[Premessa: nel momento in cui scrivo, io non so se Valentino Rossi si ritirerà o continuerà anche il prossimo anno, ma nel caso si ritirasse, il discorso è comunque valido per cercare di spiegare perché, secondo me, è andato avanti fin qui, invece di ritirarsi prima].
Come chi mi conosce o frequenta questo meraviglioso luogo sa, io sono tifoso di Rossi.
Sarà che sono pesarese (oddio, non proprio, in realtà sono novilarese, ma c’entra comunque un po’: Graziano Rossi è originario di Novilara, a Tavullia s’è trasferito successivamente, e mia nonna se lo ricorda ancora, compreso il suo soprannome di famiglia che si usa dalle mie parti e che è praticamente un secondo cognome: Portavia. E infatti, ogni volta che mi vedere guardare una gara, mi chiede “Chi corr? El fiol de Portavia? Co’ fa, vinc?” ovvero “Chi corre? Il figlio di Portavia? Cosa fa, vince?” – No, nonna, è da un po’ che non vince…).
Sarà che è il mio vicino di ombrellone al mare (anche se, per ovvi motivi, non si vede quasi mai).
Sarà che da ragazzino ho visto uno con uno Zip truccato, che faceva in casino infernale, farsi tutto Viale Gramsci impennando uscendo da scuola, e chiesi “ma chi è sto matto?” e mi dissero che era uno matto per forza, visto che era il figlio di un altro matto, e cioè Graziano Rossi, e che pure lui faceva le gare in moto. Per poi ritrovarmelo, in seguito, in tv a correre nel motomondiale. E a vincerlo.
Ma tant’è, ho sempre tifato per lui e continuo a tifarlo tutt’ora.
Non per rispetto, o gratitudine, o riconoscenza, ecc. come chiesto da un noto giornalista in un suo recente articolo, perché “non è giusto abbandonarlo ora che non vince ed è in difficoltà”, o altre facezie simili.
Sì, “facezie”, perché il tifo non è una questione di ragionamenti o riconoscenze, non ha niente a che vedere con le suddette argomentazioni, ma è una questione di sentimenti, di pancia.
Certo il tifo passato può tenere in vita i sentimenti che spingono al tifo nel momento presente, ma non li si può pretendere a prescindere se non ci sono o se si sono persi.
I miei, comunque, non si sono ancora persi.
Ora dirò una cosa che farà storcere il naso a molti: fa bene Rossi a continuare (ovviamente se ne ha voglia)?
Sì.
Vediamo di intenderci, però.
Io credo che Rossi riuscirà a fare altri podi?
Non facile, ma nemmeno impossibile.
Io credo che Rossi riuscirà a vincere altre gare?
Molto difficile, ma non del tutto impossibile.
Rossi riuscirà a vincere un altro mondiale?
No.
(E, per questo, spero che ci riescano Pecco o Morbido).
Io però, soprattutto per le questioni sportive, sono sempre stato per il “mai dire mai”, visto che l’assoluta certezza delle cose e del futuro non esiste, quello che accadrà è imperscrutabile e, seppur raramente (perché il più delle volte accade quello che ci si aspetta, o quasi) l’impossibile può anche accadere.
Vedi Mir che vince un mondiale MotoGP su una Suzuki nell’era dello strapotere Marquez-HRC (certo, a causa del problema avuto da Marquez, ma che non era possibile, appunto, prevedere).
O Morbidelli che mi diventa vicecampione del mondo guidando una moto vecchia.
O il Leicester che vince la Premier League.
O la squadra di Pesaro di volley femminile che nella stagione 2007/2008 mi porta a casa il primo scudetto contro tutti i pronostici (tutti erano concordi nel dire che la squadra era troppo giovane per poter seriamente pensare di vincere, così le ragazze giocarono tutti i play-off con la scritta “GUC” sul braccio, per poi rivelare, una volta vinto lo scudetto, che significava “Giovani Un Cazzo”. Grandissime!).
Questo per restare su eventi più o meno recenti, ma la storia dello sport ne è piena.
E vivaddio che sia così, altrimenti perché correre gare e giocare partite? Si assegnino posizioni e vittorie a tavolino e non stiamo nemmeno a perdere tempo (e spendere soldi) per vedere che succede in pista, se si corre, o in campo, se si gioca.
(immagine originale di ZeBaldo)
Ma, indipendente da quello che io pensi o non pensi su Rossi, il fondo del discorso è un altro: a Rossi, di quello che penso io, o che pensa chiunque altro, fosse anche la maggioranza delle persone, che gliele importa?
Direi un bel niente.
E aggiungerei “giustamente”.
Io credo che il punto, per definire se fa bene o sbaglia a non ritirarsi, sia nel mettersi nei suoi panni.
Cosa che non è difficile.
Quello che però è difficile, per comprendere, è farlo non immaginandosi di essere al suo posto con il nostro punto di vista ed il nostro sentire, ma con il suo.
Anzi, direi che, a meno che non sia lui ad esternare cosa lo spinga e cosa prova, sia impossibile riuscirci.
E senza poter fare questo, non potendo quindi comprende, è impossibile anche dire se sbagli o meno.
Questo non significa che, dal punto di vista di ciascuno (e quindi non il suo) non si possa avere un’opinione o un giudizio a riguardo, ed invocarne il ritiro a fine anno, o immediato, o dire che avrebbe dovuto farlo tempo fa, ci mancherebbe altro non si possano esprimere liberamente le proprie sacrosante opinioni.
Ma lui, dal suo punto di vista (secondo me), sta facendo la cosa che si sente di fare, e che quindi per lui (ribadisco “per lui”) è la cosa giusta.
Poi, se avrà sbagliato, se in futuro si convincerà che sarebbe stato meglio ritirarsi prima, avrà tutto il tempo per rimuginare sui suoi “sbagli”, metabolizzarli e superarli facendosene una ragione.
E “sbagli” lo scrivo tra virgolette perché, nella vita, gli “sbagli” non sono in realtà tali se si è fatto quello che ci si sentiva di fare, ma, ad essere davvero sbagliato, è fare il contrario di ciò che si sente e si desiderare fare, fosse anche ciò che per tutti gli altri sarebbe la cosa “giusta” da fare.
Ed anzi, per chiudere la parentesi pseudofilosofica, gli sbagli davvero gravi sono quelli che si rivelano tali ed hai fatto facendo il contrario di ciò che ti sentivi, dando retta a quello che ti dicevano gli altri. Quelli sì che sono amari e difficili da accettare e metabolizzare.
È per questo che, alla domanda se Rossi fa bene a continuare, invece di ritirarsi, io rispondo “Sì”, indipendentemente da quello che io possa pensare sulle sue reali possibilità di fare risultati nel mondiale: se per lui è la cosa giusta da fare, che la faccia, finché le circostanze gli permettono di farlo.
Sì perché non tutto dipende solo dalla nostra volontà, ma anche dalle possibilità che si hanno per esercitarla.
Se si sente di corre ancora, che lo faccia finché c’è chi è disposto a dargli una moto.
C’è gente che pagherebbe oro per salire su una moto del mondiale e correre un intero campionato, mentre lui lo pagano pure per fare ciò che lo appassiona.
Bella fortuna, che non è da tutti.
Che ne approfitti, se ne ha voglia e se la sente, finché dura (perché non durerà per sempre).
(Non entro nel discorso se sia giusto o meno che ci sia ancora chi è disposto a dargli una moto e perché, in quanto si aprirebbe un altro discorso ampissimo, che però, seppur fondamentale in relazione al fatto che abbia la possibilità di farlo, non lo è sul se e perché abbia ancora voglia di farlo, che è, invece, il nodo del discorso che mi interessa).
Detto questo, provo ad entrare nella testa, e, soprattutto, nel sentire, di Valentino Rossi.
Ovviamente non lo faccio con cognizione di causa, non conoscendolo personalmente, ma basandomi sulle mie idee ed impressioni, perché questo è soltanto il pourparler di un patacca qualsiasi che lo tifa, qual son io, nell’attesa di conoscere cosa deciderà per il prossimo anno.
Rossi può essere ancora competitivo?
Alla luce dei risultati degli ultimi anni a tutti viene da dire, con una certa sicurezza “no”, ché ormai la sua parabola è in decisa picchiata e farebbe meglio a ritirarsi, così da non oscurare la leggenda che è stata ed, anzi, a tal fine, sarebbe stato meglio ritirarsi tempo fa.
Io non sono d’accordo.
Lo sono, come già detto, sul fatto che difficilmente Rossi potrà essere ancora competitivo, ma non sul motivo.
Mi spiego meglio.
Certo che Rossi non è più, per ovvie ragioni, il pilota al massimo del suo potenziale che era nei suoi anni migliori, ma in parabola discendente, però credo che non lo sia ancora al punto da non poter essere competitivo.
La penso come Carl Fogarty, che in una recente intervista ha detto: “Sono sicuro che se si togliesse tutta l’elettronica, sarebbe ancora in testa”.
Adesso, magari in testa no, ma a giocarsela alla pari coi ragazzini terribili della nuova generazione, sì.
Poi mi si può dire che il mio è un giudizio alterato dal tifo, ma se sono in compagnia di gente come “King” Carl, mi sento un po’ meno solo.
Ma il problema è, appunto, che il mondo cambia ed anche le moto si sono evolute e non sono più le stesse di qualche anno fa, ma queste sono adesso e con queste devi vincere, se vuoi vincere.
Rossi è passato per varie ere del motociclismo, dalle 2 tempi alle 4 tempi, e per le diverse cilindrate che si sono susseguite negli anni in top class.
Quando Rossi ha iniziato non è che arrivavi in classe regina e vincevi il mondiale, ma dovevi fare gavetta imparando a domare tutti quei cavalli scorbutici e brutali del 2T, e dovevi imparare a farlo col il solo polso destro.
E, pure nei primi anni delle 4T, l’elettronica non era ancora così avanzata come lo è ora.
Questo non significa che con le moto di adesso sia più facile vincere, perché nemmeno ora vinci un mondiale se non sei un fenomeno vero e non ci dai del gas più degli altri.
Dico solo che, con il livello raggiunto dall’elettronica, è tutto diverso, a partire dal come guidare la moto.
Oggi, secondo me, forte ci vai se, oltre al grande talento, che è imprescindibile sempre, riesci a trovare la combinazione giusta tra il tuo stile di guida (e adattarlo, se necessario – “se necessario” perché Pecco sta dimostrando che a volte si può guidare una stessa moto in maniera diversa dagli altri riuscendo comunque ad andare forte), le caratteristiche della moto e il riuscire a trarre il massimo da ciò che l’elettronica ti permette di fare con la moto, riuscendo a fidarti ciecamente di essa, e, quindi, a non chiudere il gas, e, al contempo, farla lavorare in modo che non si mangi le gomme.
È evidente, alla luce degli scarsi risultati, che Rossi, ora come ora, non riesce ad adattarsi alle attuali moto ed a trarne il massimo.
Io, pur essendo tifoso, non è che lo difendo a tutti i costi, sempre e a prescindere, anzi, in un commento di un articolo pubblicato qui dopo la prima gara di quest’anno, scrissi:
“Rossi lamenta la mancanza di velocità di punta e di conseguenza maggiore difficoltà nei sorpassi, e su questo non gli si può dire niente, però di nuovo pare che il risultato sia dovuto ai problemi di usura delle gomme, e su questo, invece, si può parlarne eccome: se Vinales c’ha vinto la gara, significa che lui sta sbagliando qualcosa nel setting, e pare incaponirsi su quel qualcosa, visto che da anni va avanti sta storia. Anche se, c’è da dire, che anche gli altri negli anni passati hanno avuto lo stesso problema, ma quando il problema è per tutti, il problema è della moto, se, come stavolta, è solo tuo, il problema è tuo”.
Ma il far fatica ad adattarsi alla guida della moto non è che sia un problema solo suo.
Non mi pare che per altri che hanno fatto fatica si sia chiesto il ritiro.
Quando Lorenzo ha fatto fatica in Ducati nessuno gli ha detto di ritirarsi (ché poi alla fine è riuscito ad adattarsi ed a vincerci gare – ed è stato un enorme peccato che, a causa delle decisioni prese troppo presto, la loro avventura insieme non sia continuata).
Quando l’anno dopo in Honda è stato in grossa difficoltà nessuno gli ha chiesto di ritirarsi (certo, poi l’ha fatto lo stesso, ma è stata una scelta sua e per motivi suoi, ma comunque non invocata da nessuno).
Eh, ma Rossi da quand’è che non vince?
Certo, l’ultima volta che è stato in lotta per il mondiale arrivando secondo era il 2016.
Ma il vero anno orribile, tolto quello in corso, è stato l’anno scorso, perché l’anno prima è entrato comunque in una dignitosa top 7 a poco più di 35 punti da Vinales, e quello prima ancora in top 3, cioè il primo dopo la coppia Marquez-Dovizioso che si giocavano il mondiale, poi stravinto d’imperio da Marquez.
Quindi, tutti quelli dietro di lui negli anni precedenti avrebbero dovuto ritirarsi?
Petrucci (per fare un confronto tra piloti ufficiali) nel 2019 con la Ducati ha fatto solo 2 punti in più di Rossi (per dare anche un confronto con il compagno, a -95 da Dovizioso, contro i -37 di Rossi da Vinales) e l’anno scorso appena 12 più di Rossi (a -78 dal compagno, contro i -66 di Rossi), ma non mi pare che qualcuno ne abbia invocato il ritiro.
Che si possa aver difficoltà a tirare fuori il massimo da una moto non è, quindi, una cosa così fuori dal comune, anzi…
Ma d’altronde non è che ce ne sono tanti in giro di fenomeni dal grandissimo talento di salire su una moto ed adattarsi lui alla moto invece di cercare di adattarsi la moto a lui, come Stoner, ed andarci subito forte.
Poi è legittimo e sacrosanto pensare ed avere la convinzione che le sue difficoltà siano dovute al fatto che ormai, alla sua età, non ne abbia più.
Così come è legittimo e sacrosanto pensare, come me, che ancora ne abbia, ma che queste moto non sono più adatte a lui, ché per trarne il massimo serva una guida diversa che lui non riesce ad adottare, e che, per questo, si incaponisca per cercare di trovare il modo di rendere la moto come quelle con cui si trovava bene lui, ma che ormai, forse, non è più possibile.
E che ha fatto quindi bene Yamaha a sostituirlo con Quartararo.
Ma ha anche fatto bene a fornirgli una ufficiale, seppur accasandolo in un team satellite, permettendogli di continuare a provarci e vedere che succede. Anche perché, fino ad appena un paio d’anni fa, Yamaha non era sicura di essere sulla strada giusta con lo sviluppo, visto che pure Vinales manifestava difficioltà, e non lo erano in realtà nemmeno l’anno scorso, visto che gli altri ufficiali Yamaha non sono mai riusciti a trovare costanza, passando da gare in cui facevano podi e vittorie a gare in cui hanno rischiato di uscire anche dalla zona punti tanto erano in difficoltà con la moto (e quindi qualche problema forse c’è ancora).
(Quest’anno è appena iniziato e, anche se Quartararo sembra bello in palla, alla luce di quello che è successo poi l’anno scorso dopo un inizio scoppiettante, è tutto da vedere come proseguirà).
Ma questo, di nuovo, è quello che penso io.
Ma ciò che conta è quello che pensa lui.
Io credo che anche per lui sia difficile da reggere questo periodo e che non si diverta affatto ad “arrivare dietro tutte le domeniche”.
Cosa lo muove allora?
Che cerchino di tenerlo dentro al circus in tutti i modi, per forza, magari anche se lui in realtà vorrebbe smettere, temendo le ripercussioni sugli ascolti se si ritirasse?
Io non credo.
Se avesse voluto ritirarsi quale momento migliore se non quando sei in crisi perché tu possa farlo senza che nessuno possa dirti niente né insistere più di tanto?
E direi che negli ultimi anni ne ha avuti di momenti adatti a questo scopo.
E pure ora: se volesse ritirarsi, ma cercano in tutti i modi di tenerlo dentro, quale momento migliore della sua attuale crisi, la più grossa di sempre, per dire “Vedete che non ce la faccio più? Non insistete: mi ritiro. Punto.” e tanti saluti.
No, secondo me, se avesse voluto ritirarsi prima, lo avrebbe già fatto senza tanti complimenti.
Tra l’altro, non credo nemmeno che ci sarà tutta questa crisi di ascolti quando si ritirerà.
Certo do atto a Rossi che, nel bene e nel male, ha attirato spettatori, sollevando l’interesse per questo sport, attirando l’attenzione mediatica e, con essa, il fiume di soldi di sponsor & Co.
(immagine tratta da derapateallaguida)
Ha portato anche “tifosi da calcio”?
Certo.
Però ha portato anche gente ad appassionarsi ad uno sport al quale, forse non si sarebbe appassionata senza di lui (un po’ come Tomba con lo sci), e per questo credo che ci sarà anche chi, quando si ritirerà, continuerà a seguire le gare, perché la passione per lo sport poi rimane. Sono i “tifosi da calcio” quelli che, probabilmente, se ne andranno.
Io penso che ormai l’attenzione e la passione per il motomondiale sia tale da poter tranquillamente sopravvivere senza subire contraccolpi troppo grandi anche dopo il ritiro di Rossi.
Io, ad esempio, ho iniziato a seguire il motomondiale perché c’era Rossi, oppure lo avrei iniziato a seguire anche senza di lui?
Boh.
In quel periodo mi stavo appassionando al motorsport, anche se il primo amore, è stata la F1.
Forse avrei iniziato a seguire il motomondiale comunque, anche se non ci fosse stato Rossi.
O forse, senza l’attenzione mediatica che ha portato, magari non mi ci sarei mai appassionato.
Non so dirlo.
So solo dire che, anche quando Rossi si ritirerà, continuerò a seguire le gare esattamente come ora.
Ma quindi, se non è ancora lì a correre perché stanno cercando di tenerselo e non farlo smettere in tutti i modi, cos’è che lo fa continuare?
La passione della sfida.
In molti (pure io) identificano il divertimento nel fare podi, vincere le gare e vincere il mondiale.
È ovvio che, se hai successo, ti diverti di più.
Ma credo che per Rossi, in questa fase della sua vita in cui è già leggenda e non ha necessità di dimostrare un bel niente, il divertimento stia, oltre che nel guidare le migliori moto del mondo (un po’ come Kimi, per il quale il divertimento che lo tiene ancora lì è, secondo me, divertirsi a guidare le migliori auto del mondo, anche se gli unici risultati in cui può sperare è di racimolare qualche punto), nella sfida in sé, nel provarci ostinatamente, anche se non ci riesce, a vincere il decimo mondiale.
E farlo, nonostante non ci si riesca, finché pensa di avere la possibilità di riuscire, perché la parabola discendente delle sue capacità non è ancora tale da non poter riuscire, ma che si tratti solo di trovare il bandolo della matassa per sfruttare le moto attuali, trovando il giusto mix tra l’adattarsi lui alla moto e la moto a lui, tra elettronica sempre più spinta e resa delle gomme.
D’altronde, se uno è un vincente, è un vincente, e lo è anche quando perde: solo i perdenti mollano quando pensano di poter ancora competere e gli vengono ancora dati tutti i mezzi per provarci.
Questo non significa che non sia sacrosanto ritirarsi quando senti che per te è ora di smettere, visto che su quelle bestie, anche se spesso ce lo dimentichiamo tra una tragedia e l’altra, si rischia la vita ad ogni curva.
Che sia proprio perché non te la senti più.
Che sia perché hai vinto tanto e ti è passata un po’ “la fame”.
O che sia perché vedi che non riesci più vincere e non lo sopporti, oppure se, per la tua indole, pensi che, se non puoi vincere, o ti è diventato molto più difficile farlo, allora non ha senso correre.
Però ho più stima di chi sente di esserne ancora capace e ci prova nonostante le botte sui denti, invece che mollare.
Così come ho più stima di chi continua ad aver fame anche se quella fame è diventata estremamente difficile da soddisfare, piuttosto di chi ha fame ma riesce a soddisfarla con più facilità, come ad esempio un Hamilton (anche se è, ovviamente, notevole che non sia mai sazio e continui a non passargli la fame nonostante tutto quello che ha già vinto e sta vincendo), perché avere fame riuscendo a soddisfarla è una cosa, un’altra continuare ad averla anche nelle difficoltà.
Sarà che Rossi non riesce a riconoscere o ad accettare i suoi limiti dovuti all’età che è avanzata?
Forse.
Ma, di certo, si ritirerà quando (a parte se non troverà più qualcuno a dargli una moto) anche lui si convincerà che è una sfida che non può vincere perché ormai non ne ha più le capacità, i riflessi, la forza.
Ma questo è, di nuovo, qualcosa di solo suo ed indipendente da cosa pensino gli altri.
Eh, ma così offusca (se non addirittura distrugge) la sua immagine di leggenda che si era costruito negli anni con suoi successi.
Io non credo che gli ultimi anni opachi possano cancellare il passato e ciò che è stato.
Però concordo che, comunque, così l’immagine ne può uscire compromessa rispetto all’essersi ritirato quando ancora, anche se non vinceva più mondiali, era lì a giocarselo.
Ma, di nuovo, questo è quello che pensiamo noi.
Poi bisogna vedere cosa pensa lui.
Ma soprattutto io credo che occorra fare una distinzione importante per (provare a) capire, tra il “Valentino Rossi Leggenda” e il “Valentino Rossi Essere Umano”.
Credo che quando si invoca il ritiro, per non offuscare l’immagine che si è faticosamente costruito, lo si faccia pensando al “Valentino Rossi Leggenda”, che non si vorrebbe vedere offuscare o spegnersi perdendo il fulgore di quando vinceva.
Però, come dice la psicologia, noi non siamo i nostri insuccessi, e nemmeno i nostri successi.
Non siamo quello che facciamo.
Non siamo quello che proviamo.
Rossi è un essere umano, esattamente come tutti gli altri, non i suoi successi, non la sua leggenda, e nemmeno gli attuali insuccessi.
Rimanendo in tema di psicologia (da quattro soldi, invero), i nostri sentimenti e le nostre sensazioni, positive o negative, sono dei messaggeri che vanno ascoltati, perché ci dicono cosa dobbiamo fare per stare bene ed essere felici. Non farlo, o fare il contrario, ci rende infelici.
Ma la felicità non è per tutti uguale.
Per qualcuno la felicità può essere aver avuto una storia di vittorie leggendarie e ritirarsi prima del declino, sapendo di aver così lasciato una straordinaria immagine di sé.
Ma per Rossi la felicità potrebbe benissimo essere il correre in moto inseguendo la sfida impossibile del decimo mondiale, in cui può anche non crederci nessuno, a parte lui (ma, se gli danno la moto per provarci, forse reconditamente ci crede anche qualcun altro).
Se questa è la sua felicità, perché rinunciarci in nome di un qualcosa, cioè l’immagine di sé, che per lui può avere una importanza minore?
Non che non gli importi nulla della sua immagine, anzi.
Però sui due piatti della bilancia ci sono da una parte l’immagine che si è costruito con le vittorie, e dall’altra fare quello che lo stimola e lo rende felice, cioè correre e provare a vincere una sfida impossibile (per noi, ma non del tutto per lui, perché altrimenti si sarebbe già ritirato).
Evidentemente, per lui, vale più il divertirsi, e dunque il sentirsi bene, che la sua immagine.
E, se avessi ragione, se fosse davvero così, ha tutta la mia stima, perché un uomo è davvero libero quando se ne frega e di cosa dicano e pensino gli altri e, se necessario, della propria immagine (e ancor più se aveva un’immagine ingombrante come la sua), non rimanendo, quindi, schiavo di essa (con conseguente rinuncia a fare ciò che si ha voglia di fare).
Sentirsi bene ed essere felici vale più di qualsiasi immagine, fosse anche quella di una leggenda come Valentino Rossi.
Non ci riuscirà a vincere il decimo.
Ma, se dovesse riuscirci, quell’immagine che sembrava offuscata, riprenderà ancor più vigore di prima, perché diventerebbe ancor più leggenda.
E nello sport (come nella vita) non si può mai prevedere il futuro e sapere sempre con assoluta certezza cosa accadrà e cosa no, e a volte, seppur raramente, le cose impossibili accadono.
Se non accadrà, ne sarà comunque (per lui) valsa la pena godersi la sfida, perché è meglio essere il “Valentino Rossi Essere Umano” che si diverte ed è felice, che essere il “Valentino Rossi Leggenda” che per rimanere tale, deve rinunciare a ciò che ha voglia di fare.
E io, da tifoso, pur pensando che non accadrà, continuo a sperare nell’impossibile, ricordando il “Valentino Rossi Leggenda” mentre guardo il “Valentino Rossi Essere Umano” provare ad inseguire e raggiungere un sogno impossibile, che scappa via a più di 300km/h.
ZeBaldo
(immagine di copertina tratta da periocaldailysport)
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