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LA STORIA DEL DRAKE PARTE 12 – FERRARI E FIAT

1969 Anno veramente intenso per la storia dell’umanità: l’uomo sbarca sulla Luna, il 15 agosto comincia a Woodstock una tre giorni di musica rock, cultura hippie ed eccessi, il 29 ottobre, alle 22:30, lo studente Charley Kline effettuò il primo collegamento remoto tra due computer, in funzione rispettivamente presso l’università della California e lo Stanford Research. Il mondo è completamente in fermento.

Per la nostra nazione invece il 1969 sarà un anno durissimo, anno della Strage di Piazza Fontana, anno in cui comincia ufficialmente  l’era degli anni di piombo.

Per quanto riguarda la Formula 1 il 1969 sarà l’anno di nascita di un certo Michael Schumacher. Esattamente il 3 gennaio nascerà a Hürth, in Germania, uno dei piloti più grandi di questo sport (ma questa è un’altra storia).

E la Ferrari?

Avevamo lasciato il racconto della storia del Drake nella mitica cornice del circuito di Daytona. La Ferrari aveva conquistato una bellissima vittoria e lasciava presagire che sarebbe stata allo stesso livello in altri ambiti sportivi.

Purtroppo come ben sappiamo il mondiale a Maranello tornerà solo nel 1975 con il grande Niki Lauda.

L’ultimo titolo mondiale piloti vinto, quello del 1964, vinto da John Surtees lasciava ben sperare ma una crisi tecnica e, ancora prima, finanziaria stava vessando il Cavallino Rampante.

Da questo limbo Il Cavallino Rampante doveva uscire e anche in fretta. Ferrari ha appena rifiutato di collaborare con la Ford e la situazione sembra catastrofica ma c’è, fortunatamente, la soluzione a portata di mano. Il bandolo della matassa può essere sciolto semplicemente giocando in casa.

A spartirsi il bottino dei titoli costruttori saranno: Lotus (1965, 1968, 1970, 1972 e 1973), Brabham (1966, 1967), Matra ( 1969), Tyrell (1971) e McLaren (1974).

 

Era il 18 giugno 1969, una di quelle date che deve rimanere impressa nel cuore e nella testa di ogni ferrarista che si rispetti a questo mondo.

Sono passati cinquantadue anni da quella fatidica data. Il Drake si trovata a Torino, precisamente in Corso Marconi e non era solo, infatti, al suo fianco c’era il fedele amico Franco Gozzi. E proprio insieme a Franco che Enzo salì sino all’ottavo piano della Sede della Fiat.

Di lì a poco si sarebbe tenuto il colloquio con il presidente dell’azienda torinese Gianni Agnelli, all’anagrafe Giovanni Agnelli. Gianni era stato nominato presidente della Fiat il 30 settembre del 1966, non era da molto al timone dell’impresa ma subito mostrò di avere le idee abbastanza chiare.

L’incontro fra i due fu molto proficuo e fu spontanea la nascita dello storico accordo. In base a tale nuova alleanza la Fiat era a tutti gli effetti azionista al 50% dell’intera Ferrari. Ma come facilmente intuibile alla famiglia Ferrari rimaneva una completa e totale indipendenza sulla Gestione Sportiva.

Enzo voleva proprio quello, rimanere autonomo nelle scelte sportive assicurando alla sua azienda comunque un futuro in questo momento di crisi.

La Formula 1, inoltre a livello tecnico, stava diventando uno sport sempre più competitivo e a Maranello serviva stabilità e concretezza, serviva davvero una base sicura su cui appoggiare qualsiasi strategia di sviluppo.

Da una parte la garanzia di fondi per avere un sostegno per migliorare le vetture in questo periodo così complicato, dall’altra la libertà decisionale. Enzo voleva proprio questo per la Ferrari e anche per se stesso. Ferrari finalmente aveva trovato una persona che rispettava la sua figura di costruttore e di appassionato del mondo delle corse.

Dall’altra parte Gianni era una persona altamente lungimirante e sapeva che sicuramente quell’accordo nel futuro gli avrebbe fruttato qualcosa di buono.

Sei anni prima Enzo si era scontrato con la Ford e li aveva bellamente cacciati dalla sua sfera di azione. In questo caso invece Fiat e Ferrari suggellarono alla perfezione i due intenti ed entrarono in simbiosi.

 

Facendo un passo indietro. Ma chi era Franco Gozzi?

 

Franco fu il braccio destro di Enzo.

Direttore sportivo, addetto stampa, direttore della comunicazione, confidente del Drake, insomma un factotum.

Nato a Modena, il 29 novembre 1932, Gozzi, laureato in giurisprudenza, divenne un testimone oculare di parte della storia del Cavallino e del mondo delle corse in generale. Passò la sua vita a stretto contatto con Enzo Ferrari ed è vissuto in un’era storica satolla di personaggi e stelle del firmamento del motosport. Da Ascari a Schumacher, passando per Gilles Villeneuve e Lorenzo Bandini.

Franco entrò nell’ambiente di Maranello alla fine degli anni 50 per aiutare Enzo, impegnato nella scrittura della tesi honoris causa che ricevette nel 1960.

Franco fu ufficialmente assunto il 20 agosto dello stesso anno ed ebbe inizialmente il ruolo di assistente di Gerolamo Gardini,  direttore commerciale.

L’anno successivo, dopo la morte di Von Trips, Gozzi fu nominato responsabile dell’ufficio stampa, ruolo mantenuto con grande senso di serietà a cui successivamente ha associato altre mansioni. Infatti Franco fu anche Direttore Sportivo nel 1968 e per metà del 1970 e con il passare del tempo il suo rapporto con il Drake divenne sempre più stretto.

Personaggio rispettoso, fedele, simpatico era una botte sicura per Enzo Ferrari  talmente tanto che dalla sua bocca non uscì nemmeno un segreto, nemmeno dopo la morte del Drake nel 1988.

Ecco cosa pensava Franco Gozzi di Enzo Ferrari:

(Articolo: “Enzo Ferrari. La vita, il mito, le manie, le curiosità” Di Franco Gozzi, Autosprint n 32/33 del 5 agosto 2008)

“Ferrari era un organizzatore impareggiabile. Il suo capolavoro di conduzione organizzata sono i 10 anni della Scuderia Ferrari negli anni Trenta, durante i quali fece funzionare l’ingranaggio in modo che la Casa madre, l’Alfa Romeo, lo trattasse con favore, i clienti-soci della Scuderia pagassero la macchina con la quale gareggiavano e si assumessero un po’ di spese, e per coprire tutto il resto inventò gli sponsor! Altrettanto talento di organizzatore e amministratore lo sfoderò quando diventò imprenditore, realizzando finalmente il sogno di costruire macchine col suo nome. A questo punto perfezionò le strategie collaudate negli anni della Scuderia e diventò, come lui schiettamente si definiva, un “agitatore di uomini”. Che vuol dire “agitare” gli uomini? Significava mettere a frutto il patrimonio psicologico maturato in lui dopo tante esperienze da pilota, direttore sportivo, uomo d’officina, dirigente, affarista, e se si mette insieme tutto questo ne risulta, per forza di cose un abile, machiavellico gigante in una folla di nani. Ragionava e agiva a un livello superiore, puntava dritto ai suoi disegni rimuovendo, anche spietatamente, qualsiasi contrarietà potesse costituire un ostacolo.”

Gozzi era a tutti gli effetti un eletto alla corte di Ferrari, presente quasi sempre ai pranzi che il Drake organizzava al sabato e passò tutta la sua vita a Modena.

Franco amava talmente tanto il Cavallino Rampante che rimase, anche dopo la sua pensione, attivo all’interno in qualità di assistente e consulente per Montezemolo.

Una vita dedicata per Ferrari e per la Ferrari. Una vita davvero unica. Enzo non poteva scegliere persona migliore con cui condividere questa tappa fondamentale della storia dell’impresa modenese.

Gozzi morì il 23 aprile del 2013.

 

“Ci ha lasciato una figura fondamentale nella storia della Ferrari” – ha detto il Presidente Luca di Montezemolo dopo la sua morte – “Di lui ricordo soprattutto le tante ore trascorse insieme a parlare di piloti ed automobili e gli sono grato per essermi stato vicino quando ero un giovane direttore sportivo della Scuderia. Difficile condensare in una sola parola cosa sia stato Franco per l’azienda: direttore sportivo, addetto stampa, direttore della comunicazione, soprattutto uno dei più stretti collaboratori e confidenti di Enzo Ferrari. Quanto sia stato parte attiva, e non soltanto un suo testimone, della vita della casa di Maranello lo si comprende guardando l’album delle fotografie storiche in cui spesso, lungo un arco di trent’anni, compare accanto al Fondatore: ne era il portavoce o, talvolta, il latore dei suoi silenzi. Chi lo ha conosciuto da vicino e ha condiviso con lui momenti salienti e vita quotidiana dell’azienda ne ricorda l’umanità e l’ironia, chi lo ha incontrato nell’ultima fase del suo capitolo di vita a Maranello ne rammenta la grande capacità di trasmettere attraverso aneddoti in apparenza marginali quei valori che hanno reso la Ferrari un mito in tutto il mondo”

Ecco come lo ricorda Piero Ferrari, figlio del Drake: “Ho passato con Franco tanti anni insieme. Dal 1965, anno in cui entrai a lavorare in azienda, fino a quando lui non ne è uscito. Un periodo lungo quasi una vita, che mi ha permesso di conoscerlo ed apprezzarlo in profondità, sotto ogni punto di vista, umano e professionale. La sua dote più grande era quella di riuscire a non arrabbiarsi mai: aveva sempre la battuta pronta, anche dopo qualche proverbiale strigliata di mio padre”.

Dopo questa piccola digressione ma dovuta su un personaggio così importante per la storia del Drake ritorniamo all’accordo stipulato fra lui e Gianni Agnelli.

Cosa propose la Fiat? Gianni offrì alla controparte lo studio di un nuovo propulsore sportivo, il futuro 6 cilindri Dino, motore che doveva essere utilizzato per i nuovi modelli di Fiat Dino, spider e coupè.

Grazie a questa intesa sarebbe nata anche la Dino che venne realizzata a Maranello. Inoltre Enzo aveva assolutamente la necessità di omologare le vetture di F2 (Dino  166) e, per raggiungere tale scopo, si dovevano costruire 500 vetture di serie motorizzate con il propulsore che aveva ideato Dino stesso.

Enzo e Gianni comunque già si conoscevano, e il rapporto, sebbene non profondo, era stato creato almeno 20 anni prima.  Durante tutto questo tempo si erano incontrati almeno quattro volte. A questi incontri si associa un breve ritrovo per il ritiro di un prototipo dotato di carrozzeria Pininfarina.

C’era stima reciproca fra i due e l’accordo avvenne dopo un parto molto semplice, fu quasi naturale per i due trovare un punto d’accordo. La collaborazione ebbe inizio.

Agnelli oltretutto apprezzava già tantissimo le Ferrari, talmente tanto che ne divenne cliente. La prima che comprò fu la 166 MM Touring Superleggera del 48, successivamente la collezione dell’avvocato torinese divenne più numerosa, fra gli esemplari da lui comprati sono annoverate anche la Testarossa Spider e una 365 P.

 

Ferrari 166 MM Touring Barchetta 1948

(1948 Ferrari 166 MM Touring Barchetta)

Ferrari aveva provato già nel 1937 a chiudere un contratto con la Fiat il cui presidente era allora il professor Valletta ma l’accordo sfumò: l’intento per Ferrari era quello di creare un reparto corse italiano forte per contrastare il dominio tedesco.

Ma questa è storia del passato.

Il tanto sospirato accordo fu raggiunto e iniziò così un sodalizio importantissimo fra due realtà che possono essere definite come le colonne portanti dell’automobilismo italiano.

A Maranello – scrisse Ferrari – io ho dato il nome di una fabbrica di automobili. La Fiat ha realizzato una vera fabbrica di automobili”.

 

Laura Luthien Piras

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 7-ENZO FERRARI E JUAN MANUEL FANGIO

E’ il 1956, Alberto Ascari era appena morto, il Drake aveva perso il suo caro amato Dino e alla Ferrari era approdato il campione dei campioni: Juan Manuel Fangio.

E’ decisamente un periodo particolare per Enzo, forse il periodo più tragico che sta vivendo dalla nascita, aveva già perso la madre, il fratello e il padre, gli ultimi due in circostanze molto critiche e dure, ma un figlio che se ne va ti lascia un vuoto dentro, che molto probabilmente non riesci a colmare, nonostante una vita ricca di eventi e di emozioni.

Ferrari è talmente tanto avvolto dal dolore che medita anche di ritirarsi ma, fortunatamente per noi, non lo farà mai.

Tornando alle corse, chi era Juan Manuel Fangio?

Juan Manuel Fangio, nato a Balcarce, in Argentina e di origine abruzzesi, il 24 giugno 1911, può essere considerato a tutti gli effetti come il più grande campione che la Formula 1 ha avuto nel suo passato più remoto.

Fangio iniziò la sua carriera come meccanico, preparando le vetture che poi partecipavano alle “Carreteras”, vere e proprie maratone stradali. Queste competizioni mettevano a dura prova il fisico dei piloti, erano gare molto ostiche che potevano forgiare davvero al meglio l’animo dei campioni. Anche Fangio vi partecipò e, proprio in occasione di queste prove, mosse i suoi primi passi nel mondo del motosport.

Nonostante la morte di un suo amico e copilota, Daniel Urritia, Fangio, come un martello pneumatico macinò km e km e cominciò ad accumulare vittorie su vittorie, le prime consacrazioni europee avvennero nel 1949, fra le quali spicca la vittoria sul circuito di Monza.

Fu proprio nel 1949 sul circuito di Modena che Fangio e Ferrari incrociarono le proprie strade.

 

“Lo osservai per un paio di giri, finii per tenergli gli occhi addosso. Aveva uno stile insolito: era forse l’unico a uscire dalle curve senza sbarbare le balle di paglia all’esterno. Questo argentino, mi dissi, è bravo sul serio: esce sparato e resta nel bel mezzo della pista. Più tardi venne da me in scuderia. Era accompagnato da un funzionario dell’Automobile Club argentino e la conversazione fu abbastanza lunga: non proprio con lui, per la verità, giacché non disse più di dieci parole. A un certo punto, infatti, cominciai a guardarlo incuriosito: era un timido, un mediocre, un furbo? Non capii. Sfuggiva il mio sguardo, rispondeva a monosillabi con una strana voce d’alluminio e lasciava subito che gli altri interloquissero per lui, mentre un constante, indefinibile sorrisetto strabico gli rendeva il volto impenetrabile” (Enzo Ferrari su Fangio)

Fu un incontro di poche parole e molti sguardi, di certo un inizio non all’insegna della sintonia e dell’empatia fra i due ma come vedremo Enzo e Juan Manuel, a loro modo, vivranno insieme un amore sportivo unico, anche se molto travagliato.

Enzo aveva capito che il pilota argentino era un asso e che avrebbe fatto cose meravigliose, sicuramente non sapeva decifrarne il carattere ma sapeva tradurre in pensieri lucidissimi quello che aveva visto in pista di quel corridore.

Ferrari aveva ipotizzato, anche, che il campione argentino sarebbe stato il primo pilota a vincere il titolo mondiale di Formula 1, nel 1950, ma si sbagliò, di pochi anni e la sua previsione non coincise con l’esatta realizzazione dei fatti in pista.

Del personaggio Enzo capì poco, ma del pilota, come detto poc’anzi il Drake carpì la vera essenza: Fangio aveva una visione della gara superiore rispetto ai suoi competitori, possedeva inoltre una sicurezza invidiabile e a, differenza di molti, era un pilota molto equilibrato.

Nel giugno del 1949 Fangio partecipò con una Ferrari al Gran Premio di Monza. Il pilota argentino impose da subito la sua andatura e stava provando ad accumulare un discreto vantaggio dai suoi rivali, veramente agguerriti. Fangio si stava scontrando con piloti del calibro di Ascari, Villoresi, Bonetti e Cortesi.

Verso la fine della corsa improvvisamente rallentò la sua andatura, il gap che aveva, con tanta maestria, posto fra lui e il resto del gruppo stava, man mano, diminuendo. Il suo meccanico di pista Amedeo Bignami prese una ruota con la mazzuola di piombo e gli fece segno di fermarsi ai box.

Ferrari fu testimone oculare della competizione, in quanto ancora viveva con profondo spirito attivo la pista e si sa, al Drake nulla sfuggiva.

Non sfuggì il segno di Bignami e allo stesso tempo si accorse anche dell’atteggiamento di Fangio in macchina, infatti l’argentino avevo lo sguardo fisso sul cruscotto. A quanto pare la temperatura dell’olio si era impennata e il pilota era visibilmente preoccupato di un possibile crollo dell’affidabilità .

A quel punto Ferrari fece segno all’ingegnere di rimettersi al proprio posto e di aspettare gli sviluppi della gara. Forse il Drake aveva avuto una visione profetica o un’ottima intuizione, fatto sta che Fangio riprese il ritmo e vinse.

Fu solo nel 1956 che Juan Manuel approdò in Ferrari, nella squadra ufficiale. Non arrivò da neofita, ma da triplice campione del mondo.

Il primo titolo mondiale Fangio lo vinse nel 1951 ottenendo tre vittorie in Svizzera, Francia e Spagna e arrivando secondo due volte a Silverstone e al Nurburgring.

Il secondo invece arrivò nel 1954 , dopo due anni davvero molto duri.

Nel 1952 l’Alfa Romeo decise di abbandonare la Formula 1 e di Fangio si ricorda soprattutto il bruttissimo incidente avvenuto sul circuito monzese.

Si narra che Fangio si trovava a Belfast per una gara e non raggiunse la coincidenza per arrivare sul circuito di Monza in tempo. Voleva assolutamente partecipare a quella gara e si mise in viaggio, guidando tutta la notte da Parigi.  Arrivò per il rotto della cuffia e credo profondamente stanco. Fangio partì dal fondo e cercando di tentarle tutte per rimontare, non fece altro che perdere il controllo della sua Maserati precisamente alla prima curva di Lesmo. Il pilota sbalzò fuori dall’abitacolo e si ritrovò su un cumulo di terra.

La vita di Fangio ebbe una battuta d’arresto, infatti il pilota argentino, fortunatamente, uscì da questo avvenimento solo con una frattura alla vertebra cervicale e molti ematomi su tutto il corpo. Traumi che costrinsero Fangio ad una pausa dal mondo delle corse. Ci vollero parecchi mesi per il pilota per recuperare la forma perduta.

L’anno dopo, il 1953, avvenne la firma del contratto con la Maserati. L’inizio del mondiale non fu dei più facili.  Alla guida della A6GCM, nelle prime gare Fangio collezionò tre ritiri di fila. Qualche buon piazzamento invece arrivò in occasione della Mille Miglia e della Targa Florio dove conquistò l’ennesimo podio.

La svolta si realizzò in terra francese dove Fangio cominciò ad ingranare la marcia ottenendo un secondo posto,  gradino del podio che occupò anche in Inghilterra e Germania. Dopo un anno dal suo terribile incidente Juan Manuel ebbe anche il riscatto a Monza vincendo il Gran Premio di Italia. Alla fine dell’anno arrivò in classifica secondo alle spalle di Alberto Ascari.

Per la stagione del 1954  Fangio decise di appoggiare il progetto della Mercedes, lo squadrone tedesco in realtà non era ancora  pronta per prendere parte alle competizioni. Il pilota sudamericano riuscì, grazie ad una clausola, a correre con la Maserati con cui vinse in Argentina e in Belgio.

La Mercedes, finalmente pronta ad affrontare il mondiale, fece  il tanto sospirato debutto con la W196 nel terzo gran premio dell’anno e Fangio  riuscì ad iniziare questa nuova avventura con un team diverso. Nuova macchina ma vecchio risultato. Fangio dominò il mondiale e raggiunse un altro volta il tetto più alto del mondo. 

Nel 1955 replicò i risultati dell’anno precedente, il suo rivale fu Alberto Ascari che per quell’anno era al volante della Lancia, squadra che si rivelò avversario ufficiale del team tedesco. Ascari però morì e Fangio si ritrovò da solo sulla rotta del terzo titolo mondiale. 

Lo stesso anno arrivò secondo alla Mille Miglia, vinse al Nurburgring e si salvò per miracolo dal disastro di Le Mans dove persero la vita 84 persone.

Juan Manuel quindi arrivò in Ferrari nel 1956. Disputando quindici gare, vincendone 6, arrivando quattro volte secondo, due volte quarto e collezionando tre ritiri il pilota argentino ottenne il suo quarto titolo mondiale. 

Ma fu un anno complicato, tinto anche da sfumature gialle noir.

Fu, secondo Juan Manuel, un’annata ricca di presunti tradimenti, boicottaggi ed inganni, tutto attuato solo per metterlo in cattiva luce.

“L’autore di tante perfide manovre? Enzo Ferrari: cioè proprio chi lo aveva ingaggiato”(Enzo Ferrari)

Furono molte le lamentele di Fangio durante tutto lo svolgimento del mondiale, inoltre con il suo compagno di squadra non si era mai instaurato un rapporto davvero idilliaco, anzi con Peter Collins mai erano nate una profonda simbiosi ed un’intensa alchimia.

Gli episodi di scontri fra Fangio e la Ferrari furono molti. Vi riporto, direttamente dalle parole del Drake, il racconto di una vicenda molto particolare e singolare.

“Alla Mille Miglia Fangio arriva quarto. Con i lettori del suo libro (Fangio scrisse un libro) si giustifica così: ho fatto la corsa con l’abitacolo della Ferrari mezzo allagato per gli spruzzi di pioggia che entravano attraverso due speciali fori praticati per il raffreddamento dei freni. E insinua: i tecnici della Ferrari avevano studiato apposta questi fori, non già per raffreddare i freni, ma per giocarmi un tiro malvagio. Ovvero: i tecnici della Ferrari avevano saputo che il giorno della gara sarebbe piovuto e avevano così predisposto la trappola, accuratamente studiando e provando, con pompe e getti d’acqua artificiali, l’esatto ingresso di acqua al posto di guida. Manca infine un particolare: quegli stessi diabolici fori non avevano impedito a Castellotti di trionfare!” (Enzo Ferrari)

Il secondo capitolo di questa non troppo elegante faida interna avvenne in Belgio. Fangio si ritira mentre dominava la gara. Ai box si scopre che il differenziale ha avuto un surriscaldamento eccessivo. Per Fangio causa di questo cedimento è l’ennesimo sabotaggio: non mi hanno messo l’olio.

Enzo Ferrari commentò così questa affermazione:

“C’è da aggiungere che gli avevamo inviato da Maranello una monoposto nuova tutta per lui. Ma lui, nel suo delirio di sospetti, non si era fidato e aveva preteso, dopo averla provata, quella vecchia di Collins. E Collins, sulla vettura destinata a Fangio e da lui rifiutata, vinse il Gran Premio” 

All’ennesima accusa, rivolta da Fangio alla Ferrari, durante il weekend di Reims, il pilota argentino decise di farsi visitare da un neurologo che trovò in Juan Manuel  una neurosi attiva dovuta probabilmente ad uno stato di ansia veramente acuto.

Per Enzo Ferrari quelle accuse venivano dalla convinzione nata nella mente del pilota argentino che il Cavallino Rampante avrebbe preferito far vincere il pilota inglese per una questione puramente economica, infatti il mercato del Regno Unito era più alla portata dell’azienda modenese invece quello argentino era chiuso alle importazioni.

Il rovescio della medaglia in realtà è vedere le cose da un’altra prospettiva. Secondo il punto di vista di Fangio, durante quell’annata, ci fu un piano segreto per rovinare la sua reputazione. Invece se si analizzano i fatti, lasciando da una parte le sue dietrologie, capiamo che invece la Ferrari lo ha aiutato più di quanto effettivamente ritenesse lui stesso.

In Argentina vince perchè Musso gli cede la sua vettura, a Monaco corre con la Ferrari di Collins e arriva secondo, la stessa dinamica si ripete a Monza e conquista il titolo. A dispetto della sua opinione, i due compagni di squadra si sono sacrificati per lui e per non infangare il nome della scuderia di Maranello.

Senza il sacrificio di Musso e di Collins, soprattutto di Collins, Fangiò non sarebbe mai riuscito ad ottenere la sua quarta stella nel firmamento della Formula 1. 

“Fangio è stato un grandissimo pilota afflitto da una curiosa mania di persecuzione. Non è infatti soltanto a mio riguardo che ha nutrito ogni sorta di sospetti: lui stesso racconta che in una corsa Villoresi derapò volontariamente per farsi investire dalla sua macchina, per favorire l’amico Ascari; un’altra volta accusa i meccanici dell’Alfa di non avergli fatto il pieno di carburante, apposta per far vincere Farina: altre volte ancora giustifica i suoi insuccessi con il non aver ottenuto un’Alfa conveniente” (Enzo Ferrari)

A fine 1956 il faticoso, enigmatico e complicato matrimonio fra il campione argentino e la Ferrari si interruppe. 

L’anno dopo si legò di nuovo alla Maserati dove vinse il suo quinto e ultimo titolo mondiale. Nel 1958 a 47 anni Fangio  decise di ritirarsi per rivolgere le sue forze alle attività imprenditoriali.

 

“Uno strano personaggio. D’ altra parte tutto ciò non mi fa ombra nel giudizio sull’uomo in macchina, sull’uomo in corsa. Credo infatti che difficilmente potremo riavere un asso capace di tanta continuità nel successo. Fangio non ha mai sposato nessuna casa: conscio delle sue capacità, ha rincorso tutte le possibilità di pilotare sempre la vettura migliore del momento, e ci è riuscito, anteponendo il suo egoismo – legittimo e naturale – all’affetto che ha legato invece altri grandi piloti alla vita di una marca, nella buona e nella cattiva sorte. Però ha sempre lottato non solo per il primo posto, ma anche per le classifiche di coda, pur di portare la macchina al traguardo” ( Enzo Ferrari)

I rapporti fra Enzo e Fangio non furono mai tinti di nuances rosacee ma sicuramente maturarono in un legame più equilibrato con il tempo.

Enzo racconta che Fangio non tagliò i ponti con il Cavallino Rampante ma nel 1968 addirittura tornò nell’orbita del Drake, non come pilota, ovviamente, ma come organizzatore della nuova Temporada argentina. Fangio si recò da Ferrari anche per fargli provare la Torino, una macchina costruita in terra argentina, chiamata così per onorare Pininfarina che ne aveva disegnato la linea.

Fu proprio da questo periodo che nacque un nuovo legame fra i due, forse un’amicizia disinteressata priva di rabbia, tensione e ansie.

“Dopo un’amichevole colazione, mi prese da parte: “Non sono più sposato” disse ” Ora le cose mi appaiono sotto un’altra luce, molto diversa da tanti anni fa” Anche questo è il coraggio di Fangio. Ed è un tratto di nobiltà che sono lieto di riconoscergli, oltre alla ritrovata amicizia”( Enzo Ferrari) 

Grand Prix i Kristianstad. NÅ nr. 33, 1955

 

Laura Luthien Piras

 

 

 

 

 

 

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 5-PADRE E FIGLIO: ENZO E DINO FERRARI

Prima di tornare a parlare di Enzo Ferrari come un agitatore di uomini, imprenditore e genio italiano, credo che sia opportuno scavare più a fondo su quello che, per lui, è stato uno dei rapporti più importanti che ebbe durante la sua vita.

Essere padre per Enzo fu una missione, alcune volte anche un tormento e una sfida difficile da intraprendere ma credo che sia stato determinante per lui questo percorso per diventare quel personaggio che tutti noi amiamo.

In questa puntata vi narrerò di Enzo e di Dino Ferrari e di ciò che vissero insieme.

Alfredo Ferrari, detto Dino, nacque a Modena il 19 gennaio 1932 e fu il primo ed unico figlio di Enzo Ferrari e Laura Garello.

Dino sin dalla tenera età cominciò a dare segni di una certa sofferenza e i genitori scoprirono, con loro dispiacere, che il figlio era affetto da una malattia, chiamata Distrofia di Duchenne.

La Distrofia di Duchenne è la più frequente e conosciuta fra le distrofie muscolari infantili e di solito ha un decorso molto veloce e colpisce quasi esclusivamente il sesso maschile durante i primi anni di vita, l’incidenza stimata è 1 su 3500 maschi.

Se si è affetti da questa terribile malattia si hanno grossi problemi a camminare, a correre, a salire le scale, inoltre i muscoli tendono ad ingrossarsi, almeno nei primi stadi di questo terribile male, per poi invece ridursi di volume.

 

Ma nonostante ciò Dino è un ragazzo gioioso e pieno di vita, attivo e capace, talmente tanto che frequentò, con grande impegno, l’Istituto Corni di Modena, da cui uscivano veramente ottimi elementi, molti dei quali contribuirono anche alla crescita della Ferrari. L’istituto, giusto per mera curiosità, vi informo che è ancora aperto.

Dino riuscì a diplomarsi divenendo un perito industriale, successivamente ottenne un’ulteriore qualifica come ingegnere in Svizzera con una discussione su un progetto di un 4 cilindri 1500 cc, con due valvole di aspirazione e una di scarico. Da menzionare la sua frequentazione, di durata breve, solo un anno, della facoltà di economia e commercio all’Università di Bologna.

“Mio figlio era nato nelle corse e con le corse” (Enzo Ferrari)

Dino aveva ereditato dal Drake la stessa passione per questo sport, tanto che sembrava essere avvolto da questa brezza fatta di motori e di sfide. Pensate sapeva anche pilotare con grande maestria le macchine offerte lui dal padre: la prima fu una Topolino 500, poi venne la volta di una 1100 TV e infine arrivò una Ferrari 2 litri. Ma non guidava e basta fra le strade della sua città, Dino, non si accontentava delle viuzze che frequentava tutti i giorni, battendosi contro se stesso e volendo provare l’ebbrezza della velocità, andava in pista, nell’Autodromo di Modena.

Il padre lo guardava con ammirazione e anche con molta preoccupazione, non solo per quei semplici rischi che una guida spericolata poteva dare, ma anche per le ripercussioni fisiche che la velocità dava al suo fisico tanto debole e delicato.

Ma Dino era un ragazzo davvero sereno, positivo e solare. Sapeva in cuor suo che non poteva vivere per sempre e voleva assaporare ogni istante di vita. Dino era una persona davvero speciale, non pensava quasi mai alla sua croce ma era sempre disponibile verso il prossimo, tanto che quando il padre passava dei momenti difficili lui interveniva sempre con una parola giusta e la tempesta, sita nell’animo paterno, magicamente spariva:

“Papi, non te la prendere, sono cose che il tempo sistema”

Un giovane così appassionato, così saggio, così volenteroso di vivere e così equilibrato.

Un figlio che parla al padre del valore del tempo, proprio lui che di tempo non ne poteva avere abbastanza.

Dino collaborava con tutte le sue forze in fabbrica, era davvero dedito a tutto ciò e sapeva condividere bene la passione con il padre.

“Il mio parere, per ciò che concerne i nuovi motori, è il seguente: per quanto riguarda la formula vigente penserei che sia meglio rielaborare l’attuale motore, visto i buoni risultati che dà, specie dal lato ripresa e numero dei giri, e di dotarlo di zampe e di attacco frizione per poterlo montare sul nuovo telaio. Per la nuova formula di 1500 cc, trovo che il motore 8c sia la soluzione migliore perchè penso che il 4c, sia pure in misura minore data la cilindrata più ridotta, dia luogo ai ben noti inconvenienti. Reputo che sia importante programmare per il prossimo inverno prove con l’iniezione diretta, anche se molto lunghe, perchè penso che sia l’unica strada unitamente ai giri per superare i 100CV/litro”(lettera scritta da Dino Ferrari al padre nel 1955, Viserbella)

Oltre che essere un grandissimo appassionato Dino vedeva anche in prospettiva verso il futuro, quel futuro che lo vedrà poco protagonista nella vita reale ma fulcro interiore nel cuore del padre.

L’ultima opera a livello lavorativo Dino la elaborò durante il suo ultimo inverno, quando la distrofia lo relegava a letto nella sua camera, e fu proprio questo luogo ad essere teatro e palcoscenico di molte discussioni fra lui, il padre e Jano sull’impostazione di un motore di 1500 cc.

Le soluzioni che avevano davanti erano diverse: 4 cilindri, 6 cilindri in linea, 6 cilindri a V di 65 gradi e 8 cilindri. Scelsero il 6 cilindri a V  che verrà usato per le vetture di Formula 2 e, in un secondo momento, sulle vetture stradali che portano il suo nome.

“Ricordo con quanta insistenza, con quali argomenti e quale competente attenzione Dino esaminava e discuteva tutti i promemoria che gli portavo quotidianamente da Maranello” (Enzo Ferrari)

E’ così che nacque il famoso 156 e che vedrà la luce poco dopo la morte di Dino.

“Io mi ero illuso che le nostre cure potessero ridargli la salute. Mi ero convinto che quel figlio fosse come una mia macchina, uno dei miei motori, e così mi ero fatto una bella tabella delle calorie di tutti gli alimenti che doveva ingerire e che non avrebbero nociuto ai suoi reni, tenevo un aggiornatissimo diagramma quotidiano delle albumine, del peso specifico dell’urina, del tasso di azoto del sangue, della diuresi, che mi dava l’indice di andamento della malattia.” (Enzo Ferrari)

Nonostante tutte le premure, la precisione del padre e tutte le cure mediche Dino si spegneva sempre di più fino ad arrivare alla sera fatidica del 30 giugno 1956, in cui esalò, a soli 24 anni, il suo ultimo respiro.

Enzo quella sera non scrisse più i dati di suo figlio su quell’agenda ma mise nero su bianco questa frase: La partita è perduta”.

“Ho perduto mio figlio, e non ho trovato che lacrime” 

Dino, negli ultimi istanti di vita, non era aiutato e assistito solo dalla famiglia ma anche da un giovane amico, compagno delle elementari, che dopo gli studi, prendendo la strada dei voti religiosi, decise di diventare prete: Don Savino.

Don Savino fu davvero vicino ad Enzo in quel periodo tanto che il Drake ricominciò a pregare.

Padre Savino, una volta, subito dopo la morte di Dino, esortò Ferrari a meditare sulla memoria del figlio: “Suvvia, Ferrari, recitiamo una bella preghiera per il nostro Dino, che ci ha lasciato”

Ferrari, in quel frangente, rispose: “Caro Savino non saprei che preghiera recitare, perchè è dal tempo della prima comunione che purtroppo non ho più trovato modo per ricordare le preghiere che molti pronunciano tutti i giorni. L’unica che posso dire è questa: Dio fatemi diventare buono”

Enzo capì forse che doveva fare qualcosa per onorare la vita di Dino, voleva diventare più buono e aiutare gli altri e decise di interessarsi al lavoro di un gruppo di studiosi dell’Istituto Mario Negri di Milano, centro che si occupava della distrofia muscolare.

Non ha investito e aiutato questo istituto solo per ricerca farmacologica, ma ha voluto anche che si costruisse un fascicolo, a scopo puramente divulgativo, sulla profilassi genetica.

Enzo non si fermò solo a questo ma organizzò anche un convegno mondiale di studiosi a Maranello di cui ha anche elaborato gli atti ufficiali.

Inoltre ebbe contatti con Jerry Lewis, anche lui impegnato nella lotta alla distrofia e conobbe anche moltissimi medici stranieri dediti alla ricerca di questa malattia così devastante, addirittura strinse contatti con Stanley Appel, direttore del Neurosensory di Houston e grazie al confronto con questo luminare decise che doveva esserci un’uniformità degli indirizzi di ricerca e maturò inoltre la decisione di formare un comitato internazionale di scienziati che si coordinasse verso un’unica via scientifica.

Il Drake capì, prima di molte persone, quanto fosse importante la ricerca medica e lavorò molto anche sull’incrementare i fondi per questo settore, istituendo borse di studio per giovani medici, opportunamente selezionati dagli atenei universitari, e concorsi per gli istituti impegnati nella distrofia muscolare.

Nel 1981 poi Ferrari promosse la fondazione, presso l’Università di Milano, del Centro Dino Ferrari, specializzato nella cura e nella ricerca sulle distrofie muscolari.

“L’impegno che da anni sento nella battaglia contro la distrofia muscolare resterà,così, vivo indipendentemente dalla mia esistenza” (Enzo Ferrari)

Ecco cosa può lasciare un figlio ad un padre dopo la sua morte, una bella eredità, uno scopo diverso. Dino era una persona davvero serena, buona che non ha mai fatto pesare la sua condizione a nessuno, sapeva che doveva lasciare questa terra ma all’oblio ha preferito vivere nella luce, ha preferito lasciarci un segno di nobiltà d’animo davvero unici, una nobiltà da prendere come esempio.

“Lasciandomi la sua enorme eredità spirituale, questo giovane mi ha soprattutto mostrato come restiamo fanciulli a tutte le età, fino a quando non giunge un immane dolore, attraverso il quale, come d’improvviso, impariamo cosa siano la bontà, la rinuncia, la carità e il dovere. E il valore della vita per un giovane che la lascia” (Enzo Ferrari)

Nel 1970 a Dino venne dedicato l’Autodromo di Imola che cambierà nome alla morte del padre nel 1988 in Autodromo Enzo e Dino Ferrari.

 

Dino ha lasciato davvero tanto in questo mondo, la sua morte non è stata vana. Vi voglio lasciare con questo aneddoto raccontato da Enzo Ferrari che immortala uno degli ultimi momenti vissuti insieme al figlio e che mostra, nel finale, una riflessione bellissima del Drake:

 

“Ero salito con il mio ragazzo, ancora vitale, sul bastione di San Marino. Da lì si domina la scoscesa valle del Marecchia, Era pomeriggio e il sole incendiava di colori impensabili la tela azzurra del cielo. Avevo affrontato le rampe portando una piccola radio. Volevo ascoltare le notizie di una Le Mans che le mie macchine stavano per vincere. Dino mi aveva seguito e partecipava sorridente alla gioia di quel momento. Ma sentivo che lui, ragazzo, aveva perduto il mio passo nella salita; la fatica tentava di nasconderla nel volto, ma non era il suo tempo. Ecco, io mi trovavo di fonte a quei colori fantastici, a quello scenario orrido nella sua bellezza, la radio portava il momento di una grande gioia e presentivo che mio figlio mi sfuggiva. Che l’avrei perduto! Cambiarono i riflessi del sole sulle nuvole, il cielo si tinse di toni irreali, più accesi, violenti. Il tramonto che mi si presentava neanche un Van Gogh avrebbe potuto dipingerlo come io lo vedevo. Era la mia verità. La verità di una gioia che si fondeva con un immane dolore. E’ anche quella l’eredità che il mio Dino mi ha lasciato, proprio in quel momento. Di aver imparato il significato di alcune parole essenziali, un significato che non si trova in nessun vocabolario. Della verità di quei colori e del coraggio che, in quell’attimo, non ho avuto!Ricordo un colloquio che ebbi con il latinista Sorbelli; si parlava di suicidio. Coraggio o viltà? Io sostenni coraggio, perchè da un mondo conosciuto ci si tuffa nell’ignoto. Davanti al dirupo del Marecchia mi dissi che non avevo coraggio, altrimenti avrei abbraccio mio figlio e mi sarei buttato nel vuoto con lui. Avevo vinto una battaglia d’orgoglio, ma ne stavo perdendo una di estrema felicità, quella di padre. In quel momento capii perchè l’uomo ha escogitato un’altra parola per difendersi da questa realtà. La parola è sfortuna, ma in realtà esprime soltanto quello che non si è potuto fare o prevedere.(Enzo Ferrari)

 

Laura Luthien Piras

 

 

 

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 3-LA NASCITA DELLA FERRARI

Nella seconda puntata della storia di Enzo Ferrari avevamo lasciato la narrazione proprio sul più bello, ovvero la creazione della famosissima Scuderia Ferrari.

“La nascita della Scuderia, il 16 novembre del 1929, è una delle dimostrazioni più concrete delle principali caratteristiche di mio padre: il coraggio e la passione per il mondo delle corse. Nell’anno della prima grande crisi mondiale, lui ebbe il coraggio di dare vita a una squadra che facesse correre i piloti amatori nelle gare automobilistiche dell’epoca perché con loro condivideva il grande amore per il mondo delle competizioni. La sua volontà e il suo decisionismo si esplicano anche nel modo in cui decise e scrisse i punti salienti dello statuto perché lo fece su un tovagliolo in un ristorante insieme all’avvocato Enzo Levi”. 

(Piero Ferrari)

Il 16 novembre 1929, al cospetto del notaio modenese Alberto Della Fontana, venne fondata la Società Anonima Scuderia Ferrari, società sportiva il cui fine era quello di far gareggiare i propri piloti con vetture Alfa Romeo.

Riavvolgiamo un attimo le spire del tempo e torniamo, per un attimo, al momento in cui Enzo Ferrari lasciò il volante per riprendersi dall’esaurimento nervoso.

Enzo, nonostante il periodo non troppo felice che visse, continuò a lavorare e a collaborare con l’Alfa Romeo.

L’Alfa si ritrovò ad avere l’urgenza di dover sviluppare la P1, autovettura nata proprio per le competizioni, e il piano di evoluzione venne orientato, grazie ai suggerimenti di Enzo Ferrari, su Luigi Bazzi, uomo Fiat che diventerà anche uno dei  fedelissimi di Enzo presso la Scuderia del Cavallino. La P1 venne progettata da Giuseppe Merosi, progettista italiano che legò il suo nome interamente all’Alfa Romeo. Della P1 vennero costruiti tre esemplari e alla guida ci saranno i piloti Antonio Ascari con il numero 6, Giuseppe Campari con il numero 12 e Ugo Sivocci con il numero 17.

Per Enzo Antonio Ascari è sempre stato un personaggio audace e generoso in ogni senso.

“Lo considero il mio maestro perchè mi insegnò tante cose”

Mentre di Giuseppe Campari questa era la sua opinione:

“Amava l’automobilismo, il canto e le donne. Sono tre cose importanti ed era molto semplice, con buoni sentimenti anche se appariva rosso. Era dotato di una forza poderosa ed era un pilota di eccezionale bravura. tenace, pieno di ardimento”

L’Alfa Romeo si era posta l’obiettivo di partecipare, con la P1, al Gran Premio d’Italia del 1923, che doveva disputarsi nel famoso Autodromo di Monza. Ma ahimè, il circuito monzese fu teatro di una vera tragedia.

Durante le prove del Gran Premio, l’8 settembre, Sivocci morì uscendo di strada con la propria vettura alla curva del Vialone (oggi curva Ascari).

La P1 di Ugo, in quella circostanza, era sprovvista del quadrifoglio verde, simbolo che aveva debuttato proprio con Sivocci in occasione della Targa Florio dello stesso anno. Per tutti fu una coincidenza talmente simbolica che il numero di gara 17 non venne più conferito alle auto da corsa italiane.

Dopo la morte di Sivocci, l’Alfa Romeo decise di ritirarsi per quella stagione e venne abbandonata anche tutta l’evoluzione della P1.

Si avvertì dunque la necessità di cambiare direzione puntando tutto su un nome nuovo, quello di Vittorio Jano.

Vittorio Jano, di origine ungherese, nato a San Giorgio Canavese, vero nome Victor Janos, classe 1891, fu uno dei veri pochi amici di Ferrari e fu proprio Enzo a strapparlo alla Fiat.

Ferrari andò personalmente in Via San Massimo a Torino, salì al terzo piano, dove abitava Vittorio e si presentò alla moglie Rosina che aprì la porta. Enzo comunicò le sue intenzioni direttamente alla moglie ma queste furono brevemente declinate, tanto che lei rispose: “Dubito che mio marito voglia lasciare Torino”.

E invece, con grande sorpresa, Vittorio accettò con immenso entusiasmo l’offerta di Ferrari a trasferirsi con tutta la famiglia a Milano.

Ferrari, in una bellissima intervista ad Enzo Biagi, parlò così di Vittorio:

“Come vi siete conosciuti e che cosa avete combinato insieme? (Enzo Biagi)

In un modo molto semplice. Quando andai a Torino a casa sua a convincerlo a passare all’Alfa Romeo era molto giovane, ma aveva già la reputazione di grande tecnico. Bussai e venne ad aprirmi la moglie, mi chiese che cosa volevo. Dissi: ” Convincere suo marito a lasciare la Fiat e a venire con me” Lei mi rispose che era troppo legato alla sua terra e che non sarebbe mai andato via. Jano arrivò proprio in quel momento, parlammo, lo convinsi. Lo avevo sentito tanto elogiare, ma i suoi meriti erano anche superiori ai consensi. Abbiamo vissuto tanti anni in comune, lui non aveva mai scordato la sua origine di semplice tornitore alla Scuola Fiat come io non avevo mai dimenticato il periodo che ho trascorso all’Officina Pompieri di Modena quando facevo l’istruttore alla scuola dei tornitori”

Jano divenne non solo uomo Alfa Romeo ma rivestì anche una carica molto importante, infatti dal 1926 al 1937, fu nominato Direttore Tecnico. Di Victor tutti ne hanno riconosciuto  il genio, la dedizione, il tono organizzativo, caratteristiche che si sono plasmate perfettamente all’ambizione, le idee e la passione del Drake, oramai punto di riferimento della squadra.

I due trascorrevano tantissimo tempo insieme, si dice anche intere giornate, condivisero numerosi pranzi e cene dove i temi principali sostanzialmente erano discussioni tecniche, ma fra di loro non c’è solo un rapporto lavorativo ma anche un rapporto di amicizia saldo, unico ed inestimabile.

Enzo, nel mentre, rimessosi completamente dall’esaurimento nervoso, aveva ripreso  la sua carriera da pilota e vinse il 2° Circuito di Modena sempre al volante di un’Alfa Romeo.

Arriviamo al 1929 e a quel giorno tanto amato, il giorno in cui nacque il mito e la leggenda del Cavallino.

La Scuderia a quel tempo partecipava alle competizioni sia con auto, soprattutto Alfa Romeo, che con moto e con il tempo diventerà una filiale tecnico-agonistica dell’Alfa Romeo.

“Cominciai nel 1929. I miei primi compagni in questa impresa furono due commercianti di canapa: i fratelli Caniato di Ferrara e Mario Tadini, specialista in corse in salite. Ne discutemmo una sera a cena, a Bologna, e ci trovammo d’accordo” (Enzo Ferrari)

A causa della crisi mondiale nel 1933 l’Alfa Romeo decise di ritirarsi dalle competizioni, tornando attivamente nel 1937. Enzo invece, due anni prima, precisamente il 9 agosto, appende il casco e i guanti al chiodo correndo sul Circuito delle Tre Province.

Il ritiro dalla vita agonistica avviene perchè i suoi impegni come direttore della Scuderia diventano sempre più intensi e perchè, soprattutto, divenne padre il 19 gennaio 1932 di un bambino che segnerà la sua vita in modo davvero indelebile: Alfredo Ferrari, detto Dino.

Non possiamo raccontare la vita di Ferrari però senza menzionare un incredibile incontro che fece nel periodo in cui era ancora un fervente pilota, stiamo parlando del pilota Tazio Nuvolari.

Enzo conobbe Tazio nel 1924, sul Circuito del Savio, a Ravenna.

Come racconta Enzo:”Il mio primo incontro con Nuvolari risale al 1924. Fu davanti alla basilica di Sant’Apollinare in Classe, sulla strada ravennate, dove avevamo messo i box per il secondo Circuito del Savio. Erano i tempi di Brambilla e Malinverni, di Materassi, di Balestrero, di Weber. Alla partenza, ricordo, non avevo dato troppo credito a quel magrolino, ma durante la corsa mi accorsi che era l’ unico concorrente capace di minacciare la mia marcia. Io ero sull’Alfa 3 litri, lui su una 1500 Chiribiri. E in quest’ordine tagliammo il traguardo. La medesima classifica si ripeté una settimana dopo al Circuito del Polesine. Così diventammo amici.”

Cinque anni dopo Tazio Nuvolari entrò a far parte della Scuderia Ferrari a cui regalò la prima vittoria, nella Trieste-Opicina, con l’Alfa Romeo P2.

Nel 1939 Enzo Ferrari si staccò dall’Alfa Romeo e fondò, presso la vecchia sede della Scuderia Ferrari, l’Auto Avio Costruzioni Ferrari, con l’obiettivo di produrre macchine utensili, in particolare rettifricatrici oleodinamiche.

“Fui licenziato alla fine del 1939 e non richiamato dopo la guerra, quando ancora dovevo cominciare a fare le automobili. Dopo anni, chiesi, un giorno, ad un altissimo dirigente, perchè non si erano ricordati di me ed egli mi rispose con candore ” Caro Ferrari, ce lo siamo chiesto e abbiamo concluso: chi di noi va via per fargli posto?”

Ferrari ancora non poteva costruire automobili, infatti fra Ferrari e l’Alfa c’era una sorta di impegno di non concorrenza, nonostante tutto l’azienda cominciò lo studio e la progettazione di una vettura, totalmente sportiva, una spider 8 cilindri 1500 cc denominata 815, che fu costruita in due esemplari e che partecipò alla Milla Miglia del 1940.

Il cammino di questa nuova azienda venne bruscamente interrotto dallo scoppio della seconda guerra mondiale che interruppe anche tutte le competizioni sportive.

Enzo Ferrari non si diede per vinto e trasformò nell’immediato lo scopo di produzione dell’Auto Avio Costruzione tornando a fabbricare macchine rettificatrici oleodinamiche per cuscinetti a sfera e in un secondo momento la fabbrica fu spostata a Maranello.

Enzo aveva il terrore che i bombardamenti potessero distruggere tutto quello che aveva creato e in effetti fu così. Sebbene avesse trasferito tutto a Maranello nel 1944 lo stabilimento fu completamente raso al suolo.

Solo al termine della guerra l’azienda prese il nome di Ferrari e solo nel 1947 fu costituita in ragione sociale. Enzo non si ferma in chiacchiere, non se lo può permettere e da vità ad un percorso di progettazione di una vettura, chiamata 125 Sport, 12 cilindri, 1500 cc.

Il debutto ufficiale su strada della prima Ferrari della storia fu il 12 marzo dello stesso anno.

A guidare la vettura durante le gare fu Franco Cortese, primo pilota e collaudatore della Ferrari, che debuttò l’11 maggio 1947 sul circuito di Piacenza e che vinse il Gran Premio di Roma due settimane dopo.

Ma perchè Enzo costruisce la Ferrari?

“Venni preso dal desiderio quasi morboso di fare qualcosa per l’auto, di passare dal volante al progetto.”

Ferrari sapeva in cuor suo di non saper essere un capace disegnatore e che aveva poche risorse per i calcoli e si ripropose di convincere i migliori tecnici a sposare i suoi ideali e il suo modo di pensare.

La Scuderia Ferrari nacque in anni difficili, storicamente parlando, ma seppe davvero realizzarsi nell’immediato e anche in Formula 1 l’esperienza sarà positiva già dagli esordi.

Ma questo lo vedremo nel prossimo capitolo!

 

 

Laura Luthien Piras