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2017 FORMULA 1 AZERBAIJAN GRAND PRIX BAKU

Eccoci pertanto giunti all’ottava prova del Campionato del Mondo di  F1 2017 che si terrà su circuito cittadino di Baku in Azerbaijan. Del circuito già si sa tutto e si è già scritto tutto ovvero che, nonostante la peculiarità dei 2km a gas spalancato ed il passaggio in stile mulattiera presso la torre, era e resta un tracciato anonimo nel più celebre Tilke-style dove di fatto il Pilota fa la differenza più che a livello pilotaggio a livello di concentrazione. Concentrazione che nel 2016 vide un inspiegabile passaggio a vuoto di LH44 per tutta la durata delle qualifiche (dopo aver primeggiato nelle FP1/2/3) condita poi dalla sciarada sul reset da effettuare attraverso i pulsanti del volante in gara mentre si assistette alla performance più solida di tutto lo scorso, sciagurato anno da parte di SV5 che finì per agguantare un robusto secondo posto alle spalle solo di un irraggiungibile NR6 sulla sua altrettanto irraggiungibile W07H.

Al netto della curiosità (a mio parere minima) di come le F1 2017, col loro carico aerodinamico così consistentemente aumentato rispetto allo scorso anno, affronteranno i già citati 2km a gas spalancato i motivi di interesse del GP quest’anno sono tutti nei 12 punti che separano SV5 da LH44 dopo il GP del Canada. Chi scrive pensa che tale divario sia esiguamente ingannevole poichè il capolista e la sua vettura potenzialmente potevano portare a casa tutte e 7 le gare già disputate, cosa che oggettivamente non si può dire dell’inseguitore. Inseguitore che in questo weekend è chiamato alla doppia prova 1 di cancellare il ricordo del tremendo weekend di gara dello scorso anno e 2 dimostrare i progressi della W08 col suo set-up più difficile che non nel triennio 2014/2016. Non sarà un’impresa facile anzi molto si giocherà sul feeling di LH44 con le frenate di Baku: è noto che buona parte della magìa di guida del Britannico risiede nel suo talento in frenata pertanto con le staccate a posto potrebbe oggettivamente impensierire SV5 durante il weekend. Il quale SV5, a sua volta, è lecito aspettarselo nella consueta, ottima forma “trasversale” della 668 la quale è nata bene e cresce altrettanto attraverso un continuo lavoro di affinamento volto ad introdurre costantemente novità ad ogni GP e mai degli updates rivoluzionari e/o men che meno delle versioni B (sarà poi mai davvero esistito il progetto della 668 “B” a passo lungo o era una delle tante, troppe illazioni prestagionali?).

Staccando dal duo di testa del WDC2017 e pertanto passando al resto del plotone arrivano, come noto, le note dolenti. Nel senso: c’è di che baciarsi i gomiti per il fatto di stare assistendo ad 1 Ferrari ed 1 MB che si stan giocando il Piloti anzichè due MB come nel 2014/5/6 però, com’è noto, fatti salvi i due Alfieri il resto del panorama non è propriamente esaltante col duo finnico designato scudiero dei già citati, l’anno da limbo della Redbull (che alcune voci danno a caccia di una fornitura clienti MB per il 2018 mentre il CEO Renault ha già detto che gli upgrades 2017 della loro PU saranno volti all’affidabilità anzichè alla performance. Tradotto: AUGURONI) e dei suoi due Piloti che, con buona pace di tutti, erano e restano la coppia più forte del lotto (e Redbull l’unico Team che al giorno d’oggi sceglie la coppia di Piloti con la logica che era del Drake decenni addietro), Mclaren ed Honda ormai separati in casa (pare che il ritorno del binomio Mclaren Mercedes sia cosa fatta per il 2018 al che la migliore opzione per Alonso potrebbe essere starsene fermo dov’è firmando un rinnovo annuale (vivaddio!!!!) anzichè un’altro abominio triennale come quello che l’ha tanto coperto di soldi quanto di oblìo agonistico), Renault il cui unico motivo di interesse è sapere quando Jolyon “Lance” Palmer verrà defenestrato per consentire il rientro di Robert Kubica in F1 (il quale coi 300+ km di Valencia nel recente test ha acquisito il diritto a riavere la Superlicenza), Williams con Massa che “minaccia” di continuare pure nel 2018, HAAS che è un team degno della coppia di piloti che si trova, ToroRosso coi suoi due Alfieri entrambi sull’orlo di una crisi di nervi (ad occhio e croce Sainz finirà nel Team maggiore mentre Kvyat altrove), Force India con le traiettorie incrociate di Ocon (in crescita) e Perez (in calo), Sauber con l’impresentabile Monisha finalmente uscente di scena in attesa di diventare il team di punta di Honda nel 2018 (magari Honda avesse cominciato con loro nel 2015 e non sotto i riflettori Mclaren, Spirit 1984 docet).

Il tutto mentre il Mercato Piloti, che vede Vettel/Raikkonen/Alonso/Bottas in scadenza a fine 2017, è in preda ad un isterismo generale fatto di voci incontrollate che, purtroppo, rischia al dunque di produrre un immobilismo tipo quello del lustro con Alonso/Massa in Ferrari e Vettel/Webber in Redbull. Staremo a vedere, chi scrive è convinto che chi decide in Ferrari ha una gran voglia di fare un attacco a due punte e che una eventuale sconfitta nel WCC 2017 sarebbe la spinta decisiva per motivarlo in tal senso.

Buon GP a tutti dalla Redazione

F1 in pillole – Capitolo 3

– Che c’è sul menù stasera signore?
– Il suo piatto preferito.
– Eccellente!
– Il solito tavolo signore?
– Ma certo grazie.
– Il Signore desidera pagare per caso in anticipo?
– No, sul mio conto prego.
– Mi rincresce informarla, Signore, che il suo credito ha raggiunto e superato il limite parecchio tempo fa.
– Oh be’, in questo caso..
– Aaah, denaro contante, andrà benissimo. Il signore gradisce un antipasto, una tartina magari?
–  No grazie, passerò direttamente ad un’iniezione in vena di pillole di F1 per favore.
–  Come desidera, Signore, come desidera.

Carlos, buona la prima – “Lole” era considerato come il più promettente pilota argentino e i suoi successi nelle formule minori gli consentirono di essere scelto dall’Automobile Club, che lo sponsorizzò per una stagione in Formula 1 con la Brabham. L’esordio avvenne nel Gp di casa, a Buenos Aires, e Reutemann rispose alla fiducia concessagli cogliendo incredibilmente la pole position, mentre in gara dovette accontentarsi del settimo posto. Oltre a Nino Farina, poleman del primo Gp della storia, e i due americani Faulkner e Nalon, che si limitarono a disputare la 500 miglia (allora in calendario), gli unici oltre a Reutemann a partire in pole al debutto sono stati Mario Andretti nel 1968 e Jacques Villeneuve nel 1996.

la “Montecarlo” spagnola –  Il circuito cittadino di Montjuïc venne utilizzato fin dagli anni ’30 ma entrò nel calendario di Formula 1 solo a fine anni ’60, ospitando quattro edizioni del Gp di Spagna, l’ultima di questa nel 1975. Già il mercoledi precedente la gara scoppiarono le polemiche sulla sicurezza del circuito e i piloti membri della GPDA minacciarono di boicottare le prove, ma gli organizzatori annunciarono la possibilità di far sequestrare le vetture. Messi alle strette, i piloti decisero di scendere in pista, ma Emerson Fittipaldi effettuò solo i 3 giri previsti dal regolamento e si ritirò senza prendere parte al resto dell’evento. La Mclaren restò con il solo Mass ,che scattò dall’11esima piazza e fu bravissimo a salire fino al primo posto in una gara caotica, vincendo il suo unico Gran Premio, l’ultimo per un pilota tedesco prima dell’arrivo di Schumacher. La gara fu interrotta al 29esimo giro perchè Stommelen finì oltre le barriere causa un guasto rompendosi le gambe e causando la morte di 4 persone; dopo questa tragedia la Formula 1 non tornò mai più al Montjuic.

La corsa dei campioni – Nei primi anni della propria storia la Formula 1 poteva contare su poche prove valide per il mondiale e numerose corse fuori campionato, spesso relative ad eventi o trofei prestigiosi: ad esempio nella prima edizione del 1950 le gare valide per la classifica erano solo sette, mentre quelle non valide per acquisire punti mondiali addirittura sedici. Con il passare del tempo la tendenza si è invertita e il campionato ha acquisito valore, ma per molti anni sono rimaste attive diverse prove, con al via piloti titolati ma anche da giovani promesse o debuttanti. Roelof Wunderink, che corse alcune gare nel 1975 con la Ensign, colse il miglior risultato in carriera proprio alla Race Of Champions, dove arrivò decimo, mentre nei gran premi iridati si qualificò in tre occasioni su sei ma non riuscì mai a classificarsi.

Pace profeta in Patria –  Il tracciato di Interlagos originariamente era lungo quasi 8 km e si snodava tra lunghi rettilinei raccordati da velocissime curve per poi svilupparsi all’interno di sé stesso; negli anni ottanta venne abbandonato prima di subire un rinnovamento nelle strutture e nel disegno della pista, che divenne più lenta e più breve, rientrando definitivamente in calendario all’inizio degli anni novanta. Dal 1985 il circuito è intitolato a José Carlos Pace, che proprio ad Interlagos nel 1975 riuscì a vincere l’unico Gran Premio in carriera, precedendo di pochi secondi il connazionale Emerson Fittipaldi. Il brasiliano,all’epoca in forza alla Brabham, con cui colse anche una pole position e tre podi,  è tragicamente scomparso il 18 marzo 1977 in un incidente aereo presso Mairiporã, città dello stato di San Paolo.

Rosso, verde, via!  Nel 1975 a Silverstone, in una gara folle, si sperimentò un sistema di partenza con semaforo al posto del tradizionale via libera dato con la bandiera nazionale. Le mutevoli condizioni climatiche portarono a numerosi ritiri per uscite di pista e la ricomparsa della pioggia nel corso del 55esimo giro creò il caos: visto il pericolo per i commissari, che non potevano intervenire in sicurezza per aiutare i piloti a uscire dalle vetture, la gara fu interrotta  con assegnazione della vittoria a Fittipaldi, che si era fermato anticipatamente per montare le gomme da bagnato.

La macchina perfetta si rompe un attimo dopo il traguardo – Nel 1975, dopo aver trascorso alcuni giri in testa in Belgio e centrato la pole in Svezia, fermato in entrambi i casi da guasti meccanici, Vittorio Brambilla colse la sua prima vittoria in Austria, al termine di un gran premio svolto in condizioni estreme, che fecero emergere il suo talento rendendo meno decisivo il divario tra i mezzi in gara. La gara venne interrotta prima che fosse coperta almeno il 75% della distanza e per questo, in base al regolamento, gli venne assegnata la metà dei punti; sotto il traguardo Brambilla festeggiò alzando entrambe le braccia e perse il controllo della vettura distruggendo il musetto che per molti anni venne usato come “trofeo” nell’officina di famiglia a ricordo della sua unica vittoria.

Lavoro offresi, chiedere di Bernie – Dopo un anno tribolato, in cui fu protagonista di un grave incidente in Spagna, Stommelen ebbe l’occasione di tornare in pista nel 1976 al Nurburgring con una Brabham del team Ram; al venerdi girò in 7’21″6, ma al termine delle prove le vetture della RAM vennero sequestrate dalla polizia tedesca su richiesta di Loris Kessel, appiedato dal team dopo il Gp di Francia.  Stommelen fu assunto dal team ufficiale Brabham per il prosieguo del weekend: qualificatosi con il tempo ottenuto con la vettura non ufficiale, disputò un’ottima prova e passò al sesto posto nelle battute finali sfruttando un’uscita di pista di Regazzoni, cogliendo così il suo ultimo punto in Formula 1. Perse la vita il 24 aprile 1983 a bordo di una Porsche 935 in una gara del campionato IMSA, a causa del cedimento dell’alettone posteriore.

I primi “Samurai” della F1 – Prima dell’arrivo di piloti in grado di correre con regolarità, il Giappone in Formula 1 veniva rappresentato dai propri portacolori solo nel Gran Premio di casa, con alterne fortune. Nel drammatico Gp disputato sotto il diluvio al Fuji nel 1976 furono ben 4 i piloti nipponici iscritti: debuttarono la Kojima e il pilota giapponese Hasemi, che chiuse 11esimo a sette giri dal vincitore e in gara fece segnare il giro più veloce (episodio dubbio, visto che gli addetti alle posizioni rilevarono che il giapponese in quella tornata fu passato da Hoshino, Laffite e Jarier). Noritake Takahara, ingaggiato dalla Surtees, fu il migliore del lotto avendo concluso al nono posto a tre giri dal vincitore, mentre Hoshino fu costretto al ritiro e Kuwashima venne sostituito dopo un solo turno di prove. Quest’ultimo tentò, grazie ad un appoggio economico, di correre con la Wolf Williams (che schierava la FW05 derivata dalla Hesketh 308C), ma nelle prove libere risultò troppo lento e in virtù dell’abbandono dello sponsor, il team decise di impiegare in gara il “titolare” Binder.  L’anno seguente la Kojima si ripresentò con Takahara e Hoshino, che centrò un ottimo undicesimo tempo in prova confermando poi la posizione in gara; nello stesso evento corse anche il connazionale Takahashi, iscrittosi con una Tyrrell 007 per conto del team privato Meiritsu e concludendo al nono posto la sua unica presenza nel circus.

Donne al volante – In occasione del Gp d’Inghilterra del 1976, disputato a Brands Hatch, per la prima e unica volta parteciparono due donne ad una prova del mondiale di Formula 1: Lella Lombardi si iscrisse con una Brabham del team RAM, mentre Divina Galica con una Surtees del team Shellsport, ma nessuna delle due si qualificò. Lella Lombardi corse in tutto 12 gran premi ed è stata l’unica pilota donna a riuscire a cogliere punti (Spagna, 1976) nel mondiale di Formula 1, Divina Galica tentò invece in tre occasioni ma non riuscì mai a prendere il via.

Usato garantito –  La Boro è stato il primo team olandese di Formula 1, unico fino all’arrivo della Spyker nel 2007: il nome derivava dalle iniziali dei nomi dei fondatori, i fratelli Bob e Rody Hoogenboom, mentre la sua nascita è dovuta a dissidi risalenti al 1975: il patron dell’Ensign Mo Nunn conobbe tramite Teddy Yip lo sponsor H.B. Bewaking, che sostenne il pilota Roelof Wunderink al Gran Premio di Spagna, prima che un incidente dello stesso in Formula 5000 costringesse la Ensign a sostituirlo con Gijs Van Lennep. La H.B. Bewaking pretese poi il ritorno di Wunderink, mentre Mo Nunn si mise alla ricerca di un nuovo sponsor, situazione che sfociò in una serie di cause legali, vinte dalla ditta olandese che ottenne in pagamento una Ensign N175 ribattezzata poi Boro 001 con l’aggiunta di materiale della Embassy Hill. Nel 1976 il team schierò in cinque Gran Premi una vettura per Larry Perkins, che a Zolder colse il miglior risultato in carriera per sé e per il team, terminando la gara all’ottavo posto.  L’anno seguente la Boro partecipò a due soli eventi (una squalifica e una mancata qualificazione) con Henton, poi a fine anno i fratelli Hoogenboom vendettero il loro materiale proprio a Teddy Yip, che fondò la Theodore Racing.

Hesketh vietata ai minori  – Nel corso degli anni settanta le sponsorizzazioni entrarono prepotentemente nel mondo dei gran premi, in alcuni casi con soluzioni che fecero storcere il naso ad alcuni addetti ai lavori. Dopo un ottimo 1975 Lord Hesketh perse Hunt e Postlethwaite e di fatto lasciò il controllo del proprio team, affidando le vetture a privati con relativi appoggi: tra questi Guy Edwards, che corse con la 308D con la sponsorizzazione della rivista erotica Penthouse e una donna svestita disegnata sul frontale. Il debutto avvenne in Belgio dove l’inglese mancò la qualificazione e durante l’anno non arrivarono punti, ma Edwards si distinte per essere stato tra gli eroi che si gettarono tra le fiamme per salvare la vita di Lauda al Nurburgring, gesto che gli garantì la Queen’s Gallantry Medal

C’è posto per tutti, o quasi  – Visto l’elevato numero di iscritti, a Silverstone nel 1977 si disputarono le prequalifiche, dove parteciparono i 13 piloti che non facevano parte delle scuderie legate alla Foca, oltre a Gilles Villeneuve, al debutto su Mclaren. Venne stabilito che i migliori cinque fossero autorizzati a prendere parte alle qualifiche, nelle quali altri quattro piloti sarebbero stati esclusi fino a formare la griglia dei 26 al via. McGuire si iscrisse in proprio modificando personalmente una Williams FW04 ribattezzata BM1, senza riuscire a prequalificarsi (ottenne il 13esimo tempo su 14), nello stesso anno perse la vita a Brands Hatch durante lo svolgimento di una gara di Formula Shellsport.

Presentat, Arm! In passato furono numerosi i team privati che gestivano auto realizzate da altri costruttori, pertanto poteva capitare di vedere altre vetture in concorrenza con quelle ufficiali, solitamente con scarsa fortuna. Lo statunitense Brett Lunger, oltre ad aver contribuito a salvare la vita di Lauda al Nurburgring nel ’76, quando era giovane Marine aveva soccorso eroicamente un commilitone figlio di un amministratore della Chesterfield, il quale lo sostenne nel corso della carriera in F1, prima con Hesketh e Surtees, poi con un team privato che gestì nel 1977 e 1978 vetture March e Mclaren, con le quali Lunger non riuscì a cogliere a punti, pur facendosi notare per una gestione ottimale del mezzo meccanico, che gli consentì di arrivare spesso al traguardo in un’epoca dove la percentuale di ritiri era molto elevata.

Vengo anch’io! No, tu no! – Al Paul Ricard nel 1976 Harald Ertl, uno degli angeli di Lauda, mancò la qualificazione e venne segnato come terza riserva, nonostante ciò si schierò in griglia illegalmente e prese il via, ma prima ancora di vedere esposta la bandiera nera fu costretto al ritiro per problemi al differenziale. La sua impresa fu “emulata” l’anno seguente da Hans Heyer, iscritto al GP di Germania dall’ATS: schierato ai box, sfruttando un pó di confusione partì, ma dopo pochi giri si ritiró per un problema alla trasmissione e fu a quel punto che i commissari di gara si accorsero di quanto accaduto. A proposito di Ertl, a Monza nel 1978, caso unico in Formula 1,  fu iscritto due volte: partecipò senza successo alle prequalifiche con la Ensign, poi venne schierato in prova dalla Ats per sostituire l’infortunato Mass, fallendo la qualificazione.

Purley, un “coniglio” molto coraggioso – A Zolder nel 1977 vi fu un’incomprensione fra David Purley e Niki Lauda (che lamentò di esser stato ostacolato e di avere rimediato un testacoda): l’austriaco apostrofò come “coniglio” il collega, che replicò: “Un grande campione non avrebbe dovuto avere difficoltà a sorpassare un coniglio, per di più su una mezza macchina come la Lec”. Lauda gli mostrò il dito medio e Purley rispose: “La prossima volta che mi mostri il dito te lo infilo nel c…” Al Gp seguente Purley per ironizzare simpaticamente sull’accaduto si presentò con un coniglio disegnato sulla sua Lec, mentre poche settimane dopo, a causa del blocco dell’acceleratore, durante le prequalifiche a Silverstone tagliò interamente la curva Becketts e passò da 170 a 0 km/h in settanta centimetri: una decelerazione record vicina ai 180 G dalla quale riuscì miracolosamente a sopravvivere. Morì purtroppo nel 1985 alla guida di un aereo acrobatico con il quale precipitò in mare; nel 1973 era stato decorato con una medaglia al valore, la George Medal, per aver tentato di salvare la vita al giovane Williamson durante il Gran Premio d’Olanda gettandosi tra le fiamme.

E’ proprio vero: Piloti, che gente!

See you later

Mister Brown

 

PS: per leggere gli articoli precedenti:

F1 in pillole – Capitolo 2

Dopo aver viaggiato fino ai pionieri degli anni cinquanta e sessanta, la macchina del tempo del Blog del Ring arriva ai non meno folli ’70, un’epoca in cui la Formula 1 iniziava a ragionare diversamente sulla sicurezza, ma continuava a correre su piste affascinanti e pericolose con auto sempre più veloci e in piena sperimentazione tecnica. I piloti erano più professionali e professionisti, alcuni (come ad esempio Stewart) avevano già intuito il potenziale economico di un eroe dei gran premi, altri si limitavano a sporadiche apparizioni tramite pagamento di somme più o meno accessibili, oppure si lanciavano in avventure impossibili al servizio di team piccoli e coraggiosi che accedevano ai Gp con mezzi improvvisati calcando però lo stesso asfalto di Ferrari, Lotus e altre leggende. Passione e coraggio nel Dna, c’era anche chi faticò ad adattarsi all’ormai indispensabile casco integrale, ma lo leggerete tra poche righe.

Il coraggio di avere paura – Già pilota Matra, nel 1970 Servoz-Gavin passò alla Tyrrell per affiancare Stewart, ma nel travagliato inizio di stagione si ferì ad un occhio durante un rally con conseguenti problemi di vista, inoltre a Jarama (dove arrivò quinto) la sua vettura venne lambita dal fuoco sprigionatosi dallo scontro tra Ickx ed Oliver, situazione che lo scosse particolarmente. Nel successivo Gp a Montecarlo non si qualificò e a sorpresa, durante un party sul suo yacht, annunciò il ritiro dalle corse, ammettendo: “Quando non ci si sente è meglio ritirarsi in buon ordine e non continuare inutilmente, non ho più la fede indispensabile per riuscire in questo mestiere, la paura ha finito per vincermi.”

C’è posto per tutti –  Nel corso degli anni la Formula 1 ha visto la presenza dei piloti limitarsi ad un massimo di due per team, ma un tempo non era così, e oltre alla cessione di vetture ad altri team o a privati, le varie scuderie erano solite utilizzare diversi piloti per tutta o parte della stagione. Oltre a Jochen Rindt, che vinse il titolo pur essendo tragicamente scomparso a Monza, nel 1970 la Lotus impiegò Soler-Roig (poi sostituito da Fittipaldi) e John Miles, poi rimpiazzato dallo svedese Reine Wisell, che debuttò a Watkins Glen salendo sul podio per l’unica volta in carriera.

800Km in testa e zero vittorie, vero o falso? – Oltre alle indubbie doti di velocità e sensibilità tecnica, Chris Amon è noto anche per la proverbiale sfortuna, che lo portò a percorrere oltre 800 Km in testa nel mondiale di F1 senza mai vincere un Gran Premio. In realtà il neozelandese di corse ne vinse due, ma non erano valide per il titolo (all’epoca capitava non di rado che venissero organizzati eventi “fuori classifica”), ovvero il Gp d’Argentina del 1971 e il BRDC International Trophy di Silverstone l’anno precedente, quest’ultimo vinto davanti a Stewart, che a proposito ebbe modo di dire: “se c’è un pilota in grado di battermi, quello è sicuramente Chris Amon”

La prima tappa di un’era leggendaria – Figlio di una famiglia nobile, Giunti iniziò a correre di nascosto arrivando già nel 1970 a risultati di rilievo che gli aprirono le porte della F1, quali la vittoria alla 12 ore di Sebring, il secondo posto alla 1000 km di Monza, oltre ai terzi posti alla Targa Florio e alla 6 Ore di Watkins Glen. Il debutto nel circus avvenne a Spa, dove Giunti ottenne un ottimo quarto posto, cogliendo i primi punti per il motore Ferrari tipo 001, conosciuto come 12 cilindri boxer o, come giustamente e tecnicamente lo definì l’Ing. Forghieri, 12 cilindri “piatto”. Quel particolare motore portò alla Ferrari, con tutte le sue evoluzioni, 37 vittorie, 4 mondiali costruttori e tre titoli piloti; purtroppo lo sfortunato Giunti non ebbe modo di essere protagonista di quell’era di successi, morì infatti nel 1971 nel corso della 1000 Km di Buenos Aires, colpendo la Matra che Beltoise stava spingendo a piedi fino ai box: la violenza dell’impatto e il conseguente incendio non lasciarono scampo al pilota.

La triste storia dei fratelli Rodriguez – Per il Gp del Belgio del 1970 la Brm non sembrava favorita in quanto il telaio non si stava dimostrando efficace nella gestione del potentissimo V12, ma Rodriguez stupì tutti conquistando il sesto tempo in prova e poi la vittoria, seconda ed ultima in carriera, alla velocità media record di 241 km/h. Rodriguez portava sempre un anello in ricordo del fratello Ricardo (deceduto in F1) ma nel 1971 lo smarrì e confidò di non sentirsi più sicuro. Fece fare una copia esatta dell’anello ma ribadì che non era la stessa cosa: pochi mesi dopo perse la vita al Norisring durante una gara Interserie. Ai fratelli Rodriguez è intitolato il circuito di Città del Messico, tempio della velocità recentemente deturpato da Tilke.

Il ritorno del biscione – Dopo aver dominato le prime due edizioni del mondiale di F1 l’Alfa Romeo si ritirò, limitandosi alla fornitura per alcuni team minori (Lds, Cooper e De Tomaso) di un propulsore a quattro cilindri in linea. Un primo tentativo di rientro avvenne quando l’Alfa portò in pista un V8 derivato da quello installato sulla Tipo 33, montato nel 1970 su una McLaren e nella stagione successiva su una March, in entrambi i casi con Andrea De Adamich alla guida. I risultati non furono all’altezza delle aspettative: il pilota italiano mancò la qualificazione nei primi tre tentativi, in Francia non venne classificato e in Inghilterra non riuscì a partire; il miglior risultato rimane quello di Monza nel 1970, con De Adamich ottavo a sette giri dal vincitore Regazzoni. La casa del Biscione stabilì successivamente un accordo con la Brabham, poi iscrisse per alcuni anni una propria scuderia, mentre il promettente De Adamich fu invece costretto a ritirarsi a causa delle ferite riportate in un terribile incidente avvenuto a Silverstone nel 1973.

Mucchio selvaggio – A Monza, in una gara dal ritmo infernale (media di 242,615 kmh), lottarono per la vittoria cinque piloti che fino a quel momento non erano mai saliti sul gradino più alto del podio. Riuscì a spuntarla Peter Gethin superando Peterson all’ultima curva e vincendo con il minimo distacco mai registrato tra primo e secondo, ovvero 1 centesimo di secondo. Vicinissimi anche gli altri, con Cevert a 9 centesimi, Hailwood a 18 centesimi e Ganley a 6 decimi. Sempre a Monza Gethin conquistò l’anno seguente l’ultimo punto in Formula 1, poi si ritirò, dopo alcune apparizioni sporadiche; è scomparso nel 2011 a 71 dopo lunga malattia.

La prima bandiera rossa – Grazie ai buoni risultati in CanAm e ChampCar Donohue ebbe l’occasione di debuttare in Formula 1 con una Mclaren gestita dal team Penske, sul circuito di Mosport: lo statunitense partì ottavo e centrò un incredibile terzo posto, nella prima gara della storia interrotta (causa pioggia intensa) con bandiera rossa. Iscritto anche al successivo Gp, quello di casa, non potè partecipare in quanto impegnato al pari di Andretti in una gara Usac precedentemente interrotta per pioggia e inspiegabilmente rimandata nello stesso fine settimana della gara di Watkins Glen, con grande disappunto del pubblico americano, accorso in massa per vedere all’opera i propri beniamini.

Eravamo quattro amici al bar – Peter Connew lavorava come progettista per la Surtees, ma dopo alcuni dissidi con il fondatore John lasciò l’incarico, motivato a costruire una Formula 1 in proprio. Progettata insieme ad un amico e al cugino, la PC1 venne ultimata in 18 mesi, anche se il debutto venne rimandato prima per un cambio regolamentare e poi per un difetto di produzione. L’unica prova iridata disputata fu il Gp d’Austria del 1972 con al volante Francois Migault (che fornì anche un camion al team), chiusa dopo 22 giri per la rottura di una sospensione. Dopo due tentativi vani in prove fuori campionato, la vettura fu iscritta in F.5000, ma a causa di un incidente di Trimmer fu giudicata irreparabile e l’avventura della Connew terminò definitivamente.

Il sogno di una “piccola Ferrari”  – All’inizio degli anni sessanta i fratelli Pederzani avviarono la Tecno, team che colse grandi successi nelle formule minori, tentando poi il passaggio alla massima serie grazie all’appoggio della Martini Racing, con il modello PA123 e un motore 12 cilindri di propria progettazione, scelta “in proprio” sulla via tracciata dalla Ferrari. Alla guida si alternarono con poca fortuna Derek Bell e Nanni Galli, con quest’ultimo in grado di qualificarsi in tutte e quattro le occasioni, anche se non riuscì mai a vedere la bandiera a scacchi. Nello stesso anno il pilota italiano ha avuto anche la possibilità di correre con la Ferrari il Gran Premio di Francia, classificandosi tredicesimo a un giro dal vincitore, senza sfigurare nei confronti dell’occasionale compagno di squadra Ickx. Nel 1973 la Tecno segnò il primo punto con Chris Amon, nacquero però dissidi tra il team e la Martini (che fece progettare una differente vettura in Inghilterra), situazione che portò allo stop dei finanziamenti e al ritiro del team.

La prima Williams – Prima di scrivere pagine importanti nella storia della Formula 1, Frank Williams fondò nel 1966 la Frank Williams Racing Cars, iniziando a gareggiare in F2 e F3, poi nel 1969 passò alla Formula 1 acquistando un vecchio modello della Brabham, affidato a Courage, che ottenne addirittura due secondi posti. Williams avviò una collaborazione con la De Tomaso, subito interrotta dopo la scomparsa di Courage, ripiegando quindi sui telai March e scegliendo come nuovo pilota Henri Pescarolo, forte di una consistente reputazione nelle ruote coperte e utilizzato in passato dalla Matra. Nel 1972 la Williams costruì la prima vera propria vettura, la Politoys FX3 progettata da Len Bailey e distrutta nella gara d’esordio a Brands Hatch in seguito ad uno spettacolare incidente avvenuto nel corso del settimo giro, fortunatamente senza conseguenze per il pilota.

Un “cappotto” per Dave Walker – Pilota australiano con alle spalle una lunga serie di successi in F3, Walker detiene un particolare primato in Formula 1: è l’unico pilota a non aver ottenuto punti in un campionato del mondo nel quale il compagno di team ha vinto il titolo. Dopo aver corso un solo gran premio nel 1971, venne assunto in pianta stabile come secondo di Emerson Fittipaldi, che vinse cinque gare e il mondiale con un totale di 61 punti, mentre Walker ottenne un nono posto come miglior piazzamento. Champan lo appiedò accusandolo per le scarse prestazioni, mentre Walker ha sempre dichiarato di aver ricevuto dotazioni scadenti rispetto a Fittipaldi.

Arriva la Safey car – Oggi (purtroppo) di uso comune in F1, la SC fu utilizzata la prima volta nel 1973 a Mosport. La gara iniziò in condizioni umide poi, con il peggioramento delle condizioni, al 32esimo giro entrò una Porsche 914, che si posizionò erroneamente davanti a Ganley, permettendo a quelli davanti di accumulare un giro di vantaggio; tra gli altri ne approfittò il talentuoso Revson, che colse la sua seconda e ultima vittoria in Formula 1. Il pilota della safety car, Eppie Wietzes, si iscrisse al Gp l’anno seguente affittando una Brabham ribattezzata a nome del “Team Canada F1” con livrea patriottarda, scelta insolita in un’era dove gli sponsor erano ormai protagonisti sulle vetture.

Conflitto generazionale – Dopo una lunga carriera in Patria tra Indycar, Nascar e Can-An (di cui fu campione nel 1972) lo statunitense Follmer venne ingaggiato dalla Shadow e nel 1973 a 39 anni fece la sua prima apparizione in F1, debuttante più vecchio della categoria nell’epoca successiva agli anni cinquanta, quando era abituale correre ad età più avanzata. A Kyalami Follmer centrò subito la zona punti e nel successivo Gp di Spagna riuscì addirittura a salire sul podio, unici punti in quella che fu l’unica stagione in F1; successivamente tornò a dedicarsi con successo alle competizioni Usa.

La F1 sudafricana – Tra gli anni ’60 e ’70 la F1 visse una crescente popolarità in Sudafrica, tanto che venne organizzato un campionato nazionale; in quel periodo furono numerosi i piloti che tentarono di correre nel mondiale, principalmente nel Gp di casa. Tra questi vi fu Jackie Pretorius, pilota che nel campionato sudafricano vinse due gare: tra il 1965 e il 1973 si iscrisse quattro volte per l’appuntamento di Kyalami ma non riuscì mai ad arrivare al traguardo. E’ scomparso nel 2009 dopo tre settimane di coma, ferito a morte durante una rapina presso la propria abitazione, unito in un tragico destino alla moglie, deceduta in circostanze simili alcuni anni prima.

Casco  in testa ben allacciato e prudenza sempre  – La Finlandia ha portato grandi talenti in Formula 1, il primo di questa nazionalità a debuttare nel circus fu Leo Juhani “Leksa” Kinnunen, che sfortunatamente non riuscì ad ottenere grandi risultati, consolandosi con maggiori soddisfazioni nelle gare nazionali e nei rally.  Al volante di una Surtees, nel 1974 tentò di iscriversi in sei occasioni qualificandosi nel solo gran premio di Svezia, dove si ritirò all’ottavo giro per la rottura del motore dopo essere partito in venticinquesima posizione. Riuscì comunque a passare alla storia in quanto fu l’ultimo pilota a correre con un casco “Midget” senza visiera e con gli “occhialoni”, ovvero l’equipaggiamento standard dei piloti prima dell’avvento del casco integrale, già in uso da alcune stagioni.

Banzai! – Dopo il ritiro della Honda, il primo costruttore giapponese a tentare la via della Formula 1 fu la Maki Engineering: la prima vettura venne denominata F101, motorizzata Ford Cosworth e gommata Firestone, affidata a Ganley, ex giornalista e meccanico che si era fatto notare in diverse categorie fino ad arrivare alla F1, dove ottenne un prestigioso quarto posto al Nurburgring come migliore risultato. Il debutto avvenne a Brands Hatch dove il neozelandese non riuscì a qualificarsi, mentre nel successivo Gp di Germania subì un grave incidente che interruppe la sua carriera; la Maki tentò altre sei partecipazioni nei successivi due anni senza mai riuscire a prendere il via di un Gran Premio.

Matricole e meteore – L’esperienza acquisita dalla Trojan costruendo le vetture Can-Am e Formula 5000 per la McLaren portò l’azienda a produrre in proprio alcuni progetti derivati da quelli McLaren, fino al deterioramento dei rapporti tra le parti. La Trojan, perso l’importante appoggio, poteva contare su risorse risicate ma con l’aiuto dell’ex progettista della Brabham Ron Tauranac vennero realizzate per la F5000 i modelli T101 e T102. Da quest’ultimo venne poi derivata la T103 per partecipare al mondiale di Formula 1: la vettura fu affidata all’australiano Schenken che al debutto a Jarama riuscì a qualificarsi in ultima posizione mentre in gara fu classificato quattordicesimo dopo aver concluso la gara con otto giri di anticipo causa un testacoda. Dopo alcune gare con un decimo posto (in Austria e Belgio) come miglior risultato, a fine stagione sia la Trojan che Schenken abbandonarono la Formula 1.

Matricole e meteore, parte seconda – Oltre ad essere pilota (particolarmente attivo in F.Atlantic), John Nicholson era anche preparatore dei motori Ford Cosworth e nel 1974 convinse Martin Slater a fondare la Lyncar per tentare la via della Formula 1. Con il modello 006 il neozelandese a Brands Hatch fallì la qualificazione ottenendo il 31esimo tempo a 4 secondi dalla pole, mentre l’anno successivo, sempre in Inghilterra, ma questa volta a Silverstone, riuscì ad entrare in griglia e fu classificato 17esimo dopo essere uscito di pista al pari di tanti colleghi in seguito al violento acquazzone caduto sulla pista quando la gara volgeva al termine. Fu l’ultima apparizione per Nicholson e la Lyncar nel mondiale di F1.

Anni ’70, tra sogni e tragedie – Martino Finotto, pilota già affermato, comprò due Brabham BT42s per correre in F1, ma dopo alcuni test abbandonò l’idea, tentando di iscrivere Silvio Moser, il quale morì durante la 1000 Km di Monza. Scosso ma motivato dai propri sogni, Finotto proseguì con mezzi risicati, un solo meccanico e una vettura utilizzata come ricambistica per l’altra, troppo poco per ottenere risultati. Oltre a Larrousse e Facetti, venne impiegato anche Koinigg, che pur non riuscendo a qualificarsi, in Austria girò vicino ai tempi delle Surtees ufficiali, tanto che il team lo ingaggiò per le ultime gare stagionali. Fu purtroppo vittima di un incidente mortale a Watkins Glen, quando aveva già attirato l’interesse di numerosi addetti ai lavori.

Tra cielo e mare – Francese di origini friulane, Louis José Lucien Dolhem era sia fratellastro che cugino di Didier Pironi, in quanto i due avevano lo stesso padre e le madri erano sorelle. Grazie alla vittoria del volante Shell Dolhem arrivò a competizioni internazionali di rilievo in cui conobbe John Surtees, che gli mise a disposizione una vettura per debuttare in Formula 1. Dopo aver mancato la qualificazione a Digione e Monza, il francese conquistò un posto in griglia a Watkins Glen, ma fu richiamato ai box nel corso del 25esimo giro in segno di rispetto nei confronti del compagno Koinigg, vittima di un incidente mortale. Dolhem perse la vita in un incidente aereo nel 1988, un anno dopo Pironi: i due sono sepolti l’uno accanto all’altro con la simbolica scritta Entre ciel et mer (Tra cielo e mare).

Siamo giunti alla fine del viaggio, è ora di tornare al futuro, ma la macchina del tempo è già pronta per il prossimo capitolo della saga. Gli anni settanta non sono ancora finiti.

Mister Brown

Vettel in doppietta rossa, allunga sul passo lungo altrui

f1

Per il sesto round di questo eterno mondiale di Formula 1, si arriva nella patria delle residenze farlocche a soli fini fiscali; nella patria dei balconi affittati a prezzo di diamante grezzo e in una pista i nomi delle curve dovrebbero essere recitati come un rosario da ogni conoscitore le Motorsport, un po’ come la formazione campione del mondo di Spagna ’82 Zoffgentilecabriniscireaorialicollovatibergomitardellicontigrazianirossi…
Le prove libere vengono anticipate al giovedì e pare confermato che il transatlantico teutonico pare fare fatica a manovrare nelle stradine tra il Massenet e il Portier. Per contro le Ferrari volano seguite dalle sorprendenti (ma nemmeno troppo per chi conosce i limiti del propulsore Francese) Red Bull RB13.
Le qualifiche parrebbero scontate con un prevedibile uno-due rosso seguito dalle armate teutoniche spinte più che dalla trazione o dalla PU, dal bottoncino magico.
Ma tutto questo non tiene conto delle velleità turistiche di Hamilton.
Avete presente le puntate di Star Trek serie classica?
Paesaggio di un generico pianeta alieno e la ricombinazione del teletrasporto inquadra Kirk, Spock, Bones e due stronzi con l’uniforme della confederazione spaziale che non hai mai visto prima.
E tu sai già che il destino dei due stronzi è segnato; verranno dissalati da qualche improbabile creatura aliena.
Le Q1 sono un po’ questo: l’attesa perché i “due stronzi mai visti prima” vengano sacrificati sull’altare del rito pagano delle qualifiche in diretta mondiale.
Quello che magari non ti aspetti è doverti domandare in Q2 dove sia Hamilton; voci lo danno fermo al Portier a firmare autografi; altre con le borse della spesa fatte al Lidl monegasco appese sulla T-Wing dopo che Nico gli ha mandato un Whazzap perché gli manca l’olio e due cosine da sgranocchiare con la consorte mentre si gode dal balcone il prevedibile trionfo rosso; altri che stia alla Rascasse a tacchinare alcune turiste croate. Sta di fatto che si impicca a cercare il giro buono nell’ultimo minuto delle Q2 e parafrasando il Sassaroli per cui “non si deve mai andare in Germania, Paolo“; “non si deve mai cercare il tempo nell’ultimo minuto a Montecarlo, Lewis“.
Vandoorne appende la macchina al muro; bandiere gialle; Hamilton in quattordicesima piazza.
I cosiddetti “tecnici” sostengono che il problema della W08 stia nella non costanza del riscaldamento delle coperture e di conseguenza le coperture che non riescono mai a stare correttamente nella “sweet zone” di lavoro. I continui strappi della pista monegasca e la presunta disuguaglianza fra le temperature raggiunte dalla W08 all’anteriore rispetto alla posteriore dovrebbero essere una condanna a morte per la monoposto argentea. Sta di fatto che nonostante si sia lontani dal minuto e undici basso o dieci alto preconizzato da Damon Hill, in pochi millesimi si infilano ben due finlandesi ed un tedesco.
Parrebbe l’inizio di una barzelletta tipo: “…ci sono due finlandesi ed un tedesco…” e invece è la prima pole di Kimi Matias Raikkonen dopo Magny Cours 2008. E la dimostrazione che quando il motore è nuovo, come nel caso di Valtteri, e quindi puoi permetterti di usare l’overboost per un tempo maggiore, la monoposto teutonica non deve essere data per morta nemmeno nel parcheggio dell’Auchan.

Sauber le uniche che scelgono di partire con le Supersoft; tutto il resto dello schieramento adotta le Ultrasoft.
276 metri fra la linea di partenza e la Santa Devota in cui potrebbe succedere di tutto; talmente di tutto che ovviamente non succede nulla.
We follow you here on television, take care of my car…” Fernando Alonso in diretta da Indianapolis a Jenson Button mentre questi si sta schierando verso la partenza dalla Pit Lane.
Bellissima partenza di Magnussen che si infila fino in nona piazza; Hamilton guadagna subito una posizione su Stoffel Vandoorne mentre Button per dimostrare quanto tenga da conto la MP di Fernando Alonso, rientra ai box dopo un giro insieme a Pascal Wehrlein che passa immediatamente alle Ultrasoft.
Unsafe Release per Wehrlein mentre sopraggiungeva Button e i canonici 5 secondi di penalità per il tedesco.
Che per le stradine monegasche significa una condanna in contumace.
Al 16m o giro il propulsore di Hulkemberg inizia a sparpagliare olio a a partire dalla Beau Rivage; si fermerà al Portier. Con il box che gli segnala un problema al cambio; nonostante la logica paia suggerire un propulsore andato a pallino. Il fatto che Kvyat stesse segnalando perdita di olio dalla monoposto che lo precedeva fa pensare che la dipartita della PU fosse quantomeno preannunciata.
Al 26 giro i primi doppiati, Button e Wehrlein, arrivano nel mirino della monoposto di Kimi Raikkonen; immaginiamo Alonso davanti alla televisione americana non stia patendo per nulla la mancanza del gran premio. Vettel contestualmente arriva sotto il secondo nei confronti di Raikkonen. E Bottas si rifà sotto al tedesco della Ferrari.
Al 32mo giro Supersoft per Verstappen richiamato ai box. Prevedibile indicazione a Bottas di spingere per evitare il prevedibile undercut della RB13 sulla W08. Undercut che non riesce agli uomini di Milton Keynes visto che Valtteri si ferma al giro dopo.
Richiamato Raikkonen al giro 34 mentre Ricciardo a pista libera stampa il giro veloce, dimostrando che le Ultrasoft potrebbero tirare avanti ancora per parecchio senza l’obbligo antilogico del cambio mescola durante il Gran Premio. I giri veloci infilati anche da Vettel, oltre che dall’Australiano, mostrano che l’idea di undercut potrebbe non essere valida; ovvio si fosse fermato prima il Tedesco del Finnico la vulgata avrebbe voluto un complotto nei confronti del biondo per il canonico scambio di piazze tanto vituperato. Con il Tedesco a fermarsi dopo infilando giri veloci, la testa della gara finisce in mano a Sebastian Vettel.
Altra vittima sacrificale è Verstapen che grazie al PS ritardato di Ricciardo non solo perde la piazza ma vede il suo avversario diretto issarsi in terza piazza.
Al 43mo giro gli unici che mancano all’appello dei pit stop sono i due nuovi compagni di merende Hamilton e Vandoorne. Al suo Pit Stop, Hamilton perde piazza solo su Sainz; considerando che era partito dalla 13ma piazza (grazie alla penalità che Jenson Button ha “ereditato” dalla monoposto lasciatagli da Alonso) si tratta di un risultato più che positivo.
Al giro 60 entra in pista il convitato di pietra della Gran Premio: la Safety Car a causa della Sauber di Pascal Wehrlein letteralmente appesa alle barriere subito dopo il Portier appena prima del Tunnel.
Pascal Wehrlein è abbonato alle botte alla testa viste le sue esperienze al ROC; surreale il dialogo fra i suoi box e il pilota tedesco che alla richiesta di come stia, risponde che sta bene ma se potesse uscire starebbe anche meglio. Il sospiro di sollievo nel 50mo anniversario della tragica scomparsa di Lorenzo Bandini è ancora più sentito. A posteriori il tentativo di sorpasso di Jenson è parso velleitario ma in una pista dove “pare di correre in bicicletta nel salotto di casa” per parafrasare Nelson Piquet, ogni pertugio è d’autorità luogo di lotta.
Ericsson riesce a finire lungo sotto SC. Per le monoposto di Hinwil un weekend disastroso.
Sempre nel mondo del surreale il dialogo fra il suo ingegnere di pista che gli chiede “…what happened?” “I went into the wall…” l’asciutta risposta del pilota Sauber.
Al giro 67 rientra la SC ed è lotta vera fra le due RBR e la W08 di Bottas presa a sandwich fra l’australiano e l’olandese.
In un giro Vettel mette due secondi netti fra sé e Raikkonen togliendosi da ogni possibile impiccio del gruppo scatenato alle sue spalle.
La gara di fatto finisce qua: Vettel primo, Raikkonen secondo e Ricciardo ottimo terzo.
In ottica mondiale Vettel supera la soglia psicologica di un intero GP di vantaggio sull’inseguitore diretto Lewis Hamilton.
La Ferrari torna in vantaggio nel mondiale costruttori.

Riservo le ultime righe per un ricordo nel cinquantesimo anniversario della scomparsa di Lorenzo Bandini dopo un terribile incidente sulle strade del principato.

 

Analisi on board GP Spagna in vista di Monte Carlo

Lo sbarco in Europa del Circus vede i piloti e le vetture impegnati in successione su due circuiti dalle caratteristiche diametralmente opposte, la pista permanente del Montmelò ed il cittadino di Monte Carlo.

Il primo, su cui si è corso lo scorso week end, è dotato di un asfalto molto abrasivo, con elevata macro rugosità; offre da diversi anni un ottimo banco prova per gli pneumatici ma anche per le monoposto, infatti è costituito da tre settori molto diversi fra loro ed allo stesso tempo complementari: nel primo si esalta la penetrazione aerodinamica ma anche la downforce, nel secondo è fondamentale avere tanto carico ma anche un ottimo bilanciamento complessivo per non soffrire nei cambi di direzione, nel terzo è necessario avere tanta aderenza alle basse velocità ed una erogazione della coppia gestibile al meglio dal pilota.

Il secondo circuito, su cui fra cinque giorni i piloti saranno già impegnati per il primo turno di prove libere, offre un asfalto ad elevata frequenza di sollecitazione per gli pneumatici (bassissima rugosità), per cui le mescole da utilizzare saranno quelle a low working range (SS ed US). L’effetto della frequenza è opposto rispetto a quello della temperatura: all’aumentare della rugosità lo pneumatico subisce la stessa azione derivante da basse temperature di esercizio. È chiaro quindi che, a parità di condizioni atmosferiche, in un circuito cittadino “liscio” come quello del Principato sarà necessario utilizzare mescole che funzionino bene alle basse temperature, cioè caratterizzate da un low working range. Se a ciò si aggiunge la totale assenza di curvoni in appoggio, peculiari del Montmelò, diventa ancora più chiaro come i due tracciati siano totalmente agli antipodi.

In figura si vede l’andamento del modulo di Young del pneumatico al variare della temperatura (a sinistra) e della frequenza (a destra), che evidenzia l’effetto opposto sul comportamento della mescola dato dai due fattori.

Pneumatici T vs f

La lunga serie di prove invernali a Barcellona, prima del debutto stagionale a Melbourne, aveva decretato un vantaggio leggero della Scuderia di Maranello, soprattutto in fase di gestione delle gomme posteriori, evidenziata dalle difficoltà incontrate da Hamilton e Bottas in trazione nel terzo settore. Questo gap si era palesato ancora di più in gara a Melbourne e Sochi, con Vettel capace di stint molto più lunghi del duo di Brackley, su tempi davvero di ottimo livello.

Appurato che i problemi di sottosterzo (presunti da alcuni osservatori) non hanno afflitto la Rossa nella prima parte di campionato, il GP di Spagna è stato un appuntamento alquanto atteso da appassionati ed addetti ai lavori, in quanto teatro di corposi aggiornamenti da parte di tutti i team. In particolare si temeva un forte sviluppo in casa Mercedes e Red Bull, che potesse sovvertire le gerarchie e lasciare al palo Maranello, come spesso accaduto nelle ultime stagioni. In effetti i progressi, soprattutto della Freccia d’Argento, sono stati evidenti, anche grazie al piano tecnico Ferrari per il 2017, che prevede l’introduzione di continue evoluzioni senza rivoluzionare la vettura da una gara all’altra.

Nell’analisi del confronto on board fra i best lap Ferrari e Mercedes nei test di Barcellona (http://nordschleife1976.com/comparazione-degli-on-board-mercedes-ferrari-nei-test-del-montmelo/) si erano evidenziati i punti di forza della Rossa. Fortunatamente il compare può essere fatto in modo molto più veritiero in seguito al fine settimana del GP, valutando l’on board dei giri di qualifica di Hamilton e Vettel.

 

Osservando la grafica che mostra il gap fra le due vetture in tempo reale si evince che la Ferrari ha un assetto più scarico, tanto da guadagnare già a fine rettilineo di partenza. Questa caratteristica non impedisce a Vettel di mantenere il distacco invariato fino alla fine del primo settore, dove si possono vedere alcune caratteristiche già evidenziate nei test, in particolare in uscita da curva 2: il tedesco esce leggermente più largo, con tanta velocità nel cambio di direzione fra la 1 e la 2, che non gli impedisce comunque di accelerare bene ed affrontare in pieno curva 3. Il vantaggio a fine primo settore è quindi già cospicuo, grazie anche ad una leggera incertezza di Hamilton all’ingresso di curva 1, nella quale manca leggermente il punto di corda. Nell’immagine in alto si vede il confronto dei test Bottas-Raikkonen, in quella inferiore il confronto Hamilton-Vettel.
BOT curva 2 exitRAI curva 2 exit

Ham-Vet curva 2

Curva 4 non mostra un gap fra le due vetture; la traiettoria è completamente diversa, tanto che Hamilton riesce a guadagnare nella prima parte (frenata ed ingresso) portando tanta velocità all’interno della curva, ma perde tutto il margine in uscita, cosicché il margine nel complesso rimane invariato. Anche in questo tratto si vede che il comportamento delle due vetture ricalca esattamente quello mostrato nei test, con Bottas che teneva una linea del tutto simile a quella di Hamilton e Raikkonen a quella di Vettel. La differenza di traiettoria si può ben vedere nel video successivo, che analizza tutto il giro in virtuale, mostrando visivamente le traiettorie ed il distacco sulla pista.

Ham-Vet curva 4

Da curva 4 in poi il vantaggio di Vettel aumenta sensibilmente, fino ad arrivare al terzo settore. In effetti il T2 del tedesco è praticamente perfetto, impressionante è la guida in curva 5 ed in curva 9, due tratti in cui, almeno in teoria, non si dovrebbe fare troppo la differenza, almeno dal confronto con il comportamento nei test.

Analizziamo quindi queste due pieghe, la prima abbastanza lenta, in discesa, verso sinistra, l’altra velocissima, con un picco impressionante di 5G laterali, in salita verso destra.

Curva 5: qui Vettel si “inventa” una traiettoria molto più efficace, con punto di corda ritardato, che gli permette un’ottima uscita e quindi un incremento notevole del vantaggio su Hamilton. Il confronto con Raikkonen e Bottas non è significativo qui, perché nel giro veloce dei test il finlandese della Ferrari aveva commesso un errore in ingresso, bloccando l’anteriore sinistra in fase di trail braking, che aveva pregiudicato l’ingresso in curva.

RAI curva 5

Ham-Vet curva 5

Curva 9: anche qui il vantaggio aumenta sensibilmente, come si può notare da entrambi i video di comparazione. La differenza è data anche in questo caso da una diversa traiettoria seguita dai due piloti. Il punto di corda di Vettel è nettamente ritardato rispetto a quello di Hamilton; il tedesco riesce a sfruttare meglio la pista in uscita, sfrutta il cordolo solo in fase di fine sterzata, mentre Hamilton termina l’azione sul volante prima del cordolo, cioè con una linea più larga in uscita, segno di una peggior interpretazione della curva, visto anche il maggior carico aerodinamico a sua disposizione.

Ham-Vet curva 9 ingresso Ham-Vet curva 9 uscita

Alla fine del secondo settore il vantaggio di Vettel è impressionante, raggiunge quasi il mezzo secondo.

Ham-Vet fine secondo settore Ham-Vet fine secondo settore grafica

Da qui in avanti si verifica il prodigioso recupero di Hamilton. Se Vettel infatti era stato perfetto nei primi due settori, mentre Hamilton non aveva certo sfruttato al massimo le potenzialità della W08 Hybrid, nell’ultimo tratto della pista l’inglese è impeccabile, la Mercedes è estremamente competitiva, e Vettel commette un errore in ingresso dell’ultima chicane; poi la maggior spinta del motore tedesco alle basse velocità, in cui il drag non influenza la prestazione, completa il sorpasso, permettendo ad Hamilton di agguantare la pole position.

Nei test si era notato che la trazione era un problema nel terzo settore per la Mercedes, mentre la percorrenza era sicuramente un punto di forza, tanto che l’interpretazione delle curve da parte dei piloti dei due team era opposta. In particolare era chiaro che, nonostante Raikkonen affrontasse curva 10 e 12 con una traiettoria teoricamente penalizzante per l’uscita, il comportamento della Ferrari al momento di aprire il gas fosse davvero ottimo, mentre Bottas per ottenere una prestazione paragonabile doveva seguire una linea molto più larga a centro curva, sfruttando l’ottimo comportamento della W08 Hybrid in percorrenza. Dal confronto del terzo settore fra Hamilton e Vettel sembra che la situazione si sia modificata rispetto ad inizio marzo.

È necessario tenere in considerazione qualche fattore che può aver determinato tale cambiamento, al netto degli sviluppi che hanno sicuramente risolto buona parte dei problemi della Freccia d’Argento:

  • le condizioni ambientali sono molto diverse rispetto a quelle di inizio marzo, quindi, soprattutto nei tratti della pista in cui il grip della gomma è soprattutto adesivo (chimico), una variazione importante di temperatura può avere elevata influenza sull’interazione vettura-gomme-asfalto
  • Ferrari in qualifica aveva sicuramente un assetto più scarico, che certamente si fa sentire anche alle basse velocità
  • Il comportamento di Hamilton nella prima parte del giro può essere stato più conservativo sulle gomme, specialmente le posteriori, per evitare overheating nel terzo settore, mentre è probabile che Vettel sia arrivato un po’ impiccato con gli pneumatici nell’ultimo tratto della pista

Curva 10: qui Vettel commette un leggero errore, molto simile a quello di Raikkonen nei test, perdendo per una frazione di secondo l’asse posteriore in ingresso curva. Sicuramente questo inconveniente lo costringe ad allargare a centro curva un po’ più di quanto viene fatto normalmente in quel tornantino, con una conseguente perdita di tempo.

Ham-Vet curva 10

Nel tratto successivo, però, il vantaggio della Mercedes è netto, con Hamilton che riesce a mantenere una traiettoria molto stretta in curva 12 senza avere difficoltà in uscita -comportamento opposto rispetto a quello dei test- ed una linea altrettanto stretta in curva 13, per la verità già evidenziata a marzo, che lo portano all’ingresso dell’ultima chicane ad avere un ritardo ridotto da 4 decimi a meno di 1 decimo in 3 curve.

Ham-Vet curva 12

Ham-Vet curva 13

Vet curva 14 ingresso

Analizzato il giro di qualifica, c’è da dire che in gara la Ferrari ha mantenuto un vantaggio sul passo non trascurabile, infatti in una ipotetica gara pulita, senza VSC e senza l’ostruzione di Bottas, sarebbe stato oggettivamente difficile per Hamilton agguantare Vettel, nonostante uno stint molto lungo del tedesco sulla gomma che garantiva nel complesso minor prestazione nei long run, nonostante la minor usura della mescola M. Il fattore che ha permesso a Brackley di portare a casa la vittoria, esclusi gli elementi di disturbo allo svolgimento pulito della gara del ferrarista, è stato infatti la scelta di percorrere un run molto breve con quella che si è rivelata non essere la gomma da gara, nettamente superata in prestazione dal compound soft.

Come detto, fra cinque giorni il Circus sarà già impegnato nella prima giornata di prove libere a Monte Carlo. C’è già chi si aspetta un dominio incontrastato della Mercedes fra le stradine del Principato, vista appunto la superiorità mostrata nel terzo settore del Circuit de Catalunya. A ben vedere, però, a Monaco le caratteristiche sono più simili al terzo settore di Sochi, con curve lente, di trazione, ed asfalto molto liscio. Sicuramente c’è da tenere conto del progresso mostrato dalla Freccia d’Argento, che avrà senza dubbio riscontro anche nel prossimo fine settimana; allo stesso tempo però la prestazione di assoluto livello mostrata dalla Ferrari nel tratto finale in Russia sarà un ottimo punto di partenza per la vettura di Maranello. Si rischia quindi di avere una lotta molto tirata già dal giovedì mattina, con un q3 assolutamente combattuto, come visto sia a Sochi che a Barcellona.

A questo proposito, si rincorrono voci secondo le quali il passo lungo Mercedes dovrebbe essere penalizzante nel prossimo fine settimana, consegnando di fatto su un piatto d’argento una scontata doppietta ai ferraristi. Il passo di un veicolo è legato in primis alla cinematica, cioè alla capacità di percorrere curve con raggi più o meno ampi a velocità tendente a zero con un determinato angolo di sterzo costante. Per semplificare, una curva di un certo raggio, molto piccolo, sarà percorsa a bassissima velocità da una city car con un angolo di sterzo certamente meno ampio rispetto a quello necessario ad un autobus. Oppure, a bassa velocità e pari angolo di sterzo, un veicolo con passo corto percorre un arco di circonferenza con raggio minore rispetto a quello di una vettura con interasse elevato. In secondo luogo, un veicolo con passo lungo subisce in minor modo l’effetto dei trasferimenti di carico longitudinali, che crescono al crescere dell’altezza del baricentro e decrescono con l’aumento dell’interasse. Il fattore cinematica non è quindi importante, anche perché ogni team progetta il sistema di sterzo in base alle proprie esigenze, anche in considerazione della percentuale di anti Ackermann desiderata. I trasferimenti di carico, se ridotti, permettono ad un veicolo di avere maggior reattività, perché lo sbilanciamento dei carichi sui due assali in fase di transitorio si riduce, permettendo agli pneumatici di non subire sollecitazioni eccessive che potrebbero portare al sotto/sovrasterzo. Lo svantaggio sta nella minor sensibilità di guida del pilota, perché una macchina che si muove meno fornisce minori sensazioni e viene “capita” con maggior difficoltà dal conduttore. Per quanto riguarda la dinamica laterale, se l’interasse è maggiore allora sicuramente il veicolo subisce più marcatamente le perturbazioni laterali sui due assi, trasmettendole al centro di massa con un momento di sotto/sovrasterzo più elevato, ma questo vale su qualsiasi tipo di circuito. In definitiva, quindi, il passo vettura in sé non fornisce necessariamente un vantaggio o uno svantaggio in base ai tracciati (a Barcellona e Shanghai secondo quest’idea la Mercedes avrebbe dovuto doppiare tutti), ma è sempre necessario considerare tutte le caratteristiche del veicolo nel suo insieme, che si influenzano vicendevolmente in ogni istante della marcia del veicolo.

Come detto, è molto probabile che anche a Monte Carlo le prestazioni saranno molto simili fra i due top team, con la speranza che anche Red Bull possa essere della partita, magari favorita dalla poca importanza della PU, anche se non è assolutamente questo l’unico problema di Ricciardo e Verstappen.

Buon proseguimento di campionato!