispetto alla Scuderia, è il carico aerodinamico sviluppabile dal corpo vettura. Certamente a Brackley dispongono di una superficie “bagnata” maggiore di quella su cui possono lavorare a Maranello; questo comporta sicuramente la capacità di sviluppare più carico aerodinamico, ma anche di pagare meno tale incremento in termini di resistenza all’avanzamento. Una superficie più ampia infatti permette di avere flussi più puliti, con minore generazione di scia, per cui in Mercedes possono permettersi, a parità di carico aerodinamico, di mantenere le ali leggermente più scariche rispetto alla Ferrari. Questa caratteristica sembra essere stata evidenziata maggiormente a Silverstone, terreno di caccia perfetto per la W08-Hybrid, a proprio agio nel tratto da Luffield a Becketts grazie al carico generato dal corpo vettura, ma allo stesso tempo rapidissima sull’Hangar Straight e sui rettilinei della parte nuova del tracciato, grazie al minore drag.

In conclusione, la superiorità Ferrari in circuiti come Monte Carlo o l’Hungaroring non risiede tanto nel passo della SF70-H, quanto nelle maggiori capacità di trazione, su determinati asfalti e con determinate coperture e temperature ambientali. In un campionato così tirato, ogni minimo dettaglio può fare una grossa differenza ed è sempre opportuno considerare l’interezza del pacchetto a disposizione dei piloti prima di provare a tirare le somme.  Come ultima prova, riprendiamo in considerazione il settore centrale del Red Bull Ring, dove in qualifica è stato Vettel a stampare il tempo migliore, nonostante fosse il tratto con le curve più ampie di tutto il circuito, che avrebbero dovuto sfavorire la “corta” Ferrari.

Pneumatici

L’altro parametro di interesse per il mondiale sono gli pneumatici. Come è noto, far lavorare bene le gomme durante qualifica e gara è il target ricercato dagli ingegneri e dai piloti, quindi in definitiva tutto il lavoro di progettazione, sviluppo e set up ruota intorno al prodotto fornito dalla Pirelli.

Innanzitutto è da notare che nella maggior parte dei casi le mescole scelte dal fornitore sono state il trittico M-S-SS, con i team che, salvo rare eccezioni, hanno deciso di utilizzare maggiormente le due tipologie più morbide. Indipendentemente dalle scelte del fornitore italiano, si è potuto osservare un certo trend di sviluppo delle prestazioni, sia in casa Ferrari che in Mercedes. Per quest’ultima è chiaro che dopo il GP di Monaco ci sia stato un notevole salto in avanti nella comprensione e nello sfruttamento ottimale degli pneumatici, in qualsiasi condizione di asfalto e di temperatura. A partire da inizio giugno quindi il vantaggio della Ferrari su questo fondamentale aspetto della performance si è assottigliato ed in alcuni casi, come Silverstone, addirittura annullato, per diventare un punto di forza di Brackley. Da Melbourne a Monte Carlo si era palesata una certa difficoltà della W08 Hybrid nel far lavorare correttamente le gomme in circuiti con asfalto poco abrasivo, oppure con mescole high working range e temperature non troppo elevate, che, come visto nell’articolo già precedentemente citato, è una condizione equivalente alla precedente. Non è un caso che a Melbourne Vettel avesse un passo decisamente superiore rispetto ad Hamilton, oppure che a Sochi per tutto il fine settimana l’inglese non abbia capito come far lavorare gli pneumatici senza strapparli in gara, mostrando così un passo poco competitivo. Proprio a Sochi anche Bottas ha avuto gli stessi problemi, tanto da essere costretto ad alzare notevolmente i tempi sul giro nella seconda parte di gara, a causa del graining. Specialmente su circuiti con asfalto a bassa rugosità, la Mercedes ha sofferto con la mescola più dura fra le due usate in gara (SS in molti casi), mentre con le più morbide ha avuto sempre un ottimo comportamento (oltre a Sochi si può prendere a riferimento il GP d’Australia), senza sofferenza neppure nei tracciati più ostici, come Barcellona, dove lo stint finale su S di Hamilton ha dimostrato ottimo adattamento della vettura a certe condizioni di funzionamento. Dopo il GP nel Principato si è avuta appunto un’inversione di tendenza, con le prestazioni a Montreal, Baku e Silverstone soprattutto. Qualche problema è stato accusato dai piloti Mercedes in Austria e in Ungheria, con la fase finale di gara del Red Bull Ring che è stata la fotocopia di Sochi, mentre a Budapest la Ferrari era nettamente superiore ed è stata insidiata solo per il già citato problema allo sterzo di Vettel. Proprio il GP d’Austria potrebbe essere un leggero campanello d’allarme per le Frecce d’Argento, in quanto è sembrato appunto che si siano ripresentate le stesse difficoltà che si erano osservate ad aprile, con gomma SS su asfalto poco abrasivo.

Al contrario, a Maranello hanno realizzato una vettura che già dai primi test “capiva” le Pirelli, riusciva a centrare perfettamente e con facilità la ormai famosa finestra di funzionamento ideale, con tutti i tipi di mescola. Questo sarà sicuramente un punto di forza per tutta la stagione, visto che l’unico appuntamento in cui la SF70-H ha sofferto davvero è stato Silverstone, mentre in tutti gli altri, indipendentemente dai risultati, il lavoro di comprensione ed adattamento della vettura agli pneumatici è stato svolto con relativa facilità e sempre con ottimi risultati.

In prospettiva, si dovranno fare i conti con le mescole scelte per le prossime gare e con le pressioni imposte dalla Pirelli, elementi sui quali i team dovranno lavorare per ottenere il miglior adattamento alla tipologia di circuito e relativo asfalto, ma anche alla temperatura della pista. Proprio la scelta dei PSI minimi sarà sicuramente terreno di lotta politica fra i team di vertice, in quanto è ormai chiaro che la SF70-H preferisce pressioni di esercizio più basse rispetto ai rivali, come emerso con la polemica nel week-end del GP di Spagna. Il tema gonfiaggio è decisamente complesso da affrontare, perché è vero che generalmente si cerca di lavorare con una minore quantità d’aria possibile all’interno della gomma, ma è anche indubbio che lo pneumatico sia esso stesso un sistema massa-molla-smorzatore, cioè in pratica un elemento che svolge anche lo stesso lavoro delle sospensioni; in particolare su una vettura di tipo formula lo scuotimento di questo elemento è circa dieci volte superiore rispetto a quello del sistema sospensivo vero e proprio, con la conseguenza che le sollecitazioni provenienti dall’asfalto si scaricano per prime, ed in grande parte, proprio sullo pneumatico, riducendo la sospensione ad un elemento accessorio e di supporto ad esso. Il cambiamento, all’interno del fine settimana, delle pressioni minime imposte, può provocare grossi scossoni nelle prestazioni delle monoposto; potrebbe infatti rilevarsi necessaria una regolazione non solo delle rigidezze, ma in alcuni casi anche delle caratteristiche di smorzamento della sospensione, operazione tutt’altro che facile da realizzare sul campo di gara.

Conclusioni

Le domande che attendono quindi una risposta a Spa sono molteplici, nonostante alcune caratteristiche peculiari dei due top team. Sicuramente la Mercedes avrà un vantaggio consistente nell’allungo dalla Source a Les Combes, con in mezzo la mitica Eau Rouge-Raidillon, dovuto alla consistenza della propria PU, così come da Stavelot alla nuova Bus Stop. Ci si può quindi ragionevolmente aspettare un primo e terzo settore vantaggioso per la Freccia d’Argento, pur con la necessità di non sottovalutare le due zone da trazione, l’uscita dalla prima e dall’ultima curva, che possono essere un punto di forza della Rossa. Queste considerazioni sono tutte da pesare poi sugli assetti delle vetture, visto che chi sceglie un setup più scarico, per privilegiare i tratti veloci, può sopperire alle mancanze di motore ma soffrire poi inesorabilmente nell’intermedio centrale, dove il carico aerodinamico è fondamentale. Proprio in considerazione di questo aspetto, si potrebbe pensare che in Mercedes potranno permettersi di lavorare con delle ali più scariche, grazie al maggior effetto del corpo vettura. Per quanto visto da inizio stagione il Belgio dovrebbe essere un appuntamento sfavorevole al Cavallino, proprio per le caratteristiche tecniche dei rivali, che potranno permettersi maggiori velocità di punta con downforce maggiore, sia per l’effetto dato dal corpo vettura che per la spinta della PU. Non è però da trascurare la presenza delle tre mescole più morbide della gamma fornibile da Pirelli, con il trittico US, SS, S, che potrebbe risultare un vantaggio notevole per la Ferrari, soprattutto da un punto di vista della gestione della gomma SS in gara. Si potrebbero verificare situazioni come quelle viste in Russia ed Austria, anche se le caratteristiche di Spa-Francorchamps e le temperature previste non sono le stesse dei due circuiti citati. A Maranello dovranno però fare attenzione a non lavorare con assetti troppo spinti su un tracciato molto esigente sulle coperture, come avvenuto a Silverstone, per evitare di sprecare numerosi punti che potrebbero rivelarsi fondamentali nella lotta al titolo. Da questo punto di vista sembra però che il fornitore italiano si sia voluto tutelare, imponendo pressioni di gonfiaggio abbastanza elevate per ridurre la possibilità di avere deformazioni eccessive in condizioni di funzionamento, in particolare nella zona di Eau Rouge, che sollecita doppiamente gli pneumatici, in compressione/estensione ed in sforzo laterale, generando le ormai famose e pericolosissime standing waves.

E’ certo che Spa fornirà delle ottime indicazioni per il resto del campionato, sia per la conformazione del circuito, sia perché si potrà valutare il lavoro svolto dai team nella pausa estiva. Gli orari sono quelli classici dei Gran Premi europei, l’attesa è alta per la ripresa della lotta più appassionante della F1 ibrida. Insomma i presupposti per un bel fine settimana ci sono tutti, buon GP del Belgio a tutti i Ringers!

 

L’insostenibile leggerezza delle gerarchie porpora

Gli anni de Il Maestro e dei discepoli
Per Enzo Ferrari non ci possono essere compromessi.
Lui è stato un pilota anche se dalle fortune alterne ma sa benissimo che cosa passa per la testa di chi sta correndo al massimo consentito dal mezzo che conduce.
E sa meglio di chiunque altro che il primo dei tuoi avversari è proprio il pilota che condivide la tua stessa vettura.
La sua regola d’oro è che non ci siano prime o seconde guide per contratto e arriva a mostrare a Musso le schede di coppia dei suoi propulsori a Reims nel 1957 di fronte ai sospetti del romano che il Drake favorisse Hawthorn.
Niente è stabilito finché un pilota non ha concrete possibilità di vittoria finale.
Niente viene detto a Collins a Silverstone nel 1958 quando Peter soffia una vittoria fondamentale in ottica mondiale per Mike.
Niente ordini a Monza nel 1956 quando Castellotti e Musso impegnati in una folle sfida letteralmente stracciano gli pneumatici per primeggiare l’uno sull’altro.
L’equilibrio si rompe clamorosamente solo con Fangio che ottiene uno stipendio fisso di un milione di Lire al mese (che all’epoca erano fior fiore di quattrini) più i premi accessori e il ruolo di primadonna nella scuderia.
Pare anzi che alla base del mancato rinnovo de Il Maestro con Ferrari nel 1957 ci fosse proprio lo status economico e privilegiato che il commendatore non voleva ripetere.
A Ferrari questo costerà il mondiale piloti del 1957.
A Maserati, che lo strappa da Maranello, probabilmente il futuro in F1.
Ma questa è un’altra storia.
Negli albori della Formula 1 in Ferrari i piloti guadagnano in base agli ingaggi che il Drake ottiene per la partecipazione delle sue monoposto ai vari Gran Premi.
Da un milione di Lire a monoposto, fino a due nei Gran Premi più prestigiosi.
Ai piloti va il cinquanta percento dell’ingaggio e altrettanto dei premi vinti in base alla classifica di arrivo.
Niente è fisso.
O garantito.
Questo ha un ben preciso impatto su eventuali ordini di scuderia.
Chiedere ad un pilota di rinunciare ad una posizione in gara a favore di un suo collega non significa solo chiedergli di ingoiare il suo orgoglio.
Significa chiedergli di rinunciare in prima persona a degli introiti.
Il 1958 vede una sfida serrata fra Hawthorn e Moss e alla gara decisiva in Marocco a Phil Hill viene ufficialmente chiesto di non intralciare il leader ferrarista.
Allo Statunitense viene garantito il contratto per la stagione 1959 in cambio e, di fatto, cede la posizione all’Inglese che, con la seconda piazza guadagnata sul circuito di Ain Diab, diventa campione del mondo.
Hill riceverà aiuto solo tre anni dopo da parte di von Trips con la garanzia di non intralciarlo.
Nonostante il Tedesco fosse in piena lotta per il titolo mondiale.
Nel 1964 Surtees riceve un insperato aiuto da Bandini nella sua lotta testa a testa con Graham Hill.
Interventi spesso spontanei da parte dei protagonisti stessi.
Più dettati da una forma di cavalleria o di attaccamento alla Scuderia che vere e proprie prese di posizione della direzione sportiva in gara.
La Scuderia interviene solo quando un pilota ha apertamente possibilità di vittoria; niente ad eccezione del 1956 con Fangio, è stabilito a tavolino o a priori.

I piloti come dipendenti
Un cambio di passo si registra con l’introduzione dei contratti stagionali e con la modifica dello status del pilota.
Non più imprenditore delle proprie fortune in base alle posizioni che egli riesce a guadagnare in pista ma vero e proprio dipendente e meccanismo inserito nell’organigramma aziendale.
Una risorsa a disposizione dell’azienda come può essere un ingegnere addetto alla progettazione dei propulsori o un tecnico che cura la tenuta e la pressione degli pneumatici.
Sono gli anni settanta e ottanta.
Ma anche in questo periodo il cavaliere è refrattario a imporre un ben chiaro indirizzo nella corsa al titolo a priori.
Anche se non perde il vizio di instillare fra di essi una serpeggiante competizione, spesso lasciata distrattamente cadere nel bel mezzo delle discussioni come ama fare da sempre.
Con l’unica eccezione di Jody Scheckter e Gilles Villeneuve anche se in questo caso il carattere e lo stretto rapporto che si instaura fra i due alfieri (rapporto che ricorda moltissimo quello di cameratismo fraterno fra Peter Collins e Mike Hawthorn) gioca un ruolo ben più preponderante che non i desiderata di Enzo Ferrari.
Anzi proprio l’ostinata mancanza di ruoli ben definiti (insieme probabilmente al più colossale caso di malcomprensione della storia della Formula 1) pare sia alla base dell’ennesima tragedia che colpisce Maranello nel 1982.
Il materiale fornito ai propri alfieri è sempre il meglio di quanto Maranello sia in grado di sfornare e quando un pilota ha doti di lucidità ingegneristica assolute, come capita quando il cavaliere  mette sotto contratto Niki Lauda, le indicazioni di sviluppo vengono condivise sulle monoposto rosse in egual misura.
In questi anni i piloti diventano progressivamente asset aziendali e questa trasformazione non riguarda la sola Maranello.
E’ un cambiamento di passo almeno altrettanto grande dell’avvento delle sponsorizzazioni e della visibilità globale che la massima serie acquisisce progressivamente.

L’arrivo de Le Petit Empereur
La Ferrari a metà degli anni novanta è una squadra allo sbando sia tecnico che gestionale.
Quello che le serve disperatamente è qualcuno con la stessa feroce autorità del cavaliera da poco scomparso, e l’uomo della provvidenza arriva sotto forma di un team principal dal DNA vincente.
Con Jean Todt arriva anche una concezione della squadra ben differente da quanto mostrato negli anni precedenti.
Con Todt arriva la razionalizzazione totale delle risorse e con essa ruoli ben definiti fra chi è deputato a vincere e chi lo deve supportare.
Fra chi ha i materiali migliori e chi no.
E quando, per coincidenze che solo il fato beffardo riesce a mettere in fila, la prima guida si ritrova fuori dai giochi, l’impressione che Maranello mostra al mondo è quella di una squadra che piuttosto che vincere con il brutto anatroccolo, preferisce perdere.
Questo accade nel 1999 quando l’anatroccolo è fortunato, fortunatissimo; ma talmente brutto che ci deve pensare Benuzzi nei test privati a dirgli, alla vigilia del Gran Premio di Monza, che il telaio con cui ha corso le ultime tre gare è incrinato e ha perso rigidità.
Ovviamente a moltissimi questo particolare, come la gomma mancante al Ring e il mancato montaggio del nuovo estrattore a Suzuka, sono la prova provata che Ferrari ordisce una trama contro il suo stesso pilota.
A poco serve la gara malese in cui il brutto anatroccolo viene trascinato per la zampa fino alla insperata vittoria.
Questa impressione non abbandonerà mai del tutto moltissimi suoi tifosi, sempre più spesso inclini a scambiare la mancanza di competitività di un pilota in rosso con scenari di boicottaggio masochistico.
Le scelte di privilegiare Schumacher in Austria sia nel 2001 che nel 2002 ben prima che i giochi del campionato lo rendano necessario sarà la conferma che l’impostazione di feroce competizione tanto cara al Drake è ormai un pezzo del passato.
Remoto.
Il muletto preparato e costantemente a disposizione della prima guida stride con l’assegnamento alternato che ne fanno in altri lidi.
E le gare spettacolari che i brutti anatroccoli di turno finiscono per mettere in pista le pochissime volte che il muletto designato per l’eletto finisce tra le loro zampe palmate, aumentano a dismisura il sospetto che nemmeno il materiale messo a disposizione dei piloti sia identico ma di serie A o di serie B, alla bisogna.
Con l’unica eccezione del biennio 2007/2008 in cui il team dà la netta impressione di una sfida aperta fra Massa e Raikkonen (perlomeno fino alla scadenza di Monza) Maranello, anche dopo la dipartita di Todt, ne rimarrà fedele all’impostazione di base, che vede un titolare designato ed uno scudiero a cui delegare esperimenti spesso grotteschi ma senza velleità di vittoria finale.
Lo stesso scenario sarà la colonna sonora portante degli anni in rosso di Alonso nel passato prossimo e di Vettel nel presente.
Ad oggi, senza però l’autorità (e i fondi illimitati) di Todt, nessuno dei designati a tavolino è riuscito a riportare l’iride a Maranello.

Non sequitur
Il ruolo dei piloti odierni è una pallida eco di ciò che poteva essere negli esordi della Scuderia nel mondo delle competizioni.
I piloti sono a tutti gli effetti dipendenti delle scuderie.
Da esse stipendiati; dalle stesse garantiti.
Nessuno di loro paga in prima persona i meccanici come poteva fare un Musso con le sue ambiziose prebende girate ai meccanici per garantirsene i migliori servigi.
Nessuno baratta in prima persona i propri benefit aziendali seduto al tavolo col Vecchio; o deve scontare con il purgatorio della Formula 2 una frizione fatta saltare alla 24 Ore di Le Mans come Collins.
Nessuno di loro si vede appiedato a metà stagione senza apparente motivo.
O, obtorto collo, obbligato a correre in Formule minori, e spesso molto più pericolose, per guadagnare sul campo i galloni per poter avere a disposizione una monoposto per il Gran Premio successivo.
Se da un lato il contratto rigido garantisce ai piloti la costante partecipazione ai Gran Premi (in passato non era così scontato) dall’altro ha loro tolto il diritto di esercitare quel legittimo egoismo che potevano avere i loro colleghi nel passato. Oggi i piloti non devono più sostenere a loro spese onerose trasferte o vedere la “loro” vettura assegnata d’ufficio ad un pilota che in un determinato gran Premio abbia migliori chances.
Oggi i piloti sono operai specializzati che si recano in linea di montaggio.
Ma al contrario degli operai, il loro lavoro è decisamente meno pericoloso e meno irto di insidie.
L’altro lato della medaglia è la minore autonomia che essi possono esercitare nei confronti di chi ne garantisce la ovattata partecipazione alla competizione stessa.
Chi rinfaccia alla Ferrari di non aver avuto il coraggio di far competere i suoi piloti all’ultimo sangue semplicemente dimentica une enorme fetta della storia della Scuderia.
Storia in cui, sull’altare della competizione feroce e senza esclusione di colpi, si sono consumate tragedie initerrotte.
Chi ne critica l’atteggiamento odierno dimentica come i piloti abbiano smesso il loro ruolo.
E lo abbiano fatto da tempo.
Avendone indubbi privilegi.
Privilegi che, come spesso accade nel giudizio storico, andrebbero soppesati con il fiele di vedere il proprio idolo trattato alla stregua di un impiegato qualsiasi.
Perché oggi, che piaccia o meno, di questo, fatte le dovute tare, si tratta.

 

GRAZIE DESMODOVI, CHE VITTORIA FANTASTICA CONTRO MARQUEZ!

Ci sono quei giorni, in cui il motorsport ti regala qualcosa, che entrerà negli annali dei duelli più belli di sempre e ieri a Zeltweg, DOVIZIOSO e MARQUEZ, hanno impresso nella memoria degli appassionati, una battaglia di quelle che non si potranno mai dimenticare.

Quando due piloti, non mollano mai per tutta la gara, cercando ognuno di mettere il muso della propria moto davanti a quella del rivale, nella speranza di passarlo e andargli via, ritrovandosi poi poche curve dopo, nuovamente dietro, non può che trasformarsi in una di quelle gare, di cui si parlerà per sempre.

Nessuno dei due ne aveva per andare via all’altro, Dovi riusciva ad avere un pò di vantaggio nelle staccate pesanti e nello sfruttare la trazione della sua Ducati, mentre Marquez, aveva il vantaggio della guida perfetta nei tratto guidato da curva 3, fino al cambio di direzione della S, che eseguiva in maniera magistrale!!!

é stato qualcosa di magico vederli arrivare più volte appaiati in staccata, con le carene a pochi cm una dall’altra, a sfruttare ogni minima esitazione del rivale, a cercare di infilarsi dentro e riuscirci. Un numero talmente elevato di sorpassi e contro sorpassi, che a narrarli tutti, si scriverebbe un’enciclopedia.

Ci porvo però narrando un paio di momenti favolosi, come il momento in cui Marquez ha provato ad arrivare in curva 2, sfruttando la scia fino all’ultimo, rischiando quasi a prendersi dentro con il Dovi, scartato di brutto, arriva quel filo lungo, Dovi incrocia la traiettoria e i due spalancano tutto, correndo appaiati fino a curva 3. Staccatona da panico, con il Dovi che fa girare un pò largo Marc e l’Italiano passa davanti. Sui prati si alza un tifo incredibile!!!!

Passa un giro e Marquez decide di ripassare il Dovi poco prima della S, con una delle sue pennellate strepitose, altro boato del pubblico. Ma un Dovi mai domo, non ci sta e in uscita si rimette davanti,approfittando di un leggero largo dello spagnolo.

L’ultimo giro pare non finire mai, non sai chi dei due sfrutterà l’incertezza dell’altro, sono li vicini, Dovi guadagna quel paio di metri che lo mette al sicuro nel misto, mancano solo due curve, tensione a mille, Marquez prova a passare in esterno, staccando tardissimo. Dovi, per coprirsi, allarga e perde un pò il punto di staccata, MM93 lo intuisce, prende e si lancia all’interno, ad una velocità pazzesca, staccando lunghissimo, i due si incrociano e quasi si prendono dentro, ma un Dovi lucidissimo, lascia sfilare largo Marquez, spalanca il gas, manda a fanciapet lo Spagnolo e va a VINCERE!!!!

Diamine, urla a profusione, ancora adesso mi viene la pelle d’oca e il battito cardiaco a mille. Che duello! Che gara! Che Dovizioso!

Dovrei parlavi anche della gara degli altri, della moto2 o della moto3, ma io trovo giusto lasciare questa pagina a questi due ragazzi, che hanno fatto qualcosa di incredibile!

TUTTI IN PIEDI SUL DIVANO, PER DOVIZIOSO E MARQUEZ!!!

ps. ieri rientrando a casa, in un distributore vicino a Villach, mi trovo niente di meno che Dall’Igna, mi avvicino a lui e gli faccio “scusi, posso farle i complimenti per la gara di oggi?” lui si gira, mentre gli rideva anche il culo e mi fa: “Grazie ragazzi!” e ci abbraccia. Grandissimo!!!

Saluti

DAVIDE_#CHEGARA!_QV

MOTOGP 2017 – NERO GIARDINI MOTORRAD GRAND PRIX VON ÖSTERREICH

Siamo qui, ferragosto eè vicino e siam qui, un mondiale stra aperto, talmente avvincente, da farci sognare con i tanti hp. E poi c’è, c’è quel solito Marquez che c’è, che è talmente distante, talmente vincente, che ti fa pensare che sia quel che sia, ombre dure, adatte all’ora e il motomondiale intanto vaaaa…

Opssss, mi è scappata l’intro Liga style.

Ma torniamo seri, Austria, circuito inserito in un contesto favoloso, circondato da montagne e tratti pianeggianti. Il verde domina, con molte foreste, zeppe di mille attività fisiche da svolgere, tutto organizzato splendidamente da Red Bull, in perfetto loro stile. Una zona da visitare almeno una volta.

Ah si, poi c’è il circuito, dove tutto è organizzato alla perfezione, dove i bagni non ti fanno aver paura di andarci, dove ti rapinano con il prezzo di un hot dog a 6 euro, ma ti rinfrescano con la ottima birra da 1/2 a 4 euro, da scolarsela su un prato, che pare quello di casa propria. Ora basta, che pare che son stato assunto da Red Bull, per fare pubblicità, ma è talmente bello, con il biglietto circolare che ti permette di vedere 3/4 di pista, oltre ad avere i mega schermi per essere sempre aggiornato di cosa accade, ti mette proprio voglia di salire a vedere la gara.

Ok, la gara, dove lo scorso anno si  assistito alla doppietta Ducati, con le due Yamaha che sono arrivate molto vicine alle rosse. Anche sto anno, il favore del pronostico è tutto per la casa di Borgo Panigale, con un Lorenzo, che dalle sue parole, pare essersi ritrovato, dopo l’introduzione delle alette (con premio per la moto più brutta di sempre ndr.) , mentre Dovi mantiene la sua buona costanza prestazionale.

Nei test avvenuti subito dopo la gara a Brno, si sono viste comparire le ali anche sulle carene della M1 (definite identiche a quelle di goldrake), con Vale e Mav che paiono essersi trovati molto bene, tanto da stampare tempi molto veloci, con un Rossi incredibilmente primo in un test del lunedì. (si, sono solo test, i tempi dicono quel che dicono e bla bla bla)

Honda non ha portato nulla di rivoluzionario, ma tanto si ritrova con un Marquez, quanto mai rinfrancato e convinto di se stesso, che riesce a sopperire come sempre a qualche mancanza della moto, sfruttando la sua classe e talento nella guida.

In casa Suzuki continua il pessimo rapporto con Iannone, che oltre a non ottenere risultati, si permette di attaccare il team per le gomme che gli hanno montato. Lamentandosi del giro di qualifica con una gomma vecchia anteriore, o del fatto che la sua moto, al flag to flag ,avesse ancora una rain montata al posteriore. Diciamo che ogni tanto potrebbe anche mordersi la lingua.

Aprilia continua i suoi progressi, con un motore che è ormai a livello degli altri, ed ora introduce anche un nuovo forcellone, alla continua ricerca della prestazione.

Ktm gioca in casa, tuttavia c’è ancora molta strada da fare per lei, nella massima serie, così come in Moto3, dove pare chiederanno aiuto a Kent per capire dove si sia persa la bussola, nella prestazioni.

Il meteo mette brutto per il venerdì, e temperature di 18-20 gradi per prove e gara. Michelin dalla sua poterà un posteriore asimmetrico, per garantire un grip omogeneo sui due lati, vista la predominanza di 10 curve a destra e solo 3 a sinistra.

Ora vado a comprare la vignetta per l’autostrada Austriaca, partenza con il minimo di carburante, per varcare il confine e rifornire il gasolio a poco più di un euro, oltre ad aver messo in portafoglio, i soldi per più di qualche birra.

Saluti

Davide_#redbullringsecondacasa_QV

F1 in pillole – Capitolo 5

Le pillole di Formula 1 del Blog del Ring oggi viaggiano tra il 1980 e il 1983, periodo di grandi battaglie tra i “Boss” dei gran premi in un’era in cui la Formula 1 cambiò pelle, passando progressivamente verso i motori turbo che pochi anni prima vennero accolti con diffidenza, soprattutto dai team inglesi, ora scatenati alla ricerca di un propulsore adatto per tentare di vincere. Non mancarono le tragedie i drammi sportivi che purtroppo caratterizzavano la Formula 1 di quegli anni, oltre a storie ed aneddoti di piccoli team e piloti allo sbaraglio, il tutto unito da un unico grande comune denominatore: la passione per la F1.

Non è un Gran Premio per giovani

Alla fine del 1980, dopo un vano tentativo con la Arrows a Zandvoort, Mike Thackwell venne iscritto a Montreal con una terza vettura schierata dalla Tyrrell riuscendo ad entrare in griglia, anche se la sua gara terminò alla partenza: venne infatti coinvolto dalla carambola innescata da un contatto tra Jones e Piquet così come il compagno di team Jarier, per il quale venne riservato l’unico muletto e quindi la possibilità di schierarsi per il nuovo start. Il neozelandese stabilì in ogni caso il record di pilota più giovane al via, avendo all’epoca 19 anni e 182 giorni, primato battuto da Jaime Alguersuari in occasione del gp d’Ungheria del 2009.

Start in the Usa

Una volta finito il lungo inverno di polemiche tra la Fisa e la Foca, il calendario 1981 venne modificato e per la prima volta nella storia della Formula 1 la stagione si aprì negli Usa. Riccardo Patrese conquistò la prima pole position in carriera (unica per la Arrows) al termine di un avvincente duello a suon di giri veloci con Alan Jones, diventando il sessantesimo pilota nella storia a partire al palo, mentre per l’Italia era la seconda pole di fila dopo quella di Giacomelli nella prova conclusiva del 1980, sempre negli Usa, a Watkins Glen. Il padovano condusse fino al 25esimo giro quandò lasciò passare Reutemann, rientrando mestamente ai box per un malfunzionamento della vettura, ebbe poi modo di rifarsi arrivando terzo a Jacarepagua e secondo a Imola.

A lezione dal Professor Stohr

La Arrows si vide negare da parte della Michelin l’impegno di fornire  le gomme migliori, per il Gp d’Inghilterra  il team optò allora per gli pneumatici Pirelli, con cui Riccardo Patrese ottenne il record sul giro in un test organizzato a Donington Park pochi giorni prima del Gran Premio. Siegfried Stohr poteva sperare nel primo piazzamento stagionale dopo alcune gare sfortunate, ma la sua gara non durò nemmeno in giro; successivamente venne poi allontanato dal team per far posto a Jacques Villeneuve Sr,  pare che uno dei motivi fosse la partecipazione non gradita al team allo sciopero dei piloti avvenuto prima del Gp del Belgio. Laureato in psicologia, dopo le corse si è distinto per aver scritto libri e collaborato con numerose testate, oltre ad aver avviato una scuola di guida sicura di grande rilevanza internazionale.

Ats a ritmo di musica

Prima di dedicarsi alle auto Slim Borgudd era uno stimato musicista e quando a 35 anni, dopo alcune esperienze nelle formule minori, riuscì a debuttare in Formula 1, sulla sua Ats era ben visibile la scritta ABBA, gruppo musicale svedese con cui Borgudd aveva collaborato. Dopo un tredicesimo posto al debutto mancò per quattro volte la qualificazione, mentre a Silverstone giunse sesto al traguardo e colse l’unico punto in carriera; abbandonata la Formula 1 a metà della stagione successiva, ebbe modo di dedicarsi ad altre competizioni, diventando per tre volte campione europeo Truck Racing.

Senza esclusione di colpi

Il Cile è stato rappresentato in Formula 1 dal solo Eliseo Salazar, pilota che fece il suo debutto nel 1981 e dopo un deludente inizio con la March (in cui riuscì a qualificarsi in un solo Gp), passò alla Ensign, cogliendo a Zandvoort l’ultimo punto nella storia del team, che a fine anno vendette il materiale alla Theodore. Nel 1982 Salazar si trasferì all’Ats e ottenne il suo ultimo piazzamento a punti nel noto Gp di Imola con sole 13 vetture al via, poi divenne celebre per una “scazzottata” con Nelson Piquet ad Hockenheim, mentre l’anno successivo corse alcune gare con la modesta Ram, prima di dedicarsi ad altre categorie, costruendo una lunga carriera giunta fino ai giorni nostri.

Guerra, carriera lampo

L’autodromo di Imola, dove si era disputata la precedente edizione del Gp d’Italia, ospitò nel 1981 il primo Gran Premio di San Marino di Formula 1: per la seconda volta il nostro Paese poteva contare nello stesso anno su due gran premi validi per il campionato mondiale di F1 ( il precedente risaliva al 1957 quando, oltre al gran premio nazionale, venne inserito nel calendario iridato anche il GP di Pescara).  Mentre Beppe Gabbiani aveva già piazzato la propria vettura in griglia a Long Beach, Miguel Angel Guerra non era ancora riuscito a qualificarsi, ma a Imola la situazione migliorò, così per la prima volta due Osella presero parte ad una gara, con Gabbiani in decima e Guerra in dodicesima fila. L’avventura dell’argentino fu purtroppo brevissima in quanto uscì di pista al Tamburello nel corso del primo giro fratturandosi una gamba, venne così sostituito da Ghinzani (rimpiazzato poi da Francia e infine da Jarier) e non ebbe più occasione di correre in Formula 1. Contende ad Apicella (uscito nel primo giro a Monza nel 1993) il record per la carriera più breve nel circus.

De Villota nell’occhio del ciclone

Il Patto della Concordia fissava in 30 il numero di vetture che potevano essere iscritte a un gran premio: 12 su richiesta della FISA e 18 della FOCA, ma a Jarama tentò di iscriversi (con una Williams) la scuderia privata di De Villota che non faceva parte di nessuno dei due schieramenti. Estromessa l’Ats per ritardi di procedura, De Villota partecipò alle libere compiendo un solo giro per la rottura del motore, ma alle 13 la FISA informò  che qualora lo spagnolo avesse partecipato alle qualifiche il gran premio avrebbe violato il Patto della Concordia e non sarebbe stato considerato valido per il campionato mondiale. Gli organizzatori spagnoli decisero così di escludere de Villota e riammettere l’ATS. Grazie ai buoni risultati in F.Aurora ed endurance lo spagnolo ebbe una nuova occasione nel 1982 con la March, vettura modesta con cui non riuscì mai a qualificarsi, poi abbandonò definitivamente la Formula 1.

La triste storia di Riccardo Paletti

La Formula 1 sbarcò per la prima volta a Detroit tra mille polemiche per la sicurezza e le condizioni dell’asfalto, tanto che al sabato si svolsero entrambi i turni di qualifica, divisi tra mattino e pomeriggio, sessione quest’ultima poi rivelatasi inutile causa la pioggia che non permise a nessuno di migliorare i tempi. Riccardo Paletti riuscì a qualificarsi per il suo primo Gp a griglia completa ma nel corso del Warm up perse una ruota finendo contro le barriere e siccome il muletto era già in uso per Jarier, il milanese non potè prendere parte alla gara (venne deciso di non sostituirlo da nessuno dei non qualificati, tra i quali anche il campione del mondo in carica Piquet, vittima di problemi al motore nel primo turno). Lo sfortunato Paletti si qualificò anche nel successivo Gran Premio del Canada, ma fu vittima di un’incidente mortale al via, quando tamponò la vettura di Pironi rimasta ferma a semaforo verde. Al suo nome è intitolato il circuito di Varano De’ Melegari (PR).

Nuove procedure al via

Al fine di evitare gli incidenti al via in seguito alla tragedia di Paletti, dal Gp di Francia venne introdotto un nuovo regolamento: ora lo starter aveva la possibilità, sia con semaforo rosso che con il verde, di indicare il giallo per segnalare ai piloti qualche anomalia sulla griglia, procedendo in entrambi i casi con lo stop e nuova procedura di partenza. Al via si presentò anche Geoff Lees, già schierato dalla Theodore in Canada e ora scelto dalla Lotus per rimpiazzare Mansell, che proprio a Montreal si era fratturato il polso: 24esimo al via, il pilota inglese fu dodicesimo al traguardo, in quella che fu la sua ultima apparizione in Formula 1, categoria nella quale ha partecipato a dodici gran premi, qualificandosi in cinque occasioni.

La lunga attesa di Lammers

Nel valzer di piloti della Theodore nel 1982, Lammers subentrò a Daly, ma nei primi tre tentativi non superò le qualifiche; sostituito momentaneamente da Lees in Francia, rientrò a Zandvoort, dove si piazzò in ultima fila, mentre in gara fu costretto al ritiro per la rottura del motore e dopo altre due mancate qualificazioni fu appiedato per far posto a Tommy Byrne. Dieci anni e 164 gare dopo, Lammers rientrò in Formula 1 con la March, disputando le ultime due gare del campionato con un dodicesimo posto come migliore risultato, nella lunga attesa grandi aveva comunque ottenuto grandi risultati a ruote coperte, tra cui una straordinaria vittoria a Le Mans (la prima per la Jaguar dal 1957) guidando per 13 ore su 24.

La Colombia “vola” in F1

Dopo un tentativo “a vuoto” per mancanza di superlicenza da parte di Londono, nel 1982 debuttò Roberto Guerrero, primo colombiano a correre in F1, unico pilota iscritto dalla Ensign. Dopo un forfait a Kyalami e una mancata qualificazione a Jacarepagua, a Long Beach fu costretto al ritiro, poi a Detroit la sua gara durò lo spazio di sette giri: la sua vettura decollò dopo un contatto con De Angelis e venne colpita da Patrese, la gara venne dunque interrotta a causa della carambola e ripartì in un secondo momento. A fine stagione la Ensign cedette il materiale alla Theodore e Guerrero corse un’altra stagione in F1, poi passò alla CART, ottenendo il premio di Rookie dell’anno e un secondo posto alla 500 miglia di Indianapolis, dove alcuni anni più tardi colse anche una pole position.

Parto anch’io, no tu no!

Ad Hockenheim venne introdotta una chicane all’ingresso della Ostkurve, al fine di rallentare le vetture dove due anni prima aveva perso la vita Depailler, ma il circuito tedesco fu ancora teatro di una triste vicenda: durante le prove nel 1982 Didier Pironi fu infatti vittima di un grave incidente che pose fine alla sua carriera. Tra i partecipanti debuttò Tommy Byrne, che rimpiazzò Lammers alla Theodore: l’irlandese in prova ottenne come miglior crono un 1.59.007 a circa 11 secondi dalla pole dello stesso Pironi e non riuscì a qualificarsi, in teoria avrebbe potuto essere ripescato, (come accaduto a Surer, entrato in griglia al posto di Lauda, infortunatosi pure lui in prova) ma la Ferrari non comunicò l’assenza del proprio pilota, quindi Byrne non potè essere ammesso e la gara partì con la piazzola della pole vuota.

La Fittipaldi ai titoli di coda

La Fittipaldi F8 fu progettata nel 1980 da due tecnici di grande talento quali Harvey Postlethwaite e Adrian Newey, ma la situazione del team era ormai compromessa e i risultati non arrivarono, inoltre con il passaggio di Postlethwaite alla Ferrari lo sviluppo rallentò e fino al 1982 la Fittipaldi si limitò a lavorare sulla stessa vettura con le evoluzioni C e D. Proprio con l’ultima versione il brasiliano Chico Serra colse a Zolder l’unico punto in carriera e l’ultimo nella storia della scuderia brasiliana, che presentò senza fortuna la F9 e a fine anno chiuse i battenti, mentre Serra tornò a correre in patria, dove divenne tre volte campione nazionale Stock Car.

Davide contro Golia

Con il divieto in vigore dal 1981 di schierare vetture clienti, la Ram, attiva saltuariamente dalla metà degli anni settanta, convinse i vertici March a costruire le vetture per il team ma, nonostante l’appoggio di alcuni sponsor, i risultati non arrivarono e il costruttore decise di abbandonare il progetto. Nel 1983 venne schierata per la prima volta una vettura progettata in proprio: il campionato iniziò con Salazaar, mentre al Paul Ricard tentò la partecipazione Schlesser, (già schierato alla Race of Champions di Brands Hatch) che nell’occasione fece segnare l’ultimo tempo girando ad oltre nove secondi dalla pole di Prost e, al pari di Salazaar, non riuscì a qualificarsi. Da metà stagione venne ingaggiato il debuttante Acheson, il quale mancò per sei volte la qualificazione  mentre nell’ultima gara stagionale a Kyalami gli iscritti furono 26 e non vi fu nessuna esclusione, Acheson prese dunque il via davanti alle Osella e in gara chiuse dodicesimo a sei giri dal vincitore Patrese. L’inglese ottenne poi grandi risultati con le vetture sport-prototipo, fino al 1996, quando un incidente durante la 24 ore di Daytona pose fine alla sua carriera.

Piccoli passi per il rientro di Honda

Dopo la diffidenza iniziale, per tutti i team divenne chiaro che per essere competitivi in Formula 1 era ormai necessario dotarsi di un motore turbo, questo richiamò grandi marchi e risvegliò l’interesse della Honda, assente ormai dagli anni sessanta. Dopo una breve esperienza in Formula 2, per rientrare la casa nipponica scelse la debuttante Spirit, che nel corso del 1983 fece le sue prime apparizioni adattando direttamente la vettura di Formula 2. L’esordio avvenne nella Race of Champions, gara non valida per il mondiale disputata a Brands Hatch, dove Johansson si qualificò dodicesimo a 19 secondi dalla pole e dopo soli 4 giri fu costretto al ritiro causa un guasto al motore. Decisamente meglio andò a Silverstone: al debutto nel mondiale Johansson centrò la settima fila mettendosi alle spalle addirittura le due Mclaren (in gara fu costretto al ritiro) mentre poche settimane dopo, a Zandvoort, lo svedese chiuse al settimo posto centrando il miglior risultato per il team che, abbandonato a fine stagione dalla Honda (che scelse la più blasonata Williams), dopo una seconda stagione deludente, abbandonò dopo sole tre gare del 1985 optando per la Formula 3000.

 

Correva l’anno 1983, ma servirebbe un nuovo articolo per finire di raccontarlo.

Cosa dite? Lo facciamo? Va benissimo, ci vediamo alla prossima.

Mister Brown

 

Per le storie precedenti vedere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap.3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap.4 – Verso gli anni ’80