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LA STORIA DEL DRAKE PARTE 8- ANNI DURI: DAL 1957 AL 1961

Dino Ferrari è appena deceduto, il cuore di Enzo è spezzato e il Drake medita l’addio alle corse ma, fortunatamente, questo non avverrà mai.

Siamo nel 1957, anno che rappresenterà l’ennesimo travaglio per Ferrari. Oltre i tormenti del Drake, ci sarà l’addio alle corse di Pietro Taruffi, chiamato da tutti “la volpe argentata”, nomea dovuta ai suoi capelli bianchi.

Pietro fu pilota Ferrari durante i mondiali di Formula 1 del 1951, 1952, 1954 e 1955, e raggiunse il terzo posto nel mondiale, suo migliore piazzamento di sempre, nel 1952.

“Altra volpe argentata – come lo chiamava la folla per i capelli grigi degli ultimi anni e per il temperamento – era l’ingegner Pietro Taruffi, che debuttò proprio con un’Alfa della Scuderia Ferrari nel 1931 al circuito di Bolsena. Debuttò e vinse.”(Enzo Ferrari)

Sarà proprio Pietro Taruffi a vincere, per la Ferrari, l’ultima edizione della Mille Miglia del 1957.

Pietro ha già corso per tredici volte la Mille Miglia ma senza mai vincerla, ha 51 anni e prima della corsa fece una promessa alla moglie: quella sarebbe stata l’ultima corsa della sua vita se riuscirà a trionfare. Enzo è al corrente di questa promessa e decise di aiutare Pietro in questa impresa.

E’ il 12 maggio, giorno della competizione, Taruffi è in seconda posizione, arriva al rifornimento fisicamente distrutto, ad attenderlo c’è Ferrari che cerca di rincuorarlo e gli annuncia che Peter Collins, avanti a lui, ha problemi tecnici, mentre dietro di lui Wolfgang Von Trips di certo non proverà l’attacco poichè sarà avvertito da Ferrari di non farlo. Peter e Wolfgang erano suoi compagni di squadra.

Ferrari a quel punto abbandona e torna a Modena, Collins si ritira e Von Trips, da perfetto uomo di squadra, accompagnò Taruffi al traguardo che vincendo, mantenne la parola alla moglie.

Purtroppo questa grande gioia per la squadra di Maranello è macchiata da un doloroso incidente, accaduto proprio nelle battute finali.

Poco vicino Mantova, la ruota della Ferrari 335 S di Alfonso De Portago scoppia, la vettura va fuori strada e nell’incidente moriranno sia il pilota che il suo copilota. Purtroppo non solo i piloti saranno vittime dell’incidente ma anche nove spettatori, quattro dei quali erano solo dei bambini. Un vera tragedia. Gli organizzatori decideranno di cancellare la corsa al fine di non ripetere più questi infausti avvenimenti.

Ovviamente dalla tragedia di Guidizzolo, comune del mantovano dove avvenne l’incidente, derivarono polemiche davvero molto aspre e dure nei confronti di Enzo Ferrari che verrà additato come responsabile dell’accaduto.

Enzo sarà, successivamente, chiamato dalla magistratura che lo processerà per omicidio colposo: secondo l’accusa la colpa era quella di aver dotato la vettura incriminata di pneumatici non adatti alle prestazioni della stessa.

Dopo quattro anni, caratterizzati da aspre battaglie giudiziarie,  Ferrari viene assolto. A seguito di molte e scrupolose perizie trovarono che lo scoppio del pneumatico è da imputare ad uno degli “occhi di gatto” installati a bordo strada. Decisione fu che verranno vietati su tutto il territorio nazionale.

Il 1957 era iniziato sotto una cattiva stella per la Ferrari, anzi era cominciato con molta afflizione, visto il quinto posto ottenuto dal Cavallino Rampante nel Gran Premio di Argentina, il 13 gennaio, mentre per la Maserati sarà un dominio assoluto.

Lo squadrone rosso per quell’annata poteva disporre di pezzi da novanta del motosport mondiale. Piloti del calibro di Luigi Musso, Peter Collins, Wolfang Von Trips, Alfonso De Portago, Mike Hawthorn ed Eugenio Castellotti avevano abbracciato il progetto della casa modenese.

La Ferrari comunque non è una squadra che non lotta, anzi continua a combattere con tutte le sue forze per risollevare la china.

Subito dopo il Gran Premio di Argentina la Scuderia Ferrari si rifa nella 1000 km di Buenos Aires dove Musso, Castellotti e Gregory vincono con la 290 MM.

Di lì a poco , però, ci sarà l’ennesima tragedia per il Drake: la morte, durante un collaudo sul circuito di Modena, di Castellotti.

Ma chi era Eugenio Castellotti?

Eugenio Castellotti era definito dal Drake un giovane signore di campagna. Proveniente da Lodi, arrivò nel mondo delle competizioni pagando tutto di tasca propria.

“Non si può dire che sia stato un pilota di classe eccelsa e di stile perfetto, ma si deve dire che è stato un giovane dal cuore enormemente grande, un atleta di straordinaria generosità”(Enzo Ferrari)

Di Eugenio si ricorda molto probabilmente la prova superba della Mille Miglia del 1956, ottenuta sotto una pioggia torrenziale. E’ proprio in questa cornice plumbea che Eugenio da prova di tutto il suo coraggio.

Enzo lo ricorda anche come un grande improvvisatore.

Ricordo che nel Giro di Sicilia del 1957 Eugenio era in testa, a quattro quinti di gara, con oltre 7 minuti di vantaggio. Appiedato per un banale incidente a Fiumefreddo, nascose la vettura spingendola in una strada laterale, lasciò passare il suo inseguitore, Taruffi su Maserati, e riuscì a segnalare al compagno Collins la situazione creatasi. Così Collins recuperò il ritardo di 8 minuti e vinse con 53 secondi di distacco il suo Giro di Sicilia” (Enzo Ferrari)

Un ragazzo davvero generoso, che certamente avrebbe voluto la vittoria per sé ma che si prodigò tantissimo alla causa della squadra. Forse è anche per questo che Enzo lo amò tantissimo non tanto per il suo talento e per la sua velocità quanto per il suo forte spirito di gruppo. Ma ci lasciò davvero prematuramente.

Arriviamo al mese di marzo del 1957, precisamente al 14, quando Eugenio venne chiamato da Enzo per eseguire delle prove sulla pista di Modena. Castellotti doveva anche battere il record del circuito che apparteneva a Jean Behra. Ma una semplice prova si trasformò in un disastro. Mentre il pilota stava per affrontare una curva nelle vicinanze del rettilineo delle Tribunette, perse totalmente il controllo della vettura e si andò a schiantare a circa 200 km all’ora. Per Eugenio non ci fu niente da fare, morì sul colpo.

Furono configurate varie ipotesi riguardo l’incidente, tra le quali compaiono anche le condizioni psicofisiche del pilota. Si dice che Eugenio fosse molto stanco visto che poco prima del test si trovava a Firenze per seguire la fidanzata Delia Scala, attrice, che stava partecipando ad una piece teatrale. Si indagò anche sul panorama tecnico in cui versava la macchina, si ipotizzava infatti un repentino cedimento dell’albero della trasmissione della monoposto. I funerali si tennero il 16 marzo dove si ebbe una sentita partecipazione di tutti i suoi colleghi.

Purtroppo non solo il 1957 fu un anno avaro di gioie ma ricco di patimenti per la Ferrari ma anche il 1958 continuò sulla falsa riga dell’anno precedente. Avevamo salutato Castellotti, De Portago e il suo copilota e alcuni civili e il mondo dell’automobilismo ancora non sapeva che sarebbero morto, il 6 luglio, un altro personaggio davvero caro al Drake, il pilota Luigi Musso, scomparso in un incidente a Reims.

Luigi Musso, nato a Roma, il 28 luglio 1924, da una famiglia benestante, si appassionò sin da giovane alle macchine e cominciò a gareggiare solo verso gli anni ’50 ma si mostrò subito molto forte e deciso, tanto che nel 1953 si laureò campione italiano di sport prototipo nella categoria per motori a 2 litri.

Fece il suo ingresso in Formula 1 sempre nel 1953 guidando una Maserati nel Gran Premio di Italia. Continuò il suo cammino in Maserati fino al 1955 per poi fare il passaggio in Ferrari. E sarà proprio il Cavallino Rampante a regalare a Musso la sua prima vittoria, in occasione del Gran Premio di Argentina.

L’anno successivo Luigi, ottenendo il terzo posto nella classifica piloti, raggiunse il suo miglior risultato in carriera. Nel 1958 decise di rimanere legato ancora alla Rossa, con la quale guadagnò due secondi posti nelle prime due gare della stagione, addirittura grazie a questi due piazzamenti Luigi prese il vertice della classifica.

Purtroppo la carriera di Luigi si arrestò durante il Gran Premio di Francia, complice un incidente alla curva Gueux, chiamata anche Curva del Calvaire. Era il decimo giro, Musso inseguiva Hawthorn ma purtroppo terminò la sua corsa nel fossato presente all’esterno della curva, la vettura si capovolse. Inutili furono i soccorsi e il trasporto in ospedale Musso versava in condizioni davvero disperate e critiche. Morì qualche ora più tardi a causa di ferite molto gravi riportare alla testa.

“Luigi Musso è stato l’ultimo pilota italiano di classe internazionale, direi l’ultimo esempio di una scuola di guidatori di stile perfetto, che prese l’avvio da Nazzaro e da Varzi. Aveva cominciato anche lui con vetture Sport acquistate con i suoi soldi, e lo chiamavano Luigino, poi fu il Luigi campione d’Italia professionista sportivo. E restò un signore. Scomparve nel 1958 a Reims. Su quell’incidente con Mike Hawthorn, pochissimo si è scritto e abbastanza si è detto, ma i più non conosceranno mai compiutamente la verità o le verità. Resta un fatto: quando l’ansia della vittoria pervade un pilota generoso, è facile che egli affronti rischi non calcolabili, soprattutto quando l’antagonista diretto è animato dalla medesima ostinata volontà di successo.”(Enzo Ferrari)

A vincere la gara fu il compagno di squadra Mike Hawthorn che, grazie a questa unica vittoria, conquistò il titolo mondiale. Ma l’incidente di Musso lasciò profonde cicatrici nel cuore di Mike che decise comunque di ritirarsi.

Sei settimane dopo l’annuncio del suo ritiro Mike morì per un incidente accaduto, nei pressi del Guildford Bypass, con la sua macchina da turismo, una Jaguar Mk1 3.4 . Furono pochi i testimoni oculari dell’evento, uno dei quali fu Rob Walker, proprietario di una scuderia privata di Formula 1, che affermò che Hawthorn avesse bevuto un po’ troppo. Finendo contro un albero, terminò la sua vita.

Che destino per Luigi e Mike. Morti lo stesso anno, per la stessa causa in due occasioni diverse, uno durante una corsa e l’altro in circostanze davvero stupide. Chissà forse era destino per entrambi finire i loro giorni così, guidando, facendo ciò che a loro piaceva di più.

Hawthorn primo pilota inglese a vincere un mondiale, fu vittorioso non solo il Formula 1 ma bensì anche nella famosa edizione della Le Mans del 1955, gara che spesso viene ricordata per l’infausto incidente dove persero la vita ben 83 persone e il pilota di Pierre Levegh.

Viene ricordato anche per la vittoria del Gran Premio di Francia del 1953, durante il quale fu capace di tenere testa alla leggenda del momento, Juan Manuel Fangio.

“Hawthorn è stato un pilota sconcertante per le sue possibilità e per la sua discontinuità. Un giovane capace di affrontare e risolvere qualunque situazione con un coraggio freddo e calcolato, con una prontezza eccezionale, ma incline anche a cadere vittima di paurosi cedimenti. Tutto sommato, era comunque un pilota che nelle giornate in cui era in vena non temeva rivali e seppe dimostrarlo in numerosi occasioni”(Enzo Ferrari)

Lo stesso anno il mondo delle corse perse anche Peter Collins al Nurburgring, precisamente il 3 agosto.

Peter Collins, nato a Kidderminster, il 6 novembre 1931, vinse in tutto tre gran premi. Fece il suo debutto in Formula 1 con la HW Motors e arrivò in Ferrari nel 1956.

Peter è un bel ragazzo e come lo descrive Enzo Ferrari  non tanto alto, robusto e con la faccia schietta.

La particolarità di Peter non era solo il suo talento nel correre ma anche la profonda competenza meccanica, derivata da un contesto famigliare molto particolare dedito alle costruzioni meccaniche e di grandi imprese di trasporti.

“Peter era l’uomo che montava su una macchina e al primo giro di percorso sapeva individuare l’esatto regime di coppia massima del motore, il regime massimo al quale conveniva sfruttarlo e cambiare le marce per ottenere il miglior rendimento, e così via. Era un pilota, in una parola, che assimilava la macchina.”(Enzo Ferrari)

Collins verrà ricordato anche per un gesto di estrema generosità fatto nei confronti di Juan Manuel Fangio, infatti il pilota inglese decise di concedere la sua vettura all’avversario diretto per la vittoria del mondiale.

L’evento avvenne al Gran Premio di Italia a Monza, del 1956, quando il capitano della Lancia-Ferrari Juan Manuel Fangio decise di ritirarsi a causa di un problema meccanico. Rinunciando a correre, Fangio avrebbe consegnato la leadership al rivale della Maserati Stirling Moss. Collins, che in quel periodo era il compagno di squadra di Fangio, optò per cedere la vettura al suo caposquadra, il quale non solo ottenne il secondo posto in gara ma anche il titolo mondiale, il quarto per l’esattezza. Ovviamente la pratica era concessa dal regolamento sportivo.

“Non ho mai pensato che un giovane di venticinque anni come me, possa assumersi una responsabilità tanto grande. Io ho molto tempo davanti a me: Fangio deve restare ancora per quest’anno campione del mondo perchè lo merita, e io sarò sempre pronto a dargli la macchina ogni volta che questo potrà agevolarlo”(Peter Collins) 

Ma il tempo e il destino con lui furono avari e crudeli, infatti perì due anni dopo senza mai aver vinto il titolo mondiale. L’ appuntamento con il fato avvenne sul circuito del Nürburgring: la sua vettura, una Ferrari 246 F1, purtroppo uscì di strada alla curva Pflanzgarten e finendo in un fosso si cappottò più volte. Morì durante il tragitto verso l’ospedale di Bonn per le fratture che aveva riportato al cranio.

L’ennesimo lutto importante, in casa Ferrari, avvenne nel 1961 nell’Autodromo di Monza il 10 settembre, precisamente alla Parabolica. Protagonisti dell’incidente furono Wolfgang Von Trips e Jim Clark.

“Un giovane di grande nobiltà d’animo”(Enzo Ferrari)

Wolfgang Alexander Albert Eduard Maximilian Reichsgraf Berghe von Trips, nato a Colonia il 4 maggio del 1928, ha all’attivo due vittorie in Formula 1.

Nonostante soffrisse di una forma di diabete, Wolfgang riuscì comunque ad intraprendere la carriera da pilota.

“Amava tutti gli sport, ma in particolare l’automobilismo ed era un signore nella guida come lo era nella vita. Pilota velocissimo, era capace di qualsiasi ardimento senza che quel sorriso costantemente atteggiato a una leggera mestizia abbandonasse il suo volto fine e nobile.”(Enzo Ferrari)

In Formula 1 venne soprannominato Taffy, e fu ingaggiato dalla Ferrari nel 1957 e proprio durante l’anno della sua dipartita vincerà le sue prime due e ultime gare, esattamente in Olanda e in Gran Bretagna.

Ma dietro l’angolo, anche per lui, si nasconde la maschera della morte con la sua grande falce, pronta a prenderlo con sé.

Il trapasso avvenne appena nelle prime tornate del Gran Premio quando il pilota tedesco entrò in collisione con Jim Clark alla Parabolica. La Ferrari di Wolfgang, uscendo di pista, si schiantò contro le protezioni, dietro le quali c’erano un gruppetto numeroso di spettatori. Oltre a Von Trips perirono 15 persone.

L’incidente ebbe molti contraccolpi anche all’interno della squadra. Infatti si dimisero 8 fra dirigenti e tecnici fra i quali Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini. Insomma proprio una rivoluzione. Ferrari a questo punto decise di nominare come direttore tecnico un giovanissimo Mauro Forghieri.

Laura Luthien Piras

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 7-ENZO FERRARI E JUAN MANUEL FANGIO

E’ il 1956, Alberto Ascari era appena morto, il Drake aveva perso il suo caro amato Dino e alla Ferrari era approdato il campione dei campioni: Juan Manuel Fangio.

E’ decisamente un periodo particolare per Enzo, forse il periodo più tragico che sta vivendo dalla nascita, aveva già perso la madre, il fratello e il padre, gli ultimi due in circostanze molto critiche e dure, ma un figlio che se ne va ti lascia un vuoto dentro, che molto probabilmente non riesci a colmare, nonostante una vita ricca di eventi e di emozioni.

Ferrari è talmente tanto avvolto dal dolore che medita anche di ritirarsi ma, fortunatamente per noi, non lo farà mai.

Tornando alle corse, chi era Juan Manuel Fangio?

Juan Manuel Fangio, nato a Balcarce, in Argentina e di origine abruzzesi, il 24 giugno 1911, può essere considerato a tutti gli effetti come il più grande campione che la Formula 1 ha avuto nel suo passato più remoto.

Fangio iniziò la sua carriera come meccanico, preparando le vetture che poi partecipavano alle “Carreteras”, vere e proprie maratone stradali. Queste competizioni mettevano a dura prova il fisico dei piloti, erano gare molto ostiche che potevano forgiare davvero al meglio l’animo dei campioni. Anche Fangio vi partecipò e, proprio in occasione di queste prove, mosse i suoi primi passi nel mondo del motosport.

Nonostante la morte di un suo amico e copilota, Daniel Urritia, Fangio, come un martello pneumatico macinò km e km e cominciò ad accumulare vittorie su vittorie, le prime consacrazioni europee avvennero nel 1949, fra le quali spicca la vittoria sul circuito di Monza.

Fu proprio nel 1949 sul circuito di Modena che Fangio e Ferrari incrociarono le proprie strade.

 

“Lo osservai per un paio di giri, finii per tenergli gli occhi addosso. Aveva uno stile insolito: era forse l’unico a uscire dalle curve senza sbarbare le balle di paglia all’esterno. Questo argentino, mi dissi, è bravo sul serio: esce sparato e resta nel bel mezzo della pista. Più tardi venne da me in scuderia. Era accompagnato da un funzionario dell’Automobile Club argentino e la conversazione fu abbastanza lunga: non proprio con lui, per la verità, giacché non disse più di dieci parole. A un certo punto, infatti, cominciai a guardarlo incuriosito: era un timido, un mediocre, un furbo? Non capii. Sfuggiva il mio sguardo, rispondeva a monosillabi con una strana voce d’alluminio e lasciava subito che gli altri interloquissero per lui, mentre un constante, indefinibile sorrisetto strabico gli rendeva il volto impenetrabile” (Enzo Ferrari su Fangio)

Fu un incontro di poche parole e molti sguardi, di certo un inizio non all’insegna della sintonia e dell’empatia fra i due ma come vedremo Enzo e Juan Manuel, a loro modo, vivranno insieme un amore sportivo unico, anche se molto travagliato.

Enzo aveva capito che il pilota argentino era un asso e che avrebbe fatto cose meravigliose, sicuramente non sapeva decifrarne il carattere ma sapeva tradurre in pensieri lucidissimi quello che aveva visto in pista di quel corridore.

Ferrari aveva ipotizzato, anche, che il campione argentino sarebbe stato il primo pilota a vincere il titolo mondiale di Formula 1, nel 1950, ma si sbagliò, di pochi anni e la sua previsione non coincise con l’esatta realizzazione dei fatti in pista.

Del personaggio Enzo capì poco, ma del pilota, come detto poc’anzi il Drake carpì la vera essenza: Fangio aveva una visione della gara superiore rispetto ai suoi competitori, possedeva inoltre una sicurezza invidiabile e a, differenza di molti, era un pilota molto equilibrato.

Nel giugno del 1949 Fangio partecipò con una Ferrari al Gran Premio di Monza. Il pilota argentino impose da subito la sua andatura e stava provando ad accumulare un discreto vantaggio dai suoi rivali, veramente agguerriti. Fangio si stava scontrando con piloti del calibro di Ascari, Villoresi, Bonetti e Cortesi.

Verso la fine della corsa improvvisamente rallentò la sua andatura, il gap che aveva, con tanta maestria, posto fra lui e il resto del gruppo stava, man mano, diminuendo. Il suo meccanico di pista Amedeo Bignami prese una ruota con la mazzuola di piombo e gli fece segno di fermarsi ai box.

Ferrari fu testimone oculare della competizione, in quanto ancora viveva con profondo spirito attivo la pista e si sa, al Drake nulla sfuggiva.

Non sfuggì il segno di Bignami e allo stesso tempo si accorse anche dell’atteggiamento di Fangio in macchina, infatti l’argentino avevo lo sguardo fisso sul cruscotto. A quanto pare la temperatura dell’olio si era impennata e il pilota era visibilmente preoccupato di un possibile crollo dell’affidabilità .

A quel punto Ferrari fece segno all’ingegnere di rimettersi al proprio posto e di aspettare gli sviluppi della gara. Forse il Drake aveva avuto una visione profetica o un’ottima intuizione, fatto sta che Fangio riprese il ritmo e vinse.

Fu solo nel 1956 che Juan Manuel approdò in Ferrari, nella squadra ufficiale. Non arrivò da neofita, ma da triplice campione del mondo.

Il primo titolo mondiale Fangio lo vinse nel 1951 ottenendo tre vittorie in Svizzera, Francia e Spagna e arrivando secondo due volte a Silverstone e al Nurburgring.

Il secondo invece arrivò nel 1954 , dopo due anni davvero molto duri.

Nel 1952 l’Alfa Romeo decise di abbandonare la Formula 1 e di Fangio si ricorda soprattutto il bruttissimo incidente avvenuto sul circuito monzese.

Si narra che Fangio si trovava a Belfast per una gara e non raggiunse la coincidenza per arrivare sul circuito di Monza in tempo. Voleva assolutamente partecipare a quella gara e si mise in viaggio, guidando tutta la notte da Parigi.  Arrivò per il rotto della cuffia e credo profondamente stanco. Fangio partì dal fondo e cercando di tentarle tutte per rimontare, non fece altro che perdere il controllo della sua Maserati precisamente alla prima curva di Lesmo. Il pilota sbalzò fuori dall’abitacolo e si ritrovò su un cumulo di terra.

La vita di Fangio ebbe una battuta d’arresto, infatti il pilota argentino, fortunatamente, uscì da questo avvenimento solo con una frattura alla vertebra cervicale e molti ematomi su tutto il corpo. Traumi che costrinsero Fangio ad una pausa dal mondo delle corse. Ci vollero parecchi mesi per il pilota per recuperare la forma perduta.

L’anno dopo, il 1953, avvenne la firma del contratto con la Maserati. L’inizio del mondiale non fu dei più facili.  Alla guida della A6GCM, nelle prime gare Fangio collezionò tre ritiri di fila. Qualche buon piazzamento invece arrivò in occasione della Mille Miglia e della Targa Florio dove conquistò l’ennesimo podio.

La svolta si realizzò in terra francese dove Fangio cominciò ad ingranare la marcia ottenendo un secondo posto,  gradino del podio che occupò anche in Inghilterra e Germania. Dopo un anno dal suo terribile incidente Juan Manuel ebbe anche il riscatto a Monza vincendo il Gran Premio di Italia. Alla fine dell’anno arrivò in classifica secondo alle spalle di Alberto Ascari.

Per la stagione del 1954  Fangio decise di appoggiare il progetto della Mercedes, lo squadrone tedesco in realtà non era ancora  pronta per prendere parte alle competizioni. Il pilota sudamericano riuscì, grazie ad una clausola, a correre con la Maserati con cui vinse in Argentina e in Belgio.

La Mercedes, finalmente pronta ad affrontare il mondiale, fece  il tanto sospirato debutto con la W196 nel terzo gran premio dell’anno e Fangio  riuscì ad iniziare questa nuova avventura con un team diverso. Nuova macchina ma vecchio risultato. Fangio dominò il mondiale e raggiunse un altro volta il tetto più alto del mondo. 

Nel 1955 replicò i risultati dell’anno precedente, il suo rivale fu Alberto Ascari che per quell’anno era al volante della Lancia, squadra che si rivelò avversario ufficiale del team tedesco. Ascari però morì e Fangio si ritrovò da solo sulla rotta del terzo titolo mondiale. 

Lo stesso anno arrivò secondo alla Mille Miglia, vinse al Nurburgring e si salvò per miracolo dal disastro di Le Mans dove persero la vita 84 persone.

Juan Manuel quindi arrivò in Ferrari nel 1956. Disputando quindici gare, vincendone 6, arrivando quattro volte secondo, due volte quarto e collezionando tre ritiri il pilota argentino ottenne il suo quarto titolo mondiale. 

Ma fu un anno complicato, tinto anche da sfumature gialle noir.

Fu, secondo Juan Manuel, un’annata ricca di presunti tradimenti, boicottaggi ed inganni, tutto attuato solo per metterlo in cattiva luce.

“L’autore di tante perfide manovre? Enzo Ferrari: cioè proprio chi lo aveva ingaggiato”(Enzo Ferrari)

Furono molte le lamentele di Fangio durante tutto lo svolgimento del mondiale, inoltre con il suo compagno di squadra non si era mai instaurato un rapporto davvero idilliaco, anzi con Peter Collins mai erano nate una profonda simbiosi ed un’intensa alchimia.

Gli episodi di scontri fra Fangio e la Ferrari furono molti. Vi riporto, direttamente dalle parole del Drake, il racconto di una vicenda molto particolare e singolare.

“Alla Mille Miglia Fangio arriva quarto. Con i lettori del suo libro (Fangio scrisse un libro) si giustifica così: ho fatto la corsa con l’abitacolo della Ferrari mezzo allagato per gli spruzzi di pioggia che entravano attraverso due speciali fori praticati per il raffreddamento dei freni. E insinua: i tecnici della Ferrari avevano studiato apposta questi fori, non già per raffreddare i freni, ma per giocarmi un tiro malvagio. Ovvero: i tecnici della Ferrari avevano saputo che il giorno della gara sarebbe piovuto e avevano così predisposto la trappola, accuratamente studiando e provando, con pompe e getti d’acqua artificiali, l’esatto ingresso di acqua al posto di guida. Manca infine un particolare: quegli stessi diabolici fori non avevano impedito a Castellotti di trionfare!” (Enzo Ferrari)

Il secondo capitolo di questa non troppo elegante faida interna avvenne in Belgio. Fangio si ritira mentre dominava la gara. Ai box si scopre che il differenziale ha avuto un surriscaldamento eccessivo. Per Fangio causa di questo cedimento è l’ennesimo sabotaggio: non mi hanno messo l’olio.

Enzo Ferrari commentò così questa affermazione:

“C’è da aggiungere che gli avevamo inviato da Maranello una monoposto nuova tutta per lui. Ma lui, nel suo delirio di sospetti, non si era fidato e aveva preteso, dopo averla provata, quella vecchia di Collins. E Collins, sulla vettura destinata a Fangio e da lui rifiutata, vinse il Gran Premio” 

All’ennesima accusa, rivolta da Fangio alla Ferrari, durante il weekend di Reims, il pilota argentino decise di farsi visitare da un neurologo che trovò in Juan Manuel  una neurosi attiva dovuta probabilmente ad uno stato di ansia veramente acuto.

Per Enzo Ferrari quelle accuse venivano dalla convinzione nata nella mente del pilota argentino che il Cavallino Rampante avrebbe preferito far vincere il pilota inglese per una questione puramente economica, infatti il mercato del Regno Unito era più alla portata dell’azienda modenese invece quello argentino era chiuso alle importazioni.

Il rovescio della medaglia in realtà è vedere le cose da un’altra prospettiva. Secondo il punto di vista di Fangio, durante quell’annata, ci fu un piano segreto per rovinare la sua reputazione. Invece se si analizzano i fatti, lasciando da una parte le sue dietrologie, capiamo che invece la Ferrari lo ha aiutato più di quanto effettivamente ritenesse lui stesso.

In Argentina vince perchè Musso gli cede la sua vettura, a Monaco corre con la Ferrari di Collins e arriva secondo, la stessa dinamica si ripete a Monza e conquista il titolo. A dispetto della sua opinione, i due compagni di squadra si sono sacrificati per lui e per non infangare il nome della scuderia di Maranello.

Senza il sacrificio di Musso e di Collins, soprattutto di Collins, Fangiò non sarebbe mai riuscito ad ottenere la sua quarta stella nel firmamento della Formula 1. 

“Fangio è stato un grandissimo pilota afflitto da una curiosa mania di persecuzione. Non è infatti soltanto a mio riguardo che ha nutrito ogni sorta di sospetti: lui stesso racconta che in una corsa Villoresi derapò volontariamente per farsi investire dalla sua macchina, per favorire l’amico Ascari; un’altra volta accusa i meccanici dell’Alfa di non avergli fatto il pieno di carburante, apposta per far vincere Farina: altre volte ancora giustifica i suoi insuccessi con il non aver ottenuto un’Alfa conveniente” (Enzo Ferrari)

A fine 1956 il faticoso, enigmatico e complicato matrimonio fra il campione argentino e la Ferrari si interruppe. 

L’anno dopo si legò di nuovo alla Maserati dove vinse il suo quinto e ultimo titolo mondiale. Nel 1958 a 47 anni Fangio  decise di ritirarsi per rivolgere le sue forze alle attività imprenditoriali.

 

“Uno strano personaggio. D’ altra parte tutto ciò non mi fa ombra nel giudizio sull’uomo in macchina, sull’uomo in corsa. Credo infatti che difficilmente potremo riavere un asso capace di tanta continuità nel successo. Fangio non ha mai sposato nessuna casa: conscio delle sue capacità, ha rincorso tutte le possibilità di pilotare sempre la vettura migliore del momento, e ci è riuscito, anteponendo il suo egoismo – legittimo e naturale – all’affetto che ha legato invece altri grandi piloti alla vita di una marca, nella buona e nella cattiva sorte. Però ha sempre lottato non solo per il primo posto, ma anche per le classifiche di coda, pur di portare la macchina al traguardo” ( Enzo Ferrari)

I rapporti fra Enzo e Fangio non furono mai tinti di nuances rosacee ma sicuramente maturarono in un legame più equilibrato con il tempo.

Enzo racconta che Fangio non tagliò i ponti con il Cavallino Rampante ma nel 1968 addirittura tornò nell’orbita del Drake, non come pilota, ovviamente, ma come organizzatore della nuova Temporada argentina. Fangio si recò da Ferrari anche per fargli provare la Torino, una macchina costruita in terra argentina, chiamata così per onorare Pininfarina che ne aveva disegnato la linea.

Fu proprio da questo periodo che nacque un nuovo legame fra i due, forse un’amicizia disinteressata priva di rabbia, tensione e ansie.

“Dopo un’amichevole colazione, mi prese da parte: “Non sono più sposato” disse ” Ora le cose mi appaiono sotto un’altra luce, molto diversa da tanti anni fa” Anche questo è il coraggio di Fangio. Ed è un tratto di nobiltà che sono lieto di riconoscergli, oltre alla ritrovata amicizia”( Enzo Ferrari) 

Grand Prix i Kristianstad. NÅ nr. 33, 1955

 

Laura Luthien Piras

 

 

 

 

 

 

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 6-ALBERTO ASCARI E LE VITTORIE DEI PRIMI TITOLI MONDIALI

Nella sesta parte della bellissima storia del Drake torniamo ai motori, alla velocità e a quella meravigliosa adrenalina che i piloti provano durante le competizioni.

C’eravamo lasciati, sportivamente parlando, con la prima vittoria della Ferrari in un Gran Premio, precisamente il Gran Premio di Gran Bretagna vinto da José Froilán González.

Quella vittoria, così speciale per Enzo Ferrari, fu solo un preambolo di ciò che stava per succedere nel periodo successivo. La Ferrari si stava solo preparando a dar vita ad un momento incredibile della sua storia, ovvero i primi titoli mondiali ottenuti nel 1952 e nel 1953 da Alberto Ascari. 

Ma chi è Alberto Ascari?

 

Credo che per conoscere bene la vita del Drake bisogna concentrarsi anche sull’analizzare le vicende delle persone che, durante la sua vita, lo hanno circondato. Non solo la conoscenza del nucleo famigliare di Enzo Ferrari è determinante nella nostra narrazione, ma è importante saperne di più sui piloti e sui tecnici che hanno accompagnato Ferrari durante il suo percorso in questa terra.

Alberto Ascari può essere considerato una delle persone più importanti nella storia del Cavallino Rampante, inoltre è, attualmente, l’unico pilota italiano ad aver raggiunto la massima consacrazione mondiale in Formula 1.

Ascari fu un pilota fortissimo dal talento cristallino, e, considerando il numero basso di gran premi che allora si effettuavano all’epoca, vinse parecchio. In cinque stagioni ottenne 13 vittorie e salì sul podio la bellezza di 17 volte.

Un numero incredibile per i piloti dell’epoca.

Come pilota era davvero completo e aveva uno stile di guida molto pulito e preciso, Alberto non strapazzava la sua vettura, anzi la trattava con dolcezza, prevenendo spesso molte noie meccaniche.

In gara era solito imprimere subito un ritmo decisamente elevato alla competizione e, nei primi giri cercava di accumulare un discreto vantaggio da amministrare nella seconda parte di gara, per questa caratteristica era temuto da molti, soprattutto da Juan Manuel Fangio. 

Alberto era un uomo davvero singolare, con una volontà di ferro, sapeva decisamente ciò che doveva fare, risultava a tutti molto pignolo e preciso ed era uno dei pochi che curava la forma fisica. Aveva capito, prima di altri, quanto un fisico forte potesse rappresentare un valore aggiunto alla gestione sia di una singola gara che di un intero campionato del mondo.

Amava moltissimo la famiglia ma secondo Ferrari non era un padre come tutti, anzi aveva un mondo molto particolare per gestire il rapporto con la prole.

“Una volta gli chiesi la ragione per cui si dimostrava tanto severo con i suoi figlioli, ben sapendo quanto li amasse. Mi rispose: “Ogni volta che rientro da una corsa, porto tutto quello che penso possa farli contenti, in genere cerco di soddisfarli in tutti i loro desideri, i loro bisogni, anche i loro capricci; ma quanto a me, preferisco trattarli con durezza: non voglio che mi amino troppo. Un giorno o l’altro potrei andarmene. Soffriranno di meno, se non me li sarò lasciati venire troppo vicini” (Dialogo fra Enzo Ferrari e Alberto Ascari)

Ascari era anche superstizioso, detestava i numeri 13 e 17 e se, putacaso un gatto nero attraversava la strada erano dolori, prima si fermava e aspettava che qualcuno lo sopravanzasse.

Era talmente tanto ubbioso che, in gara, usava sempre il suo casco e il suo abbigliamento a cui provvedeva personalmente in modo anche maniacale.

Ascari, nato a Milano il 13 luglio del 1918,  ha imparato ad amare le corse già da piccolissimo. Il padre Antonio era uno dei più forti corridori del tempo e per il piccolo Alberto non era solo un padre ma soprattutto un eroe da emulare.

Antonio però morì molto presto, il 26 luglio 1925, durante il Gran premio di Francia a Monthlèry. Per Alberto la morte del padre coincise con una rivoluzione della sua vita, di lì a poco, infatti, venne mandato in collegio.

Alla tenera età di 11 anni cominciò il suo amore per le moto tanto che cominciò la carriera nel mondo delle due ruote. Questo percorso, caratterizzato da molte vittorie, fra cui il Gran Premio del Lario, durò sino al 1940.

Nel 1940 avvenne il passaggio nel mondo delle quattro ruote. Alberto Ascari esordì, in coppia con Giovanni Minozzi, alla Mille Miglia su un tracciato modificato in virtù della guerra, a bordo di una Auto Avio Costruzioni 815 fornita da Enzo Ferrari.

Il 10 giugno dello stesso anno avvenne la sua partecipazione anche alla Targa Florio.

Ma, ahimè, venne la guerra che fermò tutto, anche la carriera di Ascari si interruppe bruscamente e il pilota milanese fu costretto a riparare veicoli militare insieme a Villoresi, altro pilota degno di nota dell’epoca. I due si conobbero in una circostanza davvero particolare: Villoresi decise di mettere in vendita la sua Maserati 2300 nel cui motore Ascari trovo vari difetti.

Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, fu Villoresi a procacciare ad Alberto un contratto con la Maserati mentre l’anno successivo Piero Taruffi, pilota sia automobilistico che motociclistico e progettista italiano, persuase Piero Dusio a consegnare una delle sue vetture della Cisitalia ad Ascari, che arrivò secondo al Gran Premio d’Egitto.

La collaborazione con Villoresi non si fermò e insieme comprarono una Maserati con cui parteciparono a varie gare. Vedendo la bravura del pilota milanese la Casa del Tridente concluse che Ascari doveva guidare una vettura ufficiale. Alberto a bordo di una Maserati ufficiale partecipò ad una gara istituita sul circuito di Modena. Alberto vinse ma questo momento di gloria fu rovinata dalla morte di Giovanni Bracco, che, a causa di un bruttissimo incidente, piombò sulla folla.

Ascari ebbe una piccola parentesi in Alfa Romeo ma il richiamo della Ferrari era sempre più forte e, dopo un brutto incidente, avvenuto in Brasile, insieme a Villoresi, nel 1949 approdò proprio nella Ferrari, gestita proprio da quell’uomo che 9 anni prima gli aveva affidato una macchina da corsa.

L’avventura di Ascari cominciò al volante di una 166 F2 con la quale vinse molte gare, ma quella più speciale fu la vittoria ottenuta a Monza, stesso circuito dove trionfò il padre Antonio, 25 anni prima.

L’anno successivo per il pilota italiano giunsero 10 vittorie tra le quali Nurburgring e Silverstone, ebbe purtroppo poca fortuna nella  Mille Miglia. In F1 ottenne un secondo posto a Monaco e Monza in una stagione dominata dall’Alfa Romeo.

 

Il 1951 si rivela un anno più proficuo per la Ferrari in Formula 1, la 375 di Ascari riuscì in diverse occasione ad impensierire l’Alfa Romeo riuscendo a vincere al Nurburgring e poi in Italia, davanti al proprio pubblico.

Ascari ebbe una grandissima delusione in Inghilterra dove si ritirò, mentre il compagno di squadra Froilan Gonzalez agguantava la prima vittoria alla Ferrari.

La Ferrari è oramai vicina all’Alfa Romeo, talmente tanto che nell’ultima parte del mondiale sembra decisamente più in forma della squadra milanese.

Nel 1952 l’Alfa si ritira dalle competizioni e i regolamenti subiscono delle variazioni, fra le quali c’è una novità importantissima, ovvero quella di  far partecipare alla F1 anche le monoposto di F2, fra le quali spicca la Ferrari 500 F2.

E’ il 7 settembre 1952, il giorno tanto atteso per Enzo Ferrari, il giorno in cui Alberto Ascari fu incoronato campione del Mondo sul circuito di Monza. Fu proprio Alberto a portare il primo titolo iridato a Maranello.

Un pilota italiano e una macchina italiana improvvisamente si trovavano in cima al mondo, cima raggiunta dopo un dominio incontrastato: cinque pole position, sei giri veloci e sei vittorie per il pilota milanese , tutto ottenuto in 8 gare. Davvero un’avanzata invincibile la corazzata italiana nel 1952.

Oltre il campionato del mondo la squadra di Modena vince anche alla Mille Miglia, l’unico neo di quella stagione da sogno è la disfatta della Ferrari e di Ascari alla 500 Miglia di Indianapolis, dove il duo italiano non riesce a terminare la gara, causa ritiro per un problema ad una ruota.

Nel 1953 la Ferrari e Alberto Ascari si concedono il bis e si rivelano martellanti: 9 gare e la Ferrari ne vince 7, cinque delle quali ancora con Ascari che si conferma campione del mondo, sempre a bordo di una 500 F2.

Gli anni successivi vedono invece affermarsi la Mercedes che, con il pilota argentino Juan Manuel Fangio, si impone su tutta la concorrenza. La squadra tedesca deciderà di ritirarsi dopo la strage di Le Mans 1955, quando in una sua vettura volando sul pubblico ucciderà 80 persone.  La Ferrari vinse a Monaco, con Maurice Trintignant, dopo che le Mercedes si erano ritirate e Ascari finì nelle acque del porto.

Uscitone solo con una frattura del setto, non seguì i consigli dei medici di riposare e partecipò subito ad un test privato, a Monza, in cui la Ferrari stava provato la 3 litri Sport. Come afferma il Drake, Alberto aveva fretta di tornare a correre perchè dopo un incidente, bisogna subito rimettersi al volante per evitare di pensarci sopra e di crearsi un’inibizione. 

Aveva talmente tanta foga di correre di nuovo che entrò in pista oltretutto senza indossare il casco e al secondo giro trovò la morte. Per alcuni Alberto morì perchè aveva avuto un malore, per altri invece morì perchè un manovale aveva attraversato la pista proprio nel momento in cui era presente il pilota italiano, effettivamente era l’ora di pausa e non erano previste attività.

Si racconta che il manovale avesse addirittura confessato tutto ad un sacerdote ma prove certe non sono stata mai trovate di questo confronto.

E’ cosa certa che la vettura non aveva segni di una frenata violenta, dopo un’attenta indagine, voluta anche e soprattutto da Ferrari, trovarono che la macchina era in condizione perfette, da quel punto di vista.

Il 26 maggio 1955 ci lasciò davvero un grande pilota che amava le corse talmente tanto da non poterne fare a meno. 

«Io obbedisco soltanto a una passione. Le corse. Senza non saprei vivere.»( Alberto Ascari)

 

Ma di Alberto il Drake cosa ne pensava? Ecco a voi un estratto preso dal libro Le mie gioie Terribili

Il pilota Alberto Ascari aveva uno stile preciso e deciso, ma era l’uomo che aveva bisogno di partire in testa. Ascari in testa era difficilmente superabile: oserei dire ch’era impossibile superarlo…relegato in seconda posizione o più indietro, non era il combattente che io avrei desiderato di vedere in certe occasioni. Non perché disarmasse, ma perché quando doveva inseguire e doveva superare l’antagonista evidentemente soffriva non di un complesso d’inferiorità ma di un nervosismo che non gli consentiva di esprimere la sua classe. Per Ascari valeva proprio l’opposto della norma: di solito infatti il pilota che si trova in prima posizione è preoccupato di mantenerla, si può distrarre nel controllare la situazione dietro a lui, studia il proprio passo, è spesso incerto se spingere o no; Alberto invece si sentiva sicuro proprio quando faceva la lepre; in quei momenti il suo stile diventava superbo, e la sua macchina imprendibile.

 

Laura Luthien Piras

 

F1 2020- SF1000 per tornare a sognare

BEN ARRIVATA SF1000
Strano il destino di noi ferraristi: il travaglio ci comincia esattamente da subito dopo il parto….
Eppure siamo qua come ad ogni inizio stagione speranzosi che LEI possa regalarci quelle emozioni che vorremmo provare tutte le domeniche di gara. Sarà in grado di riportare l’iride in pianura padana? Lo vedremo.

immagine tratta da F1 grandprix

Intanto è bella come tutte le rosse.. con buona pace di quelli che si mettono in bocca le parole del Vecchio. A me piace perché è rossa e perché è Ferrari, e piace anche a tutti quelli che fanno i fighi e non lo ammettono. Piace perché, alla fine della fiera, la Ferrari resta una fede nonostante tutto e tutti.

immagine tratta da motorsportclan

Sbirciando sui socials ho già visto commenti di gente delusa, gente che forse si aspettava chissà quale rivoluzione…e invece, come era lecito attendersi, la monoposto 2020 altro non è che un evoluzione della precedente migliorata nei difetti (speriamo) e affinata nei dettagli. Non avrebbe avuto senso stravolgere il progetto e ricominciare da zero con un’altra rivoluzione regolamentare alle porte.
Non troverete un’analisi tecnica, la lascio volentieri a quelli bravi, anche perché quello che abbiamo appena visto sarà abbastanza diverso di ciò che vedremo tra qualche giorno a Barcellona e, soprattutto, a Melbourne. Che vada forte o meno lo sapremo solo vivendo, con l’auspicio che non ci schizzi in testa il solito giudizio dopo la prima staccata, lo stesso giudizio che ci ha disilluso spesso e volentieri.
Cominciamo dal nome? SF1000, altro nome celebrativo e 1000 scongiuri per i più superstiziosi. E’ un nome più lungo da scrivere rispetto alla SF90, ma molto più veloce da pronunciare, esattamente come dovrà essere la monoposto.
Oggi possiamo commentare seriamente solo la livrea, con un rosso più intenso, più forte pur sempre opaco dello scorso anno. Bella la grafica “retrò” dei numeri di gara anche se è un peccato non aver potuto ripescare proprio in quest’occasione quel “27” attualmente parcheggiato per Hulk.
Vederla fa salire la temperatura, fa alzare la pressione sanguigna, come ogni anno, seppur somiglia in maniera disarmante alla sua sorella di un anno più vecchia. Eppure gli affinamenti al retrotreno e a tanti dettagli sono visibili dopo l’iniziale delusione.
L’umore dei tifosi rossi oggi è comunque alto come ad ogni presentazione, perché il tifoso rosso ci crede sempre anche di fronte all’evidenza… perché il Rosso emiliano è una passione che non puoi contenere.

immagine tratta da F1 in generale

Sulla SF1000 ci saliranno Sebastiano all’ultimo anno rosso e quel Carletto che tanto ci ha fatto gioire nel 2019. Il primo è chiamato a ritrovare se stesso fin da subito se non vuol vedere la sua carriera finire nell’oblio. Il secondo invece ha tutta la fame per spararsi dritto dritto nell’olimpo dei campioni vergini rossi dopo il primo anno da apprendista prima guida.
Noi che abbiamo la Rossa nel cuore speriamo che non finisca a schegge di carbonio che volano e team order al primo stint di mondiale: che i calendari restino chiusi nei cassetti per favore. Anche il leader Maximo Mattia Binotto avrà un anno in più di esperienza, necessaria nella messa a punto di tutti quei processi interni che nel 2019 non hanno funzionato a dovere e che troppe volte hanno influito sul risultato delle gare. Oggi non è tempo di troppe parole perchè sarebbero inutili…LASCIAMOLI LAVORARE!
Quanto all’Upwash, all’Outwash, all’accorciamento del passo e alla maggior rastremazione delle pance e dei cofani lascio la parola a chi è più qualificato di noi a parlarne.. Noi siamo dei semplici tifosi in cerca di gioia…
Un grazie immenso a tutti coloro che hanno lavorato nell’ombra per arrivare a questo giorno di presentazione, con l’auspicio che sia stata presa la direzione giusta per tornare sul tetto del Mondo laddove un posto per Ferrari deve sempre esserci.
#ForzaFerrari #essereFerrari

Immagine in evidenza tratta da tuttosport

Salvatore Valerioti
Icemankr7 @Mat14_05