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F1 2025 – GP D’OLANDA – ZANDVOORT

Esisteva un tempo nel quale i Piloti di Formula Uno erano chiamati Cavalieri del Rischio. Un tempo nel quale era ritenuto assolutamente normale, anche dagli stessi Piloti, che alcuni di loro morissero durante la stagione del Mondiale. Magari correndo in una Categoria minore, come accadde all’unico vero GOAT della F1 verso fine anni 60 (and if by reading that you’re gonna have an ovaric explosion ‘cause you’re a Hamilton fanboy well, go grab a tampax and shove it up your ass). Roger Williamson era un Cavaliere del Rischio, un Uomo che riteneva assolutamente normale lanciarsi in pista con una monoposto pesante sì e no mezza tonnellata ed i cui standard di sicurezza erano semplicemente inesistenti. A meno che un casco e delle cinture di sicurezza possano essere ritenuti sufficienti per correre di fatto abbracciati a 200 litri di benzina. Williamson era un uomo felice, aveva appena conquistato il suo posto in F1 vincendo per ben due anni di fila il durissimo Campionato Britannico di F3. Zandvoort era il secondo GP al quale riuscì a qualificarsi dopo quello di casa a Silverstone. In Olanda Roger trovò la morte a soli 25 anni, durante il GP lo scoppio di un pneumatico lo scaraventò contro le barriere per poi lanciarlo in volo facendolo atterrare capottato, con le fiamme che presto iniziarono a divorare i resti della sua monoposto nella quale era rimasto intrappolato. Diverse le cose raccapriccianti in concomitanza con la tragedia: in primis la corsa andò avanti fino alla bandiera a scacchi senza interruzione alcuna. Considerato che se oggi un piccione fa una deiezione in pista danno bandiera rossa è semplicemente incredibile poter solo concepire una cosa del genere. La seconda cosa assurda fu il comportamento dei commissari di gara, che si guardarono bene dall’intervenire per provare a salvare il povero Williamson. A gara terminata quando chiesero a Sua Santità perchè non si fermò per aiutare Williamson lui rispose:”mi pagano per correre, non per fermarmi”. Premesso che bestialità del genere i Piloti 50 e passa anni fa le dicevano innanzitutto per esorcizzare la paura della morte, con la quale convivevano costantemente, il già citato Santo ebbe sorte migliore di Williamson 3 anni dopo al Ring semplicemente perchè, quel tragico giorno a Zandvoort, questo EROE fece vedere a tutti (in primis a quegli ignavi dei commissari di gara) cosa significasse davvero essere UOMINI

Purley quel giorno a Zandvoort strappò di mano un estintore ad un commissario di gara e combattè da solo per provare a salvare Williamson. Era di fatto impossibile che potesse riuscire a farcela ma rischiò lo stesso la sua vita davanti alla tragedia alla quale stava assistendo. L’eroismo e l’umanità di David Purley ad oltre mezzo secolo di distanza restano indelebili.  Quando il Circus fece tappa a Monza 3 gare dopo gli applausi ad ogni passaggio di David Purley erano semplicemente assordanti. Le Ferrari in confronto passavano inosservate, e la cosa si commenta da sola. 50 anni fa perdevamo tanti Piloti in pista, quella stessa tremenda stagione 1973 si sarebbe chiusa con un’altra tragedia al Glen nella quale perse la vita uno splendido Astro nascente Transalpino. Oggi invece ad ogni GP mi sembra che si perda progressivamente un pizzico di quella umanità che fece di Purley l’eroe le cui gesta a Zandvoort 1973 scrissero una pagina indimenticabile, sia pure tragica, del nostro Sport.

O di quello che ne resta.

Buon Gp d’Olanda a tutti

 

F1 2024-GP DEL BELGIO SPA FRANCORCHAMPS

Si arriva all’ultima gara prima della consueta, ormai, pausa estiva.

Spa-Francorchamps resta ad oggi la pista più bella dell’intero giro annuale. Ci si arriva con il settimo vincitore diverso in questa prima parte di stagione. Hanno vinto tutti i piloti dei 4 teams più importanti tranne uno: Sergio Perez. Il messicano, guarda caso, è compagno di chi è in testa al campionato e che ha vinto più di tutti gli altri. In RBR si stanno ponendo delle domande gia da un pezzo. Eppure sono stati loro a rinnovargli il contratto per il prossimo futuro in maniera precoce. Sarebbe comincino anche a darsi le risposte: il Checo di oggi è davvero l’ombra del pilota che fu.  A Zandvoort potrebbe presentarsi qualcun altro al fianco del Campione del mondo in carica.

I valori in campo saranno quelli che già conosciamo. La frequenza con la quale si corre ci da delle ragionevoli certezze.

La miglior monoposto in pista da Miami in avanti è la McLaren, pertanto è d’obbligo ritenere che sia la favorita per il weekend belga. Nonostante la superiorità del mezzo sono riusciti a pasticciare “meglio” di chiunque altri, portando a casa solo due vittorie da quando è stato fatto smontare quel terzo elemento a gas dalla sospensione delle RB20.

Senza tornare sulle polemiche dell’Ungheria, Norris dovrà mettere i puntini sulle “i” (e pure su tutte le altre vocali) se vorrà sentirsi in corsa con quel pescecane di Max Verstappen.

Chi scrive pensa che in condizioni normali la gara sia una faccenda privata tra i due sopracitati perchè le “rinascenti” AMG staranno si nei dintorni, ma con un ruolo da comprimarie.

Per il “gambero rosso” della nostra Scuderia nazionale sarà un altro fine settimana di esperimenti per comprendere quale combinazione di Spec possa funzionare meglio. Sarà durissima.

Non c’è molto da aggiungere visto che la frequenza delle gare e dei commenti alle stesse esaurisce gli argomenti “nuovi” con una velocità che in passato era inimmaginabile. Questa settimana abbiamo avuto l’incarico a capo di Audi del tanto vituperato Binotto che ha preso posto sui 4 anelli dai quali è scivolato il tanto lodato Seidl. Onestamente non ci capisco più molto…

Altra notizia della settimana è l’ingaggio di Ocon in Haas. Evidentemente al team piacciono particolarmente i piloti “fallosi” come Grosjean, Magnussen e lo stesso Mick Schumacher…Contenti loro….

Prima di lasciarvi però vi lancio qualche sprazzo di storia della pista più affascinante del giro, la pista che ha visto nell’era moderna 3 veri padroni assoluti delle proprie epoche nelle Ardenne: Senna, Schumacher, Raikkonen. Spa era il loro giardino di casa.

Ed anche momenti epici

Buon divertimento

 

PS. Vogliate perdonare l’ignobile sostituzione al volo del titolare dell’appuntamento. Tornerà presto ma aveva diritto anche lui ad una Vacanza. Grazie Ale.

SV

 

Immagini tratte da X

Immagine di copertina tratta dal sito mavment.com

 

 

 

F1 2024-GRAN PREMIO DI GRAN BRETAGNA

Nemmeno il tempo di finire le discussioni post Spielberg che la F1 deve scaricare il materiale a Silverstone.

Trovarsi a Sstone è un po’ come trovarsi nell’Emilia Romagna del Regno Unito. Sarà gara di casa per la maggior parte dei teams a prescindere dalla bandiera issata sull’asta di poppa.

Nei paraggi del circuito c’è anche la nuova Factory che gli Andretti hanno acquistato per preparare lo sbarco in Normandia. Vista la vicinanza ci potrebbe stare che il geometra neoassunto Alpine andasse a farci una chiacchierata per capire se può vendere qualche ramo d’azienda francese.

Si preannuncia quindi un weekend gustoso con tutti i top in cerca di risposte, vendette, conferme.

La grande delusa degli ultimi Gp, la Mc Laren, respirerà più di tutti gli altri l’aria di casa e sarà il team più atteso del fine settimana. E’ opinione comune che le monoposto arancioni siano quelle più in forma ad oggi e che la pista dovrebbe essere loro favorevole. Toccherà a Norris capitalizzare quanto nelle sue mani e quanto i suoi uomini attendono da lui. Curioso pensare che un anno fa sulla stessa pista cominciò la rimonta di Woking dopo un inizio 2023 degno di una qualsiasi Stake F1 Team (non la chiamo Sauber, non abbiatemene).

Il nostro eroe Lando troverà sulla sua strada un Max Verstappen ancora più leader in campionato che quando si tratta di “dare strada” raddoppia la larghezza della propria RBR.

Gli austrobritannici stanno soffrendo e la riprova arriva anche dai piccoli grandi errori commessi domenica scorsa. Un paio di Pit lenti (il secondo quasi fatale) e l’errore di non aver comunicato a Verstappen che Norris era penalizzato mentre lui si preoccupava di “proteggere” il comando del Gran Premio. Per chi scrive resta un errore anche se Max, con ogni probabilità, avrebbe mantenuto la stessa condotta di gara a prescindere vista la sua indole (e le su dichiarazioni).

Che dire…. Per LM è un bel mondiale: anche AMG si è seduta la tavolo dei vincitori di tappa portando a quattro il numero delle monoposto diverse vincenti nell’arco della stagione e non per eventi fortuiti o fortunosi.

Mercedes ha sopravanzato la Ferrari quanto a prestazione sia in qualifica che in gara (quello che era il punto forte della SF24 sino a qualche settimana fa). Russell sta performando meglio di Hamilton (in maniera netta) da inizio stagione, ma ciò non basterà a far venire dubbi a chi ha voluto l’eptacampeao in rosso per il 2025.

Dopo Abu 2021 le uniche due vittorie Mercedes sono marchiate George Russell. Da allora non si ricorda un weekend in cui Hamilton abbia dato davvero l’impressione di poter vincere la gara.

E mentre gli altri cercano rivincite o conferme, dalle parti di Maranello si cerca invece la retta via che hanno smarrito. Quelli bravi dicono che gli aggiornamenti di Imola e poi Spagna hanno raggiunto gli obiettivi prefissati ma che addirittura si è andati oltre con il carico aerodinamico generato al punto che lo stesso ha messo in crisi il reparto sospensivo. Il troppo carico genera nuovamente il porpoising sconfitto o gestito meglio dagli altri nel 2022. A questo punto le soluzioni sono due. O si mette mani a molle ed ammortizzatori oppure si ingaggia Toto Wolf che si inventa una direttiva ad hoc e si torna competitivi. Si è persa buona parte di quell’equilibrio che ha portato a dei risultati sorprendenti sino a qualche gara fa e che, visto il 2023, non erano scontati. I piloti ci sono, ma devono dargli una monoposto decorosa.

La gara del midfield sarà la solita di sempre. In rialzo le azioni Alpine ed Haas. In forte ribasso quelle Aston Martin che stanno facendo venire la depressione anche ad uno tosto come Alonso. Le sue ultime prestazioni sono state inguardabili, di sicuro non degne di uno come lui. Finire dietro al figlio del capo non gli fa bene, quindi urge darsi una mossa.

Gli altri? Al di la dei punti ottenuti a Spielberg la stagione di Ricciardo e delle Vcarb Cash App (o come si scrive) è deludente. Portano in pista la RB23 ed in proporzione stanno facendo peggio di ciò che faceva la Racing Point quando schierava delle AMG replica.

Per quanto riguarda la Williams c’è attesa per capire se al box sarà presente la mamma di Logan.

In Stake sono curiosi di sapere con che rapporti montati Bottas farà il consueto giro del circuito in bicicletta.

 

  1. (Non me ne volere Piero, mandami Iban).

Sostituisco io estemporaneamente (ed indegnamente) il nostro Alessandro Rocco per quest’occasione in altre faccende affaccendato. Si tornerà alla normalità già dalla prossima. Buona gara a tutti.

 

 

Salvatore Valerioti

 

Immagine in evidenza tratta da X

1985.09.01 – THE FASTEST MAN ON EARTH

Intro
Non è facile far scorrere lieve e agile una macchina larga quasi due metri e lunga quasi cinque come se fosse una Monoposto di Formula 2 ma lui pare riuscirci benissimo. Nella doppia piega della “Fermata del Bus” la lotta per il secondo posto è diventata quasi fisica con le due Porsche, la sua e quella del suo avversario, del suo nemico, che si affiancano e ballano sui cordoli. Ancora un giro; ancora una infinita discesa verso una piega velenosa dal nome sensuale, che si contorce, contro le leggi della fisica, fino ad arrampicarsi nei boschi delle colline delle Ardenne. Poi un lunghissimo rettilineo dal nome intimidatorio: “Kemmel”.
Ma lì al Kemmel non si passa; il suo avversario ha anche lui una Porsche ma la sua è del team ufficiale, una “Works”, termine tecnico per chi si appassiona al Motorsport. Oltretutto un modello evoluto rispetto a quella in mano al Campione del Mondo Endurance in carica.
No. Lì non si passerà mai; oltretutto la Porsche Works non è guidata da uno sprovveduto. Alla guida c’è Jacky Ickx; il Signore assoluto di questa striscia di asfalto nelle meravigliose colline belghe; l’idolo del pubblico e un pilota fenomenale, dannatamente ostile e duro da battere.
No. Bisogna inventarsi qualcosa che lui non si aspetti, che lo sorprenda, che lo lasci fermo sulle gambe e permetta di scappare via. Per poi difendersi al Kemmel con la cattiveria che ormai da troppo tempo a questa parte sembra aver preso piede nella Serie.

Bisogne fare qualcosa di incredibile.

Bisogna fare qualcosa di folle.

E il Campione del Mondo Endurance, l’uomo più veloce al mondo, è l’unico che lo possa fare. 

 Fight gone way beyond

“Patrese blocked me four times dangerously…he’s an animal…”
Klaus Ludwig – Joest Racing Porsche 956B Driver

Il mondo endurance sta vivendo una fase traumatica. Dopo un periodo lungo quasi due anni di assenza, nelle competizioni internazionali, di incidenti mortali, questi hanno ricominciato a falcidiare le gare. A Mosport, in Canada, approcciando in pieno la Curva 2, la Kremer Porsche di Manfred Winkelhock vira di colpo verso il muretto di contenimento. L’impatto, devastante, è praticamente frontale e la compressone non lascia scampo al pilota tedesco. Vengono analizzati i resti della 962C ormai ridotti ad una montagna di rottami ma non vengono trovati indizi di un cedimento della vettura. Si ipotizza un malore del pilota o una improvvisa foratura; non si spiega altrimenti un errore simile da parte di un pilota tanto esperto.
A Spa c’è in programma la 1000km per il Campionato Endurance e il venerdì di prove non cronometrate, Jonathan Palmer con la sua 956B Richard Lloyd Racing non ufficiale, impatta tanto violentemente da portare alla frattura delle gambe del pilota britannico. Si dirà che la Canon Racing Porsche 956 GTi utilizzata da Palmer, con la sua struttura a nido d’ape rielaborata a Silverstone, abbia attutito l’impatto tanto da salvare la vita al conducente.
I segni di un pericoloso ritorno delle tragedie nel mondo delle competizioni a motore ci sono tutti ma questo non pare essere l’unico problema che affiora nella serie. L’aggressività in pista sta raggiungendo picchi inconsueti e non passa gara che i cronisti accreditati ad assistere alle competizioni non raccolgano su taccuino le lamentele dei piloti per lo stile di guida dei loro avversari.
Domenica primo settembre, però, gli incidenti e le polemiche sono un ricordo lontano e, nonostante il campionato sia saldamente nelle mani del Works Team Rothmans Porsche di Derek Bell e Hans-Joachim Stuck, la gara è tutt’altro che scontata.
La lotta è febbrile già dalla partenza. Martin Brundle al sabato aveva azzardato che sarebbe riuscito a tenere la sua Jaguar XJR-6 al ritmo impressionante di 2min14sec; un secondo pieno sotto il record stabilito l’anno prima da Bellof di 2min15.57sec su Porsche 956. A parecchi addetti ai lavori e colleghi era sembrata una boutade del pilota inglese e invece la gara quasi subito dice che quel ritmo non basta nemmeno a mantenere la quinta posizione: davanti al pilota TWR Jaguar, Patrese, Bell, Mass, Boutsen e Ludwig scompaiono dalla vista con giri di media due secondi netti più veloci.
Thierry Boutsen aggancia la seconda piazza con la sua 956 Brun Motorsport Team ai danni di Riccardo Patrese su LC2; pochi giri dopo anche Klaus Ludwig arriva in prossimità dell’italiano ma una cosa è raggiungere la LC2 e una cosa ben diversa è riuscire a passarla. Ludwig, normalmente amabile e compassato, nel frenetico dopo gara muoverà non poche critiche allo stile di guida dell’alfiere della Martini Racing Team.
Al giro 75, in testa, Paolo Barilla sta conducendo la sua 956B del team Joest Porsche con trenta e passa secondi di vantaggio sul belga Jacky Ickx e sul tedesco Stefan Bellof che stanno furiosamente lottando per la seconda piazza. Secondo i calcoli ai box il Joest Team sta pagando la sua fuga solitaria con consumi che lo obbligheranno ad un numero di soste superiore e questo rende la seconda posizione in lotta fra Bellof e Ickx, molto più appetibile di quanto già non lo possa essere di suo.
Come se tutto questo non bastasse, ognuno di loro ha un ottimo motivo per volere quella piazza d’onore.
Jacky è il Signore delle Ardenne.
Bellof è il Campione del Mondo Endurance in carica.

 Bellof hatte keine Chance

“Ich bin unendlich traurig…”
Jacky Ickx – Rothman Porsche 962C Driver

“Die Kurve ist eine der gefährlichsten der Welt…”
Thierry Boutsen – Brun Porsche 956B Driver, Stefan Bellof team mate

Al giro 75, dopo quasi tre ore di gara, Stefan Bellof decide di rompere gli indugi e attaccare Jacky Ickx. Ora non fanno più parte dello stesso team Works e al muretto non c’è Norbert Singer, direttore sportivo della Porsche, che più di una volta aveva fatto in modo di non far incrociare in terra belga le traiettorie del velocissimo e insubordinato Stefan e del pilota che considerava Spa la sua personale terra di conquista.
Le due Porsche arrivano al Bus Stop quasi appaiate e ancora una volta la lotta diventa fisica con le monoposto che saltano sui cordoli e quasi si scontrano; affrontano il corto rettilineo di partenza ad una manciata scarsa di metri l’una dall’altra e alla Source, un tornante stretto e in leggera discesa, Bellof è a pochi centimetri dalla 962C di Ickx. Lungo la discesa che porta alla curva del Raidillon c’è una macchina più lenta e Ickx si sposta per doppiarla. Non rientra subito in traiettoria ma lascia uno spiraglio aperto, poco prima che la discesa si trasformi di colpo nella violentissima salita che porta al rettilineo del Kemmel. E’ proprio quello che Bellof sta aspettando; una disattenzione, una incertezza da parte del Signore di Spa. Senza pensarci un momento infila la sua monoposto affianco alla Porsche del Campione belga.
Ma Ickx non è un pilota che possa cadere vittima di disattenzioni o incertezze e la sua traiettoria non è un invito per chi lo insegue; Jacky probabilmente sta solo impostando l’ingresso al Raidillon ancora più veloce per cercare di scrollarsi di dosso lungo l’infinito rettilineo del Kemmel la presenza ingombrante dell’esuberante Campione in carica.
Appena Ickx ritorna in traiettoria per affrontare la salita, l’impatto.
Il muso della 956B di Bellof colpisce la coda della 962C di Ickx; la macchina di Jacky ruota in testacoda e finisce la sua corsa sbattendo violentemente contro i guard rail di protezione ma con un angolo di impatto innocuo. La macchina di Stefan parte dritta verso il muretto di protezione con una traiettoria malvagiamente simile a quella seguita dalla Porsche di Winkelhock tre settimane prima in Canada. L’impatto, devastante, viene chiaramente percepito persino ai box e riduce la 956B del pilota tedesco una massa informe di metallo. Scoppia un incendio sotto quello che resta della macchina di Bellof ma viene facilmente domato dai commissari di percorso e da Ickx che, dopo essere uscito dalla sua vettura, è corso in soccorso del pilota tedesco in direzione dei resti della Porsche Brun. Per Bellof non c’è nulla da fare. Verrà dichiarato morto venti minuti dopo il suo arrivo in ospedale.
Gli organizzatori fanno una rapida riunione con i team manager per decidere cosa fare. Peter Falk per la Porsche (che sostituisce l’infortunato Norbert Singer), Cesare Fiorio per la Lancia, Tom Walkinshaw per la Jaguar e Reinhold Joest per il Joest Team e decidono di comune accordo che non abbia più senso proseguire.
La corsa viene conclusa prima del suo limite di 1000 km. La statistica annovera il Team Martini Racing con la LC2 come vincitore ma nessuno né in Belgio e né in Italia ha voglia di festeggiare.
L’incidente è di quelli che lasciano un segno profondo nell’immaginario di una generazione intera di appassionati di Motorsport. L’idea di poter passare con un mastodonte come una Porsche 956B all’esterno di una delle curve più difficili e pericolose del mondo, non un rookie qualsiasi, ma un pilota come Jacky Ickx, è qualcosa che ancora a distanza di decenni lascia a bocca aperta.
Una follia, si disse allora.
Una follia, si continua a ripetere anche oggi.
Ma chi lo ripete, probabilmente, non ha seguito la carriera di Stefan Bellof che, sulle ali della follia, ha volato veloce sin dai suoi esordi.

 Quando le statistiche non dicono nulla

“He was the fastest driver since Gilles Villeneuve”
Martin Brundle – Tyrrell 012 driver, Stefan Bellof team mate

“In a racing car, Bellof was very similar to Villeneuve; incredibly fast and with freakish reaction. Like Gilles, too, he was also apparently without a sense of fear”
Nigel Roebuck – Motorsport Magazine columnist

“…all the drivers I had through my team, the two best were Jackie Stewart and Stefan Bellof….”
Ken Tyrrell – Tyrrell F1 Team

E’ il 1984 ed è una stagione seminale nel mondo delle competizioni su ruote, in particolare per quanto concerne la Formula 1. Nel 1984 si mostra per la prima volta la stella luminosa di un talento unico nel mondo delle competizioni. Il suo nome è Ayrton Senna e calamita l’attenzione di tutti con una prestazione straordinaria sulla pista di Montecarlo, nel Principato di Monaco, il 3 giugno 1984. La pista è resa un acquitrino scivoloso dalla pioggia insistente e Ayrton Senna piega il mondo al suo passaggio conquistando una seconda piazza che vale almeno quanto una vittoria. I cronisti che affollano le sale stampa scrivono del nuovo talento brasiliano. Alle sue spalle, come un’ombra c’è un ragazzo tedesco dall’aria mite e dal piede pesantissimo. Si chiama Stefan Bellof, guida una Tyrrell 012 e sta marcando a uomo il fenomeno brasiliano già da qualche tempo.
Alla gara di apertura del mondiale, a Rio de Janeiro, sotto la dicitura “First race in F1” compaiono quattro nomi: Philippe Alliot, Martin Brundle, Stefan Bellof e Ayrton Senna. Bellof riesce a malapena a qualificare la sua Tyrrell numero 4, motorizzata con un Cosworth DFY da 510 cavalli, in ventiduesima piazza. Il brasiliano con la Toleman Hart-Turbo da 600 cavalli è sedicesimo. Alla fine di un primo giro al fulmicotone, Senna ha già raggiunto la tredicesima piazza; Bellof è ad una incollatura dietro di lui, quattordicesimo. Alla fine del secondo giro il Tedesco lo infila senza apparente difficoltà. Nessuno dei due riesce a finire la gara ma se Ayrton Senna sarà giustamente in lizza per essere incoronato come fenomeno nascente della Formula 1, qualche conto con quel ragazzo biondo dai modi affabili e gentili, bisognerà pur farlo.
Torniamo a Montecarlo e ad una gara che con tutti i suoi incroci di traiettoria sia in pista che nelle vite dei protagonisti, pare scritta da uno sceneggiatore hollywoodiano. Durante le qualifiche la Tyrrell 012 riesce a malapena a garantire a Bellof una piazza sulla griglia di partenza. Ma domenica piove, e quando piove i cavalli del tuo propulsore contano molto meno di quanto il tuo piede riesca a scaricarne a terra. E il piede di Bellof è qualcosa che appare nel mondo delle competizioni raramente. Ken Tyrrell in persona sa bene come i motori turbo siano in difficoltà sull’asfalto bagnato e viscido del tracciato e si raccomanda con Stefan di non forzare la mano; in fondo è ultimo e gli basta solo aspettare che qualcuno là davanti faccia qualche errore. Bellof come sempre in tutta la sua carriera, sorride gentile, annuisce e poi una volta indossato il casco fa esattamente il contrario di quanto gli viene consigliato. Ingaggia battaglie epiche con chiunque gli si pari davanti infilando Rosberg con un sorpasso di cattiveria e precisione e Arnoux, alla curva del Mirabeau, con una manovra che ha dell’impossibile. La Storia, quella che viene tramandata e che riempie le pagine dei libri racconta, a proposito degli incroci di traiettorie fra le vite dei protagonisti, che Jacky Ickx, direttore di gara in quella piovosa domenica di giugno, fermerà la competizione poco prima che Alain Prost, in testa, subisca l’onta di vedersi sorpassare in pista da un fenomenale Ayrton Senna in rimonta forsennata. Non rimane nulla, sui libri, del fatto che, mentre Senna rimontava incessantemente su Prost, Bellof stava recuperando furiosamente su entrambi.
Bellof avrebbe avuto abbastanza margine per superarlo?
Senna lo avrebbe ostacolato fino al punto di finire entrambi fuori?
La storia personale dei due alfieri lascia pensare che entrambe le risposte sarebbero state “sì”.
Ma oggi sui libri la stagione fenomenale di Bellof del 1984 non appare.
Ken Tyrrel era rimasto l’unico fiero oppositore a norme che liberalizzassero i consumi a favore dei motori turbo di cui l’intero schieramento stava ormai facendo incetta. Il Boscaiolo si opponeva per questione di costi; non voleva cedere all’emendamento che ritardava di una stagione l’introduzione del limite posto a 195 Litri.
Non aveva capito o forse solo non aveva accettato quello che la FISA, l’ente della gestione della Formula 1 aveva deciso doveva essere il radioso futuro della motorizzazioni della Serie Maestra. Temeva che i Turbo avrebbero messo alla sentina le scalcinate finanze del suo team e sperava di poter continuare con l’eterno, e soprattutto economico, Cosworth V8 DFY.
E la FISA nel 1984 fece quello che ha sempre fatto con tutti quelli che in un dato momento considerava “nemici” o che semplicemente si frapponevano fra lei ed i suoi piani: trovò un sistema per piegarne la volontà a colpi di indagini, sospetti e squalifiche.
Due gare dopo la fenomenale prestazione monegasca, a Montreal, in un serbatoio secondario della Tyrrell vengono trovate tracce di idrocarburi che la FISA subito etichetta come additivi non permessi per la combustione. Inoltre vengono rinvenuti pallini di piombo nei serbatoi del refrigerante che subito vengono accusati essere zavorra mobile.
Ken Tyrrel nelle pieghe regolamentari aveva spesso trovato rifugio e quella manciata di competitività che sempre più spesso faticava a trovare altrove ma sto giro FISA calca la mano: sancisce squalifica e annullamento di tutti i risultati ottenuti. Anche quelli, come a Montecarlo, in cui la 012 aveva pienamente passato le verifiche regolamentari post gara.
Tyrrell annuncia ricorso e il risultato è la messa sotto indagine dei fori di accesso alle paratie sotto la vettura accusati di essere fori di estrazione illegali.
Tyrrel si deve piegare e della stagione 1984 di Bellof non rimane nulla.
Nulla della gara a Zolder, dove fatica a qualificare la sua 012 in ventunesima piazza e inanella sorpassi fino a concludere in sesta posizione.
Nulla di Imola dove si qualifica ancora ventunesimo e stavolta si issa con le unghie e con i denti in quinta piazza.
E nulla nemmeno di Digione quando, a furia di anticipare le cambiate e sforzare il suo Cosworth per non perdere contatto con i motorizzati turbo, finisce per far saltare sia il propulsore che i nervi di Ken Tyrrell.
Per fortuna nel mondo dell’Endurance sotto l’egida IMSA Bellof sta riscuotendo quel successo che il suo talento merita.
Nel Team Rothmans Porsche ufficiale vince il mondiale Endurance con prestazioni strabilianti, mettendo in fila Pole Positions, giri veloci e gare dal ritmo insostenibile per chiunque. Lo stile con cui Stefan affronta le gare ricalca quasi sempre lo stesso copione: parte dalla Pole e inanella giri ad un ritmo inarrivabile e alla fine del primo stint ha già un vantaggio siderale sul resto dello schieramento.
Giungono in questo modo le vittorie a Monza, in team con Derek Bell, al Nurburgring, a Spa-Francorchamps e a Sandown Park.
La Germania a quasi cinquanta anni di distanza pare avere trovato il degno erede di Bernd Rosemeyer.

 What if…

“I think it would be difficult as I am a Rothmans sponsored driver, and they are backed by Marlboro”
Stefan Bellof – Quoted by Autosport, 1983

Alla fine della stagione ’83 i tre talenti più interessanti del panorama motoristico sono Ayrton Senna, Martin Brundle e Stefan Bellof. Tutti e tre partecipano ad una sessione di prove cronometrate a Silverstone organizzata dalla McLaren.
John Watson scende in pista per primo e segna un tempo che dovrà fare da riferimento per le tre promesse durante le loro sessioni di prove; tutti e tre lo batteranno senza troppi problemi.
Senna, addirittura, marcherà la sessione con un tempo fenomenale ma ancora una volta i dannati numeri raccontano una storia solo a metà.
Le due MP4-1C preparate per i test sono equipaggiate entrambe con un Cosworth aspirato; una con un DFY e l’altra col meno potente DFV. Ayrton Senna alla conclusione delle prove, poco prima che una valvola ceda di colpo e mandi letteralmente in fumo la sessione, stacca un tempo di 1min13.9sec. Ma fino all’ultimo tentativo fatto da Senna, con gomme da gara nuove, le gomme per tutti i tester erano compound da gara usate. E fino a quel momento Senna girava sul piede di 1min14.3sec con il DFY. Bellof, con il DFV, che a detta di Dennis, pagava al gemello evoluto circa 3 decimi, girava in 1min14.6sec.
Se, come a detta di Derek Warwick, che osservava i test dal complesso Maggots, Becketts e Chapel, “Senna doveva avere quattro mani e quattro piedi”, Stefan Bellof non doveva averne molti di meno.
L’epilogo di questi test sarà il veto posto dalla Rothmans sulla Porsche, che aveva in contratto il giovane talento tedesco, per un eventuale passaggio alla McLaren sponsorizzata dalla Marlboro, un loro concorrente.
La disponibilità, poi, di Alain Prost per formare il lineup della McLaren per il 1984 sarà la pietra tombale delle chances di Bellof a Woking.
Certo, immaginare una coppia Lauda/Bellof per il 1984 rimane uno dei sogni irrealizzati più affascinanti del mondo del Motorsport, di sempre.
E ci lascia immaginare se l’approccio pragmatico, essenziale e votato all’economia in ottica della massimizzazione del risultato dell’Austriaco avrebbe potuto domare l’esuberanza folle del tedesco.
E, nel caso, che razza di Campione sarebbe potuto venirne fuori.

 6min11.13sec

“…I crept past the wreckage, a full 160mph shunt, expecting Bellof to be dead, but instead he was standing on the other side of the barrier, waving at me…”
Jochen Mass – Rothmans Porsche 956 driver

L’ingresso di Bellof nel mondiale Endurance nel 1983 è qualcosa di devastante da ogni punto di vista. Ovunque scenda in pista miete successi e demolisce in maniera spesso imbarazzante i record di velocità. Ma proprio in questa fase incomincia a ad apparire l’aspetto germinale di una delle caratteristiche più disarmanti dell’immenso talento tedesco. Bellof è inarrestabile sotto ogni punto di vista; sia quando infila la sua monoposto a velocità indicibili lungo le effimere strisce d’asfalto che all’epoca sono i circuiti mondiali e sia soprattutto quando mostra di non avere nessuna percezione del pericolo, né tantomeno della disciplina.
Norbert Singer il direttore sportivo della Porsche arriva a pianificare i turni di guida fra Bell e Bellof di modo che il tedesco non si trovi a battagliare con il team gemello quando questo è condotto dall’ostico Jacky Ickx, preferendo eventuali battaglie in pista con Jochen Mass.
La summa dell’esuberanza, dell’immenso talento e dei limiti di Bellof sta tutta nella 1000 km del Nurburgring che si svolge il 29 maggio 1983.
Le qualifiche iniziano con la pista ancora umida dalla pioggia del giorno prima con i tempi intorno ai 6min30sec di Bell e Ickx con le Porsche Works equipaggiate con le gomme da gara. Viene poi il turno di Mass e di Bellof a cui Singer ha garantito il set di gomme da qualifica. La Dunlop alla vigilia della gara aveva espresso dubbi sulla reale necessità di portare set da qualifica vista la lunghezza del tracciato e il rischio che il compound sia efficace solo per metà giro ma Singer confida nel fatto che gli ultimi 3 km del tracciato sono in pratica un infinito rettilineo e calcola che l’azzardo possa essere corso. Mass ferma il cronometro a 6min16.85sec; la risposta di Bellof è devastante; rifila 5 secondi al pilota del Rothmans Team numero 1 fermando il cronometro della sua Porsche numero 2 a 6min11.13sec. Percorre i quasi 23 chilometri e le 160 curve del tracciato ad oltre 200 kmph di media. Un crono che non verrà mai più battuto.
Norbert Singer prima della gara si raccomanda con i suoi alfieri Mass e soprattutto l’indisciplinato Bellof di mantenere la testa della gara e preservare i consumi e la meccanica del mezzo girando intorno ai 6min45sec di media. Bellof annuisce, sorride e appena finito di allacciare, il casco ingaggia con il cronometro la sua personale guerra di trincea. Mass fatica a mantenere il ritmo forsennato del tedesco che dopo due giri ha rifilato 11 secondi alla Porsche numero 1 della coppia Mass/Ickx e un minuto alla terza 956 numero 11 guidata da Fitzpatrick del John Fitzpatrick Racing Team. Al sesto giro il vantaggio di Bellof sul secondo è di 36 secondi. Terzo Keke Rosberg su una 956 del Canon Racing GTi Engineering a 2 minuti e 30 secondi. Arriva il turno di Ickx e Bell, che, al momento del cambio, sembrano molto più allineati alle richieste di Singer e il vantaggio accumulato dalla Porsche 2 di Bellof, svanisce nel turno di guida di Derek Bell.
Bellof riprende in mano la 956 e non accenna a rallentare nemmeno quando ha ricostruito il gap su Jochen Mass e conduce la gara con 30 secondi di vantaggio sul secondo.
Ferma il cronometro a 6min25.91sec.
Poi, cercando ancora una volta di migliorare il suo tempo, perde il controllo della Porsche a oltre 250 kmph nel pressi di Pflanzgarten disintegrandola contro lo barriere. Mass in contatto radio con il team li avverte dell’incidente e del fatto che Bellof è seduto sul guarda rail, sorride e si sbraccia per salutarlo.
Nell’epilogo di questa gara, nel nome scritto eternamente sui libri dei record con tempi inavvicinabili per chiunque, e sulla gara letteralmente disintegrata contro le barriere nell’effimero tentativo di migliorare un tempo già siderale, stanno, a mio modo di vedere, tutta la grandezza e tutti i limiti di Stefan Bellof.

 “Stibbich”

Stefan “Stibbich” Bellof sale sui kart a 16 anni; a 23 anni partecipa alla German National Formula Ford 1600 Championship vincendo al primo colpo. Vince la versione Internazionale della Formula Ford nel 1982. Viene iscritto alle ultime 7 gare della Formula 3 e desta scalpore mettendo in fila tre vittorie. Nello stesso anno viene iscritto alla Formula 2 con il Team Maurer equipaggiato con un potente ma delicato BMW. In F2 attira gli occhi su di sé vincendo la prima gara in assoluto a cui partecipa a Silverstone sotto il diluvio; partito nono, rifila quasi mezzo minuto al secondo classificato. Vince anche la gara successiva a Hockenheim con lo stile che caratterizzerà la sua breve carriera: mettendo in fila Pole e giro veloce. La striscia di due vittorie nelle prime due gare di un debuttante in F2 finisce diretta nei libri degli annali. L’azzardo di Willi Maurer che ha preferito all’esperto Mick Thackwell la giovane promessa tedesca sembra essere ampiamente ripagato.
Nel 1983 viene confermato con il Team Maurer ma il delicato propulsore bavarese lascia troppo spesso a piedi quel tedesco dallo stile troppo esuberante per la delicata meccanica della MM83.
Inoltre la Rothmans ha messo gli occhi su un tedesco da appaiare all’esperto Derek Bell su una Porsche 956 ufficiale; la strada per poter finalmente mostrare alla platea internazionale le doti velocistiche di Bellof sembra finalmente spianata.

 Outro

Spesso, troppo spesso nel raccontare le vicende degli eroi del Motorsport, ci tocca raccontare di eventi tragici; di vite troncate troppo presto; di storie che lasciano l’amaro in bocca per quello che è stato e per tutto quello che sarebbe potuto essere.

Volevo che questa storia fosse diversa.

Volevo che, per una volta, avesse un lieto fine.

Per questo è raccontata a ritroso, partendo dalla sua fine.

Per questo si conclude con l’inizio; con il mio personalissimo lieto fine.

 The fastest man on earth

Stefan Bellof nasce il 20 novembre 1957 a Giessen in Germania.

E’ un bimbo biondo con un sorriso gentile che gli rimarrà per tutta la vita e che sedurrà tutti coloro che lo incontreranno.

E un giorno diventerà l’uomo più veloce del pianeta.

Marco Fumagalli a.k.a. Marloc

BASTIAN CONTRARIO: LA LOTTA ETERNA

Parto in quinta, dicendo immediatamente che nessuno sano di mente (naturalmente sapendo com’è finito il mondiale l’anno scorso e, soprattutto, dopo aver visto quei tre miseri giorni di test), si sarebbe aspettato un inizio di campionato in stile 2022 per la Ferrari. Ciò detto, nemmeno ci saremmo mai aspettati la fine indecorosa alla quale tutti abbiamo dovuto assistere domenica scorsa. Non ci sono giustificazioni, non ci sono scuse, ciò che rimane è tanta rabbia e rammarico per quello che sarebbe potuto essere e che non è stato. Il nuovo corso Ferrari a fine campionato (anche se per onestà e decenza debbo dire che la dirigenza aveva deciso già ben prima di novembre) ha scelto la strada che tutti conosciamo, puntando su un nuovo timoniere (parlo di timoniere di proposito, visto che il capitano è un altro) che avrebbe dovuto traghettare la nave rossa verso nuovi orizzonti. Ebbene gli orizzonti scorsi ieri non sono affatto nuovi, anzi è un film già visto, una lotta eterna che dura ormai da tempo immemore.
Sia chiaro sin da subito: la SF23 è la macchina dello staff di Mattia Binotto, l’ho detto in passato e lo grido a gran voce anche ora. Non ho di certo intenzione di rimangiarmelo o di girarci attorno. Nel bene e nel male rimarrà roba sua e del suo team e ricordo ancora le risatine a denti stretti di molti che, dopo (l’entusiasmo) della presentazione, affermavano il contrario, gli stessi che ora fanno marcia indietro (tranne che per le risate) dandomi ragione, evidentemente solo perché in questo momento ne conviene la virtù, visto il risultato di domenica. La prima domanda che mi viene in mente, alla luce di quanto visto, è: quanto è pesato allo staff tecnico di Maranello l’allontanamento di Binotto? Perché se è vero che è stato lui a seguire i lavori di gestazione, è anche vero che ha liberato l’ufficio da gennaio e quindi mi chiedo cosa diavolo hanno fatto in sua assenza in questi mesi che hanno preceduto la partenza del Bahrain GP? Quanto peserà in futuro la sua assenza? Perché il discorso, che ormai è divenuto un ritornello, che è una lotta eterna appunto, è sempre lo stesso e cioè che in seno alla Gestione Sportiva non c’è continuità. I dati al simulatore davano una SF23 forte, magari non subito all’altezza di una già pronta RB19, di sicuro non così indietro come abbiamo visto allo spegnersi dei semafori. L’attuale monoposto di Maranello doveva essere (ed è!) la naturale evoluzione di quella precedente, proprio come lo è l’attuale RB19. Purtroppo domenica abbiamo assistito ad una orribile involuzione con, apparentemente, gli stessi cronici problemi di motore. Questo fallimento di PU, mi da l’assist per poter citare il “capitano” della Gestione Sportiva (Vigna), il quale, poco prima dell’inizio del mondiale, si spese in un comizio elettorale, ad uso e consumo di giornali, telecamere e azionisti (perché solo loro contano per l’attuale dirigenza), affermando che la Rossa aveva risolto i problemi di affidabilità e che addirittura avremmo avuto a disposizione un “motorone”. Come ha già detto il mio amico Salvatore (@Mat14_05 sul Twitter), immediatamente dopo la fine del GP barenita, “un bel tacere non fu mai scritto” ed il volare basso, aggiungo io, è la prima regola in uno sport dove l’umiltà ed il duro lavoro sono tutto. Proprio queste dichiarazioni, unite all’epurazione effettuata a fine mondiale 2022, mostrano tutta l’inadeguatezza dello staff dirigenziale e manageriale della Rossa. Proprio la prestazione monstre dell’anonima e silente Aston Martin vanno a rimarcare quanto ho appena scritto: Stroll sr., a differenza del nostro Presidente, ha voglia di vincere realmente e quindi agisce di conseguenza andando a fare spesa proprio dai bibitari, sottraendogli “il figlioccio” di Newey, il quale si è portato dietro con sé, segreti e qualche altro buon ingegnere altrettanto motivato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, dove uno come Stroll jr. senza nemmeno aver toccato il volante nella tre giorni di test sempre in Bahrain, arriva sesto e l’immenso Alonso (che non aspettava altro!), corona il sogno arrivando a podio mettendosi dietro detrattori, Ferrari e chi gli passa mezzo retrotreno della sua AMR23, cioè i crucchi della Mercedes i quali, a loro volta, stanno anche messi peggio della stessa Rossa a Dio piacendo! Come mai degli ingegneri appartenenti ad una squadra campione del mondo (quindi situati in una realtà solida e sicura), hanno preferito fare un salto nel buio andando in un team che l’anno scorso era solamente settimo nel campionato costruttori? Le motivazioni sono solo i (tanti) soldi ricevuti? Di sicuro il compenso pattuito ha il suo peso, eppure dietro c’è dell’altro e cioè la garanzia di stabilità che ogni team (inglese!) fornisce al proprio staff e che, evidentemente, fa parte della loro cultura lavorativa e sportiva. Inutile dire, tra l’altro, che le citate squadre si trovano tutte in un fazzoletto di terra, il che comporta zero spostamenti per loro e, soprattutto, per le loro famiglie.
Ferrari è totalmente isolata, il che mi potrebbe stare anche bene visto che questo comporta un aurea di esclusività, solo che questa esclusività serve a ben poco se poi bisogna guadagnare magre figure (per non dire altro) come quelle di domenica scorsa. Chi vorrà mai venire a Maranello? Perché un team di F1 diviene vincente negli anni, rimanendo stabile nel suo organigramma e, nel contempo, rafforzando ed integrando con personale adeguato, fornendogli strumenti necessari e soprattutto serenità, quella famosa stabilità che Maranello rifugge da tempo immemore come in una lotta eterna soprattutto contro se stessa e che non fa nulla per nasconderlo al mondo esterno. Allo stato attuale, trasferirsi in Ferrari equivale ad un suicidio assistito: chi vorrà mai venire in Emilia Romagna, spostando le proprie famiglie, senza nessuna garanzia di rimanervi a lungo termine? Per quale motivo si dovrebbero avventurare in un buco nero, chiamato Ferrari, che inghiotte tutto; carriera compresa? Non avremo mai la controprova purtroppo, caso mai ci fosse stato l’ex Team Principal di come le cose sarebbero andate (e sono sicuro che se ci fosse stato lui domenica scorsa sarebbe stato messo in croce senza posa… a ragione dico io!). Non dico che non sarebbe successo nulla ovviamente, è anche vero che forse ci sarebbe stata un’opportunità di minimizzare quel disastro… forse. Intanto è stato mandato via un uomo che di sicuro non era il migliore dei Team Principal (che poi, con la dirigenza che la Rossa si ritrova, devo sempre capire, una figura come il Team Principal, appunto, possa eccellere) e nel contempo di sicuro è un ottimo ingegnere che ha seguito, assieme ai suoi uomini, la gestazione della nuova nata a Maranello. Sono perfettamente consapevole che la mia levata di scudi nei riguardi di Binotto suscita perplessità se non rabbia. Se il sottoscritto si spende tanto nei suoi riguardi non è perché ci guadagna qualcosa, bensì perché ama la logica ed odia gli sprechi: invece di tenerlo (continuità) ed affiancargli qualcuno (rafforzare), che lo potesse supportare (magari proprio con quel Todt che è stato rifiutato dal “mega presidente laterale”), come logica impone, si è preferito sprecare tutto quello scibile e quell’armonia che si stava creando in seno alla squadra. Ribadisco: per quale motivo un nome di grido dovrebbe venire ad impantanarsi in un guano del genere?
Adesso Ferrari deve vedersela da sola, con le proprie forze interne, sperando che riesca a venire a capo del problema ed allo stato attuale, dopo quanto visto, il mondiale si gioca più sul proteggersi da Aston Martin (ed AMG che ritornerà), che non inseguire una stratosferica Red Bull che con il suo alfiere sono già al 2024! Come in un film già visto, la Rossa si trova nuovamente a combattere questa lotta eterna che chissà per quanto tempo ancora dovremo assistere.

Vito Quaranta