Archivi tag: John Watson

LongBeach’83: elementare Watson

Il campionato del mondo di Formula 1 1982 fu segnato tanto da terribili tragedie, quanto dallo spettacolo in pista, con gare incerte, undici diversi vincitori in sedici appuntamenti e il titolo assegnato in occasione della prova finale a Keke Rosberg, che portò per l’ultima volta sul tetto del mondo il motore Ford Cosworth, in una stagione dove si imposero con prepotenza i motori Turbo, destinati a dominare la scena negli anni a venire.

La ricerca di propulsori sovralimentati non fu l’unica novità tecnica, in quanto anche un mondo cinico come quello della Formula 1 non poté chiudere gli occhi di fronte alle tragedie avvenute in pista e di conseguenza la serie di gravi incidenti, uniti alla morte del giovane e sfortunato Paletti oltre a quella di uno dei piloti più rappresentativi, Gilles Villeneuve, portò ad un repentino cambio delle norme, situazione analoga a quella che si sarebbe verificata purtroppo anche dodici anni più tardi.  Il 13 ottobre 1982 venne pianificata una consistente modifica del regolamento tecnico che vietò il fondo piatto e le minigonne, portando il peso minimo delle monoposto a 540 Kg con portata del serbatoio a 250 kg e autorizzazione del rifornimento in corsa; le decisioni della Federazione furono appoggiate dai piloti e costrinsero i team a modificare le vetture già progettate per la stagione 1983, superando tra l’altro il Patto della Concordia che aveva congelato il regolamento tecnico fino al 31 dicembre 1984. La risposta delle case costruttrici non si fece attendere e fu discussa il 3 novembre, giorno in cui si giunse ad una mediazione, posticipando il debutto iridato al 13 marzo in Brasile con conseguente spostamento del Gran Premio del Sudafrica a fine stagione, una scelta che non rese comunque vita facile ai team, tanto che in occasione della prova inaugurale l’unica vettura completamente nuova fu la Brabham Bt52, seguita a ruota dalla Renault Re40, mentre il resto dei partenti iniziò la stagione con le vetture dell’anno precedente adattate alle nuove regole, portando in pista i nuovi modelli successivamente nel corso del campionato.

La prima prova iridata confermò il potenziale delle vetture turbo e sul velocissimo tracciato di Jacarepagua il campione in carica Rosberg fu autore di un piccolo miracolo, conquistando la pole position davanti a sette vetture sovralimentate, mentre il secondo aspirato in griglia fu Lauda, distaccato di un secondo e mezzo in un’anonima quinta fila. Nel corso del Gran Premio Rosberg testò personalmente la pericolosità dei rifornimenti, uscendo di corsa dalla vettura incendiata durante la sosta, poi ripartì spinto dai meccanici e venne squalificato, vedendo quindi annullato il suo secondo posto al traguardo, mentre Piquet vinse agevolmente una corsa dove i principali rivali nella corsa al titolo furono messi fuori gioco da vari problemi tecnici.

I motori aspirati, penalizzati nei circuiti più veloci, avrebbero potuto alzare la voce nei tracciati cittadini di Long Beach, Montecarlo e Detroit, dove le vetture turbo, di cui molte in fase di studio e non ancora perfettamente affidabili e bilanciate, avrebbero patito tra muretti, brevi rettilinei e continue accelerazioni. Il primo di questi appuntamenti fu quello di Long Beach, seconda prova in calendario, in un circuito già “ritoccato” in seguito al drammatico incidente di Regazzoni del 1980 e ora modificato in modo più radicale nel tentativo di limitare i forti saliscendi e rendere più sicuro l’ingresso ai box, anche se il nuovo layout risultò nei fatti più veloce e potenzialmente più pericoloso. Tra i concorrenti spinti dal Ford Cosworth vi era la Mclaren, ancora in attesa del Tag-Porsche che avrebbe debuttato a stagione in corso, ma le due vetture di Watson e Lauda non incisero in prova, trovandosi rispettivamente in ventiduesima e ventitreesima posizione a quattro secondi dalla pole di Tambay, il quale rifilò otto decimi al compagno di squadra Arnoux, anche lui in prima fila, mentre la seconda fu monopolizzata dalle Williams di Rosberg e Laffite.

Le vetture partirono dunque per il giro di ricognizione con prima fila tutta Ferrari e seconda fila Williams, poi a seguire De Angelis (Lotus), Warwick (Toleman), Alboreto (Tyrrell), Prost (Renault), Sullivan (Tyrrell), Jarier (Ligier), Patrese (Brabham), Jones (Arrows, unica presenza stagionale), Mansell (Lotus), Giacomelli (Toleman), Cheever (Renault), Surer (Arrows), Cecotto e Guerrero (Theodore), De Cesaris (Alfa Romeo), Piquet (Brabham), Baldi (Alfa Romeo), Watson e Lauda (Mclaren), Winkelhock (Ats), Salazar (Ram) e Boesel (Ligier), mentre i sue alfieri dell’Osella, Corrado Fabi e Piercarlo Ghinzani, dovettero seguire la gara da spettatori, avendo mancato la qualificazione.  Le prime fasi di gara videro come protagonista, nel bene e nel male, uno scatenato Rosberg, il quale partito dalla seconda fila, cercò subito di prendere il comando infilandosi tra le due Ferrari toccando quella di Arnoux, mentre nel corso del primo giro tentò un sorpasso impossibile su Tambay compiendo uno spettacolare 360° fortunatamente senza conseguenze. Il gruppo procedeva compatto tra i muretti di Long Beach e non mancarono i sorpassi: nel corso del secondo giro Patrese infilò Sullivan, che poco dopo cedette il passo anche alle Renault di Cheever e Prost, poi quest’ultimo iniziò a patire problemi tecnici che lo traghettarono nelle retrovie, così come Arnoux, costretto ad una sosta d’emergenza causa un inatteso degrado degli pneumatici.

I primi continuavano a viaggiare a strettissimo contatto, con Tambay sempre in testa davanti alle Williams di Rosberg e Laffite, in forte pressing sul ferrarista e  seguiti da Alboreto, Cheever, Patrese e Jarier. La bagarre per le prime posizioni favorì i colpi di scena: Cheever perse contatto con il gruppo dopo essere rientrato ai box con i meccanici Renault ancora impegnati con la vettura del compagno di squadra, mentre Jarier tentò un sorpasso ardito su Alboreto mettendolo fuori gioco, anche se a stravolgere realmente l’esito della corsa fu di nuovo Rosberg; il finlandese attaccò Tambay nel corso del ventiseiesimo giro causando il ritiro dell’avversario, poi proseguì e in prossimità del tornantino finale toccò la Williams del compagno di squadra e fu colpito a sua volta da Jarier, con conseguente ritiro dei due piloti e passaggio in testa di Laffite, seguito da Patrese, Surer e dalle sorprendenti Mclaren di Lauda e Watson, entrambi abilissimi a sfruttare le disavventure altrui per portarsi in zona punti dopo essere partiti dal fondo dello schieramento.

La coppia Mclaren proseguì in simbiosi la propria marcia ed entrambi i piloti infilarono Surer, poi Watson ruppe gli indugi e passò Lauda in staccata al termine della Shoreline Drive; bastarono una manciata di giri e i due, sempre vicinissimi tra loro, superarono anche Patrese e infine Laffite, in crisi con gli pneumatici, arrivando clamorosamente al comando della corsa. Ad animare un Gran Premio destinato ad entrare nella storia ci pensò anche René Arnoux, autore di una grande rimonta in seguito al cambio gomme: raggiunto Cheever, lo seguì fino a quando quest’ultimo si incollò alla Williams di Laffite per poi passare entrambi. Nelle fasi finali la corsa perse Cheever e Patrese per problemi tecnici, mentre Lauda fu vittima dei crampi e si limitò ad amministrare un ottimo secondo posto rinunciando ad attaccare il compagno di squadra Watson, che vinse la sua quinta ed ultima gara in Formula 1, primo ed unico nella storia a conquistare il gradino più alto del podio partendo dalla ventiduesima posizione, impresa resa ancora più incredibile dal piazzamento di Lauda, ventitreesimo in griglia e secondo al traguardo.

Il podio del Gran Premio fu completato da Arnoux, ultimo a pieni giri, mentre in zona punti si classificarono anche (a un giro) Laffite, Surer e Cecotto, primo venezuelano a punti in un Gran Premio iridato; a seguire (a due giri) Boesel, Sullivan e Alboreto, poi (a tre giri) Prost, Mansell, Patrese e Cheever, questi ultimi ritirati ma classificati avendo coperto un numero di giri sufficiente. Lauda passò in testa al mondiale con 10 punti, contro i 9 di Watson e Piquet, poi come previsto presero il largo le vetture Turbo e la lotta per il titolo vide come protagonisti Piquet, Prost e Arnoux; le Mclaren vissero invece una stagione di transizione e, dopo aver mancato entrambe la qualificazione a Montecarlo, raccolsero poche soddisfazioni, con due podi di Watson a Detroit e Zandvoort, pista dove Lauda, che nel resto del campionato raccolse due soli punti, portò al debutto il propulsore sovralimentato Tag-Porsche destinato a riportare le vetture biancorosse al vertice.

L’impresa di Long Beach fu l’ultima perla nella storia del trentasettenne John Watson, il quale, nonostante le convincenti stagioni alla corte di Ron Dennis, dovette lasciare il posto al promettente Alain Prost, per poi tornare un’ultima volta al volante due anni più tardi, quando corse a Brands Hatch in sostituzione di Lauda portando al traguardo in settima posizione la Mclaren numero 1, ultimo a correre con quel numero senza essere campione del mondo in carica. La carriera del pilota inglese si concluse con 154 presenze, 5 vittorie, 2 pole position, 5 giri più veloci e 20 podi, oltre alla soddisfazione di essersi confrontato a testa alta con due piloti del calibro di Prost e Lauda.

Se questo racconto non vi è bastato, a voi una sintesi della gara.

Buona visione da Mister Brown