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L’Orso Polare

…you must be either blind or an idiot…
J.P.Montoya – Press Conference, Imola 2004

La gara è appena finita e Juan Pablo Montoya sta commentando il suo attacco a Micheal Schumacher alla Tosa. L’attacco è stato quantomeno ottimistico; un tentativo all’esterno di una curva a 180°. L’alfiere rosso ha facilmente aperto la traiettoria andando a mettere di fatto il colombiano sull’erba. Il quale in sala stampa dà senza mezzi termini dell’idiota al tedesco.
Nei mesi a seguire la contrapposizione fra Schumacher e Montoya, anche a seguito del controverso incidente all’uscita del Tunnel di Montecarlo, raggiunge il calor bianco e con essa la polarizzazione fra i tifosi della rossa vincente e apparentemente imbattibile; e resto del mondo che si lecca le ferite e che trova in Montoya un balsamo per lenire le ustioni rosse.
Montoya pur mostrando un istinto killer nella guida (il suo sorpasso al Bus Stop sempre a Schumacher rimane una pietra miliare) non manterrà le promesse e lascerà la Formula 1 senza risultati di rilievo.
Ma il punto nodale non sono tanto i risultati ma l’impatto che il colombiano ha avuto sul pubblico della Formula 1.
Nel corso degli anni nella Formula 1, soprattutto dagli anni ottanta in poi, le figure divisive e polarizzanti sono sempre state presenti. Lo stesso Schumacher, la maestà lesa che in conferenza stampa si beccava dell’idiota, esordiva come il più classico dei “bad-boys”.
Metteva a muro volontariamente Derek Warwick nel WEC, confessava candidamente davanti ai microfoni di Eurosport di aver fatto un test-brake sul collega Hakkinen a Macao per non parlare delle primissime e virulente avvisaglie di lotta senza esclusione di colpi con la Maestà sensibilissima alla sua lesione, per definizione, Ayrton Senna da Silva.
Ma prima che Senna catechizzasse, rigorosamente in diretta e a favore di telecamera, l’irruento tedesco, il paulista è stato per anni l’iconoclasta dello status quo precedente; ripreso e riportato sulla retta via a colpi di ceffoni o di test-brake dai suoi stessi colleghi.
Ancora oggi Martin Brundle ricorda come a Oulton Park Ayrton gli avesse parcheggiato la Ralt sulla testa con una manovra ben oltre il consentito; e non per modo di dire.
Oggi il ruolo della peste che rompe lo status quo è perfettamente interpretato da Max Verstappen; il figliol prodigo di Jos dotato, rispetto al padre, di un talento più cristallino e della stessa supponenza sfacciata e ostentata.
Promosso a metà stagione dai vertici della Red Bull Racing, con una operazione di marketing pressoché ineccepibile, ha immediatamente mostrato una prontezza di lingua persino superiore al manico mostrato in pista. Rifila più volte dell’idiota a Vettel, del vecchio rincoglionito a Lauda, non si lascia scomporre più di tanto quando uno snervato Toto Wolff telefona a suo padre dopo il violento attacco che avrebbe potuto mettere fine alle speranze iridate di Nico Rosberg; e chi più ne ha più ne metta.
In pista mostra non avere timore reverenziale di niente e nessuno e assurge immediatamente a motore immobile della polemica e della vecchia amatissima polarizzazione fra pro e contro.
Per uno sport che suscita interesse ormai solo nei decrepiti affezionati ad un epoca che ormai non solo non c’è più, ma viene dileggiata di continuo, la presenza di Verstappen è salutata come una manna. E come tale trattata dai vertici della FiA che più volte hanno usato pesi diversi nel giudicare gli episodi a seconda che vedessero o meno coinvolta la preziosissima pepita olandese.
Ma anche questo è un film già visto e le stesse identiche cose si dicevano dell’indulgenza FiA nei confronti di uno Schumacher agli esordi quando questi, dopo la prematura scomparsa di Senna, era diventato l’ultimo fulcro di interesse per la massima serie.
Fino a questo momento, quindi, potrebbe tranquillamente ascrivere il “fenomeno Verstapen” come un qualcosa di già visto nel corso degli anni passati; un giovane pilota dai modi irriverenti, quando non maleducati, adorato dalla FiA e dai suoi tifosi, che sconvolge il panorama motoristico a suon di prestazioni e di polemiche.
Un canovaccio utilizzato più e più volte per smuovere il modo compassato della massima serie con costanza quasi cronometrica.
Quello che appare radicalmente nuovo sono le condizioni al contorno di tale fenomeno.
La pubblicazione dei Team Radio segue un canovaccio ben preciso; chiunque abbia accesso a tutti i team radio sa come i lamenti dei piloti siano uniformemente distribuiti eppure solo alcuni vengono mandati in onda. Scelta che appare fatta per polarizzare ancora di più il pubblico in una continua ricerca del sensazionale e della polemica.
E forse non è un caso isolato quello che riguarda l’atteggiamento della Formula 1 nei confronti del suo pubblico più giovane.
Ma il punto nodale appare sempre lo stesso: la direzione che vuole prendere la massima divisione delle competizioni automobilistiche.
Il pubblico giovane, quello che pare sempre latitare nelle statistiche che riguardano il motorsport, segue ormai canali secondari non ascrivibili ai media classici; non appaiono nelle categorie rilevanti per le analisi degli ascolti perché difficilmente utilizzano tali canali. Sono più orientati allo streaming web che non alla forma classica contrattuale delle Pay Tv cui ormai la F1 pare essersi donata nella sua interezza.
Calamitare l’attenzione del pubblico giovane e portarlo verso una forma più istituzionale di rapporto cliente/provider non è un compito banale.
Né tantomeno  lineare.
L’operazione messa in pista da parte di CVC negli anni passati ha di fatto ridotto del 30% il pubblico televisivo della Formula 1 portandola in quasi tutti i paesi sotto l’ombrello della TV a pagamento.
Se da un punto di vista puramente commerciale quasi tutti gli analisti hanno salutato l’operazione come un successo in virtù della maggiore coesione del pubblico e propensione all’acquisto (un pubblico disposto a pagare per la F1 è decisamente più interessante da un punto di vista del marketing e dell’offerta pubblicitaria) dal punto di vista dell’apertura verso le generazioni future che mantengano tale interesse e numeri costante, appare meno evidente.
Forse la presenza di un pilota con cui potersi banalmente identificare, un ragazzo che parla la lingua giovane sui generis sempre in mezzo alle critiche potrebbe essere un buon viatico.
Per questo questa sede ritiene la presenza di Max Verstappen non solo opportuna ma in un certo qual modo salvifica nell’attuale panorama asfittico della serie maestra.
Con buona pace dei colleghi a cui farà saltare il fegato.
La vera domanda è se sarà sufficiente l’ennesimo “bad-boy” di talento per convincere un pubblico abituato allo streaming free a convertirsi ai costosissimi bizantinismi delle Pay Tv.

L’Orso Polare del titolo era originariamente un Orso Cartesiano prima di un cambiamento di coordinate.
Se la spiegazione precedente vi ha fatto sorridere, preoccupatevi…

L’intervista del Bring a Mario Donnini sul Mondiale F1 2016

A volte è difficile comunicare quello che si prova senza rischiare di cadere in quella che potrebbe essere scambiata per della vuota retorica ma ci proverò lo stesso. Non so chi mi disse anni fa che le persone più straordinarie son quelle che più contano/sono conosciute/importanti meno “se la tirano”. Parole Sante, specie in un’era eufemisticamente vuota come la nostra dove meno la gente conta più si da un tono.

Conobbi Mario Donnini sulle pagine dello splendido Forum Gpx.it, lo leggevo sulle testate per le quali lavorava ma ovviamente non avevo modo di interagire fino all’avvento dell’era internet e dei Socials. Non parlo a caso dei Socials perchè ivi rintracciato il Maestro su Facebook e subitaneamente chiestagli la connessione le sue argutamente ironiche riflessioni sulla vita son diventate subito un “must” della mia giornata. Un personalissimo vademecum della cosiddetta “resistenza umana” in mezzo (repetita iuvant) ad un vuoto che ormai pervade buona parte di quello che ci circonda.

Facendola breve (sed in scribendo saepe longius sum) Mario Donnini ha acconsentito a rilasciarci un’intervista sull’appena concluso Mondiale di F1 del 2016 al che noi della Redazione abbiamo fatto un brainstorming su quali potessero essere le domande da sottoporgli e lui, previa comunicazione da parte sua che non c’erano argomenti tabù (CHAPEAU!), ha risposto ad ognuna di esse.

Ecco quindi l’intervista del Blog del Ring a Mario Donnini:

1) MB ha fatto apposta a non far più “incontrare” Rosberg ed Hamilton in pista dopo l’ennesimo contatto avvenuto a Zeltweg?
«Di certo, dopo aver dettato severe regole d’ingaggio e messo bene in chiaro che il team non voleva vedere altri casini in pista, tutto è diventato apparentemente più soft e easy. Ma, ovvio, da lì in poi è valsa per ciascun dei due contendenti la teoria dell’anatra: apparentemente ferma e buona sopra il pelo dell’acqua, ma sotto sotto, dove nessun la vede, nuota e si sbatte come una dannata per filar veloce…».
2) È possibile che Hamilton ci abbia messo 9 mesi a risolvere i problemi con la frizione? 
«Atteniamoci ai fatti. Lewis ha sbagliato la partenza in Australia, in Bahrain, si è impappinato a Monza e si è avviato malino a Suzuka. Diciamo che per quanto riguarda gli attimi immediati dopo i semafori spenti, questo non è stato il suo anno. Ci sono stati problemi alla frizione, ma il pilota non può non essere co-responsabile tutte le volte in cui il suo compagno di squadra e rivale lo batte al primo scatto». 
3) Quanto dell’ingresso di Liberty Media al vertice della F.1 si ripercuoterà sulle politiche commerciali concernenti i diritti televisivi nella trasmissione delle gare di F.1 in Tv?
«Liberty Media è lì a scopo di lucro e farà di tutto per aumentare e moltiplicare le entrate, peraltro già piuttosto entusiasmanti».
4) Quanto di tutto questo (domanda 3) giova (o meno) alla diffusione della F.1?
«Rispondo in due tempi. Secondo me trenta o quaranta anni fa la F.1 aveva bisogno di aumentare la diffusione. Ora è un universo fin troppo espanso e a tratti sfilacciato. Credo ci sia bisogno di un riposizionamento e di una riscoperta di location più classiche e storiche, per avviare un recupero dell’identità. Francia e Germania su tutte. Quanto a Liberty Media, si batterà per far restare o approdare la F.1 esclusivamente dove c’è maggior convenienza economica».
5) Si può tracciare una riga tra il talento di Verstappen e la voglia da parte di Liberty/F1 di avere un prodotto commercialmente spendibile presso i giovani?
«Sul Pianeta Terra avere nel proprio show uno come Verstappen fa comodo a tutti, a parte colui che se lo ritrova da rivale in frenata».
6) È un caso che il Mondiale si sia chiuso all’ultima gara proprio l’anno in cui FOM ha venduto i diritti a Liberty Media?
«Certo che è un caso. Se Lewis partiva in testacoda sotto l’acqua in Brasile, il giochino era finito in anticipo. L’epilogo non dipende da chi comanda, ma come. Quando si è voluto imporre il finale all’ultimo atto, è bastato raddoppiare il punteggio dell’epilogo, vedi Abu Dhabi 2014».
7) Lo sviluppo verticale di prestazioni delle Power Unit da fine 2014 a fine 2016, specie in qualifica, è ascrivibile al mero progresso tecnologico o anche a deroghe nascoste?
«Al progresso tecnologico».
8) Qual è il tuo parere sul livello medio dei piloti attualmente in attività in F.1?
«Altissimo livello. Col senno di poi, contando Rosberg, cinque iridati in lizza dei quali tre pluriridati, con otto piloti che hanno vinto almeno un Gp in carriera. Un plateau da parterre de roi». 
9) Quali probabilità ci sono che un gruppo importante di investimento rilevi l’agonizzante Sauber?
«Lo scorso luglio la società Longbow Finance SA ha acquisito il 100% della scuderia, che fino a poco prima faceva fatica persino a pagarsi le trasferte. Se ci sarà relativa tranquillità economica, le cose si stabilizzeranno, sennò si farà sotto il prossimo. Di certo gli oltre 40 milioni di euro in premi Fom derivanti dal 9° posto di Nasr in Brasile vogliono dire che quasi metà quasi budget è completata».
10) Dopo il secondo anno negativo di fila per Honda c’è ancora interesse ad entrare in F.1 da parte di altri Grandi Costruttori?
«A oggi quello dei motoristi in F.1 è un circolo teoricamente aperto ma di fatto chiuso, perché non mi sembra proprio che fuori ci sia la fila per entrare. È un aspetto molto triste, questo. Sembra quasi di vedere che la F.1 è diventata una specie di ingessatissimo Dtm su base planetaria». 
11) Oltre la libertà di sviluppo sulle PU da fine 2016 è plausibile ipotizzare opzioni di sviluppo open con regole simili alla MOTOGP per le Factory e le Factory 2?
«No, perché nel motomondiale le sottocategorie sono arrivate soprattutto per incrementare e salvaguardare il numero dei partecipanti, altrimenti misero assai. Invece in F.1 i motoristi sono in grado di fornire senza problemi tutti i team che ne fanno richiesta, limitandosi a dare step di evoluzione più o meno aggiornati a seconda del prezzo che il cliente stesso è disposto a pagare». 
12) La fuga della F1 da dei GP paganti come Singapore e Malesia, gli spettatori in calo dal vivo ed in TV e la progressiva scomparsa dei GP storici possono portare al collasso?
«La Formula 1 non rischia il collasso economico, ma quello sportivo e morale. Con i gettoni di presenza che chiedono per ospitare un Gp e con i diritti Tv che incassano, i proprietari della F.1 hanno di che acquistare regali carini ai nipoti per i prossimi trecento anni. Il colasso, semmai, rischia d’essere narrativo. Se i Gp continueranno a essere così narcolettici e noiosi e se la Mercedes non incontrerà reali rivali diretti, la F.1 si troverà a essere appetibile quanto le leggendarie lezioni notturne in Tv del Consorzio Nettuno».
13) Cosa farà Honda se i risultati sportivi del 2017 saranno in linea con quelli del 2016?
«Una Casa in F.1 se vince tantissimo per tantissimi anni, prima o poi si ritira. E se, al contrario, fa brutte figure fisse, prima o poi si ritira. È la legge delle Case e della F.1. E la Honda ha un disperato bisogno di segnare risultati che rappresentino una soluzione di continuità rispetto al passato prossimo e al presente appena mandato in archivio».
14) Cosa pensi del fatto che ogni tecnico straniero contattato da Ferrari nel 2016 abbia declinato l’offerta per via di un ambiente notoriamente troppo politicizzato a Maranello?
«Quali sarebbero i nomi e i cognomi di tutti questi geni schifati? Esistono e si muovono in branchi, come i bisonti? Dai, non ci credo e la cosa non regge per il solo fatto che di geni in giro ce ne sono sì e no uno, uno e mezzo. Per il telaio la Ferrari avrebbe bisogno di un solo tecnico: Adrian Newey. Ma il vero problema è che questa è soprattutto una formula di motore e il vantaggio accumulato dalla Mercedes con la sua Power Unit in questi tre anni appare difficilissimo da colmare, perché ormai è strutturale. Comunque, forza Binotto!».
15) Cosa pensi del fatto che Ferrari, come già tentato e fallito con Alonso, abbisogni di un salvatore della Patria (Vettel) come unica opzione per provare a risalire la china?
«A oggi la Ferrari non ha rinnovato il contratto a Vettel né l’ha corteggiato per farlo rifirmare. Logico. La Ferrari ha bisogno di disporre di una power unit capace di cominciare a mangiare i talloni alla PU Mercedes. Se non arriva quella, stiamo a parlar di niente. Puoi correre con Vettel o con mia zia, ma il risultato non cambia: non vinci nulla. L’era ibrida è un’epopea di propulsori, non di piloti». 
16) Un Team Principal che dopo la bandiera a scacchi di Monaco dice “se la Redbull diventa un problema io me ne vado a casa” e poi la Redbull lo sopravanza sia nel Costruttori che nel Piloti, è la persona giusta per il muretto Ferrari o manca eufemisticamente di lucidità?
«Un team principal non si giudica da una frase. La verità è che con il regolamento dei gettoni, dei test calmierati e del freezing, tutti i team hanno fatto una fatica boia a recuperare l’immenso svantaggio iniziale istantaneo che avevano dalla Mercedes, per bontà e bravura sua. La realtà è questa. Per quanto mi riguarda, francamente non sono da annoverare nel circolo di coloro che vorrebbero la testa di Arrivabene».
17) Chi vorresti vedere in Ferrari nel 2018, una volta terminato il contratto di Raikkonen?
«Giovinazzi. I love italian pride».
18) Secondo te chi è attualmente il più forte tra i piloti in attività in F.1? Perché?
«Non impazzisco per il personaggio Hamilton, ma Lewis è in una fase che rappresenta e incarna la congiunzione felice tra l’immenso talento innato, l’esperienza e la capacità di mantenere ogni anno intatte le motivazioni, riprogrammando la sfida. L’inglese non ha vinto il mondiale, anzi, l’ha perso e male, in modo piccato e causato dal motore matto di Sepang, ma non vuol dire nulla. Non tutti gli anni Maryl Streep vince l’Oscar, tuttavia l’attrice più brava resta lei. Lewis a oggi è la Meryl Streep del Circus».
Un grazie dal profondo del cuore a Mario Donnini!
WE ARE BRING

WE ARE BRING – 1ST BIRTHDAY CANDLE

“Siamo tutti delle prostitute sul lavoro perchè quello che amiamo fare lo facciamo gratis” – Marloc

Metà 2010. Un ex collega mi segnalò un Blog di un noto giornalista che si occupava di F1. “Tu che vivi di F1 dovresti proprio leggerlo!” Ma sì dai, leggiamolo. Nei 5 anni e mezzo successivi lessi tanti ottimi articoli ma, cosa ancora più importante, dei commenti ancora migliori da parte di quelle che considerai subito delle Eccellenze. Oggi quelle Eccellenze son tutte qui, o scrivono articoli o li commentano o fanno entrambe le cose. “Se qualcuno ti segue non é per cosa fai o per come lo fai ma PERCHÈ lo fai”.  Il “mio” perchè era e resta “perchè serve un posto sul web dove ci sia libertà di opinione, tifo, espressione e non si debba render conto a nulla e nessuno se non alla propria coscienza”.

Oggi i Bringers compiono un anno. Ne abbiamo fatta di strada dalla chat varata il 31/10/2014 su What’s App che aveva 4 partecipanti ossia me, Emiliano, Grumpy e Filippo. So cosa pensate: assomiglia al “ne resterà soltanto uno” di Highlander. Oggi in realtà ai miei occhi assomiglia di più ad un “mai dire mai”.  La porta é aperta e resterà tale per chiunque abbia la buona volontà di intendere quanto appena scritto. In 1 anno di Bring abbiamo largamente dimostrato di avere una nostra identità ben definita che si chiama onestà intellettuale. Quell’onestà intellettuale che è mancata a tutti quelli che han spacciato per buona la versione “è stato il vento” con Alonso a Barcellona nel febbraio 2015. Quell’onestà intellettuale che può esserci solo dove essendo dei signori nessuno, seppur con due palle grosse così (inteso in senso letterale e quanto a conoscenza degli argomenti trattati), si può sempre parlare con la libertà di chi non deve nulla a chicchessìa. Qui si dice quel che si pensa e ci si confronta (anche aspramente) con chi la pensa diversamente. Lo scambio è fondamentale per la crescita individuale e di gruppo, e questo è un posto dove si cresce non solo attraverso la conoscenza che ci arriva dagli articoli ma anche attraverso l’interazione nei commenti. Questo è un posto dove si viene volentieri perchè c’è sempre qualcosa da imparare e qualcuno disposto ad insegnarlo. Son cose senza prezzo ed infatti il Bring è no profit. Tutto il resto dell’offerta sul web no. Mettetevela via 🙂

Passando a note più lievi che dire? Devo ringraziare tantissime persone per dove siamo arrivati finora. Sono in difficoltà nel farlo per 2 aspetti A l’ordine in cui lo faccio e B la probabilità di dimenticare qualcuno. Sappiate che non è mia intenzione mancare di rispetto a nessuno! Via dunque: grazie a Marloc e Fiammetta, per quel che mi riguarda son sicuro di non essere geneticamente lontano da nessuno dei due. Grazie a Lucx perche senza di lui manco si partiva e grazie a Pier Alberto per averne raccolto il testimone. Grazie a Morok che nei momenti di crisi (tipo la diaspora imolese) ha avuto sempre (le palle ed) il calvinismo di affrontarmi dicendo che stavo infilando qualche errore che molto probabilmente avrei rimpianto. Ringrazio AlexMC12 per riuscire a starci dietro nonostante gli impegni, Aviator per i suoi preziosissimi contributi, Brown per il suo amore nei confronti della F1 che fu, Dave per la sua passione a 4 ruote, Lattughiz per il suo “senso della posizione” nella gestione delle vicende del Bring, l’Orsetto Mannaro (LS) per esser stato tra i primi ad unirsi alla ciurma e per essersi finalmente deciso a rivelare il Verbo, LoSco per quanto ha dato sperando che dia ancora di più nel prossimo futuro, Braccio per essere l’unico tifoso di Vettel che abbia mai conosciuto che prega in un bis dell’accoppiata con Ricciardo, Cliffemall per esser sempre garanzia di un contraddittorio stimolante, Eagle per seguir sempre assiduamente le condivisioni sui socials, Floriano per il suo spessore umano unico che rende tale ogni suo intervento, Timo per lo spaccato scandinavo che ci offre ogni volta che scrive, Luca Bkk per seguirci assiduamente dal Far East, Sancho per la sua genuinità, Tornado per esser sanguignamente con noi fin dagli inizi.

E grazie anche a Corrado Riva, Magic, Aury Vantage, Antonino Rendina, eqqueqquà, Myriam, Dani3lR1cciardo, Diego, al redivivo drnice, a Nikelson, Ricccris, Rosso Ferrari, Seldon, Niki, Il Konz, Gianluca72, lettore espatriato, FerrariScuderia, Sundance76, Sebastian 5, Abramo lo Eretico, Matteo Zamboni, Vanwall e chiunque abbia dimenticato.

Un grazie anche, sia pure obtorto collo, a chi ci da contro ignaro che non esiste cattiva pubblicità ma solo della pubblicità. Continuate così che ci state solo facendo un grosso favore gratuitamente.

Grazie a tutti per essere il Bring! Qui si da voce a chiunque abbia qualcosa da dire sulla F1 in particolare ed il Motorsport in generale. Se avete voglia di farlo fatevi vivi che questo è il posto per voi.

BUON COMPLEANNO!!!!!!!!

Formula tricolore: l’invasione italiana in F1

Nel 2009 a Spa Francorchamps, Giancarlo Fisichella, 3 vittorie e tante soddisfazioni in oltre 200 gran premi di F1, piazzò la modesta Force India in pole position, chiudendo poi la gara al secondo posto dopo aver duellato con Kimi Raikkonen, al volante di quella Ferrari che il pilota romano guidò senza fortuna nel finale di stagione in sostituzione di Luca Badoer (già subentrato all’infortunato Massa), che dopo migliaia di Km di test aveva provato a cimentarsi in gara a dieci anni di distanza dalle ultime presenze in Minardi. Per rimpiazzare Fisichella la Force India schierò il collaudatore Liuzzi, che rispose alla fiducia del team con buone prestazioni, tanto da guadagnare la riconferma per la stagione successiva, mentre nello stesso anno Trulli (attivo dagli anni novanta, una vittoria da incorniciare a Monaco e una lunga carriera di alto livello) terminò il campionato ottavo con tre podi, tra cui un secondo posto a Suzuka partendo dalla prima fila. Fu il canto del cigno per gli italiani in Formula 1: Fisichella passò con successo alle corse Gt, Trulli finì alla deludente imitazione della Lotus dopo l’addio della Toyota e Liuzzi non riuscì nel 2010 a convincere ulteriormente la Force India lanciata verso una costante ascesa, la mancanza di appoggi ha chiuso poi definitivamente le porte ai piloti del tricolore nonostante le ottime prospettive di alcuni, tra i quali spiccavano Valsecchi, Filippi e Pantano.

Agli albori della Formula 1 il nostro Paese vinse tre dei primi quattro titoli piloti con Farina e Ascari, oltre a dominare la scena con Ferrari, Alfa Romeo, Maserati e Lancia. Pur senza altre affermazioni mondiali i piloti di casa nostra hanno lasciato più volte il segno nel Circus: i pionieri Taruffi, Castellotti, Villoresi, Musso e Fagioli, oppure Baghetti, l’unico pilota in grado di vincere al debutto iridato, o ancora Scarfiotti (l’ultimo italiano vittorioso nel Gp di casa, pensate, era il 1966!), la mitica Lella Lombardi, unica donna a punti in F1, fino allo sfortunato Lorenzo Bandini, atteso da un luminoso futuro spezzato nel rogo di Montecarlo, così come il promettente Giunti, tragicamente scomparso durante una corsa di durata quando già aveva impressionato gli addetti ai lavori nella massima serie. Gli anni settanta ci regalarono poi l’eroismo di Merzario, la stupenda vittoria all’Osterreichring di Brambilla, che dopo aver rischiato la vita nella sua Monza si mise al volante dell’Alfa di rientro nel mondiale insieme a quel Bruno Giacomelli che nel 1980 al Glen la piazzò in pole e fu fermato da un pezzo da pochi centesimi mentre era diretto verso una vittoria che avrebbe avuto un immenso valore. A cavallo tra gli anni settanta e ottanta fecero la prima apparizione tre piloti destinati ad una lunga carriera che li avrebbe accompagnati alla successiva generazione: Riccardo Patrese, Michele Alboreto e Andrea De Cesaris, piloti che sarebbero sicuramente stati affiancati nel loro cammino dallo sfortunato Elio De Angelis, pilota di elevatissima caratura umana e professionale, deceduto nel 1986 in seguito alle ferite riportate in un incidente avvenuto al Paul Ricard durante un test privato. Nello stesso periodo, tra gli altri, tentarono la fortuna anche Beppe “Cavallo pazzo” Gabbiani, velocissimo, irruente e sfortunato, oltre al nostro “eroe dei due mondi” Teo Fabi, bravo sia in F1 che in Indycar. La cinica Formula 1 fu fatale invece a Riccardo Paletti, scomparso nel 1982 a Montreal, in occasione della sua prima partenza a schieramento completo, dopo aver corso a Imola con un numero ridotto di concorrenti.

La presenza degli italiani in Formula 1 era dunque costante, mentre sul finire degli anni ottanta si assistette ad una vera propria invasione, con un numero di piloti che dal 1988 iniziò a stabilizzarsi costantemente tra le 10 e le 15 unità, calando poi dalla metà degli anni novanta fino ad arrivare appunto a Trulli, Fisichella e Liuzzi. Ma chi sono i protagonisti di quell’epoca?

Riccardo Patrese arrivò in F1 nel 1977 con in tasca il mondiale Kart e l’europeo di F3, muovendo i primi passi con Shadow e Arrows (con tanto di pole a Long Beach), periodo in cui rifiutò offerte interessanti perché in attesa di una chiamata da Maranello che gli era stata promessa. Dopo aver vinto le prime gare con la Brabham la sua carriera subì un brusco stop, prima con la disastrosa Alfa Romeo, poi al ritorno in Brabham in quanto scosso dalla scomparsa del compagno De Angelis con cui aveva stabilito un ottimo rapporto (fu Ecclestone in persona a spronarlo a continuare). Finalmente nel 1988 il passaggio alla Williams dove Patrese trascorse una seconda giovinezza viaggiando costantemente tra i migliori e centrando bellissime vittorie, come quella di Imola del 1990 che lo riconciliò con il pubblico italiano (che lo derise ingiustamente per un’uscita di pista che nel 1983 favorì la vittoria della Ferrari) o a Città del Messico nel 1991 al termine di una gara tiratissima. Chiusa la carriera con la Benetton al fianco di Schumacher, ricevette una nuova chiamata da Frank Williams in seguito alla scomparsa di Senna, ma rifiutò, non sentendosi perfettamente a proprio agio dopo la tragedia di Imola.

Michele Alboreto, milanese classe ’56, fu notato da Ken Tyrrell in virtù dei risultati nelle categorie minori e proprio con il team del boscaiolo, ormai avviato al declino, centrò due incredibili vittorie che lo traghettarono a Maranello. Dopo soli tre gran premi arrivò la prima vittoria in rosso, a Zolder, mentre nel 1985 lottò addirittura per il titolo (ultimo pilota italiano a vincere con la Ferrari) prima di essere fermato da un crollo di affidabilità della vettura; “…noi, a quel ragazzo, gli dobbiamo un mondiale!”, disse Enzo Ferrari. In tono minori le stagioni successive a Maranello fino al divorzio avvenuto alla fine del 1988 dopo un rapporto non idilliaco con Berger (con cui fu protagonista della storica doppietta di Monza, un mese dopo la morte del Drake) ma, divorato dalla propria passione, Alboreto ha corso fino al 1994 alla guida di team minori distinguendosi come sempre per il talento e la serietà, portando avanti anche importanti battaglie per la sicurezza. Terminata l’esperienza in formula 1, ha continuato a correre in competizioni a ruote coperte centrando successi prestigiosi quali le vittorie alla 12 ore di Sebring e alla 24 ore di Le Mans. Trovò la morte al Lausitzring durante una sessione di test privati in vista della 24 ore lasciando un grande vuoto nell’ambiente, che ne apprezzò anche le doti umane, era il 25 aprile del 2001.

Andrea De Cesaris, detto Mandingo, veloce, spericolato e sfortunato, riusciva ad alternare imprese come la pole di Long Beach con l’Alfa Romeo quanto uscite di pista spettacolari che gli fruttarono alla Mclaren la fama di sfasciacarrozze. Dopo l’esperienza positiva con l’Alfa, non riuscì a sfruttare l’occasione offerta dalla Ligier e fu costretto nel resto della carriera a navigare nei bassifondi mostrando però la stessa grinta e ottenendo risultati a volte insperati, come un quarto posto con la modesta Rial, un podio con la scuderia Italia e un’ottima stagione con la debuttante Jordan, con cui sfiorò un secondo posto a Spa, abbandonato dalla vettura a pochi Km dal traguardo, sulla stessa pista dove l’Alfa lo tradì nel 1983 mentre era lanciato verso il successo. Ritiratosi alla fine del 1994, preferì abbandonare un ambiente che però non lo ha dimenticato: in seguito alla sua scomparsa causa un incidente motociclistico nel 2014 erano tanti i colleghi al suo funerale e anche Niki Lauda, protagonista del duello di Long Beach nel 1982, ne decantò le doti.

Alessandro Nannini, fratello della cantante Gianna, costruì la carriera un passo alla volta nelle Formule minori, arrivando a vincere l’europeo di Formula 2 con la Minardi, scuderia che lo fece esordire in F1 e con cui corse nel 1986 e nel 1987. Assunto dalla Benetton nel 1988, con la casa anglo-italiana colse i primi podi e mostrò doti di grinta e velocità, confermando le premesse grazie ad un costante miglioramento fino alla chiusura del 1989 con la prima vittoria (ottenuta a Suzuka in seguito alla squalifica di Senna) e un secondo posto nel gran premio conclusivo ad Adelaide, risultati che lo portarono al sesto posto in classifica finale con ben 32 punti. Dal 1990 fu affiancato dal tre volte campione del mondo Nelson Piquet con cui si confrontò con grande equilibrio e durante la stagione rifiutò a sorpresa anche un’offerta della Ferrari. La sua carriera fu bruscamente interrotta da un incidente in elicottero in cui l’elica gli tranciò il braccio: un’esperta equipe di medici riuscì a riattaccarlo ma le funzioni furono compromesse, motivo per cui Nannini abbandonò l’idea della Formula 1, limitandosi sporadicamente ad alcuni test privati e dedicandosi alle ruote coperte con partecipazioni al campionato italiano turismo, Dtm e Fia Gt.

Pierluigi Martini nel 1985 rifiutò la Toleman preferendo il clima “di casa” alla Minardi, vettura al debutto che patì ovvi problemi di gioventù poi, trascorsi due anni in F3, tornò a Faenza come collaudatore, rimpiazzando nel corso della stagione Campos e centrando subito il primo punto per sé e per la scuderia, Alla Minardi Martini trascorse i migliori anni della propria carriera ottenendo alcuni piazzamenti a punti in un’era piuttosto difficile per i piccoli team, oltre a transitare in testa per un giro, evento unico per la casa faentina. Sfumato un possibile passaggio alla Ferrari, corse un anno con la Scuderia Italia prima del rientro in Minardi dove chiuse la carriera in F1 nel 1995; continuò comunque a correre, con la grande soddisfazione di una prestigiosa vittoria alla 24 ore di Le Mans nel 1999.

Piercarlo Ghinzani, campione italiano ed europeo di Formula 3, attivo e vincente anche in alcune competizioni di durata, si vide offrire nel 1981 la possibilità di debuttare in Formula 1 (senza aver mai eseguito un test) dalla Osella, scuderia cui legò la propria carriera. Tornò nel Circus nel 1983 e l’anno seguente colse uno storico quinto posto a Dallas, poi nel 1985 passò momentaneamente la Toleman, in quanto il team italiano era a corto di fondi e necessitava di pay driver. Rientrato nel 1986, trascorse successivamente un paio di stagioni senza fortuna con Ligier e Zakspeed, rientrando ancora all’Osella nel 1989, stagione in cui riuscì a superare le pre-qualifiche in tre sole occasioni; senza mai aver avuto la possibilità di guidare un auto competitiva e ormai demotivato, abbandonò la Formula 1 avviando una lunga e soddisfacente carriera da costruttore.

Nicola Larini, dopo la consueta gavetta, arrivò in Formula 1 nel 1987 guidando per scuderie di secondo piano quali Coloni, Osella, Ligier e Modena Team. Divenne collaudatore Ferrari e con il team di Maranello poté correre quattro gran premi cogliendo come miglior risultato un secondo posto nel tragico gran premio di San Marino nel 1994, mente nello stesso periodo si dedicò alle vetture turismo vincendo il Superturismo italiano e il Dtm. Breve parentesi in Formula 1 con la Sauber all’inizio del 1997 (un sesto posto come migliore risultato) prima di tornare a dedicarsi con successo alle auto a ruote coperte, con cui ha corso fino ai giorni nostri.

Ivan Capelli venne chiamato dalla Tyrrell a fine stagione nel 1985 e sorprese tutti con un quarto posto ad Adelaide poi, dopo un paio di gare all’Ags, nel 1987 passò alla March con cui nel 1988 (su vettura disegnata da Newey) fu protagonista nel finale di stagione con due podi e un duello da cineteca con Prost a Suzuka, situazione ripetuta due anni dopo al Paul Ricard, quando l’italiano dovette arrendersi nel finale causa noie al propulsore Judd. La situazione economica del team lo trascinò a fondo gruppo, mentre il passaggio alla Ferrari in piena crisi tecnica e dirigenziale fu disastroso e finì per stroncargli la carriera; si ritirò nel 1993 dopo due sole gare alla Jordan.

Pierluigi Tarquini debuttò nel 1987 disputando una sola gara con l’Osella, passando poi a Coloni, Ags e Fondmetal, scuderie relegate al ruolo di comprimarie in un’epoca in cui erano tanti gli iscritti e anche solo qualificarsi era piuttosto complicato: Tarquini riuscì ad ottenere un miracoloso sesto posto in Messico nel 1989 alla Ags come migliore risultato. Salvo una piccola apparizione con la Tyrrell nel 1995 ha dedicato la sua carriera alle vetture turismo, vincendo i campionati BTCC, ETCC e WTCC, quest’ultimo nel 2009, a 47 anni; attivissimo e competitivo, ancora oggi pare non abbia nessuna intenzione di appendere il casco al chiodo.

Alex Caffi vinse l’europeo di Formula 3 e debuttò in Formula 1 con l’Osella nelle stagioni 1986 e 1987, penalizzato da numerosi guai tecnici. Nel 1988 portò al debutto la Scuderia Italia (a Jacarepagua scese in pista con una F.3000, ultimo caso in F1), team con il quale ottenne un quarto posto a Monaco nel 1989. L’anno seguente, con la Footwork Arrows conquistò due punti senza sfigurare nei confronti del compagno Alboreto, mentre nel 1991 mancò spesso la qualificazione. Fu poi ingaggiato dall’Andrea Moda, ma non riuscì a scendere in pista per le vicende tragicomiche della scuderia, abbandonando poi la F1 per costruire una lunga carriera “a ruote coperte”

Bruno Giacomelli, o “Jack O’Malley” come scritto sulla sua Mclaren nel 1977 seguendo la pronuncia degli inglesi, dopo la pole del Glen con l’Alfa e una serie di buone prestazioni, visse un’infelice stagione alla Toleman che gli chiuse le porte della F1. Dopo alcuni anni in altre categorie e dopo aver rischiato la vita in una gara Interserie (i commissari lo credevano morto e intervennero solo perché Stuck li prese a pugni) tornò nel Circus con la Life ma l’esperienza fu disastrosa: giusto per esemplificare il valore della vettura, Bruno a Monaco nelle pre-qualifiche fece segnare un tempo che non lo avrebbe qualificato nemmeno in una gara di Formula 3.

Stefano Modena, grazie ad un palmares notevole nelle serie minori, venne lanciato da Ecclestone in Brabham alla fine del 1987 in sostituzione di Patrese, trasferitosi alla Williams. Nel 1988 dovette accontentarsi del sedile della deludente Eurobrun, ritornando l’anno dopo in Brabham con cui ottenne un terzo posto a Montecarlo, pista dove nel 1991 con la Tyrrell fu tradito dal motore Honda mentre era secondo alle spalle di Senna. Il 1991 fu senza dubbio la sua miglior stagione grazie a 10 punti totali e ad un ottimo secondo posto a Montreal, meno fortunato invece il passaggio in Jordan, ultima stagione nel circus prima del passaggio nei campionati Turismo, con il rimpianto di una carriera che, per le doti del pilota, avrebbe probabilmente meritato maggiori soddisfazioni.

Emanuele Pirro iniziò come collaudatore McLaren (fu anche controfigura di Senna a scopo promozionale) e debuttò in gara nella seconda parte del 1989 alla guida della Benetton in sostituzione di Johnny Herbert, arrivando quinto ad Adelaide, nell’ultima gara stagionale, poi due stagioni in Dallara Scuderia Italia, ma senza risultati. Decisamente di rilievo il palmares in altre categorie, con due affermazioni nel superturismo e cinque vittorie alla 24 ore di Le Mans.

Paolo Barilla, dopo alcune esperienze nelle serie minori, arrivò in Formula 1 alla fine del 1989 con la Minardi, scuderia con cui corse l’anno successivo senza riuscire a reggere il passo del compagno di squadra Martini e mancando in alcuni casi la qualificazione. Dopo alcuni anni di attività con le vetture Sport appese il casco al chiodo per dedicarsi alla nota azienda di famiglia.

Enrico Bertaggia, dopo aver vinto eventi prestigiosi come i gran premi di Monaco e Macao in Formula 3, venne ingaggiato dalla Coloni alla fine del 1989 senza mai riuscire a superare le pre-qualifiche, penalizzato da una vettura poco competitiva e dalla totale mancanza di test prima del debutto: progressivamente migliorò le prestazioni pur senza mai staccarsi dall’ultimo posto del turno del venerdì mattina. Avrebbe dovuto correre nel 1992 con l’Andrea Moda ma venne licenziato dopo i primi due gran premi a cui tra l’altro la scuderia non partecipò, in seguito si dedicò a vetture sport e turismo.

Claudio Langes, campione italiano di Go Kart, non riuscì a partecipare nessun gran premio di Formula 1: ingaggiato dall’EuroBrun ormai al dissesto finanziario, terminò la propria avventura dopo 14 tentativi vani di superare le pre-qualifiche, “impresa” che in alcuni casi riuscì al più esperto compagno di squadra Moreno.

Gianni Morbidelli, già campione di Formula 3, nel 1990 si divise tra Formula 3000 e Formula 1, correndo alcune gare con Dallara e poi Minardi e proprio con quest’ultima corse le due stagioni successive, salvo una parentesi ad Adelaide nel 1991: la Ferrari (di cui era collaudatore) lo chiamò per sostituire Prost e lui rispose giungendo sesto al traguardo. Rimasto a piedi nel 1993, corse poi un biennio con la Footwork ottenendo buoni risultati, tra cui un terzo posto ad Adelaide. Rientrò in Formula 1 per l’ultima volta nel 1997 con la Sauber senza ottenere punti, penalizzato anche da un brutto incidente che lo costrinse a saltare alcune gare. In seguito ha iniziato a correre con le vetture turismo, categoria in cui è tutt’ora attivo.

Fabrizio Barbazza divenne campione della serie americana Indy Lights ed ebbe l’occasione di debuttare in Formula 1 nel 1991 alla guida della Ags, senza mai riuscire a qualificarsi. Due anni dopo corse con la Minardi nella parte iniziale della stagione 1993 cogliendo due sesti posti, distinguendosi per una gara di grande valore a Donington sotto il diluvio. Tornato in America, fu vittima di un gravissimo incidente che lo costrinse a chiudere anticipatamente la propria carriera.

Alex Zanardi riuscì a mettersi in piedi di fianco a Michael Schumacher alla premiazione dei caschi d’oro pochi mesi dopo quel maledetto incidente che lo privò delle gambe, con la stessa grinta ha poi saputo costruirsi una vita 2.0 in cui ha dimostrato di poter arrivare ovunque, quasi non avesse limiti, diventando campione olimpico, presentatore, scrittore e di nuovo pilota. La sua carriera in F1 fu breve e poco fortunata, con un solo punto ottenuto con l’ormai decaduta Lotus che lo lasciò a piedi e senza un soldo alla fine del 1994, ma anche in quel caso dal punto più basso Alex iniziò una salita inarrestabile che lo portò in vetta alle corse americane. Dopo due titoli oltreoceano visse un’infelice stagione alla Williams, poi ancora negli Usa e il buio, ma con lieto fine.

Giovanna Amati è stata l’ultima donna iscritta ad un mondiale di Formula 1: accadde nel 1992 con la Brabham, team glorioso ormai avviato al fallimento e in pista con la vettura dell’anno precedente, con cui la Amati tentò senza successo di qualificarsi tre volte, risultando però sempre più lenta di 3 / 4 secondi rispetto ai tempi del compagno di squadra Van De Poele, motivo per cui venne sostituita con Damon Hill.

Emanuele Naspetti, dopo una lunga carriera con kart e formule minori, corse alcuni gran premi con la March alla fine del 1992 e poi all’Estoril con la Jordan nel 1993, occasione in cui fu costretto al ritiro. In mancanza di altre opportunità nel circus, ha corso per diversi anni con la Ferrari nel campionato Gt.

Marco Apicella, pilota di successo in oriente (campione formula Nippon), vanta la più breve esperienza in Formula 1: chiamato nel 1993 dalla Jordan a Monza in sostituzione di Boutsen, si ritirò nel corso del primo giro a causa di un incidente, poi fu sostituito a sua volta da Naspetti e infine da Irvine.

Luca Badoer ottenne grandi successi nelle categorie minori, ma nel campionato di Formula 1 non riuscì a conquistare punti, costretto a lottare nelle retrovie tra il 1993 e il 1999 alla guida di auto di secondo piano. Divenne poi storico collaudatore Ferrari e nel 2009 accettò la sfida di tornare in gara in due occasioni in sostituzione di Felipe Massa ma la lunga distanza dai Gp di fece sentire e venne sostituito da Fisichella; arrivò in seguito il saluto definitivo a Maranello, anche a causa di un regolamento assurdo che vieta i test e limita lo sviluppo.

Il Bel Paese non è più in grado da tempo valorizzare il proprio inestimabile patrimonio geografico, storico, architettonico e culturale, allo stesso modo la categoria regina del Motorsport riesce a fare a meno (Ferrari esclusa) dell’Italia, eppure di storie ne abbiamo scritte e raccontate tante, non a caso i piloti di tutto il mondo vedono l’Italia come un punto d’arrivo fondamentale per la propria carriera. Spesso si da la colpa proprio alla Ferrari, ma l’epoca delle vetture verniciate secondo nazione è finita da un pezzo e, purtroppo, il motorsport risponde a logiche di mercato, motivo per cui ridurre tutto a un generico “la Ferrari dovrebbe far correre gli italiani” è riduttivo, in quanto servono anche investimenti, sponsor seri, oltre a maggiore chiarezza nelle categorie inferiori, discorsi ovviamente relativi in un momento in cui la cosiddetta categoria regina basa il proprio futuro su regolamenti artificiali ad uso e consumo della pay tv e sull’esportazione del prodotto in paesi storicamente poco interessati all’argomento, ponendo un grosso punto interrogativo sulla propria stessa esistenza a lungo termine.

Mister Brown

FORMULA 1 GRAN PREMIO DE MÉXICO 2016

Il Circus fa ritorno a Città del Messico dopo la ripresa delle attività lo scorso anno su un circuito che, a seguito del lifting per tornare adatto alla F1, sarebbe quasi lo stato dell’Arte per gli standards attuali non fosse per il fatto che la gloriosa Peraltada è stata sostituita da un complex a bassa velocità che riconcilia con l’orchite fulminante (o una PMS di quelle pesanti per le Signore qui presenti). I bene informati mi dicono che “non sarebbe possibile ripristinarla nemmeno volendo perchè ormai là in mezzo c’è lo stadio del baseball”. Complimenti quindi ai chicani per aver seppellito una delle curve più belle al mondo in ossequio allo Sport nazionale di quelle belle personcine più a nord che han costruito un muro bello alto per impedirne l’ingresso, dato che li considerano degli scarti dell’umanità.

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