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F1 in pillole – Capitolo 12

“The show must go on”, oppure “Motorsport is dangerous”. Modi di dire comuni che ben si legano al cinico mondo dei Gran Premi che, ha ripreso serenamente il proprio cammino una volta assorbito il senso di disorientamento per la scomparsa di Ayrton Senna e superata una fase di difficoltà dovuta a problemi economici diffusi tra vari team e ad un netto impoverimento del fattore talento, visto e considerato che la prima metà degli anni novanta ha portato anche alla pensione gli attori protagonisti del decennio precedente, con sostituzioni non sempre all’altezza. In ogni caso la seconda metà del decennio ha progressivamente portato alla crescita di nuovi protagonisti e non ci ha risparmiato aneddoti più o meno simpatici che vi raccontiamo di seguito.

Wacky Race!

La Formula 1 arrivò a Monaco trovando un foltissimo pubblico, soprattutto tedeschi e italiani, attirati dalle crescenti prestazioni della Ferrari e di Michael Schumacher. Le qualifiche si svolsero al sabato in condizioni di cielo coperto: temendo la pioggia molti piloti uscirono presto per far segnare un tempo cronometrato, tra questi Michael Schumacher, primo a scendere sotto l’1’21″000. Successivamente Damon Hill fece segnare il miglior crono in 1’20″866, avvicinato da Alesi a soli cinque centesimi, ma a nove minuti dalla fine della sessione Schumacher riuscì a riprendersi la pole position con un giro straordinario girando in 1’20″356 e demolendo il precedente record della pista. Giunti alla domenica la gara si preannunciava bagnata, David Coulthard aveva dimenticato il proprio casco preparato per quelle condizioni, mentre Schumacher ne aveva uno in più, della stessa casa costruttrice (Bell), stessa taglia e stesso sponsor, lo scozzese potè quindi approfittare della cortesia del rivale e si schierò in griglia con il suo casco. Il tedesco, partito dalla pole, non terminò nemmeno il primo giro, mentre Coulthard, al termine di una gara densa di colpi di scena con sole quattro vetture al traguardo,  chiuse al secondo posto, suo miglior risultato stagionale, mentre la vittoria andò a Panis, che guidò la Ligier all’ultimo successo. Negli anni settanta la scuderia francese era entrata nel mercato dell’auto spostando presto le proprie attenzioni sulla Formula 1, all’epoca protagonista di un crescente interesse. L’esordio avvenne nel 1976 e già l’anno seguente con Jacques Laffite arrivò la prima vittoria, poi negli anni successivi ne seguirono altre sette (oltre a Laffite, anche Depailler e Pironi furono protagonisti negli anni d’oro) con tanto di inserimento nella lotta per il titolo dal 1979 al 1981. Dal 1982 iniziò il declino, con la partenza di Laffite e del tecnico Doucarouge, oltreché del partner Talbot, seguirono quindi anni di delusioni con cenni di miglioramenti ad inizio degli anni novanta, grazie anche all’utilizzo dei motori Renault, poi alla fine del 1996 la Ligier venne ritirata da Prost, che la ribattezzò con il proprio nome.

Non abbastanza “Forti”

Dopo una lunga esperienza nelle formule minori, grazie agli sponsor e ai contatti del pilota Pedro Diniz, la Forti riuscì a debuttare in F1, con al volante il brasiliano e il connazionale Moreno. I deludenti risultati della prima stagione causarono la perdita degli appoggi economici, motivo per cui la situazione peggiorò ulteriormente, tanto che i due nuovi piloti Montermini e Badoer senza una vettura adeguata mancarono spesso la qualificazione. Durante il 1996 venne avviata una trattativa con il gruppo Shannon mai realmente concretizzata, tanto che dopo l’ultima apparizione in qualifica a Silverstone il team chiuse definitivamente i battenti.

La storia di Johnny Carwash

Come Giacomelli, anche Lavaggi subì una particolare traduzione del proprio nome: i media anglofoni infatti tradussero impropriamente il suo nome in “Johnny Carwash”. Attivo in F1 tra il 1995 e il 1996, tentò 10 partecipazioni qualificandosi sette volte con un decimo posto come miglior risultato (in realtà non concluse la gara ma venne classificato avendo coperto una distanza sufficiente). Più fortunata la sua carriera a ruote coperte: ingiustamente considerato da alcuni come un “gentleman” tutto portafogli, ha costruito la propria storia passo dopo passo, conquistando importanti successi quali la 24 ore di Daytona e la 1000 Km di Monza.

Lola.. per tutto il resto c’è Mastercard

La Lola, costruttore di lunga tradizione, ha tentato in più occasioni di fornire telai a team di Formula 1, con risultati altalenanti. Dopo la disastrosa esperienza del 1993 con la Scuderia Italia e alcuni anni di stop, venne avviato un nuovo progetto per la creazione di un team proprio a partire dal 1998, tuttavia vi furono pressioni del main sponsor Mastercard affinchè le vetture Lola venissero schierate già a partire dal 1997. Il team si presentò a Melbourne con le due T97/30 affidate a Rosset e Sospiri senza che venisse effettuato alcun test prima del campionato e con i motori Ford utilizzati dalla Sauber due anni prima, i risultati furono ovviamente pessimi: Sospiri girò a undici secondi dalla pole, Rosset addirittura a piú di 12, tempi ben oltre il 107% utile per qualificarsi. Le performance poco incoraggianti spinsero la MasterCard a ritirare il proprio appoggio finanziario al team e nonostante le vetture fossero state spedite in Brasile per la seconda gara la scuderia chiuse i battenti prima di questo Gran Premio, ritirandosi dal campionato, tra l’altro i debiti accumulati nei mesi dalla fondazione del team travolsero anche la compagnia principale, che fu acquistata da Martin Birrane.

Arriva la scuderia di Sir Stewart

La Stewart fu fondata nel 1988 da Paul Stewart e sponsorizzata dalla Camel, poi nel 1996 Sir Jackie si assicurò un contratto quinquennale di sviluppo con la Ford, che permise la nascita della Stewart Grand Prix, che debuttò l’anno seguente in F1. La prima stagione non portò grandi soddisfazioni, soprattutto a causa della carente affidabilità, ad eccezione del Gp di Monaco, dove Barrichello fu protagonista di una gara straordinaria, conclusa al secondo posto, unici punti stagionali per il team.

Trulli a un passo dal miracolo

Forte di ottime prestazioni nelle prime gare del 1997 con la Minardi, Jarno Trulli attirò l’attenzione di Alain Prost, che lo scelse per sostituire l’infortunato Panis e già al debutto l’abruzzese centrò la terza fila, mentre poche settimane più tardi ad Hockenheim fu quarto al traguardo. Prima del rientro del “titolare”, Trulli sfiorò il sogno della vittoria: il gran premio d’Austria rientrò in calendario dopo 10 anni (con un layout purtroppo pesantemente deturpato rispetto al tracciato originale) e tra le colline di Zeltweg il pilota italiano partì dalla terza piazza guadagnando la testa della corsa, che guidò con autorevolezza fino al ritiro, avvenuto per la rottura del motore. Guadagnata la conferma alla corte di Alain Prost, non ebbe grandi occasioni in quanto penalizzato da una vettura poco competitiva, riuscì comunque a terminare al secondo posto il rocambolesco Gran Premio d’Europa 1999, prima di passare alla Jordan.

Rivoluzione in casa Minardi

Dal 1997 Giancarlo Minardi cedette oltre l’85% delle sue quote a Flavio Briatore e Gabriele Rumi, pur restando presidente; i nuovi finanziatori garantirono alla Minardi un budget superiore e la nuova M197 poté disporre dei motori Hart. Venne assunto Ukyo Katayama, sponsorizzato dalla Mild Seven, e Briatore piazzò nel team Jarno Trulli, passato poi alla Prost e sostituito da Tarso Marques, che aveva già corso due gare l’anno precedente e, sempre con la Minardi, tornò per un’ultima esperienza in Formula 1 nel 2001, sostituito da Yoong prima della fine della stagione. I nuovi appoggi non portarono purtroppo i risultati sperati, tanto che la scuderia faentina colse un solo punto in quattro stagioni prima di un nuovo cambio societario.

Sauber powered by Ferrari

La Sauber debuttò nel 1993 e nei primi anni della propria storia ottenne prestazioni incoraggianti che dal 1997 valsero un accordo con la Ferrari e con la Petronas i cui termini prevedevano che la casa di Maranello fornisse i motori dell’anno precedente ribattezzati dallo sponsor. La Sauber-Petronas confermò Herbert e ingaggiò Nicola Larini, sostituito dopo 5 gare da Gianni Morbidelli, il quale si infortunò due volte, lasciando il sedile al tester Norberto Fontana, che scese in pista in tre gare, ripresentandosi poi nell’ultimo Gp stagionale, sua ultima presenza in F1, concluso al 14esimo posto.

Addio alla Tyrrell, arriva la Bar

La Tyrrell si è sempre contraddistinta per la scoperta di giovani talenti e la costante ricerca tecnica, caratteristica che non mancò nemmeno nei capitoli finali della sua storia. Nel 1997 sul modello 025 il team del “boscaiolo” portò al debutto i cosiddetti candelabri, vistosi supporti aereodinamici rialzati posti sul cofano motore, poi copiati da altre scuderie e messi al bando dalla Fia l’anno seguente. Il talentuoso Salo, al terzo anno in Tyrrell, ancora una volta fu l’unico a portare risultati: a Monaco riuscì a non effettuare soste e fu ripagato nella gestione del mezzo da un ottimo quinto posto, ultimo piazzamento a punti per il team, che ha fine anno passò nelle mani della British American Tobacco e dal 1999 lascio definitivamente posto alla Bar. I problemi economici della Tyrrell portarono il team a vendere il titolo sportivo alla British American Tobacco, che dalla stagione successiva avrebbe schierato una nuova squadra denominata BAR. Per il campionato 1998 la Tyrrell continuò a correre con il proprio nome anche se di fatto era già controllata dai nuovi acquirenti, affrontando un anno di transizione in vista del debutto della nuova scuderia. La 026, ultima monoposto dello storico team del boscaiolo, progettata da Harvey Postlethwaite, fu affidata a Rosset e al debuttante Takagi, che a Melbourne centrò la settima fila ma fu costretto al ritiro; a differenza del compagno di squadra il giapponese riuscì sempre a qualificarsi risultando più veloce, anche se non fu mai in grado di cogliere punti.

La BAR è stata creata dalla multinazionale del tabacco BAT in base ad un progetto di Jacques Villeneuve con il supporto del suo manager Craig Pollock. Siccome uno degli obiettivi della British American Tobacco era quello di pubblicizzare i propri marchi 555 e Lucky Strike, la vettura (equipaggiata da un motore Supertec, in sintesi un Renault “ri-marchiato”) aveva una particolare livrea divisa in due parti ben distinte. All’esperto pilota canadese venne affiancato il debuttante Zonta, che nella gara inaugurale fu costretto al ritiro, mentre nel successivo Gp del Brasile fu vittima di un grave incidente causato da un cedimento meccanico e costretto a saltare alcune gare; nessuno dei piloti riuscì a conquistare punti nel primo campionato.

Spettacolo pirotecnico in casa Arrows

Nel 1996 Tom Walkinshaw acquistò una quota rilevante della Arrows e dopo un anno con i motori Yamaha (costruiti dalla Judd) fu rilevata la Brian Hart Ltd, che realizzò nel 1998 i propulsori targati Arrows. Curiosamente in Spagna nel corso del 22esimo giro i motori delle due Arrows esplosero contemporaneamente: i piloti della scuderia inglese, che proseguivano in fila, parcheggiano le loro vetture alla fine della corsia dei box fra fumo e scintille. Il team ebbe modo di consolarsi nel successivo appuntamento di Montecarlo, con Salo quarto e Diniz sesto, ultima gara con due Arrows contemporaneamente a punti.

Minardi e Tyrrell sul ring

Al termine della stagione la Minardi riuscì a centrare il decimo posto tra i costruttori, ultimo piazzamento utile per accedere alla spartizione dei proventi derivanti dai diritti televisivi, obiettivo di vitale importanza per le piccole scuderie. La scuderia italiana non colse punti ma potè contare su due ottavi posti di Nakano e da uno di Tuero, che a Suzuka chiuse la piccola sfida con la Tyrrell in modo singolare, tamponando involontariamente Takagi e ponendo fine alla gara di entrambi. L’argentino nell’incidente riportò una frattura cervicale, motivo per cui probabilmente rifiutò il rinnovo contrattuale della Minardi, preferendo spostarsi alle competizioni turismo in patria.

Buona prova per la meteora Sarrazin

Nonostante l’arrivo di Fiorio e Brunner il 1998 della Minardi fu difficile e per il terzo anno consecutivo il team non andò a punti nel mondiale. L’anno seguente iniziò invece con ottime premesse, grazie all’ingresso dello sponsor Telefonica e un’aerodinamica rinnovata, anche se la M01 sarà poi penalizzata dalla scarsa potenza dei propulsori Cosworth. In una sessione di test Badoer si infortunò e la Minardi ad Interlagos lo sostituì con il collaudatore della Prost, Sarrazin, che sorprese tutti girando in prova più veloce di Genè e ottenendo il 17esimo tempo, che fu poi la seconda miglior prestazione in campionato del team. Costretto al ritiro per un incidente, il francese restò in F1 come tester, passando poi a corse di durata, rally e infine Formula E.

Corsa folle al Nurburgring

Nei tre anni di storia del team Stewart arrivò un’unica vittoria, ottenuta da Johnny Herbert al Nurburgring nel 1999, quando il britannico partì 14esimo e fu molto abile a gestire il meteo pazzo di quella giornata, chiudendo la gara al primo posto, salendo sul podio con il compagno di squadra Barrichello, terzo. In quel rocambolesco gran premio d’Europa la Minardi si trovò in quarta posizione nelle battute finali, ma i sogni di Badoer si infransero a otto giri dal termine a causa della rottura del cambio.  Il pilota italiano dalla stagione seguente passò al ruolo di tester per la Ferrari tornando in gara dopo 10 anni sostituendo a Valencia e Spa l’infortunato Massa, arrivando rispettivamente 17esimo e 14esimo, prima di lasciare il posto a Fisichella, che non ebbe migliore fortuna. A fine 2010, dopo 12 anni e 132.000 Km percorsi a bordo delle vetture del cavallino, il rapporto di collaborazione tra la Ferrari e Badoer si è interrotto, con addio ufficiale l’8 dicembre al Motor Show.

Il sogno iridato della Jordan

Nel corso della propria storia la Jordan ha spesso portato in pista vetture competitive e ottimi piloti, ma in un solo caso è riuscita ad inserirsi nella lotta al titolo: correva l’anno 1999 con Heinz-Harald Frentzen al volante. Dopo il primo successo in Francia, il tedesco infilò una serie di risultati utili, vincendo nuovamente a Monza (ultimo successo in carriera) e trovandosi a soli 10 punti dalla coppia di testa Hakkinen – Irvine. Nel successivo Gran Premio d’Europa colse la pole position, ma un ritiro per noie elettriche mandò in fumo i suoi sogni di gloria, mentre i due piazzamenti a punti nelle ultime due gare confermarono l’ottimo terzo posto in classifica generale.

Stiamo vivendo la fase finale della trasformazione dal “classico” al “moderno” con l’ultimo duello epico della categoria (Schumacher vs. Hakkinen) e i saluti di alcuni team che hanno segnato la storia dei precedenti lustri (Tyrrell, Arrows, Ligier e Minardi). L’imminente strapotere della coppia Schumacher/Ferrari porterà inoltre ad un’impennata delle variabili da pseudo show che la Federazione inserirà per accontentare i polemici vari sempre pronti a gridare alla noia, con conseguente stravolgimento del Dna della Regina delle competizioni, ma questo ve lo raccontiamo nel prossimo episodio.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (1)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (2)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (3)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (1)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (2)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991
Pillole di F1 cap. 10 – F1 nel caos (1)
Pillole di F1 cap. 11 – F1 nel caos (2)

F1 in pillole – Capitolo 10

Nel corso degli anni ottanta la Formula 1 ha vissuto una costante crescita di popolarità mediatica, amplificata alla fine del decennio dall’epico duello tra Senna e Prost, le cui battaglie dentro e fuori dagli autodromi, amplificate ad uso e consumo dei media, hanno finito per attirare una nuova fetta di pubblico e proiettato il Circus dei Gp nell’olimpo degli sport più seguiti oltre all’universale calcio.

Chi in quegli anni ha ammirato bolidi dalle potenze mostruose e dalla tecnologia sempre più raffinata, domati da cavalieri senza macchia e senza paura in duelli indimenticabili, certamente non avrebbe mai immaginato che a breve la classe regina dell’automobilismo avrebbe perso i propri punti di riferimento, con il pensionamento dei grandi protagonisti della scena, un ricambio generazionale non all’altezza, un cambio di mentalità generale del pubblico e degli addetti ai lavori, sempre più rivolti allo show piuttosto che allo sport, il tutto gravato dalla tragica scomparsa del pilota più rappresentativo, caduto in battaglia in un nero fine settimana a Imola.

Ma prima di giungere alla conclusione, vediamo cosa successe in quel periodo.

Scuderia Italia, l’avventura continua

Dopo un’annata deludente senza nessun punto ottenuto, la Scuderia Italia si presentò al via del 1991 con un’evoluzione della vettura precedente e con il motore Judd, ottenendo risultati al di sopra delle aspettative: a Imola Lehto colse l’unico podio in carriera, bravo a sfruttare i numerosi ritiri (tra cui quelli delle Ferrari, con Alesi fuori al secondo giro e Prost addirittura nel giro di ricognizione) conducendo una gara regolare partendo dall’ottava fila. Grande promessa, venne ingaggiato dall’ambiziosa Benetton nel 1994 ma un grave incidente nei test lo costrinse a uno stop forzato; una volta rientrato non riuscì più ad esprimersi sugli stessi livelli e si ritirò a fine stagione. Il suo compagno di squadra Emanuele Pirro centrò un ottimo sesto posto a Montecarlo, cogliendo l’ultimo punto in carriera, poi a fine stagione abbandonò la F1 e si dedicò definitivamente alle competizioni a ruote coperte per una lunga carriera ricca di successi, tra cui due titoli super-turismo e cinque vittorie alla 24 ore di Le Mans.

Breve storia della Fondmetal in F1

La Fondmetal, gruppo industriale di forte esperienza, entrò in F1 come sponsor, poi come partner e infine rilevando la struttura dell’Osella, affrontando con alterne fortune due campionati del mondo. Nel 1992 l’ottimo Tarquini si qualificò con regolarità anche se fu penalizzato dalla fragilità della vettura, mentre Chiesa pagò la scarsa esperienza e la difficoltà nel correre con un mezzo poco competitivo. A Magny Cours lo svizzero riuscì a entrare in griglia per la terza volta in stagione, ma la sua gara non durò nemmeno il tempo di un giro, coinvolto in un incidente poco dopo il via; mancata la qualificazione a Silverstone ed Hockenheim, venne sostituito da Van De Poele, poi il team chiuse i battenti prima della fine del campionato.

Le tragicomiche avventure dell’Andrea Moda

Andrea Sassetti acquistò il materiale Coloni per iscrivere L’Andrea Moda con lo scopo di promuovere la propria attività, anche se le cose non andarono come previsto. Per vari problemi il team non scese in pista nelle prime due gare, arrivando all’allontanamento dei piloti Caffi e Bertaggia e all’arrivo di Moreno, che qualificò l’Andrea Moda per l’unica volta nella propria breve storia. A Montecarlo il brasiliano superò le pre-qualifiche e si qualificò all’ultimo posto a 5.450 sec dalla pole, mentre in gara fu costretto al ritiro dopo soli 11 giri per noie al motore Judd. Dopo quel “miracolo” di Moreno, per l’Andrea Moda fu di nuovo impossibile superare lo scoglio delle pre-qualifiche, fino a quando il team fu bandito in seguito all’arresto del patron durante il week end di Spa.

Per affiancare Moreno venne scelto McCarthy, già test driver dalla Footwork: il pilota inglese non si qualificò mai e spesso si limitò a pochi giri, addirittura a Silverstone disputò le prequalifiche su pista asciutta con gomme da bagnato, unico treno di gomme disponibile, facendo segnare il tempo di 1:46.719, distante 27.754 dalla pole di Nigel Mansell (il compagno di squadra Moreno con gomme da asciutto era comunque oltre gli 11 secondi). Perry McCarthy ha narrato la sua stagione all’Andrea Moda nella propria autobiografia Flat Out, Flat Broke: Formula 1 the Hard Way!

La storia della March ai titoli di coda

La March era rientrata in F1 alla fine degli anni ottanta con ottime prestazioni, poi passò nelle mani del gruppo Leyton House, i cui investimenti non diedero i risultati sperati, inoltre il patron Akira Akagi venne arrestato per frode alla fine del 1991, riportando il team alla denominazione originale. A causa delle difficoltà finanziarie la March disputò il 1992 con la vettura dell’anno precedente con cui Wendlinger riuscì a cogliere un miracoloso quarto posto, mentre il debuttante Belmondo visse una stagione travagliata, qualificandosi in sole 5 occasioni prima di essere sostituito da Naspetti, che abbandonò il campionato International Formula 3000 dove fino a quel momento occupava la prima posizione. Al debutto, sul circuito di Spa, il pilota italiano si qualificò agevolmente in ventunesima posizione a 7,2 secondi dalla pole di Mansell, mentre in gara fu dodicesimo; corse le cinque gare di fine stagione ottenendo un undicesimo posto come migliore risultato poi, dopo il ritiro della March, divenne collaudatore per la Jordan, scuderia con la quale corse il suo ultimo gran premio, quello del Portogallo nel 1993, ritirandosi per la rottura del motore. Nelle ultime due gare Naspetti fu affiancato da Jan Lammers, assente dal mondiale di Formula 1 dal 1982, poi una volta chiusa la stagione il team tentò di iscrivere la ormai obsoleta CG911B anche al mondiale 1993, ma in Sudafrica non si presentò e chiuse definitivamente i battenti.

Modena, promessa mancata

La stagione del debutto si era rivelata sorprendente per la Jordan, che nel 1992 si trovò invece a fronteggiare difficoltà economiche e tecniche: la nuova 192 era un’evoluzione della precedente progettata per il V8 Cosworth, pertanto fu difficile adattare il V12 Yamaha, che si rivelò tra l’altro poco affidabile e particolarmente “assetato” di benzina. Oltre a Gugelmin venne ingaggiato il talentuoso Modena, penalizzato dalla macchina e lontanissimo dalle prestazioni ottenute l’anno precedente con la Tyrrell, anche se con un sesto posto ad Adelaide ottenne l’unico punto stagionale per Eddie Jordan, nella gara che chiuse la sua carriera in Formula 1.

Nuovo tentativo per la Lola

La Scuderia Italia mosse i primi passi in Formula 1 con telai Dallara, ottenendo risultati incoraggianti, ma alla fine del 1992 l’accordo venne chiuso (pare per problemi tra il telaista e la Ferrari, fornitrice di motori) e avviato un nuovo percorso con la Lola, già presente precedentemente con Haas e poi Larrousse. I risultati furono disastrosi: i due piloti mancarono spesso la qualificazione e non arrivarono mai in zona punti, sfiorata solamente da Badoer a Imola. Chiusa anzitempo la stagione, Lucchini entrò in società con la Minardi, prima di tornare con grande successo a gare turismo e Gt.

Un piccolo record per Barbazza

Monzese di nascita, con alle spalle esperienze in America (terzo alla 500 miglia di Indianapolis nel 1987) e una poco fortunata stagione in Formula 1 con la Ags con la quale non riuscì mai a qualificarsi, nel 1993 Barbazza ebbe l’occasione di tornare nel circus con la Minardi stabilendo un piccolo primato: grazie ai due sesti posti di Donington e Imola fu infatti il primo ad andare a punti per due gare consecutive con la scuderia faentina. Sostituito da Martini a metà stagione, abbandonò la Formula 1 e tornò in America nella serie Imsa, dove la sua carriera si interruppe definitivamente a causa di un grave incidente alla 3 ore di Road Atlanta alla guida della Ferrari 333 Sp; in seguitò si distinse per il proprio lavoro nell’ambito della sicurezza sportiva.

Benvenuta Sauber

Peter Sauber inizio la propria attività costruendo vetture Formula 2 e Sport Prototipo, avviando una proficua collaborazione con la Mercedes, il cui appoggio fu determinante per il passaggio in Formula 1. La Sauber C12 debuttò nel 1993 e si dimostrò subito competitiva ma altrettanto inaffidabile e il promettente Wendlinger fu più volte costretto al ritiro, ma finalmente a Montreal arrivò il primo punto, cui seguirono altri tre piazzamenti che consentirono all’austriaco di terminare la stagione in una soddisfacente posizione di metà classifica. Nel 1994, dopo un buon avvio, Wendlinger fu vittima di un terribile incidente a Monaco che compromise la sua carriera in F1, passò allora con successo alle ruote coperte.

256 volte Patrese

Vicecampione in carica, dopo gli anni d’oro in Williams Riccardo Patrese venne scelto da Briatore per affiancare l’astro nascente Schumacher e mettere in campo la propria esperienza al fine di sostenere la grande crescita della Benetton. Trascorsa una prima metà di stagione tribolata, il padovano visse un finale in crescendo conquistando numerosi piazzamenti grazie ad ottime prestazioni; dopo aver festeggiato in Germania il traguardo dei 250 Gp, colse all’Hungaroring il suo ultimo podio giungendo secondo al traguardo, poi a fine stagione si ritirò, rifiutando durante l’anno seguente un’offerta della Williams, che lo aveva scelto per sostituire Ayrton Senna.

Andretti di nome ma non di fatto
Il figlio di “Piedone” arrivò in Formula 1 forte di grandi risultati ottenuti nelle corse americane, dove vinse anche un campionato CART nel 1991, anno in cui effettuò i primi test sulla Mclaren, scuderia con cui debuttò due anni più tardi. La stagione non iniziò nel migliore dei modi in quanto il team aveva perso i motori Honda e si era dovuta accontentare dei Ford “clienti”, inoltre Andretti faticava ad adattarsi alla categoria e il confronto interno con un campione navigato come Senna rese la situazione ancora più difficile. A Monza un testacoda lo portò in fondo al gruppo, ma con grinta l’americano recuperò terreno e riuscì a chiudere al terzo posto (suo miglior risultato), nella stessa pista dove era salito sul podio l’ultima volta il padre Mario nel 1982. Appiedato dopo il Gp d’Italia, Andretti tornò in America ripresentandosi al via del campionato CART.

Minardi stile Hot Wheels

Le forniture di motori Ferrari e Lamborghini non avevano portato risultati e lasciato un pesante disavanzo economico, per cui la Minardi iniziò il 1993 con una vettura dall’architettura semplice e i motori Ford dell’anno precedente, nonostante ciò si trattò della miglior stagione in termini di punteggio per il team faentino. Christian Fittipaldi (figlio di Wilson e nipote di Emerson), che ottenne ben 5 punti in campionato, a Monza fu protagonista di un arrivo spettacolare, terminando alle spalle di Martini dopo averlo colpito ed eseguendo un incredibile 360° in aria.

Apicella, carriera lampo

La carriera in F1 di Apicella non durò nemmeno un giro: chiamato da Eddie Jordan per disputare il gp d’Italia in seguito al ritiro di Boutsen, l’italiano si qualificò 23esimo e venne coinvolto in un incidente poco dopo il via. Contende questo particolare record di carriera lampo con Miguel Angel Guerra (Osella, Imola 1981).

Verso la regola del 107%

Per alcuni anni in Formula 1 l’elevato numero di iscritti rese necessaria l’esclusione di alcuni piloti per mantenere un massimo di 26 partecipanti alle gare poi, con l’abbandono di diversi team, a partire dal Gp del Brasile 1993 si decise di escludere uno solo dei 26 iscritti. Dal Gp di Germania vennero ammessi tutti i partecipanti, che nelle ultime gare dell’anno, causa il forfait della Scuderia Italia, divennero 24; in questo modo Toshio Suzuki, chiamato dalla Larrousse per sostituire Alliot, in Australia prese parte alla gara nonostante un pesante distacco in qualifica, situazione cui in futuro si cercò di ovviare con l’introduzione della regola del 107%.

Mclaren Lamborghini: sogno sfumato

Nell’estate del 1993 la Mclaren testò una Mp4/8 su cui era stato installato un potentissimo V12 Lamborghini: nonostante alcuni problemi relativi a lunghezza, consumi e affidabilità, Senna telefonò a Dennis dichiarandosi entusiasta, richiedendo addirittura di averlo subito, ma i vertici Mclaren avevano dei dubbi, inoltre la Peugeot garantì anche copertura economica, per questo motivo Dennis si accordò con la casa francese, irritando non poco Senna, e della Mclaren Lamborghini restano solo racconti e immagini di un bel sogno.

Imola tragica: Addio Ayrton e Roland

Oltre al classico appuntamento di Suzuka, nel 1994 e 1995 la F1 sbarcò in Giappone anche per il gran premio del Pacifico, disputatosi sul circuito di Aida. Dopo una lunga gavetta, Roland Ratzenberger realizzò a 34 anni il suo sogno di debuttare in Formula 1 grazie ad un contratto di cinque gare con il team Simtek. Mancata la qualificazione in Brasile, il pilota austriaco in GIappone si piazzò in ultima fila al fianco del compagno David Brabham, conducendo poi una gara regolare, chiusa all’undicesimo posto a cinque giri dal vincitore. Morì nel successivo gran premio a Imola a causa delle ferite riportate in un incidente avvenuto nelle prove del sabato, in un week end già sconvolto dal drammatico botto di Barrichello, fortunatamente risoltosi con lievi conseguenze.

Il 30 aprile 1994, giorno della tragedia di Roland, Ayrton Senna colse la sua 65esima ed ultima pole position, il giorno seguente anche l’asso brasiliano perse la vita e tra i rottami della sua Williams venne ritrovata una bandiera austriaca: Ayrton era sceso in pista per la gara con l’intento di celebrare lo sfortunato collega sventolando quella bandiera nel giro d’onore della sua 42esima vittoria, che purtroppo non arrivò mai. Nel fine settimana più nero che la Formula 1 ricordi anche uno spaventoso incidente al via, con tifosi feriti da rottami, oltre ad un meccanico colpito ai box dall’incolpevole Alboreto a causa di una ruota persa dalla sua Minardi. La Formula 1 arrivò in stato di shock al successivo Gp di Montecarlo, dove Karl Wendlinger uscì di pista durante le libere rimanendo per un lungo periodo in coma: riuscì a ristabilirsi e tornare a correre, pur senza giungere nuovamente ai livelli di competitività precedenti all’incidente.

Le pillole non finiscono qui, c’è ancora una lunga storia da raccontare, ma è inutile negare che quel primo maggio segnò uno spartiacque, e da quel momento nulla sarebbe più stato come prima.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991

LE LEGGENDE DI SEBRING

Come ogni anno siamo vicini ad una delle gare endurance americane più antiche. Risale infatti al 1952 la prima edizione della classica “12 Ore” su un circuito ricavato dai resti dismessi della base militare di Hendricks Field. Tra le altre cose, proprio in questa base si sono svolti gli addestramenti e i test sui B-17    (le “Fortezze Volanti”).

 

 

Dopo la guerra questo luogo fu la culla del Motorsport di durata Americano, infatti Alec Ulmann, grande appassionato di corse ed eccellente promotore, ideò la 12 Ore di Sebring per emulare quello che anni prima aveva visto alla 24 Ore di Le Mans.

Nel corso degli anni e delle edizioni sono emersi tra esperti e appassionati, svariati miti e leggende inerenti questa storica gara. Qui ne voglio riportare alcuni dei più sbalorditivi, per poi elencare una selezione delle  migliori edizioni della 12 Ore.

 

Un bambino nacque dentro il circuito mentre era in corso la gara. FINZIONE

Non si hanno prove di ciò, e si intende proprio la nascita del bambino, non il suo concepimento. Invece è vero che ci fu una nascita in questo luogo quando era ancora la base di Hendrick Field.

Molte vetture partirono alla 12 Ore del 1955 senza autorizzazione, entrando furtivamente in pista alla partenza. REALTA’

Sei piloti di auto di “riserva”, non contenti di non essere stati ammessi alla gara, decisero di partire lo stesso e fecero qualche giro prima di uscire definitivamente dalla gara.

 

Anche se non ci fu la gara nel 1974, un gruppo di fan si presento comunque all’evento. REALTA’

Il numero esatto di appassionati che arrivarono al circuito quell’anno è sconosciuto, ma si stimano dai 2.000 ai 5.000.

Il Governatore della Florida fu portato a fare un giro di pista mentre la gara era in corso. REALTA’

Nel 1950 (la gara era di 6 ore) il promotore Alec Ulmann portò il Governatore Fuller Warren a fare un giro in pista a gara in corso.

Un serial killer gareggiò alla 12 Ore di Sebring. REALTA’

Christopher Wilder, poi scoperto essere il “The Beauty Queen” serial killer, gareggiò nella gara del 1983. Fu ucciso l’anno seguente dalla polizia mentre cercava di entrare in Canada.

Il co-fondatore di Apple Steve Jobs ha guidato in gara. FINZIONE

Jobs venne alla gara del 1980, ma non guidò mai.

Una Ford GT coinvolta in un incidente fatale nel 1966 è sepolta nel tracciato. REALTA’

Una Ford GT guidata da Bob McLean, ucciso in un grave incidente all’Hairpin nel 1966, fu sepolta nelle vicinanze, anche se rimase molto poco della vettura. Anche i resti di un’Alfa Romeo sono sepolti in circuito, ma non si sa esattamente dove.

 

Jim Morrison dei Doors ha assistito alla 12 Ore di Sebring. REALTA’

Secondo tutte le fonti, assistette alle edizioni 1962-63. Dopotutto era nato in Florida non troppo distante da Sebring.

Gene Hackman, James Brolin, Lorenzo Lamas, Paul Newman, Steve McQueen e David Carradine sono tutti attori che hanno gareggiato a Sebring. REALTA’

Steve McQuenn arrivò vicinissimo alla vittoria assoluta nel 1970.

Tom Kristensen, vincitore più volte, salutò i fan al campeggio di curva 10 durante un periodo di Safety Car mentre era in testa nell’edizione 1999. REALTA’

Tom ha effettivamente ammesso che ha voluto salutare alcuni amici incontrati il giorno prima.

La gara fu sospesa a causa di un alligatore in pista. FINZIONE

Sebbene non sia mai successo durante lo svolgimento della corsa, durante l’anno qualche alligatore entra in pista davvero!

Durante l’edizione 1957, Stirling Moss rallentò talmente tanto all’Hairpin che qualcuno potesse passargli una bottiglia di Coca Cola. REALTA’

Il fotografo e giornalista Bernard Cahier gli passò in mano la bottiglia, e il giro dopo Moss la lanciò via vuota!

 

Una volta la gara fu messa in regime di Safety Car a causa della mancanza di carburante per i team. REALTA’

Nel 1983 la gara fu forzatamente neutralizzata per permettere ad un’autobotte di attraversare la pista e portare benzina ai box. C’erano 83 auto iscritte quell’anno.

Durante le prime due edizioni, furono ingaggiate pattuglie armate a cavallo che sparassero agli animali selvaggi che potevano girovagare in pista. REALTA’

Cinghiali e cervi erano una reale preoccupazione per gli organizzatori.

Dale Earnhardt aveva fatto un test “segreto” con la Corvette ufficiale a Sebring, poco prima della morte. REALTA’

Lui e suo figlio, Dale Jr., testarono con il team Corvette nel Dicembre 2000. Dale Earnhardt morì alla Daytona 500 del 2001, circa 2 mesi dopo.

Mentre preparavano la costruzione dei nuovi box nel 1999, i muratori trovarono munizioni attive della Seconda Guerra Mondiale. FINZIONE

Mai accaduto.

La Lola-Chevrolet di Roger Penske fu rubata dopo l’edizione 1969. REALTA’

Mentre portava indietro la vettura da Sebring, il team si fermò vicino a Ormond Beach, dove fu rubata l’auto. In seguito fu ritrovata quasi del tutto.

Un film con Robert Redford fu girato a Sebring. REALTA’

Alcune scene del film del 1975 “The Great Waldo Pepper” furono girate sia all’aeroporto che al tracciato di Sebring.

Il presidente Jimmy Carter era un assiduo spettatore della gara. REALTA’

E’ ben documentato che Carter e la sua famiglia, molto prima della sua attività politica, andavano a Sebring ogni anno per vedere la gara.

Il Sebring Raceway è un “cimitero” di parti di diversi circuiti dismessi. REALTA’

Ponti, reti di protezione, barriere, lampioni e altre strutture come la torre della classifica (che ora non c’è più), vengono da molti circuiti. Dalla versione originale di St. Petersburg, Tamiami Park Indy Car, New Orleans GP, Baltimore GP, World Challenge di Tampa, Lakeland Speedway e altri tracciati.

L’auto che vinse la prima gara in assoluto a Sebring nel 1950 era quella di uno spettatore. REALTA’

Victor Shape di Tampa arrivò con la sua Crosley Hot Shot alla Sam Collier 6H Memorial nel 1950. Shape fu convinto a prestare la sua macchina ai piloti Ralph Deshon e Fritz Koster, che finirono per vincere la gara, che prevedeva una formula handicap.

 

Una volta uno spettatore arrivò 3 mesi prima della gara. REALTA’

Patrick Taylor di Palm Bay arrivò il 26 Dicembre 2003, quasi tre mesi prima della gara! Oggi i tifosi non possono arrivare prima del 1° Marzo.

La gara del 1974, prima di essere cancellata, fu ridotta a 1200 km per risparmiare carburante. REALTA’

Gli organizzatori cambiarono il nome della gara in “Sebring-Camel 1200 Km” invece che la classica 12 Ore. Comunque la gara non venne mai disputata quell’anno.

La 12 Ore di Sebring una volta era una 24 Ore. FINZIONE

Questa è una delle leggende più comuni riguardo Sebring, ma non fu mai una gara di 24 Ore.

 

RIPERCORRIAMO LE 12 ORE MEMORABILI…

1954: La prima di molte edizioni sconvolgenti. Una OSCA da 1.5 litri guidata da Stirling Moss e Bill Lloyd riuscì a vincere contro le molto più potenti Lancia ufficiali e auto come Ferrari, Maserati e Jaguar.

1956: Fangio vinse la prima di due 12 Ore consecutive, portando alla Ferrari il primo successo assoluto a Sebring. Quest’anno segna anche il debutto della Corvette, che mette a segno la prime di 22 vittorie di classe.

1966: Fu una gara drammatica e tragica. La Ford GT40 guidata da Dan Gurney e Jerry Grant era in testa all’ultimo minuto, ma incredibilmente il motore cedette a poco più di 200 metri dalla linea del traguardo. Gurney tentò di spingere la vettura (in seguito venne squalificato per questo), ma venne superato dai compagni Lloyd Ruby e Ken Miles che andarono a vincere. La gara era stata inoltre funestata dalla morte di un pilota e quattro spettatori.

1969: Nell’ultima ora e mezza ci furono ben 4 cambi di leadership…alla fine la vittoria andò a sorpresa a alla Ford di Jacky Ickx e Jack Oliver.

1970: Nella prima metà della corsa non ci fu storia, infatti la Ferrari in testa prese un vantaggio di 12 giri. Ma nella seconda parte le cose si ribaltarono, tanto che la Porsche 908 di Steve McQuenn e Peter Revson era in battaglia con la Ferrari 512S ufficiale di Mario Andretti. Alla fine la spuntò la Ferrari con un margine risicatissimo di 23 secondi. Ma nell’immaginario collettivo quell’edizione è ricordata per la vittoria mancata per un soffio da McQuenn, che pure aveva un’anca rotta e guidò meno del suo compagno.

1983: La gara di endurance più conbattuta. Uno schieramento record di 83 partenti risultò un otto diversi leader e 23 cambi di leadership. Alla fine una Porsche 934 di classe GTO guidata da Wayne Baker, Jim Mullen e Kees Nierop risucì a vincere. Addirittura Baker tagliò il traguardo pensando di aver vinto solo la sua classe!

1999: Il debutto dell’American Le Mans Series rispetto le attese. La BMW vinse la 12 Ore con un vantaggio di 10 secondi sul team Dyson, il margine più ristretto a Sebring. Inoltre il giovane danese Tom Kristensen vinse la prima di una serie record di 6 successi!

2011: La ILMC portò le fortissime Audi e Peugeot ufficiali a Sebring, ma la vittoria andò sorprendentemente alla Peugeot privata del team ORECA.

 

Dopo esserci tuffati nella storia di questa classica d’oltreoceano siamo pronti a seguire una nuova edizione della mitica 12 Ore.

Grazie

Aury

F1 in pillole – Capitolo 9

La Formula 1 visse un inverno bollente, caratterizzato dall’accesa polemica tra il presidente della FISA Jean-Marie Balestre e Ayrton Senna, che lo accusava di aver manipolato il campionato precedente in favore dell’acerrimo rivale Prost. Senna ricevette una multa di 100.000 dollari ed il ritiro della superlicenza, situazione poi risolta da una lettera di scuse spedita dalla Mclaren in febbraio, proprio allo scadere dell’ultimatum di Balestre. Senna poté dunque disputare il campionato e proseguire il duello con Prost, passato ad una sempre più competitiva Ferrari, in un matrimonio che partì con i migliori auspici e finì nel peggiore dei modi, mentre il brasiliano della Mclaren vinse altri due titoli, ora fronteggiato da Nigel Mansell, anche lui protagonista di un rapporto tormentato con il cavallino rampante e rilanciato dalla Williams Renault. Come sempre le pagine di storia della Formula 1 furono scritte non solo dai protagonisti, eccovi dunque un pò di pillole di Formula 1.

Breve storia della Life in Formula 1

Verso la fine degli anni ottanta l’ex ingegnere della Ferrari Franco Rocchi sfruttò una vecchia applicazione aeronautica per progettare un motore automobilistico di nuova concezione: realizzò infatti un propulsore plurifrazionato a dodici cilindri, disposti non a V come di consueto, bensì a W, ovvero con tre bancate, ognuna delle quali ospitava quattro cilindri. In questa maniera, rispetto a un tradizionale V12, il motore era più corto, e di conseguenza la vetture più agile poiché anch’essa più corta, pur conservando teoricamente la potenza del dodici cilindri. L’imprenditore Ernesto Vita fu stimolato dall’idea e acquistò i diritti per vendere i motori in F1, ma non trovò interesse e pertanto costituì un proprio team, acquistando il telaio ideato inizialmente per l’abortito team First sul quale fece adattare il motore W12 partendo con una sola vettura, due motori e ben pochi ricambi. Durante le pre-qualifiche a Phoenix Gary Brabham, figlio di Jack, fece segnare il poco invidiabile tempo di 2.07, a trenta secondi dal già modesto crono della Eurobrun di Langes, mentre poche settimane dopo a Interlagos non completò nemmeno un giro a causa di un guasto. Pensando di ottenere una brutta reputazione, Brabham abbandonò la Life (non ebbe comunque altre occasioni in F1) e fu sostituito l’esperto Giacomelli, ma la Life non riuscì mai ad avvicinarsi nemmeno all’ultimo degli esclusi dalle prequalifiche, girando in alcune piste su tempi da F3. Neanche il passaggio ad un più convenzionale motore Judd portò miglioramenti e tra mille disavventure, dopo un ultimo disastroso tentativo nel Gran Premio di Spagna, il team si ritirò dal campionato, rinunciando alle ultime due gare e sparendo definitivamente dalla Formula 1.

Il riscatto di Riccardo Patrese

Nel 1983 a Imola Riccardo Patrese uscí di pista quando la vittoria sembrava ormai una formalità e venne ingiustamente sbeffeggiato dal pubblico che esultò per la vittoria della Ferrari. Nel 1990 il pilota italiano si riconciliò con i tifosi italiani: terzo in prova, prese la testa della corsa con un bel sorpasso su Berger tra le urla di gioia del pubblico, che lo accolse poi con entusiasmo quando salì sul gradino più alto del podio.

Ultimo capitolo per l’Eurobrun

La scuderia EuroBrun debuttò nel 1988 con risultati altalenanti e difficoltà nel qualificarsi, mentre ancora più disastrosa fu la stagione seguente, con il solo Foitek capace di superare le prequalifiche, tra l’altro in una sola occasione e senza poi riuscire a entrare tra i 26 in gara. Il 1990 iniziò con la vecchia Er189, di cui a san Marino arrivò la versione “B”: Moreno (Già 13esimo a Phoenix) si piazzò in ultima fila, ma si fermò subito per un guasto, mentre Langes nelle prequalifiche risultò più lento di sei secondi rispetto al compagno di squadra (che aveva centrato l’ultimo piazzamento utile) e si fermò di fronte ad un ostacolo insuperabile: alla guida di una vettura modesta e con una concorrenza spietata (35 iscritti) in 14 tentativi non passò mai la sessione del venerdi mattina, trovandosi appiedato a due gare dal termine per l’abbandono del team.

Capelli ad un passo dalla vittoria

Con l’ingresso della Leyton House, la March puntava ad arrivare ad alti livelli e il progettista Adrian Newey, che già aveva ideato la fortunata auto del 1988, si mise all’opera per il modello CG901, il cui prefisso fu una dedica Cesare Gariboldi, manager del team da poco deceduto. Il progetto si basava sulla vecchia vettura, ma dotato di un’aerodinamica più sofisticata, anche se la galleria del vento fornì dati errati e fu necessaria una correzione in corsa. I risultati furono comunque deludenti e Ivan Capelli in Messico mancò la qualificazione, mentre nel successivo Gp in Francia partì in quarta fila e grazie ad un consumo ottimale degli pneumatici si trovò sorprendentemente in testa, arrendendosi solo nel finale ad Alain Prost causa noie al propulsore Judd; chiuse comunque secondo per quello che fu l’unico piazzamento a punti stagionale.

Stagione positiva per la Larrousse

Dopo un 1989 al di sotto delle aspettative, la Larrousse, che nel frattempo aveva ceduto il 50% delle quote del team alla giapponese Espo Corporation e spostato la sede a Signes, si trovò costretta a disputare le prequalifiche. Grazie al nuovo 12 cilindri Lamborghini, più competitivo e affidabile, il turno del venerdi mattina non rappresentò mai un problema e venne sempre superato con facilità dai due piloti Aguri Suzuki ed Eric Bernard, quest’ultimo autore a Silverstone di una prova superlativa, con ottavo posto in qualifica e gara chiusa al quarto posto, alle spalle di Ayrton Senna e addrittura davanti a Piquet. Il francese, che sembrava avviato ad un brillante futuro, colse punti anche a Monaco e in Ungheria, poi visse un deludente 1991 concluso con un grave incidente a Suzuka, in seguito al quale tornò in F1 solo tre anni dopo, prima con Ligier (con cui ottenne l’unico podio in carriera) e poi con Lotus, restando senza un volante prima della fine della stagione.

Ferrari? No, grazie

La Benetton iniziò la propria avventura a metà degli anni ottanta mostrando costanti segni di crescita, così come Alessandro Nannini, che nel 1990 si stava confrontando con ottimi risultati con un compagno di squadra ostico come Piquet, cogliendo risultati di rilievo e alcuni podi. Le prestazioni del senese valsero l’interesse della Ferrari, ma a giochi fatti l’affare saltò, pare per una clausola contrattuale, in ogni caso per motivi che poi il pilota addebitò a Fiorio. Nannini, che affermò di preferire la Benetton in quanto “auto del futuro” (e visti i titoli 94/95, aveva ragione), fu costretto a interrompere la propria carriera in F1 a causa di un incidente con un elicottero.

Niente da fare per la Subaru

Una volta banditi i Turbo, l’Ing.Chiti iniziò a lavorare su un V12 Motori Moderni, quando entrò in scena la Subaru (attratta dai successi della concorrente Honda) che sostenne il progetto richiedendo l’applicazione di principi delle proprie vetture di serie: si arrivò dunque all’1235, l’ultimo motore a cilindri contrapposti ad aver gareggiato in F1, tecnologia già abbandonata da anni in quanto ritenuta poco redditizia. Nonostante la mente geniale di Chiti, il motore si dimostrò un disastro e la Coloni, team che sperava in un salto di qualità, non riuscì mai a superare le prequalifiche, tornando presto ad un tradizionale Ford, che di fatto non portò miglioramenti, visto che Gachot continuò a stazionare all’ultimo posto del turno di prove.

Suzuki e Lamborghini sul podio

La Lamborghini venne acquisita dal gruppo Chrysler, che per rilanciare la fama del “toro” pensò di proiettarsi sul mercato della F1 attraverso un motore da concedere ai team clienti. Per la realizzazione vennero coinvolti due grandi uomini della storia Ferrari, ovvero l’Ing.Forghieri e il team manager Audetto, mentre per coerenza con il prodotto di serie si optò per un 12 cilindri che in fatto di potenza non aveva nulla da invidiare ai propulsori di massimo livello nella categoria, anche se non fu mai raggiunta un’affidabilità soddisfacente. Il miglior risultato arrivò con la Larrousse, quando a Suzuka nel 1990 Aguri Suzuki centrò l’unico podio in carriera per sé e per il motore Lamborghini, mentre con Lotus, Modena Team, Minardi e Ligier non arrivarono risultati all’altezza delle aspettative.  Aguri Suzuki, primo giapponese a podio in Formula 1, partecipò ad 88 gran premi, qualificandosi in 64 occasioni e ottenendo 8 punti, chiuse la carriera in seguito ad un incidente avvenuto, sempre a Suzuka, nel 1995.

Tyrrell, sinonimo di innovazione

Nel tentativo di rilanciare il proprio team, Ken Tyrrell avviò una partnership con la Mclaren e ampliò l’organico, assicurandosi inoltre il contributo di tecnici di rilievo come Harvey Postlethwaite e Jean-Claude Migeot, che per il 1990 progettarono la Tyrrell 019, prima monoposto della storia con musetto rialzato, poi adottato da tutti i team, compresa la Benetton del 1994, prima vettura iridata con quel particolare. Grazie ad un’ottima vettura e ad un motore affidabile (un Cosworth preparato da Brian Hart) la Tyrrell centrò due podi con Alesi e il quinto posto tra i costruttori con 16 punti, ultimo di questi ottenuto da Nakajima nel Gp di casa a Suzuka.

Giornata di festa per la Benetton

Ingaggiato dalla modesta Eurobrun, il “Pupo” Moreno riuscì miracolosamente a qualificarsi in due occasioni, poi la scarsa competitività del mezzo si fece sentire e per otto gare consecutive lo scoglio delle pre-qualifiche risultò insormontabile. La stagione di Moreno svoltò con la chiamata della Benetton in sostituzione dell’infortunato Nannini, cui il brasiliano rispose nel migliore dei modi centrando a Suzuka un ottimo secondo posto alle spalle del compagno di squadra e amico Piquet. Confermato per il 1991, venne poi rimpiazzato a stagione in corso per far posto a Schumacher, continuando a correre con team minori, spesso ottenendo risultati oltre le aspettative.

Watson porta al debutto la Jordan

Ad oltre cinque anni dall’ultima presenza ufficiale alla guida della Mclaren, John Watson fu il primo pilota a guidare per la Jordan, team in procinto di iscriversi al mondiale per la stagione seguente. In un test a Silverstone l’inglese testò la vettura spinta da un tradizionale motore Ford a otto cilindri, mentre per il campionato seguente furono scelti Andrea De Cesaris e Bertrand Gachot, quest’ultimo poi sostituito dal debuttante Schumacher, poi da Moreno e infine da Zanardi.

Il grande passo della Lambo

Un imprenditore messicano commissionò alla Lamborghini Engineering (che già forniva un V12 ad alcune scuderie) il progetto di una struttura completa per entrare in F1 nel 1991; la realizzazione della monoposto fu affidata a Mauro Forghieri, ma quando il prototipo era ormai pronto il finanziatore sparì dalla circolazione. Nonostante gli ovvi problemi economici si decise di continuare autonomamente il progetto e la scuderia venne iscritta come Modena Team: all’esperto Larini venne affiancato Van De Poele, che nei primi due Gp non superò le prequalifiche, mentre a Imola partì 21esimo e si trovò addirittura quarto a poche tornate dal temine, fermato da un guasto alla pompa della benzina che lo costrinse al nono posto. Fu l’unica occasione in cui il belga riuscì a qualificarsi, poi il team chiuse i battenti e Van De Poele tentò con poca fortuna di correre nel 1992 con Brabham e Fondmetal (solo 4 apparizioni in gara) ottenendo poi grandi successi in altre categorie, vincendo tra l’altro cinque volte la 24 Ore di Spa.

Siparietto messicano tra Zermiani e De Cesaris

Con la debuttante Jordan De Cesaris trovò nuovi stimoli grazie all’ottimo rapporto con Eddie Jordan e ad una vettura competitiva con cui disputò una delle migliori stagioni in carriera. Nel 1991, dopo un quarto posto a Montreal il romano concesse il bis in Messico, dove fu protagonista di uno storico aneddoto: rimasto senza benzina a 150 metri dal traguardo (essendo l’ultimo a pieni giri sarebbe comunque stato classificato quarto) scese dalla vettura per spingerla a piedi; a quel punto venne affiancato dal mitico Zermiani che tentò di intervistarlo. il pilota romano rispose allora nel proprio dialetto: “Ma invece de dimme tutte ‘ste fregnacce perchè nun te metti a spinge?”

Il primo Stop&Go della storia

Da alcuni anni la F1 é ridotta ad una sorta di gara di regolaritá, con linee di demarcazione, divieti e penalizzazioni continue che, unite ad un regolamento tecnico discutibile e a meccanismi artificiali come il drs, hanno compromesso la competizione in gara. Un tempo, fortunatamente, non era cosí: si pensi che fino agli anni novanta le sanzioni erano quasi inesistenti e il primo stop&go della storia fu inflitto solo nel 1991 a Pierluigi Martini, colpevole secondo la direzione gara di aver ostacolato Stefano Modena in fase di doppiaggio, forse messo in difficoltá dal circuito stretto e tortuoso del principato.

Si chiude la storia dell’Ags

Confermato per il terzo anno consecutivo, Tarquini arrivò ottavo a Phoenix, mentre con due ritiri a Interlagos e Montecarlo segnò le ultime presenze in griglia per la Ags, team finanziariamente stremato e in pista con la vettura dell’anno precedente. Dopo il Gp del principato le vetture francesi (guidate anche da Johansson, Barbazza e Grouillard) non riuscirono più a qualificarsi e una volta verificato che nemmeno la nuova JH27 migliorò la situazione, in mancanza di fondi la Ags sparì definitivamente dalla F1.

La Porsche al rientro in F1

Il ritorno ai propulsori aspirati aveva portato nuovi motoristi in F1 e dal 1991 tentò di rientrare anche la Porsche, che negli anni ’80 era stata protagonista nell’era del turbo. La Footwork Arrows scelsce il V12 tedesco, che tecnicamente era un doppio V6 ridotto, troppo complesso e ingombrante, al punto che il team dovette ritardare il debutto della nuova vettura per adattarla al motore, che tra l’altro pesava 50Kg in più rispetto ad altri concorrenti, con l’aggravante di 40 cavalli in meno. Nonostante l’impiego di ottimi piloti come gli esperti Alboreto e Johansson, oltre al promettente Caffi, i risultati furono disastrosi e la Arrows a metà stagione optò per il tradizionale Cosworth; la Porsche nel frattempo progettò un V10 più convenzionale, ma i vertici di Stoccarda bloccarono il progetto riutilizzandolo poi per le competizioni Endurance.

Ultimo vano tentativo per la Coloni

Dopo numerose affermazioni nelle categorie minori, Chaves ebbe l’occasione di disputare un campionato in Formula 1 con la Coloni (team ormai in grande difficoltà, le cui vetture non entravano in griglia da ormai due anni). La vettura C4 si rivelò poco competitiva e Chaves non riuscì mai a superare le prequalifiche, piazzandosi spesso ultimo; l’ultima apparizione fu all’Estoril dove fece segnare un tempo distante quasi sei secondi dall’ultimo piazzamento utile per accedere al turno successivo. Deluso dalla situazione e in disaccordo economico con il team, lascio il posto dedicandosi alle ruote coperte e vincendo diverse competizioni nazionali. Il volante del portoghese venna affidato a Naoki Hattori, che a Suzuka siglò il proprio miglior crono in 2.00.035, ovvero a circa 20 secondi dal penultimo tempo del turno e anche se in Australia il miglioramento fu netto non ci fu niente da fare e la scuderia italiana terminò dunque la stagione senza aver mai superato le prequalifiche; abbandonata la Formula 1 dopo aver venduto tutto all’Andrea Moda, Coloni optò per altre categorie, nelle quali si misura tutt’ora.

Verso un nuovo anno zero

Il mondiale 1991 consegnò l’ultimo titolo ad Ayrton Senna, poi la Williams divenne un’armata invincibile che permise a Mansell e Prost di chiudere in bellezza una lunga carriera; l’asso brasiliano fece di tutto per giungere alla corte di Sir Frank, ma una volta arrivato a destinazione nulla andò come sperato. Il nostro viaggio sta per giungere ai momenti che sconvolsero e cambiarono per sempre la Formula 1, ma per questo ci rivediamo alla prossima puntata.

Mister Brown

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989