Nella sesta parte della bellissima storia del Drake torniamo ai motori, alla velocità e a quella meravigliosa adrenalina che i piloti provano durante le competizioni.
C’eravamo lasciati, sportivamente parlando, con la prima vittoria della Ferrari in un Gran Premio, precisamente il Gran Premio di Gran Bretagna vinto da José Froilán González.
Quella vittoria, così speciale per Enzo Ferrari, fu solo un preambolo di ciò che stava per succedere nel periodo successivo. La Ferrari si stava solo preparando a dar vita ad un momento incredibile della sua storia, ovvero i primi titoli mondiali ottenuti nel 1952 e nel 1953 da Alberto Ascari.
Ma chi è Alberto Ascari?
Credo che per conoscere bene la vita del Drake bisogna concentrarsi anche sull’analizzare le vicende delle persone che, durante la sua vita, lo hanno circondato. Non solo la conoscenza del nucleo famigliare di Enzo Ferrari è determinante nella nostra narrazione, ma è importante saperne di più sui piloti e sui tecnici che hanno accompagnato Ferrari durante il suo percorso in questa terra.
Alberto Ascari può essere considerato una delle persone più importanti nella storia del Cavallino Rampante, inoltre è, attualmente, l’unico pilota italiano ad aver raggiunto la massima consacrazione mondiale in Formula 1.
Ascari fu un pilota fortissimo dal talento cristallino, e, considerando il numero basso di gran premi che allora si effettuavano all’epoca, vinse parecchio. In cinque stagioni ottenne 13 vittorie e salì sul podio la bellezza di 17 volte.
Un numero incredibile per i piloti dell’epoca.
Come pilota era davvero completo e aveva uno stile di guida molto pulito e preciso, Alberto non strapazzava la sua vettura, anzi la trattava con dolcezza, prevenendo spesso molte noie meccaniche.
In gara era solito imprimere subito un ritmo decisamente elevato alla competizione e, nei primi giri cercava di accumulare un discreto vantaggio da amministrare nella seconda parte di gara, per questa caratteristica era temuto da molti, soprattutto da Juan Manuel Fangio.
Alberto era un uomo davvero singolare, con una volontà di ferro, sapeva decisamente ciò che doveva fare, risultava a tutti molto pignolo e preciso ed era uno dei pochi che curava la forma fisica. Aveva capito, prima di altri, quanto un fisico forte potesse rappresentare un valore aggiunto alla gestione sia di una singola gara che di un intero campionato del mondo.
Amava moltissimo la famiglia ma secondo Ferrari non era un padre come tutti, anzi aveva un mondo molto particolare per gestire il rapporto con la prole.
“Una volta gli chiesi la ragione per cui si dimostrava tanto severo con i suoi figlioli, ben sapendo quanto li amasse. Mi rispose: “Ogni volta che rientro da una corsa, porto tutto quello che penso possa farli contenti, in genere cerco di soddisfarli in tutti i loro desideri, i loro bisogni, anche i loro capricci; ma quanto a me, preferisco trattarli con durezza: non voglio che mi amino troppo. Un giorno o l’altro potrei andarmene. Soffriranno di meno, se non me li sarò lasciati venire troppo vicini” (Dialogo fra Enzo Ferrari e Alberto Ascari)
Ascari era anche superstizioso, detestava i numeri 13 e 17 e se, putacaso un gatto nero attraversava la strada erano dolori, prima si fermava e aspettava che qualcuno lo sopravanzasse.
Era talmente tanto ubbioso che, in gara, usava sempre il suo casco e il suo abbigliamento a cui provvedeva personalmente in modo anche maniacale.
Ascari, nato a Milano il 13 luglio del 1918, ha imparato ad amare le corse già da piccolissimo. Il padre Antonio era uno dei più forti corridori del tempo e per il piccolo Alberto non era solo un padre ma soprattutto un eroe da emulare.
Antonio però morì molto presto, il 26 luglio 1925, durante il Gran premio di Francia a Monthlèry. Per Alberto la morte del padre coincise con una rivoluzione della sua vita, di lì a poco, infatti, venne mandato in collegio.
Alla tenera età di 11 anni cominciò il suo amore per le moto tanto che cominciò la carriera nel mondo delle due ruote. Questo percorso, caratterizzato da molte vittorie, fra cui il Gran Premio del Lario, durò sino al 1940.
Nel 1940 avvenne il passaggio nel mondo delle quattro ruote. Alberto Ascari esordì, in coppia con Giovanni Minozzi, alla Mille Miglia su un tracciato modificato in virtù della guerra, a bordo di una Auto Avio Costruzioni 815 fornita da Enzo Ferrari.
Il 10 giugno dello stesso anno avvenne la sua partecipazione anche alla Targa Florio.
Ma, ahimè, venne la guerra che fermò tutto, anche la carriera di Ascari si interruppe bruscamente e il pilota milanese fu costretto a riparare veicoli militare insieme a Villoresi, altro pilota degno di nota dell’epoca. I due si conobbero in una circostanza davvero particolare: Villoresi decise di mettere in vendita la sua Maserati 2300 nel cui motore Ascari trovo vari difetti.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1946, fu Villoresi a procacciare ad Alberto un contratto con la Maserati mentre l’anno successivo Piero Taruffi, pilota sia automobilistico che motociclistico e progettista italiano, persuase Piero Dusio a consegnare una delle sue vetture della Cisitalia ad Ascari, che arrivò secondo al Gran Premio d’Egitto.
La collaborazione con Villoresi non si fermò e insieme comprarono una Maserati con cui parteciparono a varie gare. Vedendo la bravura del pilota milanese la Casa del Tridente concluse che Ascari doveva guidare una vettura ufficiale. Alberto a bordo di una Maserati ufficiale partecipò ad una gara istituita sul circuito di Modena. Alberto vinse ma questo momento di gloria fu rovinata dalla morte di Giovanni Bracco, che, a causa di un bruttissimo incidente, piombò sulla folla.
Ascari ebbe una piccola parentesi in Alfa Romeo ma il richiamo della Ferrari era sempre più forte e, dopo un brutto incidente, avvenuto in Brasile, insieme a Villoresi, nel 1949 approdò proprio nella Ferrari, gestita proprio da quell’uomo che 9 anni prima gli aveva affidato una macchina da corsa.
L’avventura di Ascari cominciò al volante di una 166 F2 con la quale vinse molte gare, ma quella più speciale fu la vittoria ottenuta a Monza, stesso circuito dove trionfò il padre Antonio, 25 anni prima.
L’anno successivo per il pilota italiano giunsero 10 vittorie tra le quali Nurburgring e Silverstone, ebbe purtroppo poca fortuna nella Mille Miglia. In F1 ottenne un secondo posto a Monaco e Monza in una stagione dominata dall’Alfa Romeo.
Il 1951 si rivela un anno più proficuo per la Ferrari in Formula 1, la 375 di Ascari riuscì in diverse occasione ad impensierire l’Alfa Romeo riuscendo a vincere al Nurburgring e poi in Italia, davanti al proprio pubblico.
Ascari ebbe una grandissima delusione in Inghilterra dove si ritirò, mentre il compagno di squadra Froilan Gonzalez agguantava la prima vittoria alla Ferrari.
La Ferrari è oramai vicina all’Alfa Romeo, talmente tanto che nell’ultima parte del mondiale sembra decisamente più in forma della squadra milanese.
Nel 1952 l’Alfa si ritira dalle competizioni e i regolamenti subiscono delle variazioni, fra le quali c’è una novità importantissima, ovvero quella di far partecipare alla F1 anche le monoposto di F2, fra le quali spicca la Ferrari 500 F2.
E’ il 7 settembre 1952, il giorno tanto atteso per Enzo Ferrari, il giorno in cui Alberto Ascari fu incoronato campione del Mondo sul circuito di Monza. Fu proprio Alberto a portare il primo titolo iridato a Maranello.
Un pilota italiano e una macchina italiana improvvisamente si trovavano in cima al mondo, cima raggiunta dopo un dominio incontrastato: cinque pole position, sei giri veloci e sei vittorie per il pilota milanese , tutto ottenuto in 8 gare. Davvero un’avanzata invincibile la corazzata italiana nel 1952.
Oltre il campionato del mondo la squadra di Modena vince anche alla Mille Miglia, l’unico neo di quella stagione da sogno è la disfatta della Ferrari e di Ascari alla 500 Miglia di Indianapolis, dove il duo italiano non riesce a terminare la gara, causa ritiro per un problema ad una ruota.
Nel 1953 la Ferrari e Alberto Ascari si concedono il bis e si rivelano martellanti: 9 gare e la Ferrari ne vince 7, cinque delle quali ancora con Ascari che si conferma campione del mondo, sempre a bordo di una 500 F2.
Gli anni successivi vedono invece affermarsi la Mercedes che, con il pilota argentino Juan Manuel Fangio, si impone su tutta la concorrenza. La squadra tedesca deciderà di ritirarsi dopo la strage di Le Mans 1955, quando in una sua vettura volando sul pubblico ucciderà 80 persone. La Ferrari vinse a Monaco, con Maurice Trintignant, dopo che le Mercedes si erano ritirate e Ascari finì nelle acque del porto.
Uscitone solo con una frattura del setto, non seguì i consigli dei medici di riposare e partecipò subito ad un test privato, a Monza, in cui la Ferrari stava provato la 3 litri Sport. Come afferma il Drake, Alberto aveva fretta di tornare a correre perchè dopo un incidente, bisogna subito rimettersi al volante per evitare di pensarci sopra e di crearsi un’inibizione.
Aveva talmente tanta foga di correre di nuovo che entrò in pista oltretutto senza indossare il casco e al secondo giro trovò la morte. Per alcuni Alberto morì perchè aveva avuto un malore, per altri invece morì perchè un manovale aveva attraversato la pista proprio nel momento in cui era presente il pilota italiano, effettivamente era l’ora di pausa e non erano previste attività.
Si racconta che il manovale avesse addirittura confessato tutto ad un sacerdote ma prove certe non sono stata mai trovate di questo confronto.
E’ cosa certa che la vettura non aveva segni di una frenata violenta, dopo un’attenta indagine, voluta anche e soprattutto da Ferrari, trovarono che la macchina era in condizione perfette, da quel punto di vista.
Il 26 maggio 1955 ci lasciò davvero un grande pilota che amava le corse talmente tanto da non poterne fare a meno.
«Io obbedisco soltanto a una passione. Le corse. Senza non saprei vivere.»( Alberto Ascari)
Ma di Alberto il Drake cosa ne pensava? Ecco a voi un estratto preso dal libro Le mie gioie Terribili
“Il pilota Alberto Ascari aveva uno stile preciso e deciso, ma era l’uomo che aveva bisogno di partire in testa. Ascari in testa era difficilmente superabile: oserei dire ch’era impossibile superarlo…relegato in seconda posizione o più indietro, non era il combattente che io avrei desiderato di vedere in certe occasioni. Non perché disarmasse, ma perché quando doveva inseguire e doveva superare l’antagonista evidentemente soffriva non di un complesso d’inferiorità ma di un nervosismo che non gli consentiva di esprimere la sua classe. Per Ascari valeva proprio l’opposto della norma: di solito infatti il pilota che si trova in prima posizione è preoccupato di mantenerla, si può distrarre nel controllare la situazione dietro a lui, studia il proprio passo, è spesso incerto se spingere o no; Alberto invece si sentiva sicuro proprio quando faceva la lepre; in quei momenti il suo stile diventava superbo, e la sua macchina imprendibile.”
Laura Luthien Piras
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