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IL PAGELLONE SEMISERIO DEL FROLDI: MELBOURNE

Cambiare uno può cambiare tutto?

La rivoluzione è arrivata, una testa è rotolata ma la storia non è cambiata. La prima tappa del mondiale di Formula Uno 2019 comincia esattamente da dove era finita. Copione d’ordinanza scontato come la commedia dell’arte italiana quando alla fine, a cavallo fra sei e settecento diventa trita e ritrita. E non fa più ridere. La verità è che la Ferrari è specialista nel vincere i mondiali di cartone. Poi però gli altri vincono davvero i titoli, quelli che restano negli albi d’oro. Ed a noi resta il cartone. Tra l’altro color rosso mattone opaco.

Il problema è che, come sempre, ci facciamo troppe illusioni. E un pò la colpa è anche di noi (in generale) della stampa. Creiamo troppe aspettative, soprattutto in Italia, per ovvi motivi, poi puntualmente clamorosamente smentite. E, tra l’altro, quest’anno fa pure più male degli altri anni, perché l’allucinazione collettiva ci aveva preso tutti in contropiede.

Come si può battere un caterpillar come quello anglo tedesco, se non si cambia qualcosa?

Tutti a gran voce abbiamo chiesto la testa di Maurizio Arrivabene. Non che non ci fossero motivi validi. Ma un uomo non fa i peccati e le glorie di un team. Compreso Mattia Binotto, che ha vinto la faida interna che, soprattutto l’anno scorso, ha dilaniato il team in due fazioni l’una contro l’altra armata.

Ma a livello tecnico, cosa è cambiato esattamente?

Nulla. Stessi uomini, stessa organizzazione; alla fine stessa monoposto, pur con estremizzazione di concetti aerodinamici e telaistici.

Perché la stessa squadra, con le stesse criticità, avrebbe dovuto essere superiore alla stessa squadra, con le stesse eccellenze, che dal 2014 fa un pò quello che vuole?

Lasciamo perdere il regolamento cucito ad hoc. Lo sappiamo. Ma sono almeno tre anni che non ci sono più scuse. Che se sei più forte li batti. Sennò li devi applaudire, studiare e battere. Questa è la lezione dello sport, ma è anche la lezione della vita. Alcuni spifferi, sempre più insistenti e forse consistenti, ci dicono di un reparto tecnico che non si è mai davvero aggiornato. Di un sistema di lavoro che non è davvero efficiente, soprattutto in un’era “schifosamente” virtuale, imposta dalla FIA. Di una mancata, ancora, correlazione fra pista e simulatore e galleria del vento.

Mattia Binotto ha una grande responsabilità ed un grande peso. Speriamo si sia trattato, ciò che abbiamo visto in Australia, uno spettacolo imbarazzante, solo di un incubo di una notte di mezza primavera. In caso opposto dovremo prepararci ad una lunga traversata nel deserto. E anche la testa del tecnico bergamasco purtroppo rotolerà, nella consueta resa dei conti in salsa modenese.

Bottas. Voto: 9. Vittoria e giro più veloce. Bottino pieno. Se, come io temo, quest’anno sarà tutta una gara interna fra il re e lo scudiero, non posso fare altro che tifare per lo scudiero. Non foss’altro perché non vorrei vedere il record di Michael abbattuto dagli uomini in grigio. Ma d’altronde, i record sono fatti per essere battuti. Bottas sembra uscito da una cura tipo Rocky 4, quando si allena in URSS per combattere contro Ivan Drago. La testa, soprattutto nei piloti, conta.

Hamilton. Voto: 7. La pole era praticamente scontata, eppure se l’è dovuta sudare. In gara, una volta che per seguire la Ferrari di Vettel il suo team ha sbagliato strategia, non ha avuto più possibilità di recuperare e, saggiamente, si è portato a casa un utilissimo secondo posto.

Mad Max. Voto: 9. Gara consistente senza errori in partenza. Che poi erano davvero il suo tallone d’Achille. Ancora qualche giro e forse, dico forse, avrebbe potuto impensierire Lewis. Sarà sicuramente protagonista.

Red Bull-Honda. Voto: 9. Quante volte li abbiamo presi in giro i nipponici? Beh, avete visto come la monoposto austriaca ha sverniciato la Ferrari di Vettel? Vedremo con l’affidabilità, ma la power unit pare esserci.

Ferrari. Voto: 3. Ed eccoci alle dolenti note, come direbbe Dante. Non ha funzionato niente. Macchina che sembrava un catorcio rispetto a quella ammirata a Barcellona. Troppo brutta per essere vera? Chi lo sa. Era dal 2012 che non mancavamo il podio alla gara inaugurale.

Sconcerto Ferrari.  Voto: angoscia palpabile. Binotto ha fatto giustamente il pompiere, ma va da se che sembravano tutti in preda ad una crisi isterica. Erano disarmati, e lo hanno ammesso candidamente: non sapevano perché andavano piano (fatto salvo che non nascondessero problemi alla PU). Quadro deprimente.

Perculate” di Toto. Voto: sublime. Toto ci ha tenuto subito a precisare che i suoi e lui stesso non capivano perché la Ferrari fosse andata così male; poi ha cercato di dare una spiegazione; a suo dire si sarebbe trattato semplicemente di un assetto sbagliato. Il manager austriaco sembra quello che ti porta via la fidanzata, ma contemporaneamente cerca di consolarti.

Non so se ne avete mai incontrati di tipi così. Non si può non “amare” uno così. Non vi pare?

Casco di Daniel Ricciardo. Voto: é la versione sotto acidi di quello di Jacques Villenueve. Come direbbe Bond: “Agitato, non mescolato”.

Vettel. Voto: è tutta colpa dei baffi, ed altre amenità. Invero, sembrava un passeggero in balia della monoposto.

Leclerc. Voto: a parte i baffi, idem come sopra.

Giovinazzi. Voto: SV. Auto danneggiata in partenza, l’incolpevole nostro portacolori non poteva fare molto di più.

Charlie Whiting. Voto: Che la terra gli sia lieve. Ho sempre pensato (Pino Allievi lo scrive e io sottoscrivo) che avesse un debole per i team inglesi. Molte sue uscite l’anno scorso, comprese le scuse in mondovisione al re nero non le ho mai capite. Comunque sia, se ne è andato uno dei pilastri della Formula Uno. Uno che avrebbe potuto raccontarci tanti aneddoti e tante curiosità su 30 anni di motorsport. Probabilmente ci mancherà.

P.S.: non dite che sono troppo pessimista, e se lo fossi davvero, mi perdonerete perché sapete quanto sia tifoso rosso e non vorrei battere il record dei 21 anni di digiuno. Purtroppo la prossima gara sarà già una specie di “redde rationem”.  Accendiamo ceri in chiesa.. rigorosamente rossi e possibilmente non opachi.

Come sempre, un particolare ringraziamento a @FormulaHumor e la pagina FB le cordiali gufate di Gianfranco Mazzoni

 

Mariano Froldi, Direttore Responsabile FunoAT

Ferrari 2018: attacco ad una punta o attacco a due punte?

Com’è noto chi scrive approcciò la F1 nell’anno in cui Sua Santità perse il titolo al Fuji per 1 punto in pista, infinite liti nelle sedi legali fuori dalla stessa (i risultati di Jarama prima e Brands Hatch poi entrambi finiti a favore di Hunt the Shunt) e bizzarre decisioni a Maranello (col senno di poi tener Clay a casa per protesta il weekend di Zeltweg fu un harakiri che magari lo facesse la Honda attuale).

Sei anni dopo un Gilles furente per non esser stato ripagato con la stessa moneta da lui usata nel 1979 con Jody a Monza (ed a Monaco) si sentì dire dal Drake in camera caritatis ‘basta che a vincere sia una Ferrari’. Volò nella leggenda al Terlamen Bocht 10 giorni dopo.

Nel 1990 in una Ferrari gestita da Fiorio come un retrobottega del Suk di Istanbul (perla assoluta il preaccordo con Senna per il 1991 scritto su carta da formaggio col quale il Paulista diede il vero colpo letale alle speranze mondiali di Prost durante l’estate levandogli ogni fiducia nel Team Principal) si son viste varie ‘perle’ degne di esser menzionate tra cui Prost e Mansell che corrono ad Imola con due vetture diverse tra loro e l’ilare partenza dell’Estoril dove i Tifosi raggiunsero un picco di bestemmie talmente alto che  in confronto Spa 1998 è stata una passeggiata di salute.

Nel mezzo ai tre episodi una carrellata di coppie alcune eccelse (Lauda/Reutemann, Villeneuve/Scheckter), altre molto buone (Reutemann/Villeneuve) diverse mediocri (Arnoux/Tambay) tutte con una caratteristica comune: nessuna prima guida designata da contratto o da accordi verbali. Ovvero come voleva il Drake i cui Piloti dovevano sempre stare in campana e scendere in pista innanzitutto per mettersi dietro il compagno di squadra, con tanti cari saluti a chi apprezza l’ipocrisia dei “micio micio bau bau” odierni tra team-mates. Falsi come Giuda peraltro.

Poi arrivò lo spartiacque: Schumacher ed il suo contratto col famigerato “ius primae noctis” ovvero lo status di prima guida designata messo nero su bianco. La Ferrari arrivava da un quinquennio disastroso con 2 vittorie in 5 anni e di fronte a suddetta richiesta non battè ciglio ma anzi modellò il Team secondo la volontà del Kaiser. Il quale ad onore del vero in pista dovette far valere la clausola poche volte (a memoria: Suzuka 1997, Zeltweg 1998 e 2002) mentre curiosamente sotto Safety Car ad Istanbul nel 2006 lo fecero accodare a Massa al pit infliggendo col senno di poi un colpo durissimo alle sue speranze mondiali (quel giorno chiuse terzo una gara che, rientrando al pit davanti a Massa, avrebbe vinto in carrozza).

Esaurita l’era Schumacher assistemmo ad un’altra curiosità: nel primo anno in cui si tornò ad avere due piloti di pari status in Ferrari la Scuderia di Maranello vinse sia il Piloti che il Costruttori. L’anno successivo andò vicinissima al bis ma purtroppo al muretto non c’era più un Leader ma un passacarte e la cosa fu palese per chiunque avesse gli occhi aperti e volesse vedere.

Arrivò poi l’era Alonso, 0 titoli in 4 anni con Massa come secondo designato (il ‘faster than you’ di Hockenheim 2010 fa abbastanza il paio col ‘let Michael pass for the Championship’ di Zeltweg 2002) e quel tremendo 2014 con Raikkonen buttato là in mezzo alla buona, teoricamente con pari status ma a conti fatti (vedasi Barcellona in gara con l’undercut subìto) anche no (anche qui faccio notare che licenziamento e riassunzione del finnico furono un altro paio di perle del passacarte ‘fraterno’ eh. Ma chissenefrega, volemose bene che ci sono i tortelloni in cottura).

Ora che a Maranello il Re è Sebastian Vettel per quanto ne sappia io non ci sono clausole espresse nero su bianco circa il fatto che lo status di prima guida è suo ma 1 il finnico si è infilato mani e piedi in quello di seconda (unico WDC ad averlo fatto nella storia della F1, contento lui contenti tutti (o quasi)) e 2 se si dicesse che suddetto finnico vien ‘seguito’ dal box come Vettel forse si direbbe un’inesattezza. Di sicuro non viene boicottato e di sicuro Vettel per come è fatto genera una costante interazione col team ma che Ferrari si dimentichi un pò di Raikkonen in pista (e che anche non se ne dimenticasse con ogni probabilità non cambierebbe nulla come risultati NDR) è una sensazione abbastanza comune a prescindere che si tifi per lui oppure no.

Il fatto che a fine 2017 Vettel e Raikkonen vadano a scadenza di contratto ripropone la questione della quale al titolo di questo articolo: attacco ad una punta oppure a due? Chi scrive è convinto delle seguenti cose ossia 1 Vettel vincerà il Mondiale 2017 2 Vettel rinnoverà con Ferrari per almeno tre anni con opzione a suo favore per almeno altri due. Stessero così le cose con buona pace del trittico Sainz/Grosjean/Perez se Raikkonen volesse continuare (e magari accettasse un’altra sforbiciata allo stipendio NDR) nel probabile caso che in Ferrari si voglia varare ufficialmente l’attacco ad una sola punta (con probabile ricomparsa dell’infame clausola nero su bianco come con Schumacher……..) non avrebbe senso alcuno cambiarlo. Conosce il team, conosce le metodologie di lavoro, s’è calato perfettamente (sic) nel ruolo di seconda guida: perchè fare altrimenti? In caso si ritirasse invece uno di quei tre va più che bene, forse ad eccezione di Perez il quale è sì buono ma nonostante sia meno veloce di Vettel son certo che sia convinto del contrario il che sarebbe foriero di guai.

E nel caso si varasse l’attacco a due punte? Chi scrive pensa che non succederà, in Ferrari non son (più) capaci di gestire due prime punte assieme come fanno invece in Redbull da quasi un decennio ormai. Contratti alla mano l’unico big che va a liberarsi a fine anno è Alonso che non verrebbe richiamato all’ovile per nessun motivo al mondo. Ricciardo (il sogno nemmeno troppo segreto di chi scrive NDR) va a scadenza a fine 2018 quindi il suo arrivo ad inizio del prossimo anno è estremamente improbabile per questo motivo e per molti altri, incluso il fatto che per un neo-iridato Vettel sarebbe un pacco regalo abbastanza ‘surreale’. I due di sicuro si rispettano e di sicuro san lavorare bene assieme ma nonostante chi scrive pensi che Vettel sia più forte (ma non di uno sproposito, anzi) pensa altresì che regalare un giro di giostra nel tunnel dei ricordi del 2014 a chi ha appena fatto qualcosa di impossibile se solo ipotizzata nel 2016 sarebbe davvero troppo fuori dagli schemi per un ambiente rigido come la Ferrari.

E quindi? Semplice, prepariamoci ad un lustro di ‘attacco ad una punta’ messo nero su bianco in Ferrari. Tutto lascia pensare che finisca proprio così, nella ripetizione di quello che si vide ad inizio millennio allori iridati inclusi.

La Redazione