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F1 in pillole – Capitolo 1

Nel corso della propria storia la Formula 1 è diventata  sempre più professionale, con investimenti ingenti di capitali, costi alle stelle, richieste pressanti degli sponsor e vari aspetti che hanno portato piloti e tecnici ad affrontare la propria passione con un attitudine manageriale e conseguente meno spazio per improvvisazione, fantasia e tentativi più o meno fortunati di tentare la via del successo nell’olimpo del motorsport.

Le storie e le curiosità legate alla Formula 1 si sono ovviamente ridotte sempre di più, ma restano negli annali decine di aneddoti che meritano di essere raccontati, tra fonti verificate e dicerie che da penna a penna si sono tramandate diventando unica versione ufficiale.

Da dove partiamo? Dai pionieri della Formula 1 ovviamente, quelli senza cinture e casco integrale, tra nobili, signori di mezza età, campioni indimenticabili e pionieri coraggiosi, torniamo agli anni cinquanta e sessanta!

Un principe thailandese in F1 – Il gran premio di Monaco 1950 iniziò con un terribile incidente multiplo in cui la vettura di Gonzales prese fuoco (se la cavò con qualche ustione), poi la gara riprese con il successo di Fangio (primo Grand Chelem della storia) che vinse alla media oraria di 98,701 km/h, ovvero il Gran Premio più lento di sempre. Nell’occasione colse i primi punti Il principe Birabongse Bhanutej Bhanubandh del Siam, noto come Prince Bira, unico pilota thailandese a correre in Formula 1; iscritto con una Maserati del team Platè, fu quindicesimo in prova a dodici secondi dalla pole e quinto al traguardo a cinque giri da Fangio. Corse fino al 1955 ottenendo tra l’altro due vittorie in gare non valevoli per il campionato del mondo di Formula 1.

Due gare in tre giorni – Il campionato del mondo 1951 partì con due gare in tre giorni, ovvero la prova inaugurale sul circuito di Bremgarten il 27 maggio e la 500 miglia di Indianapolis (in calendario ma solitamente senza i piloti del mondiale al via) prevista per mercoledi 30. Nel gran premio “di casa” Emmanuel De Graffenried (nato a Parigi ma di famiglia svizzera) si iscrisse con un Alfa Romeo e fu quinto sia in prova che al traguardo, conquistando i primi punti in Formula 1. Lo svizzero, attivo nelle corse fin dagli anni trenta, fu tra l’altro ultimo vincitore a Silverstone prima che diventasse prova iridata.

Formula 1 o Formula 2? – A causa del ritiro dell’Alfa Romeo, scuderia dominatrice nelle prime due edizioni, il mondiale di Formula 1 nel 1952 venne riservato alle vetture di Formula 2, in modo da garantire sempre un numero adeguato di concorrenti competitivi. La Ferrari partiva come grande favorita e già al debutto mostrò la propria forza: in Svizzera, con Ascari assente in preparazione per la 500 miglia, come pilota di punta venne schierato Taruffi, il quale colse l’unico successo in carriera nella categoria vincendo agevolmente con quasi tre minuti di vantaggio sul secondo. Dal 1954 il regolamento riportò in pista le vetture di Formula 1, mentre le F2 vennero ammesse, anche se fuori classifica, in alcune gare in cui si rese necessario infoltire la griglia.

Di chi è questo? E’ mio, è mio, è mio ecc. – Il Gran premio d’Inghilterra vide ben 32 piloti in griglia, tra questi l’argentino Marimon partì in 28esima posizione alla guida della Maserati (che non disputarono le prove essendo giunte in ritardo), riuscendo a superare addirittura 19 vetture nel corso del primo giro e terminando in terza posizione, risultato che gli valse il secondo podio in carriera; nell’occasione segnò il giro più veloce in gara insieme ad altri sei piloti, “merito” dei poco evoluti sistemi di rilevazione cronometrica dell’epoca, motivo per cui il punto allora previsto venne suddiviso in 0,14 punti ciascuno. Allievo e amico di Fangio, Marimon perse la vita durante lo svolgimento delle prove nel successivo Gp di Germania, i suoi compagni Wharton e Villoresi disertarono la gara mentre Gonzalez si ritirò durante lo svolgimento in quanto troppo sconvolto per l’accaduto.

Secondo? Terzo? No, entrambi – Pilota scrupoloso e polivalente, Trintignant ha corso 82 Gp in Formula 1 con un gran numero di vetture, sia da privato che per team ufficiali. Nel 1955 a Buenos Aires riuscì addirittura a ritirarsi e poi classificarsi (insieme a Farina) contemporaneamente secondo e terzo: dopo il ritiro corse infatti anche 16 giri sulla vettura di Gonzalez (condotta anche da Farina) e 22 su quella di Farina (su cui si alternò anche Maglioli). Il regolamento permetteva ai piloti di scambiarsi le vetture con suddivisione dei punti, motivo per cui Trintignant raccolse 2 punti per il secondo posto, 1,33 per il terzo e ovviamente 0 per il ritiro.

Il primo e l’ultimo – Scomparso nel 2015 a quasi 98 anni, due anni prima Robert Manzon era diventato l’ultimo pilota in vita tra quelli che avevano partecipato al primo mondiale di Formula 1 (dopo la scomparsa di Gonzalez). Ad eccezione di un anno in cui corse con una Ferrari schierata da Rosier, il pilota Francese ha sempre corso per l’Equipe Gordini, cogliendo come migliori risultati due terzi posti su un totale di 28 partenze.

Il “Ring” italiano – Il circuito di Pescara godeva di grande notorietà, soprattutto per lo svolgimento dagli anni venti della Coppa Acerbo, ed era inoltre considerato uno dei tracciati più ostici e pericolosi al mondo. Nel 1957, in seguito alla cancellazione dei gran premi del Belgio e Paesi Bassi, venne inserito per l’unica volta nel mondiale di Formula 1: vista l’incredibile lunghezza di 25,579 km è il tracciato più lungo dove si sia mai disputata una gara di Formula 1 ed è perciò inserito nel Guinness dei primati.

Mr. Bernie al volante – Prima di avviarsi ad una carriera dirigenziale, Bernie Ecclestone corse prima in moto e poi in auto, ritirandosi nel 1949 in seguito ad un grave incidente avvenuto durante una gara di Formula 3. Nel 1957 divenne manager di Stuart Lewis-Evans e nel 1958 rilevò la Connaught, con cui tentò di partecipare personalmente al Gran Premio di Monaco anche se, al pari degli altri “suoi” piloti, non riuscì a qualificarsi. Nello stesso anno Lewis Evans morì in un incidente, così come accadde nel 1970 a Jochen Rindt, di cui Ecclestone era manager; a quel punto Bernie maturò l’intenzione di abbandonare le corse, salvo poi tornare sui propri passi, partendo dalla Brabham fino ai vertici della Formula 1.

Sig. Fangio si accomodi, prego – Mike Hawthorn conquistò il suo unico titolo con una sola vittoria, contro le quattro del rivale Stirling Moss, grazie ad una straordinaria regolarità. A Reims, in una gara tragica dove perse la vita il suo compagno di squadra Musso, Hawthorn partì in pole e vinse la gara, tra l’altro nel finale raggiunse Fangio, alla sua ultima apparizione, ma evitò di doppiarlo in segno di rispetto, permettendogli di tagliare il traguardo prima di lui.
Fu la sua ultima vittoria, si ritirò infatti dalle corse a fine stagione e il 22 gennaio 1959, nei pressi del Guildford Bypass uscì di strada con la sua Jaguar. morendo sul colpo.

Italia dove sei? – Nel 1958 al Nurburgring, primo Gp della storia senza nessun pilota italiano al via, gli iscritti erano soltanto dodici, pertanto vennero ammesse, anche se fuori classifica, vetture di Formula 2. Dopo il terzo posto in Inghilterra, Roy Salvadori terminò secondo alle spalle del vincitore Brooks, cogliendo il miglior risultato in carriera, in una gara tristemente ricordata per la scomparsa di Peter Collins, fatalmente uscito di strada davanti agli occhi del compagno di squadra e amico Mike Hawthorn, a sua volta atteso da un tragico destino.

Formula 1 in autostrada – L’AVUS è ritenuta la prima autostrada aperta al traffico: inaugurata con la prima corsa automobilistica il 24 settembre del 1921, divenne anche un circuito formato da due rettilinei di poco meno di 10 km uniti da due curve di ritorno, di cui una fu resa sopraelevata nel 1936. Il tracciato tedesco ospitò una sola volta il Gp di Germania, nel 1959, evento funestato dalla scomparsa di Behra in una gara di contorno, mentre Hans Hermann uscì miracolosamente illeso da uno spettacolare incidente avvenuto nel corso del 36esimo giro per un guasto ai freni della sua Brm.

Lord of the rings – In alcune occasioni il circuito di Monza venne utilizzato con l’anello ad alta velocità e nel 1960 i team inglesi ne denunciarono la pericolosità disertando la gara, un’ottima occasione per la Ferrari che fino a quel momento era stata protagonista di una stagione deludente, con la Dino246 messa in difficoltà dalle più moderne vetture a motore posteriore. Per la rossa fu il trionfo con Hill che vinse davanti a Ginther (ultima vittoria per vettura a motore anteriore) mentre Willy Mairesse colse il primo e unico podio della carriera. Pilota aggressivo ma corretto, il belga fu poi vittima di due gravi incidenti che gli troncarono la carriera in F1, infine di un altro a Le Mans che lo costrinse a due settimane di coma e causò danni cerebrali permanenti. Mai più ripresosi dal trauma, morì suicida il 2 settembre del 1969.

C’è una prima volta per tutti – Al via del Gp d’Italia del 1960 nessuno dei piloti iscritti aveva ottenuto in precedenza una vittoria in Formula 1, unico Gran Premio nella storia di questo sport in cui è avvenuto ciò, se si esclude il primo in assoluto, il Gran Premio di Gran Bretagna 1950, oltre alla 500 Miglia di Indianapolis dello stesso anno. Tra i piloti in griglia anche Vic Wilson, che nella sua unica presenza in F1 fu costretto al ritiro, mentre sei anni più tardi si iscrisse a Spa, ma in gara la sua vettura fu utilizzata da Bondurant.

Baghetti, buona la prima – Dopo numerosi successi in altre categorie e due vittorie in gare non titolate, Giancarlo Baghetti venne iscritto a Reims con una Ferrari messa a disposizione dalla Fisa e, caso unico, vinse al debutto nel mondiale di Formula 1. Qualificatosi in dodicesima posizione, al termine di una gara emozionante precedette di un solo decimo la Porsche di Dan Gurney. Curiosamente Baghetti non vinse altre gare, mentre nel 1967 si distinse per essersi lanciato in soccorso di Lorenzo Bandini mentre assisteva da spettatore al Gran Premio di Montecarlo; direttore di “Auto oggi”, è scomparso nel 1995, stroncato da un male incurabile.

Una Giulietta da Formula 1 – De Klerk aveva una certa esperienza come tecnico della Lotus e decise di preparare una vettura per correre il Gran Premio di casa valido per il mondiale di Formula 1 oltre alle gare fuori calendario che si correvano in Sudafrica: la vettura, denominata Alfa Special, aveva una struttura tradizionale e montava un motore 4 cilindri in linea da 1,5 lt di derivazione Alfa Romeo “Giulietta”. De Klerk guidò la vettura nelle edizioni del 1963 e del 1965, concludendo quest’ultima al decimo posto, suo miglior risultato, poi si ripresentò successivamente in altri due Gp del Sudafrica alla guida di una Brabham.

C’era una volta in America – Luigi Chinetti ottenne grandi successi al volante della Ferrari e una volta appeso il casco al chiodo decise di promuoverne il marchio negli Usa, fondando la North American Racing Team. Oltre a risultati di prestigio in varie categorie, la N.A.R.T. iscrisse anche alcune Ferrari in Gp di Formula 1 disputati in terra americana: nel 1964 ebbe l’occasione di schierare i piloti ufficiali, tra cui il campione del mondo Surtees, in seguito a polemiche tra Enzo Ferrari e la federazione internazionale, mentre negli anni seguenti l’imprenditore italiano poté contare su Pedro Rodriguez e Bob Bondurant, che debuttò in F1 a Watkins Glen nel 1965 concludendo la gara al nono posto.

Motore a 16 cilindri – Nel 1966 cambiò il regolamento e la cilindrata dei motori passò da 1500 a 3000 cm³: la BRM tentò la carta di un particolare motore ad H di 16 cilindri  dotato di grande potenza ma anche di un peso decisamente superiore alla media. Il primo a segnalarlo fu Chapman, che strinse un accordo di fornitura e all’arrivo del materiale lamentò di aver utilizzato quattro meccanici per scaricarlo dal camion. L’unico successo del BRM H16 arrivò proprio con la Lotus (Jim Clark al volante), mentre sulle vetture Brm non riuscì mai a decollare e venne presto accantonato; visti i risultati deludenti la direzione tecnica della casa britannica decise di optare per la progettazione di un nuovo motore V12, più semplice da gestire e realizzare, dalla potenza di 370 cv gestito da un cambio Hewland manuale a cinque rapporti. L’ottima P126 progettata da Len Terry era dotata di telaio monoscocca realizzato in alluminio e consentì al team di cogliere il quinto posto tra i costruttori grazie ad alcuni podi, tra cui il secondo posto di Attwood a Monaco, miglior risultato in carriera per il britannico.

Quando la F1 iniziò a fumare – Nativo dello Zimbabwe e sei volte vincitore del campionato sudafricano di Formula 1, John Love corse nel mondiale quasi esclusivamente il Gran Premio di casa, riuscendo incredibilmente a sfiorare il successo nel 1967 (terminò secondo) nonostante fosse al volante di una vecchia Cooper con motore della Tasman series modificato. L’anno seguente si presentò al via con una Brabham con il marchio delle sigarette Gunston, primo caso di sponsorizzazione professionale su una vettura di Formula 1.

Alla Shannon il premio per il “riciclo” – Il costruttore Shannon Racing Cars ha partecipato ad un solo Gran premio (Inghilterra 1966) iscrivendo la propria vettura con un motore Coventry Climax 2.5L V8 di ben dodici anni prima, modificato secondo le esigenze regolamentari dell’epoca. Venne scelto il pilota inglese Trevor Taylor (per lui fu l’ultima gara in F1) che si qualificò in diciottesima posizione ma non riuscì a completare nemmeno un giro proprio per noie al motore, si chiuse così la brevissima esperienza della Shannon in Formula 1.

Chi va piano arriva sano ma non va lontano – Considerato uno dei piloti canadesi più vincenti negli anni ’50 e ’60, a quasi cinquant’anni Al Pease provò a cimentarsi in Formula 1, iscrivendosi ad alcune edizioni del Gp del Canada al volante di una Eagle. Dopo un’infelice debutto nel 1967 (non venne classificato avendo terminato la gara a ben 42 giri dal vincitore) e un forfait per problemi tecnici, nel 1969 stabilì un particolare primato: al 22esimo passaggio venne infatti fermato (in particolare dopo una segnalazione di Ken Tyrrell) e squalificato in quanto troppo lento rispetto agli altri concorrenti, evento unico nella storia della Formula 1.

 

Siamo arrivati alla fine del primo capitolo, speriamo di avervi tolto qualche curiosità e di essere stati precisi. Ci vediamo alla prossima.

Mister Brown

Virtual driver by McLaren

Vuoi diventare un pilota di F1 per il  simulatore della McLaren? A breve potrai farlo.

Già, la casa di Woking ha avviato un progetto di ricerca di driver online, andando a chiedere aiuto a colui che fece nascere la GT Academy, alias  Darren Cox. Per i meno avvezzi, è il personaggio che ha ideato la GT Academy , in collaborazione con Nissan e Play Station, per dimostrare che si potesse portare in gara e con buoni risultati, dei piloti virtuali fortissimi sulla piattaforma del gioco Gran Turismo. (progetto nato nel 2008)

Per quel che riguarda il tentativo fatto con la GT Academy, i risultati sono stati più che rosei, con piloti che spesso hanno ben figurato poi nelle competizioni. C’è da dire però, che le selezioni non si limitavano a una attitudine limitata al game, ma dopo una selezione di un gruppo di possibili futuri piloti reali, c’erano da superare difficili sessioni di allenamento, verifiche delle doti di guida nella realtà, la capacità di apprendimento, il lavoro di squadra, l’analisi dei dati, il saper sopportare lo stress e fatica. Insomma, non illudetevi che basti essere forti a Gran Turismo, per poter far belle cose a Le Mans.

Nel caso di Mclaren, a oggi non sono ancora ben chiare le regole del concorso, ma si sa già da ora, che non ci sarà una sola piattaforma di “gioco” (ormai più simulazione vera e propria), su cui verranno trovati i 10 virtual driver, che andranno poi alla seconda fase. E’ facile aspettarsi che si andranno a utilizzare i vari simulatori di guida un pò meno realistici, come probabilmente i vari Gran Turismo e Forza Motorsport, andando poi a salire, fino a quelli per palati sopraffini, come Assetto Corsa, una delle eccellenze nella simulazione per pc e non.

Dei 10 piloti virtuali, 6 verranno scelti da un gruppo di esperti di F1 e videogame, mentre altri 4 usciranno dalle varie sfide che si effettueranno nei mesi estivi. Passata la prima fase, ci sarà una ulteriore sfida direttamente in sede a Woking, dove i 10 dovranno dimostrare di avere anche altre doti, oltre che la pura capacità velocistica nel virtuale, andando a mostrare anche le loro capacità di lavoro di squadra, analisi dei dati, capacità di fornire informazioni e quanto altro serva, per essere un ottimo pilota da simulatore.

Il compenso per il vincitore, sarà quello di vedersi sottoscrivere un contratto di un anno, come virtual tester con McLaren, prospettiva che può essere da sogno per molti appassionati di corse.

Resto in dubbio, su quanto questa, sia più una trovata per avvicinare i giovani alla F1 o invece mero marketing, oppure una visione a lungo termine, su un ipotetica futura competizione di F1 virtuali.

Ma ora scusate, vi lascio perchè devo allenarmi al pc 😉

Saluti Davide_In-Driving -Simulation_QV

La Beffa di Adelaide

La Formula 1 “che fu” deve la propria fama a gare spettacolari, gesti eroici, fallimenti clamorosi, grandi uomini, circuiti affascinanti, innovazioni tecniche e tanto altro, oltre indubbiamente a rivalità e dualismi dai risvolti sportivi e umani molto intensi; storie che attirano il pubblico, coinvolto a sua volta in diatribe infinite che spesso superano la carriera e a volte l’esistenza stessa dei protagonisti delle vicende narrate. Su una di queste storie Ron Howard ha prodotto un film che ha riscosso un grande successo al botteghino, incontrando i favori del grande pubblico e dividendo gli appassionati di Formula 1, visto che alcuni si aspettavano forse una riproduzione più tecnica e fedele delle avventure di Lauda e Hunt, ma non possiamo dimenticare che quella pellicola è prima di tutto intrattenimento e in un’era dove la Formula 1 è distante come non mai dalla gente vedere le file al cinema per ammirare le gesta di due eroi dei gran premi dovrebbe bastarci.

“Due sono i mondi in cui gli uomini si ritrovano messi a nudo, tutte le facciate spariscono, in modo che è possibile vedere il loro nocciolo duro. Il primo è il campo di battaglia.” Edward Bunker 

Senza scomodare i pionieri della Formula 1 e restando nell’era moderna, c’è sicuramente un incontro/scontro che se trasferito a Hollywoord meriterebbe una trilogia in stile “Lord of the Rings”: stiamo parlando ovviamente di Senna e Prost, il duello dei duelli, in pista e fuori, tra dichiarazioni al vetriolo, colpi proibiti e un finale romantico reso amaro dalla tragedia. La Mclaren in quel periodo non aveva rivali all’altezza e riuscì a controllare la situazione incamerando titoli mondiali a ripetizione, ma in casa Williams una situazione analoga portò risultati nefasti in ben due occasioni. Nel 1981, con Reutemann e Jones a condividere il box, il team non riuscì a gestire il conflitto con logica “aziendale”, vanificando le prestazioni dell’auto favorita e lasciando strada ad un terzo incomodo teoricamente svantaggiato, ma abile a raccogliere i risultati necessari per tenersi in gioco fino all’ultimo incredibile round. Il terzo incomodo rispondeva al nome di Nelson Piquet, che cinque anni più tardi si trovò a sua volta al centro di un aspro conflitto con il compagno di squadra Nigel Mansell alla corte di Sir Frank.

Dopo due titoli mondiali in sette stagioni alla Brabham, team di nobile origine destinato ad un rapidissimo declino, Piquet aveva trovato nuovi stimoli nell’offerta della Williams, pronta a tornare ai vertici grazie ad uno staff di prim’ordine e una FW11 di nuova concezione, più convenzionale e affidabile, dotata di un propulsore Honda che si dimostrò non solo potente ma più equilibrato nel rapporto tra durata e prestazioni, limando anche i cronici problemi di turbo-lag che lo avevano afflitto nelle prime stagioni in F1. Il campione carioca trovò ai box Nigel Mansell, pilota aggressivo e istintivo che dopo le iniziali difficoltà convinse gli addetti ai lavori in merito alla proprie qualità, entusiasmando il pubblico per l’attitudine da guerriero senza paura, come quando a Dallas partì dalla pole e dopo alcuni problemi tecnici svenne al traguardo dopo aver spinto la vettura rimasta senza benzina. Il leone inglese era arrivato in Williams l’anno precedente, accolto con poca simpatia da Rosberg, anche se lavorando insieme i due riuscirono ad instaurare un rapporto di reciproca stima e collaborazione importante per i risultati in pista e lo sviluppo della vettura; sarebbero riusciti i due nuovi compagni di squadra a creare lo stesso clima?

A proposito: Senna, Prost, Mansell, Piquet. Incredibile pensare che per un decennio quei quattro nomi fossero presenti in un’unica griglia di partenza! C’è una bella foto che li ritrae insieme, sorridenti e rilassati (evento raro), quattro tra i piloti più forti di tutti i tempi protagonisti di un’era che, purtroppo, non potrà ripetersi, ma questa è un’altra storia.

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“Resistere significa semplicemente tirare fuori gli attributi, e meno sono le chance più dolce è la vittoria.” Charles Bukowski

Arrivò finalmente l’atteso “Via” e i test invernali indicarono la Williams Honda come la compagine favorita per il titolo, anche se il team prima dell’inizio del campionato venne sconvolto da un drammatico incidente stradale di cui fu vittima il Patron Frank, da quel giorno costretto a vivere su una sedia a rotelle. Tra gli altri team il rivale più accreditato era sicuramente la Mclaren dominatrice delle ultime due stagioni, con il campione in carica Alain Prost, finalmente smarcatosi da quell’etichetta di eterno secondo che lo aveva perseguitato nei primi anni di carriera. A far compagnia al professore francese arrivò Keke Rosberg, mentre la Lotus confermò l’astro nascente Ayrton Senna, pilota micidiale sul giro secco, implacabile in condizioni di pista avverse e sempre più maturo, tanto aggressivo in pista quanto influente all’interno del proprio team, da anni lontana dai fasti degli anni d’oro ma ancora in grado di mettere in pista una vettura competitiva, con uno staff molto attento alle indicazioni di un pilota sicuramente in grado di fare la differenza.

Nel tradizionale appuntamento di apertura a Jacarepagua Ayrton Senna confermò le proprie doti in prova rifilando sette decimi a Piquet e oltre un secondo a Mansell, mentre in piena era del turbo la differenza tra colossi dell’auto e piccoli team divenne sempre più evidente, tanto che a metà schieramento si riscontravano distacchi pesanti e nelle ultime file le “sorelle minori” giravano oltre dieci secondi al giro più lente. In gara Mansell fu vittima di un eccesso di agonismo ed uscì subito di scena nel tentativo di passare Senna, che chiuse secondo alle spalle di Piquet; deluse invece le aspettative la rivoluzionaria Brabham BT55 denominata “sogliola” , con Patrese costretto presto al ritiro e De Angelis fuori dalla zona punti a tre giri dal vincitore, un fallimento probabilmente decisivo per le sorti del team fondato da Black Jack.

Dopo 5 anni la Formula 1 tornò in Spagna nel nuovo impianto di Jerez, aspramente criticato per la conformazione poco adatta alla categoria e le misure di sicurezza giudicate insufficienti, ne uscì comunque una bellissima gara, destinata ad entrare nella storia: Senna, ancora in pole con quasi un secondo sulla diretta concorrenza, tentò di prendere il largo, mentre alle sue spalle non mancarono i duelli; a metà gara Mansell passò in testa ma iniziò a patire un eccessivo degrado degli pneumatici, prendendo poi troppo tardi la decisione di sostituirli: rientrato in pista dopo il pit-stop iniziò a macinare giri record e in poco tempo si riportò alle spalle di Senna e i due arrivarono al fotofinish con il brasiliano primo con 14 millesimi di vantaggio!

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“Fortis cadere, cedere non potest.” Proverbio latino

Prost, fino a quel momento defilato, calò un bis di vittorie a Imola e Montecarlo, portandosi in testa al mondiale, mentre le Williams sorprendentemente stentavano a decollare. Quella del principato fu purtroppo l’ultima presenza di Elio De Angelis: i suoi sogni di gloria, già ridimensionati da un team tanto ambizioso quanto deludente, si infransero infatti definitivamente il 15 maggio 1986 in un ospedale di Marsiglia, a causa delle ferite riportate in un gravissimo incidente avvenuto il giorno precedente al Paul Ricard durante una sessione di test privati dove le misure di sicurezza si rivelarono fatalmente inadeguate. La Brabham decollò per il distacco di un alettone e prese fuoco in seguito all’impatto, De Angelis restò nella macchina in fiamme per sette minuti e i primi a soccorrerlo furono i piloti (Alain Prost tentò di estrarlo dall’auto) mentre meccanici e commissari giunsero tardivamente. Cediamo per un attimo la parola a Ezio Zermiani: “Basta con questi laceranti rumori, ora potrai rilassarti come piaceva a te. Ricordi? Ssshht, non disturbiamolo, Elio sta sognando”

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“Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te.” Friedrich Nietzsche

Ancora commosso per l’assurda perdita di Elio, l’ambiente della Formula 1 ripartì nel segno di un duello tra quattro piloti consapevoli l’un l’altro di avere di fronte tre nemici di altissimo livello, vietato abbassare la guardia dunque, con ovvia soddisfazione per gli spettatori di un’opera di prim’ordine, probabilmente uno dei campionati più entusiasmanti della storia.

A Spa Berger si mise in evidenza in prova ma al via costrinse al contatto Senna (comunque secondo) e Prost, ottimo sesto al termine di una gara di rimonta dopo essere finito in fondo al gruppo; Mansell approfittò del ritiro di Piquet per vincere la gara e recuperare terreno, concedendo un gradito bis a Montreal, insidiato realmente dal solo Rosberg, tanto aggressivo quanto eccessivo nei consumi. A quel punto il leone aveva affiancato Senna a due sole lunghezze dal leader Prost, come sempre costante e attento nella visione strategica in ottica campionato, mentre Piquet, visto da molti come il grande favorito a inizio stagione, sembrava non essere in grado di incidere.  Dopo un quinto posto a Detroit, dove vinse Senna, Mansell riprese la fuga vincendo sia al Paul Ricard (drasticamente rivisto dopo l’incidente mortale di De Angelis) che a Brands Hatch, di fronte a Frank Williams, che tornò per la prima volta ai box dopo l’incidente, assistendo ad una gara dove le sue vetture terrorizzarono la concorrenza doppiando tutti. Quella di Brands Hatch fu anche l’ultima gara per Jacques Laffite, che proprio in quell’occasione eguagliò il record di presenze di Graham Hill, ma fu coinvolto  in una carambola innescata da Boutsen che gli procurò gravi ferite alle gambe. Protagonista con la Ligier a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, l’umile Jacquot non ha mai attirato l’attenzione dei riflettori come altri suoi colleghi, ma è sicuramente stato tra i piloti più veloci in una generazione di fenomeni e salutò tutti con 176 presenze, 6 vittorie, 7 pole e 32 podi.

A quel punto Piquet era a 18 punti dal compagno di squadra, ma Nelson non era certo tipo da abbattersi, come dimostrano le incredibili rimonte che lo portarono al titolo nel 1981 e 1983, quando a metà campionato nessuno, come in questo caso, avrebbe scommesso sulla sua vittoria. Non a caso il brasiliano calò un tris di successi tra Hockenheim e Monza, confezionando tra l’altro all’Hungaroring un sorpasso su Senna destinato ad entrare nella leggenda: un primo tentativo avvenne forzando la staccata in fondo al rettilineo, ma la Williams finì larga, Piquet rimase incollato agli scarichi di Senna per sfruttare al massimo la scia della Lotus e all’esterno della solita staccata dopo il rettilineo di partenza percorse tutto il curvone di traverso, riuscendo a controllare con un controsterzo incredibile la sua Williams, un sorpasso leggendario che portò il brasiliano di Rio a vincere il primo GP d’Ungheria della storia.

1986 Hungarian GP - Piquet Senna

In mezzo ai tre successi di Piquet vinse un Gran Premio anche Prost, sempre incollato alle Williams, mentre Senna fu vittima di due ritiri consecutivi che lo allontanarono dal vertice; nel frattempo si mise in luce il nostro Teo Fabi, protagonista a Monza e sull’Osterreichring con due pole position che, causa guasti meccanici, non portarono punti, mentre all’Estoril Mansell colse la quinta vittoria stagionale, rifilando una vera e propria mazzata alla concorrenza: con due sole gare da disputare il Leone poteva ora contare su ben 70 punti, con un margine di 10 lunghezze su Piquet e 11 su Prost. A Città del Messico il mondiale poteva chiudersi anticipatamente ma le condizioni del tracciato favorirono il compagno di squadra di Fabi, Gerhard Berger (già pronto per il passaggio in Ferrari) che regalò la prima vittoria alla Benetton con la complicità degli pneumatici Pirelli, grazie ai quali riuscì a non fermarsi ai box al contrario degli avversari gommati Goodyear, tra questi Mansell, che chiuse la gara al quinto posto ad un giro del vincitore, mentre Prost, secondo, riuscì a riaprire il mondiale, anche se la conferma del titolo sembrava comunque un’ipotesi poco probabile.

“Veni, vidi, vici” Giulio Cesare

Ad Adelaide, prova conclusiva del mondiale, in quello che poteva essere un trionfo annunciato la Williams, arrivò addirittura Sōichirō Honda, padre fondatore dell’azienda che portava il suo nome; le prove confermarono le sensazioni della vigilia con le Williams in prima fila, grazie a Mansell primo e Piquet secondo, con Senna (ormai fuori dai giochi) al terzo posto e Prost quarto ad oltre un secondo di distacco.

Davanti ad un foltissimo pubblico Ayrton Senna fu velocissimo allo start, mentre dopo pochi giri fu sorprendentemente Rosberg a prendere il comando, deciso a dare l’addio alla Formula 1 nel migliore dei modi al termine di una stagione tribolata. Mansell continuava a controllare la corsa in quanto sia Piquet che Prost avrebbero potuto sopravanzarlo in classifica solo vincendo il Gran Premio, situazione che nella prima fase di gara appariva ancora improbabile tenendo in considerazione che Piquet fu protagonista di un testacoda senza conseguenze che lo aveva ulteriormente allontanato dal leader, mentre Prost rientrò ai box causa una foratura perdendo alcune posizioni. Questo cambio gomme imprevisto si rivelò quanto mai decisivo, ma in quel momento nessuno avrebbe potuto immaginarlo.

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La Goodyear aveva rassicurato i propri clienti sul fatto che le proprie gomme sarebbero durate per l’intero Gran Premio, ma al sessantatreesimo passaggio la gomma di Rosberg cedette e Keke fu costretto mestamente ad accostare; la Williams forse sottovalutò l’episodio, oppure le comunicazioni non furono sufficientemente tempestive, ad ogni modo ai box del team inglese non suonò il campanello d’allarme e Mansell rimase in pista, ma nel giro successivo sul velocissimo Brabham Straight la sua gomma posteriore sinistra esplose alla velocità di 290 Km/h: l’inglese diede prova di grande temperamento controllando la vettura fino alla via di fuga, ma a quel punto poteva solo assistere al finale di gara sperando in un miracolo.

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La Williams tentò di correre ai ripari e Piquet venne richiamato frettolosamente ai box mentre Prost, che aveva già sostituito gli pneumatici dopo la foratura, prese il comando e non lo lasciò più, gestendo nel finale la rincorsa di uno scatenato Piquet, che inanellò una serie di giri veloci insufficienti per recuperare lo svantaggio. Si era ormai consumata quella che nella storia della Formula 1 è ricordata come la beffa di Adelaide. Alain Prost vinse il suo secondo titolo mondiale, per la Mclaren fu invece il terzo consecutivo, la compagine capitanata da Ron Dennis aveva già in programma un anno di transizione in vista del passaggio ai motori Honda, che arrivarono nel 1988 insieme ad Ayrton Senna, con l’intento di continuare il proprio ciclo vincente in Formula 1.

Box Mclaren, Senna e Prost, ma questa è un’altra storia…

TO BE CONTINUED

Mister Brown

Barbecue di merluzzo per la Pasqua rossa in Bahrain

La F1 è tornata a correre il giorno di Pasqua e la Ferrari ha organizzato una bellissima festa culminata con inni goliardici a gina da parte di tutta la squadra e con Sebastian Vettel indiscusso primattore. Credo che Hamilton sia costretto a passare le due settimane che mancano al prossimo gp (e ci sono forti segnali che potrebbe dover continuare più a lungo) a riflettere sui complimenti a Seb fatti nel dopo gran premio di Cina e a mordersi la lingua ripensando ai bei tempi in cui tirava i guanti a Rosberg.

Una festa bellissima dicevamo, e strameritata per la Ferrari, nonostante la viglia avesse messo in evidenza i primi problemi di affidabilità della PU rossa con la rottura(?) di alcuni componenti. Probabilmente il conseguente (presunto?) depotenziamento precauzionale in prova (mancato utilizzo del bottone magico?) ha permesso alla Mercedes di fare ancora la gradassa in qualifica monopolizzando la prima fila con (udite! udite!) Bottas a conquistare la prima pole di carriera.

Hamilton di fronte alla pole persa (addio al primato delle otto pole consecutive di Senna) ha fatto buon viso anche perché aveva la responsabilità di un errore nell’ultima curva del giro “buono”.

La gara ha fugato però ogni dubbio sin dalla partenza e gli ha presentato un conto pesante. Alla prima curva Vettel gli ha messo le ruote davanti con una staccata di prim’ordine e non gli ha più concesso certezze per tutta la gara.

La sintesi della gara in effetti è tutta qui, anche se i due attori protagonisti si sono rincorsi a distanza, causa diverse strategie: Vettel implacabile a dimostrare assieme alla squadra solo certezze sia sul comportamento della macchina che delle gomme. Hamilton e la Mercedes ad inseguire. Nel finale è vero che abbiamo assistito ad un tentativo di rimonta di Lewis che lo ha portato ad arrivare molto vicino a Seb sul traguardo, ma ho la certezza che Vettel più che dalla rimonta di Lewis fosse distratto dalla manicure del ditino da mostrare al mondo intero sul podio.

Sul fronte squadre Mercedes ha dimostrato di giocare sul solo Hamilton in ottica riconferma mondiale, relegando Bottas ad un ruolo di comprimario da sacrificare alla bisogna alle strategie di squadra. Sono infatti almeno un paio i team radio che lo hanno “invitato” a dare strada al compagno. E questo proprio nel momento in cui lo stesso Bottas sta dimostrando di poter avere qualche cartuccia da sparare a livello di prestazioni. A questo punto è lui che deve giocare le sue carte e scegliere se recitare per tutta l’anno il ruolo di cavalier servente per cercare un rinnovo oppure se provare a “ribellarsi” e mostrare di avere anche gli attributi del campione (certe opportunità non si presentano facilmente e le strade dei gp sono lastricate di anonimi “campioni”). Oppure come nella metafora del titolo, accettare di essere offerto come sacrificio alla festa della Pasqua rossa.

Il ruolo di Nico Rosberg e il suo contributo alla squadra risaltano probabilmente più adesso che è assente.

Anche Raikkonen ha corso una gara incolore, l’ennesima. In questo caso non sono stati nemmeno necessari i team radio per raffreddare le velleità nei confronti del compagno. Le prestazioni di Kimi sono state incolori sempre nel weekend e, incapsulato in un’abulia ormai cronica, è riuscito a qualificarsi dietro anche alle RedBull e a battagliare con la Williams di Massa (!) in più riprese durante la gara. La SF70H non è la F14T una macchina dietro cui nascondersi per giustificare qualsiasi prestazione insufficiente, ma sembra che Kimi ci stia provando. Il rischio, ormai il verdetto direi, è di terminare la carriera come pietanza bollita di un barbecue che si annuncia frequente in questa stagione.

Dal punto di vista delle squadre, il campionato costruttori rischia di essere una battaglia di merluzzi, con Arrivabene e Wolff finalisti di masterchef.

Che dire degli altri? Mi piace la Renault che silenziosamente sta facendo piccoli ma positivi passi con una politica speculare a quella di Honda per esempio. Anche qui abbiamo una sola vettura in campo, quella di Hulk. Palmer rimane infatti un mistero (mica tanto).

Piccoli passi in avanti (ma proprio piccoli) almeno in gara per la Force India e un brutto passo indietro per la Toro Rosso. Sul fronte piloti Sainz ha vinto ieri il “tiro a Stroll”, il nuovo gioco introdotto per coinvolgere nell’interesse del Gran Premio anche le seconde linee.

Massa cerca una improbabile seconda giovinezza con una Williams che non riesce a supportarlo in alcun modo.

Sul fronte McLaren si segnala che dietro la cortina di fumo alzata con la partecipazione di Alonso a Indianapolis ci sono due cose:

il niente della Honda (cha anche ieri ha lasciato a fare il turista Stoffel) e il crollo di Fernando.

Le prestazioni della Ferrari e quindi la caduta di una delle sue più forti motivazioni al progetto Mclaren e la cronica inconsistenza dei giapponesi hanno avuto la meglio sul suo morale.

In pista, Fernando, vistosi sverniciato da chiunque in rettilineo, ha pensato bene di aprire un’autoscuola di pilotaggio per i piloti delle retrovie. Divertente, allegorico. Ma non può bastare. Probabilmente ne ha approfittato per dare un’occhiata da vicino alla Renault di Palmer sua probabile macchina del futuro.

Quando è sceso dalla macchina (senza benzina?) il dubbio più grande era se salirà ancora sulla macchina a pedali arancione.

Non credo abbia partecipato al barbecue Ferrari.

Aviator

Piccoli FRIC crescono

La stagione di Formula 1 che si appresta ad iniziare offre parecchi spunti di riflessione su molteplici piani.
Uno dei cambiamenti meno evidenti e più radicali consiste nella parte dei freni.
Un cambiamento non dovuto al solo fatto che le monoposto avranno minori velocità di punta in rettilineo e maggiori in curva.
Ma la maggiore impronta a terra delle gomme e il maggiore carico aerodinamico farà sì che gli spazi di frenata vengano ridotti.
Ricordiamo a tal proposito che una monoposto da competizione non frena come una macchina qualsiasi ma, sfruttando il fatto che la deportanza diminuisce drasticamente con la velocità, la frenata tende ad essere più violenta possibile nei primi istanti per poi lasciare la parte di modulazione quando la velocità e quindi il carico sono diminuite quel tanto da rendere la tenuta di strada prevalentemente appannaggio delle coperture.
Frenate più brevi e più violente, quindi.
E con le vetture che peseranno maggiormente a causa del nuovo limite minimo, delle gomme ad impronta più ampia e quindi più pesanti e della quantità aumentata di carburante, i trasferimenti di carico saranno ancora più forti fra avantreno e retrotreno in fase di frenata e successiva accelerazione.
E qua entra in gioco la stabilità cinematica della vettura e come le sospensioni riescano o meno a tenere il corpo macchina più stabile possibile.

Finalmente arriviamo al sistema Mercedes che utilizza una barra di torsione controllata automaticamente con un sistema che tiene conto dell’altezza della macchina da terra ad ogni dato instante e, via inerziale, se la vettura sta percorrendo una curva rapida o una lenta, se è in piena velocità o se in staccata.
Il regolamento tecnico proibisce espressamente una interconnessione fra le sospensioni anteriori e posteriori e ad incrocio (anteriore sinistra con posteriore destra, e vice versa) ma non vieta la comunicazione diretta fra la parte destra e sinistra dell’asse anteriore o posteriore.
Un esempio lampante di questa connessione è l’I-damper originariamente ideato di Phil Mackereth in McLaren ed oggi utilizzato praticamente dall’intero campo dei partenti in Formula 1.
Nel caso del sistema Mercedes oltre al noto sistema ci sarebbe una barra di torsione con un grado di rigidità variabile a seconda delle condizioni dinamiche in cui si trova la monoposto.
Ovviamente il regolamento tecnico impedisce qualsiasi trasferimento di energia al circuito che quindi deve essere chiuso.
Non impedisce, però, una connessione con molle di ancoraggio che, se opportunamente calibrate, possono agire come regolatori dell’intero sistema.
Proprio la calibrazione molto lunga e laboriosa di questo sistema pare sia stato il motivo principale delle sessioni di test pressoché infinite che hanno messo in pista gli uomini di Brackley ad inizio della scorsa stagione.
E pare che sia stato questo lo scoglio principale che ha fermato per buonissima parte della stagione appena conclusa i tecnici di Milton Keynes: gli unici che, sia dato sapere, hanno ideato qualcosa di simile al sistema messo in pista da Mercedes.
Ferrari ha chiesto espressamente un chiarimento sulla liceità dell’intero sistema ma stante l’avanzato stato di sviluppo della propria monoposto e stante i tempi biblici che paiono essere necessari per la corretta calibrazione dei delicati equilibri dinamici, questa richiesta più che altro pare una abile mossa di disturbo nei confronti degli avversari.
Certo un sistema che possa abbassare la vettura nei rettilinei facendo chiudere il flusso verso l’estrattore quindi con un netto vantaggio sulle velocità di punta, salvo poi rialzarla a piacimento nei tratti guidati pare un vantaggio a cui nessuno può rinunciare.
E che di certo nessuno vuole regalare ai propri avversari.