F2 BAHRAIN 2021 – NOTHING’S SHOCKING

Benritrovati. Dopo due mesi di pausa, torna la F2 con l’appuntamento di Montecarlo. Per seguirlo con la giusta consapevolezza, ecco la cronaca del round precedente del Bahrain. Per un’introduzione generale alla stagione e alle sue differenze con la precedente, questo è l’articolo che fa per voi. Laddove non espressamente specificato, le immagini provengono dall’account Twitter ufficiale della F2

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Il Venerdì del nuovo format è lo stesso del passato. Dopo aver fatto segnare il tempo migliore nei test, Felipo Drugovich conclude al vertice anche la sessione di prove libere. Visto che i piloti conoscono bene il circuito, avendovi condotto i test poche settimane prima e due appuntamenti di fila a Novembre, la pista ha visto poca azione. I valori in campo restano confusi, se non che Campos, Trident e HWA si confermano come le scuderie peggiori. Si distingue in negativo Alessio Deledda, ultimo a un secondo e mezzo dal teammate Matteo Nannini, penultimo.

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Le qualifiche sono invece tirate fino al millesimo. Come si immaginava, la lotta per la pole è ristretta a Drugovich, Guanyu Zhou (entrambi su UNI Virtuosi), Christian Lundgaard (ART) e Robert Shwartzman (Prema). Il primo ad abbandonare la contesa è proprio il russo, abbandonato dalla macchina mentre si stava lanciando per il secondo tentativo. Il rapido miglioramento delle condizioni della pista lo relegherà al dodicesimo posto al termine delle qualifiche. Per il resto gli altri tre si alternano in testa alla classifica dei tempi e all’ultimissimo momento utile la spunta Zhou per 3 millesimi (!!!) su Lundgaard. Più attardato è Drugovich, terzo ma a tre decimi e mezzo. Colpisce il quasi rookie Juri Vips (Hitech, academy Red Bull), quinto, mentre sorprende il rookie Richard Verschoor, sesto con la modesta MP Motorsport e migliore dei novellini. Gli altri sono attardati, Oscar Piastri (Prema) ottavo e Theo Pourchaire (ART) dodicesimo.

Dopo le qualifiche Vips sarà escluso dalle qualifiche (quindi partirà 22o) in quanto la sua Hitech non rispettava i limiti di regolamento. Si scopre anche la causa dello stop forzato di Shwartzman: l’uso combinato di acceleratore e freno per scaldare le gomme ha invece attivato il sistema di sicurezza della vettura, che ha spento la macchina. Dopo la squalifica di Vips, partirà undicesimo.

Per compiere un rapido recap del nuovo format: si disputano 3 gare, due il Sabato e una la Domenica. Gara 1 e 2 si corrono al Sabato su una distanza ridotta (23 giri in Bahrain). Per comporre la griglia di partenza della prima si considera l’esito delle qualifiche e si applica l’inversione dei primi dieci concorrenti, mentre per la seconda si prende l’ordine di arrivo di gara1 e anche qui si invertono i primi dieci. Gara3 sarebbe la vecchia Feature Race, si tiene di Domenica e prevede una distanza maggiore (in Bahrain 32 giri) e un pit stop obbligatorio; stavolta i piloti partiranno nelle posizioni conquistate in qualifica, senza alterazioni.

“Conservare” è stata la parola chiave di gara1. Le coperture, perché l’asfalto a 50° scioglieva le gomme e perché non si può sprecare un secondo set già nella prima gara. La macchina, perché una monoposto distrutta non si ripara in tempo per la gara serale. Le posizioni, perché a chi ha conquistato le prime posizioni in qualifica conviene andare cauti e terminare su per giù nelle stesse posizioni in cui si è partiti (magia della doppia reverse grid: perché rischiare a rimontare dalla nona/decima posizione, se tanto ci si ritroverebbe a partire di nuovo ai margini della top 10 in gara2?). Per tutte queste ragioni, il 90% del risultato finale di Gara1 si decide nei primi tre giri.

Liam Lawson ha lo spunto migliore e nell’arco di duecento metri balza dalla terza alla prima posizione; Pourchaire fa l’opposto, scendendo dalla pole alla terza piazza. Piastri (quarto) ne perde tre, mentre le due UniVirtuosi restano attardate a centro gruppo. Vale la pena di soffermarsi sullo start di Shwartzmann: nell’arco di nove curve passa dall’undicesima alla quinta posizione. Più dello scatto è stato determinante il coraggio e l’intelligenza con cui ha affrontato le frenate insidiose di curva 1 e 4 e la pazzia con cui ha attaccato il teammate al tornantino.

All’inizio del secondo giro Ticktum travolge Verschoor; la macchina di Armstrong si spegne all’improvviso e Boschung, che seguiva, non riesce a evitarlo; Drugovich rientra ai box per sostituire l’alettone danneggiato nel primo giro. Il resto della gara si trascina sonnecchiosa fino alla bandiera a scacchi. Daruvala passa Pourchaire e Beckmann ma Lawson si rivela insormontabile; il francese della ART più avanti rompe il motore mentre è terzo. Shwartzmann, che forse ha stressato troppo le coperture al via, appare fin da subito in crisi di gomme ma resiste alla pressione del teammate, che sembra già a suo agio con le nuove gomme Pirelli.

Alla fine vince Lawson con nove decimi su Daruvala I due hanno fatto gara a sé, basta pensare che Beckmann, ottimo terzo con la Charouz, accusa 14 secondi di ritardo (!!). Esordio migliore non poteva esserci per il neozelandese di scuola Red Bull, per quanto aiutato dalle circostanze. Come anticipato, Shwartzman conclude quarto davanti a Piastri, Lundgaard e Zhou. Ottavo è Ticktum, penalizzato di 5s per il contatto con Verschoor. Le sorprese principali sono state Guilherme Samaia, nono al traguardo ma purtroppo penalizzato per un’infrazione del regime di VSC (sarebbero stati i primi punti in F2), e Juri Vips, capace di rimontare dalla 22° posizione alla decima, che vale la pole in position di gara2. Drugovich è solo sedicesimo.

Gara1 è stata tanto lineare e prevedibile quanto gara2 caotica e ricca di azione. Diverse ragioni concorrono a spiegare le differenze dei caratteri; la principale è che la griglia di partenza è frutto di ben tre rimescolamenti dei valori in campo (inversione delle qualifiche – gara1 – inversione di gara1), col risultato che l’ordine con cui i piloti sono distribuiti nel gruppo non rispecchia i veri rapporti di forza. Detto in altri termini, i piloti non partono nelle posizioni rappresentative della loro velocità, pertanto saranno necessari molti duelli in più per ristabilire l’ordine.

In pole position in gara2 c’è Yuri Vips, seguito da Lirim Zendeli (MP, rookie) e dalle teste di serie: Ticktum, Zhou, Lundgaard, Piastri, Shwartzman. Tutti i piloti partono su gomme dure tranne Zhou e Armstrong, che calzano invece le soft.

La partenza è caotica. Shwartzman parte bene e per superare Lundgaard stacca molto profondo in curva 1. Ticktum privilegia l’inserimento in curva 2, quindi frena e sterza prima degli altri. Il contatto è inevitabile; entrambi i piloti finiscono fuori gara e per la prima volta in campionato entra la SC. L’incidente ha scatenato il caos alle spalle dei primi; Piastri, che aveva avuto un pessimo scatto, riesce a recuperare e resta quinto; Drugovich in poche curve scala dalla 16a alla 7a posizione (!); Lawson passa dalla decima alla quarta posizione, mentre Armstrong e Pourchaire, partiti quasi ultimi, si ritrovano a centro gruppo. Lo scontro tra Ticktum e Shwartzman viene derubricato a contatto di gara, ma ad essere onesto entrambi potevano tenere condotte meno rischiose.

Alla ripartenza Zhou fa valere la superiorità delle gomme soft e in un giro sorpassa Vips e Zendeli e si porta in testa. Guadagna quello che serve per portarsi al di fuori del DRS, dopodiché si mette a gestire le coperture in attesa degli eventi. Dietro di lui al contrario Piastri, Lundgaard e Drugovich fanno a sportellate, con il brasiliano che la spunta sugli altri due. La cavalcata del pilota UniVirtuosi continua e scavalca anche Zendeli. Lundgaard si libera di Piastri (non particolarmente incisivo in questa fase) e, non volendo regalare terreno al rivale,  anche lui va all’attacco di Zendeli. L’affondo in curva 1 è ragionevole ma i due non si capiscono: il danese tocca il tedesco, che fora una gomma ed è costretto a ritirarsi. Lo svedese della ART verrà punito  con 10s di penalità (IMHO sproporzionata).

Vale la pena segnalare le rimonte di Pourchaire e Armstrong, partiti 19 e 20 ma ora 8 e 6. In questo momento la gara vive la consueta fase di attesa del decadimento delle coperture, per quanto più elettrica del solito. L’avvenimento degno di nota di questa fase è Gianluca Petecof (Campos), che in un giro perde sei (!) posizioni, a dimostrazione che il balzo da Formula Regional a F2 è notevole. Armstrong e Zhou continuano a far segnare tempi ottimi; la hard dimostra di avere lo stesso degrado termico della soft, col risultato che il vantaggio sulla lunga distanza è limitato.

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La gara si ravviva al giro 15, con Lawson, Lundgaard e Drugovich che inscenano un duello rusticano: il brasiliano attacca il neozelandese in curva 1, Lundgaard passa entrambi in curva 3, Drugovich prova a riprendersi il maltolto in curva 4 ma finisce solo per prendere in pieno Lawson, costringendolo al ritiro. Entra la SC in pista e numerosi piloti ne approfittano per montare un set di gomme più fresche. Zhou prosegue con le sue vecchie soft mentre dei primi rientrano Vips, Lundgaard (che ne approfitta per scontare i 10s di penalità – proprio per questo il suo teammate deve aspettare un giro per la sosta) e Piastri.

Zhou ha un compito molto difficile davanti a sé: non solo è su gomme più vecchie, ma monta anche la specifica più fragile. La ripartenza vede la superiorità delle gomme soft sulle hard e delle coperture nuove sulle vecchie. Armstrong (terzo su soft vecchie) passa Drugovich (secondo e con una penalità pendente), ma alle loro spalle i piloti che hanno pittato mostrano tutt’altro passo: Piastri passa dalla decima alla sesta posizione in quattro curve; nell’arco di un giro, i piloti su S sono tutti nella top6; due giri e sono tutti in top 4.

Zhou ha approfittato delle lotte alle sue spalle per costruire un vantaggio di 3s, che Vips divora non appena ha pista libera. Entra la VSC per rimuovere la macchina di Deledda; sembra una fortuna per Zhou, ma non dura che un giro. Alla ripartenza Vips cerca l’attacco in curva 1, non riesce e anzi si deve difendere da Piastri, che sembra essere il pilota più veloce sulle Soft. Nel frattempo Drugovich e Armstrong affondano mentre Lundgaard è in rapida rimonta. La gara sembra nelle mani dell’estone, ma a tre giri dalla fine gli si rompe il cambio. Il testimone viene raccolto da Piastri.

Zhou è l’unico su gomme vecchie che ha retto il passo dei piloti su gomme nuove, ma all’esordio dell’ultimo giro è destinato a capitolare. Piastri lo passa in curva 1, Lundgaard si butta all’interno e stacca profondissimo per passarli entrambi. ART e Prema entrano appaiate in curva 2, l’australiano spinge lo svedese sullo sporco. La ART si scompone e Zhou lo ripassa. Per qualche metro il cinese ha anche la Prema nel mirino ma il gap prestazionale è ormai incolmabile. Piastri lo regola in frenata, dopo poche curve viene superato anche da Lundgaard e chiude terzo per un soffio davanti a Daruvala.

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Piastri vince da star la sua prima gara in F2. La SC lo ha aiutato, ma si è rivelato efficace in tutti i duelli e si è tenuto lontano dai guai. Secondo è Lundgaard, dopo che in un primo momento si era pensato che aver scontato la penalità scontata sotto SC non fosse valevole. A punti anche Verschoor(partito ventunesimo), Pourchaire (partito diciannovesimo), Beckmann e Sato.

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Anche Gara3 si svolge all’insegna del caos, dei duelli e dei colpi di scena. La maggioranza dei piloti sceglie di partire con le soft, ma una nutrita minoranza opta per le hard, tra cui il poleman Zhou, Tickum (quarto), Verschoor (quinto) e Shwartzman (undicesimo). Come prevedibile, il loro scatto è condizionato dalla mescola più dura; in particolare Zhou deve cedere la posizione a Lundgaard, Drugovich e Piastri. Nella pancia del gruppo Shwartzman, tradito dalle gomme fredde e dal tracciato sporco, manca del tutto il punto di frenata e travolge gli incolpevoli Nissany e Deledda. La macchina è integra tuttavia deve scontare un (meritatissimo) drive through. SC in pista.

Alla ripartenza i piloti su soft staccano quelli su hard. Al contrario del solito, la mescola morbida regge e si dimostra più costantemente veloce, con Zhou, Ticktum e Verschoor che continuano ad arretrare. Le due mescole manifestano lo stesso degrado termico, quindi le hard si comportano in pratica come delle soft meno prestazionali, cosa del resto già osservata in gara2.

Lundgaard è in testa ma è anche il primo ad accusare il degrado delle soft e, dopo aver ceduto la leadership a un sorprendente Piastri, al dodicesimo giro apre la girandola delle soste. Nelle tornate seguenti rientrano anche Drugovich e da Zhou; escono tutti alle spalle dell’attardato Shwartzman. Piastri invece continua, senza manifestare ancora alcun decadimento (ottimo, per un rookie).

Con l’esplosione dell’estintore di bordo di Petecof durante il sedicesimo giro esplode metaforicamente anche la gara. Lo svizzero parcheggia la sua Campos all’esterno di curva1, quanto basta per attivare la Safety Car. Piastri sfrutta le circostanze per fermarsi e rientra e rientra davanti ai diretti avversari; anche Ticktum ne approfitta, solo che la sua sosta è lenta ed esce nella pancia del gruppo. I massimi beneficiari della SC sono Armstrong e Verschoor, che si fermano con un giro di ritardo e si ritrovano primo e terzo!

E’ opportuno fare un recap delle posizioni e delle gomme: Armstrong (h), Piastri (h), Verschoor (s), Lundgaard (h), Drugovich (h), Zhou (s), Lawson (s), Pourchaire (h), Daruvala (h), Ticktum (s). Shwartzman si ricollega al gruppo, ma è comunque diciassettesimo, sia pure su soft.

Gli ultimi dieci giri sono da cineteca. La top5 cambia ad ogni giro. Armstrong perde subito la testa della corsa a favore di Piastri, che dopo un giro si deve arrendere alle soft di Verschoor. Zhou ci mette una decina di chilometri giri per portarsi alle spalle dei primi due, mentre i top driver su hard (Armstrong, Drugovich, Lundgaard) affondano in classifica. Per la teoria del “piove sempre sul bagnato”, lo svedese e il brasiliano subiscono anche una penalità di 5s per un’infrazione delle regole della SC. Più indietro Robert Shwartzman si mette in mostra con sorpassi e gpv a ripetizione.

Piastri prova a difendersi, ma a dieci giri dalla fine incassa il sorpasso di Zhou. Verschoor ha un vantaggio sugli inseguitori e sembra avere il potenziale per vincere, mentre Zhou riesce a raggiungere il rivale né a levarsi Piastri dalla scia. Nel frattempo prende vita un bel duello tra le due ART, con Lundgaard che riesce a spuntarla dopo due giri di sorpassi e controsorpassi.

A cinque giri dalla fine la situazione si sblocca:  Zhou passa all’attacco e stacca Piastri, Ticktum e Lawson (entrambi su soft) raggiungono il terzetto di testa, Shwartzman entra in zona punti. Verschoor si deve arrendere a Zhou e a Piastri, ma l’australiano ha ormai raggiunto il limite delle sue coperture e si trova braccato da Ticktum.

A due giri dalla fine l’inglese va all’attacco in curva 1; nessuno dei due è disposto ad alzare il piede e il contatto in curva 2 è inevitabile. Piastri si gira e fa spegnere il motore mentre Ticktum continua più veloce che mai. Verschoor va in crisi con le soft e all’ultimo giro perde l’ultimo gradino del podio a favore di Verschoor.

[COURTESY OF MOTORSPORT.COM]

Dopo 32 giri di lotta furiosa, Zhou vince la sua prima Feature Race della carriera, con quattro decimi di vantaggio su Ticktum. Seguono Lawson, Verschoor, Armstrong, Daruvala, Shwartzman -grande rimonta nei giri finali, Pourchaire, Drugovich (primi punti dell’anno) e Nannini (primo punto in carriera, peraltro con la macchina peggiore della griglia). Il cinese è stato il più veloce e il più solido durante tutto il weekend, quindi è meritatamente primo in classifica con 41 punti. Segue Lawson con 30 punti e l’anonimo, ma furbo, Daruvala con 28. Piastri, che dopo le prime due gare era in testa, è solo quarto con 21 punti. Ha fatto comunque meglio di tutti gli altri favoriti: Ticktum ha 19 punti, Shwartzman e Lundgaard 16, Armstrong 10 e Drugovich la miseria di due punti dopo un’ottavo di campionato.

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Anche il 2021 si prospetta molto divertente. Diversi rookie non sembravano neanche esordienti, tanto è stata la loro bravura nella gestione della gomma e delle dinamiche di gara – penso soprattutto a Piastri e a Lawson. Pourchaire si è mantenuto più distante dai riflettori, ma bisogna ricordarsi che in gara1 ha subito la rottura del propulsore mentre era terzo, in gara2 ha concluso sesto dopo essere partito quasi ultimo e in gara3 ha chiuso davanti al compagno di squadra a parità di strategia. Forse il più impressionante è stato Verschoor, che è passato dal non correre ad essere il più veloce dei rookie, capace di destreggiarsi anche in situazioni molto complicate (gara2, da ultmo a quinto) e che per poco ha mancato il podio nella prima Feature Race in carriera.

Resta comunque un interrogativo: il Bahrain era stata la sede dei test, quindi era un tracciato che gli esordient conoscevano già nel dettaglio. Come si comporteranno nei circuiti dove non hanno ancora corso con le F2? In tal senso, la gara di Montecarlo sarà interessante. Visto che l’anno scorso l’appuntamento era saltato, tre quarti della griglia sarà composta da debuttanti assoluti nel Principato (visto che la F3/Gp3 non ci corre dal 2011).

Al di là di tutto, i più veloci in assoluto sono stati comunque i piloti già citati nell’introduzione -Drugovich, Lundgaard, Shwartzman, Zhou- ma devono farsi tutti quanti un bagno di umiltà. L’unico che ha evitato sciocchezze è stato il cinese, peraltro il meno quotato dei quattro, che infatti ha meritatamente dominato il weekend, mentre tutti gli altri si sono rovinati almeno in due gare su tre. In questa “classifica dell’infamia” svettano Drugovich e Ticktum, che hanno combinato disastri in tutte e tre le gare (soprattutto l’inglese).

Concludo questo lungo testo menzionando due piloti che sono stati tanto efficaci quanto sfortunati: Armstrong (alla riscossa dopo un 2020 da incubo) e Vips (quasi esordiente, dopo che l’anno scorso ha sostituito Gelael per qualche gara). In particolare la sorte si è accanita contro l’estone, che ha terminato il Bahrain con zero punti quando poteva essere facilmente in testa.

Sento che a Montecarlo la F2 darà spettacolo.

[Immagine in evidenza tratta da FormulaScout.com]

Lorenzo Giammarini a.k.a. LG Montoya

VALENTINO ROSSI: IL CORAGGIO DI ACCANTONARE LA PROPRIA LEGGENDA PER ESSERE FELICE

[Premessa: nel momento in cui scrivo, io non so se Valentino Rossi si ritirerà o continuerà anche il prossimo anno, ma nel caso si ritirasse, il discorso è comunque valido per cercare di spiegare perché, secondo me, è andato avanti fin qui, invece di ritirarsi prima].

 

Come chi mi conosce o frequenta questo meraviglioso luogo sa, io sono tifoso di Rossi.

Sarà che sono pesarese (oddio, non proprio, in realtà sono novilarese, ma c’entra comunque un po’: Graziano Rossi è originario di Novilara, a Tavullia s’è trasferito successivamente, e mia nonna se lo ricorda ancora, compreso il suo soprannome di famiglia che si usa dalle mie parti e che è praticamente un secondo cognome: Portavia. E infatti, ogni volta che mi vedere guardare una gara, mi chiede “Chi corr? El fiol de Portavia? Co’ fa, vinc?” ovvero “Chi corre? Il figlio di Portavia? Cosa fa, vince?” – No, nonna, è da un po’ che non vince…).

Sarà che è il mio vicino di ombrellone al mare (anche se, per ovvi motivi, non si vede quasi mai).

Sarà che da ragazzino ho visto uno con uno Zip truccato, che faceva in casino infernale, farsi tutto Viale Gramsci impennando uscendo da scuola, e chiesi “ma chi è sto matto?” e mi dissero che era uno matto per forza, visto che era il figlio di un altro matto, e cioè Graziano Rossi, e che pure lui faceva le gare in moto. Per poi ritrovarmelo, in seguito, in tv a correre nel motomondiale. E a vincerlo.

Ma tant’è, ho sempre tifato per lui e continuo a tifarlo tutt’ora.
Non per rispetto, o gratitudine, o riconoscenza, ecc. come chiesto da un noto giornalista in un suo recente articolo, perché “non è giusto abbandonarlo ora che non vince ed è in difficoltà”, o altre facezie simili.

Sì, “facezie”, perché il tifo non è una questione di ragionamenti o riconoscenze, non ha niente a che vedere con le suddette argomentazioni, ma è una questione di sentimenti, di pancia.

Certo il tifo passato può tenere in vita i sentimenti che spingono al tifo nel momento presente, ma non li si può pretendere a prescindere se non ci sono o se si sono persi.

I miei, comunque, non si sono ancora persi.

 

Ora dirò una cosa che farà storcere il naso a molti: fa bene Rossi a continuare (ovviamente se ne ha voglia)?

Sì.

 

Vediamo di intenderci, però.

Io credo che Rossi riuscirà a fare altri podi?

Non facile, ma nemmeno impossibile.

Io credo che Rossi riuscirà a vincere altre gare?

Molto difficile, ma non del tutto impossibile.

Rossi riuscirà a vincere un altro mondiale?

No.

(E, per questo, spero che ci riescano Pecco o Morbido).

Io però, soprattutto per le questioni sportive, sono sempre stato per il “mai dire mai”, visto che l’assoluta certezza delle cose e del futuro non esiste, quello che accadrà è imperscrutabile e, seppur raramente (perché il più delle volte accade quello che ci si aspetta, o quasi) l’impossibile può anche accadere.

Vedi Mir che vince un mondiale MotoGP su una Suzuki nell’era dello strapotere Marquez-HRC (certo, a causa del problema avuto da Marquez, ma che non era possibile, appunto, prevedere).
O Morbidelli che mi diventa vicecampione del mondo guidando una moto vecchia.
O il Leicester che vince la Premier League.
O la squadra di Pesaro di volley femminile che nella stagione 2007/2008 mi porta a casa il primo scudetto contro tutti i pronostici (tutti erano concordi nel dire che la squadra era troppo giovane per poter seriamente pensare di vincere, così le ragazze giocarono tutti i play-off con la scritta “GUC” sul braccio, per poi rivelare, una volta vinto lo scudetto, che significava “Giovani Un Cazzo”. Grandissime!).
Questo per restare su eventi più o meno recenti, ma la storia dello sport ne è piena.

E vivaddio che sia così, altrimenti perché correre gare e giocare partite? Si assegnino posizioni e vittorie a tavolino e non stiamo nemmeno a perdere tempo (e spendere soldi) per vedere che succede in pista, se si corre, o in campo, se si gioca.

(immagine originale di ZeBaldo)

 

Ma, indipendente da quello che io pensi o non pensi su Rossi, il fondo del discorso è un altro: a Rossi, di quello che penso io, o che pensa chiunque altro, fosse anche la maggioranza delle persone, che gliele importa?

Direi un bel niente.

E aggiungerei “giustamente”.

 

Io credo che il punto, per definire se fa bene o sbaglia a non ritirarsi, sia nel mettersi nei suoi panni.

Cosa che non è difficile.

Quello che però è difficile, per comprendere, è farlo non immaginandosi di essere al suo posto con il nostro punto di vista ed il nostro sentire, ma con il suo.

Anzi, direi che, a meno che non sia lui ad esternare cosa lo spinga e cosa prova, sia impossibile riuscirci.

E senza poter fare questo, non potendo quindi comprende, è impossibile anche dire se sbagli o meno.

Questo non significa che, dal punto di vista di ciascuno (e quindi non il suo) non si possa avere un’opinione o un giudizio a riguardo, ed invocarne il ritiro a fine anno, o immediato, o dire che avrebbe dovuto farlo tempo fa, ci mancherebbe altro non si possano esprimere liberamente le proprie sacrosante opinioni.

Ma lui, dal suo punto di vista (secondo me), sta facendo la cosa che si sente di fare, e che quindi per lui (ribadisco “per lui”) è la cosa giusta.

Poi, se avrà sbagliato, se in futuro si convincerà che sarebbe stato meglio ritirarsi prima, avrà tutto il tempo per rimuginare sui suoi “sbagli”, metabolizzarli e superarli facendosene una ragione.

E “sbagli” lo scrivo tra virgolette perché, nella vita, gli “sbagli” non sono in realtà tali se si è fatto quello che ci si sentiva di fare, ma, ad essere davvero sbagliato, è fare il contrario di ciò che si sente e si desiderare fare, fosse anche ciò che per tutti gli altri sarebbe la cosa “giusta” da fare.

Ed anzi, per chiudere la parentesi pseudofilosofica, gli sbagli davvero gravi sono quelli che si rivelano tali ed hai fatto facendo il contrario di ciò che ti sentivi, dando retta a quello che ti dicevano gli altri. Quelli sì che sono amari e difficili da accettare e metabolizzare.

 

È per questo che, alla domanda se Rossi fa bene a continuare, invece di ritirarsi, io rispondo “Sì”, indipendentemente da quello che io possa pensare sulle sue reali possibilità di fare risultati nel mondiale: se per lui è la cosa giusta da fare, che la faccia, finché le circostanze gli permettono di farlo.

Sì perché non tutto dipende solo dalla nostra volontà, ma anche dalle possibilità che si hanno per esercitarla.

Se si sente di corre ancora, che lo faccia finché c’è chi è disposto a dargli una moto.

C’è gente che pagherebbe oro per salire su una moto del mondiale e correre un intero campionato, mentre lui lo pagano pure per fare ciò che lo appassiona.

Bella fortuna, che non è da tutti.

Che ne approfitti, se ne ha voglia e se la sente, finché dura (perché non durerà per sempre).

(Non entro nel discorso se sia giusto o meno che ci sia ancora chi è disposto a dargli una moto e perché, in quanto si aprirebbe un altro discorso ampissimo, che però, seppur fondamentale in relazione al fatto che abbia la possibilità di farlo, non lo è sul se e perché abbia ancora voglia di farlo, che è, invece, il nodo del discorso che mi interessa).

 

Detto questo, provo ad entrare nella testa, e, soprattutto, nel sentire, di Valentino Rossi.

Ovviamente non lo faccio con cognizione di causa, non conoscendolo personalmente, ma basandomi sulle mie idee ed impressioni, perché questo è soltanto il pourparler di un patacca qualsiasi che lo tifa, qual son io, nell’attesa di conoscere cosa deciderà per il prossimo anno.

 

Rossi può essere ancora competitivo?

Alla luce dei risultati degli ultimi anni a tutti viene da dire, con una certa sicurezza “no”, ché ormai la sua parabola è in decisa picchiata e farebbe meglio a ritirarsi, così da non oscurare la leggenda che è stata ed, anzi, a tal fine, sarebbe stato meglio ritirarsi tempo fa.

Io non sono d’accordo.

Lo sono, come già detto, sul fatto che difficilmente Rossi potrà essere ancora competitivo, ma non sul motivo.

Mi spiego meglio.

Certo che Rossi non è più, per ovvie ragioni, il pilota al massimo del suo potenziale che era nei suoi anni migliori, ma in parabola discendente, però credo che non lo sia ancora al punto da non poter essere competitivo.

La penso come Carl Fogarty, che in una recente intervista ha detto: “Sono sicuro che se si togliesse tutta l’elettronica, sarebbe ancora in testa”.

Adesso, magari in testa no, ma a giocarsela alla pari coi ragazzini terribili della nuova generazione, sì.

Poi mi si può dire che il mio è un giudizio alterato dal tifo, ma se sono in compagnia di gente come “King” Carl, mi sento un po’ meno solo.

 

Ma il problema è, appunto, che il mondo cambia ed anche le moto si sono evolute e non sono più le stesse di qualche anno fa, ma queste sono adesso e con queste devi vincere, se vuoi vincere.

Rossi è passato per varie ere del motociclismo, dalle 2 tempi alle 4 tempi, e per le diverse cilindrate che si sono susseguite negli anni in top class.

Quando Rossi ha iniziato non è che arrivavi in classe regina e vincevi il mondiale, ma dovevi fare gavetta imparando a domare tutti quei cavalli scorbutici e brutali del 2T, e dovevi imparare a farlo col il solo polso destro.
E, pure nei primi anni delle 4T, l’elettronica non era ancora così avanzata come lo è ora.

Questo non significa che con le moto di adesso sia più facile vincere, perché nemmeno ora vinci un mondiale se non sei un fenomeno vero e non ci dai del gas più degli altri.

Dico solo che, con il livello raggiunto dall’elettronica, è tutto diverso, a partire dal come guidare la moto.

Oggi, secondo me, forte ci vai se, oltre al grande talento, che è imprescindibile sempre, riesci a trovare la combinazione giusta tra il tuo stile di guida (e adattarlo, se necessario – “se necessario” perché Pecco sta dimostrando che a volte si può guidare una stessa moto in maniera diversa dagli altri riuscendo comunque ad andare forte), le caratteristiche della moto e il riuscire a trarre il massimo da ciò che l’elettronica ti permette di fare con la moto, riuscendo a fidarti ciecamente di essa, e, quindi, a non chiudere il gas, e, al contempo, farla lavorare in modo che non si mangi le gomme.

È evidente, alla luce degli scarsi risultati, che Rossi, ora come ora, non riesce ad adattarsi alle attuali moto ed a trarne il massimo.

Io, pur essendo tifoso, non è che lo difendo a tutti i costi, sempre e a prescindere, anzi, in un commento di un articolo pubblicato qui dopo la prima gara di quest’anno, scrissi:

“Rossi lamenta la mancanza di velocità di punta e di conseguenza maggiore difficoltà nei sorpassi, e su questo non gli si può dire niente, però di nuovo pare che il risultato sia dovuto ai problemi di usura delle gomme, e su questo, invece, si può parlarne eccome: se Vinales c’ha vinto la gara, significa che lui sta sbagliando qualcosa nel setting, e pare incaponirsi su quel qualcosa, visto che da anni va avanti sta storia. Anche se, c’è da dire, che anche gli altri negli anni passati hanno avuto lo stesso problema, ma quando il problema è per tutti, il problema è della moto, se, come stavolta, è solo tuo, il problema è tuo”.

Ma il far fatica ad adattarsi alla guida della moto non è che sia un problema solo suo.

Non mi pare che per altri che hanno fatto fatica si sia chiesto il ritiro.

Quando Lorenzo ha fatto fatica in Ducati nessuno gli ha detto di ritirarsi (ché poi alla fine è riuscito ad adattarsi ed a vincerci gare – ed è stato un enorme peccato che, a causa delle decisioni prese troppo presto, la loro avventura insieme non sia continuata).

Quando l’anno dopo in Honda è stato in grossa difficoltà nessuno gli ha chiesto di ritirarsi (certo, poi l’ha fatto lo stesso, ma è stata una scelta sua e per motivi suoi, ma comunque non invocata da nessuno).

Eh, ma Rossi da quand’è che non vince?

Certo, l’ultima volta che è stato in lotta per il mondiale arrivando secondo era il 2016.

Ma il vero anno orribile, tolto quello in corso, è stato l’anno scorso, perché l’anno prima è entrato comunque in una dignitosa top 7 a poco più di 35 punti da Vinales, e quello prima ancora in top 3, cioè il primo dopo la coppia Marquez-Dovizioso che si giocavano il mondiale, poi stravinto d’imperio da Marquez.

Quindi, tutti quelli dietro di lui negli anni precedenti avrebbero dovuto ritirarsi?

Petrucci (per fare un confronto tra piloti ufficiali) nel 2019 con la Ducati ha fatto solo 2 punti in più di Rossi (per dare anche un confronto con il compagno, a -95 da Dovizioso, contro i -37 di Rossi da Vinales) e l’anno scorso appena 12 più di Rossi (a -78 dal compagno, contro i -66 di Rossi), ma non mi pare che qualcuno ne abbia invocato il ritiro.

Che si possa aver difficoltà a tirare fuori il massimo da una moto non è, quindi, una cosa così fuori dal comune, anzi…

Ma d’altronde non è che ce ne sono tanti in giro di fenomeni dal grandissimo talento di salire su una moto ed adattarsi lui alla moto invece di cercare di adattarsi la moto a lui, come Stoner, ed andarci subito forte.

Poi è legittimo e sacrosanto pensare ed avere la convinzione che le sue difficoltà siano dovute al fatto che ormai, alla sua età, non ne abbia più.

Così come è legittimo e sacrosanto pensare, come me, che ancora ne abbia, ma che queste moto non sono più adatte a lui, ché per trarne il massimo serva una guida diversa che lui non riesce ad adottare, e che, per questo, si incaponisca per cercare di trovare il modo di rendere la moto come quelle con cui si trovava bene lui, ma che ormai, forse, non è più possibile.

E che ha fatto quindi bene Yamaha a sostituirlo con Quartararo.

Ma ha anche fatto bene a fornirgli una ufficiale, seppur accasandolo in un team satellite, permettendogli di continuare a provarci e vedere che succede. Anche perché, fino ad appena un paio d’anni fa, Yamaha non era sicura di essere sulla strada giusta con lo sviluppo, visto che pure Vinales manifestava difficioltà, e non lo erano in realtà nemmeno l’anno scorso, visto che gli altri ufficiali Yamaha non sono mai riusciti a trovare costanza, passando da gare in cui facevano podi e vittorie a gare in cui hanno rischiato di uscire anche dalla zona punti tanto erano in difficoltà con la moto (e quindi qualche problema forse c’è ancora).

(Quest’anno è appena iniziato e, anche se Quartararo sembra bello in palla, alla luce di quello che è successo poi l’anno scorso dopo un inizio scoppiettante, è tutto da vedere come proseguirà).

 

Ma questo, di nuovo, è quello che penso io.

Ma ciò che conta è quello che pensa lui.

Io credo che anche per lui sia difficile da reggere questo periodo e che non si diverta affatto ad “arrivare dietro tutte le domeniche”.

Cosa lo muove allora?

Che cerchino di tenerlo dentro al circus in tutti i modi, per forza, magari anche se lui in realtà vorrebbe smettere, temendo le ripercussioni sugli ascolti se si ritirasse?

Io non credo.
Se avesse voluto ritirarsi quale momento migliore se non quando sei in crisi perché tu possa farlo senza che nessuno possa dirti niente né insistere più di tanto?
E direi che negli ultimi anni ne ha avuti di momenti adatti a questo scopo.
E pure ora: se volesse ritirarsi, ma cercano in tutti i modi di tenerlo dentro, quale momento migliore della sua attuale crisi, la più grossa di sempre, per dire “Vedete che non ce la faccio più? Non insistete: mi ritiro. Punto.” e tanti saluti.
No, secondo me, se avesse voluto ritirarsi prima, lo avrebbe già fatto senza tanti complimenti.
Tra l’altro, non credo nemmeno che ci sarà tutta questa crisi di ascolti quando si ritirerà.

Certo do atto a Rossi che, nel bene e nel male, ha attirato spettatori, sollevando l’interesse per questo sport, attirando l’attenzione mediatica e, con essa, il fiume di soldi di sponsor & Co.

(immagine tratta da derapateallaguida)

Ha portato anche “tifosi da calcio”?

Certo.

Però ha portato anche gente ad appassionarsi ad uno sport al quale, forse non si sarebbe appassionata senza di lui (un po’ come Tomba con lo sci), e per questo credo che ci sarà anche chi, quando si ritirerà, continuerà a seguire le gare, perché la passione per lo sport poi rimane. Sono i “tifosi da calcio” quelli che, probabilmente, se ne andranno.

Io penso che ormai l’attenzione e la passione per il motomondiale sia tale da poter tranquillamente sopravvivere senza subire contraccolpi troppo grandi anche dopo il ritiro di Rossi.

Io, ad esempio, ho iniziato a seguire il motomondiale perché c’era Rossi, oppure lo avrei iniziato a seguire anche senza di lui?

Boh.

In quel periodo mi stavo appassionando al motorsport, anche se il primo amore, è stata la F1.

Forse avrei iniziato a seguire il motomondiale comunque, anche se non ci fosse stato Rossi.

O forse, senza l’attenzione mediatica che ha portato, magari non mi ci sarei mai appassionato.

Non so dirlo.

So solo dire che, anche quando Rossi si ritirerà, continuerò a seguire le gare esattamente come ora.

 

Ma quindi, se non è ancora lì a correre perché stanno cercando di tenerselo e non farlo smettere in tutti i modi, cos’è che lo fa continuare?

La passione della sfida.

In molti (pure io) identificano il divertimento nel fare podi, vincere le gare e vincere il mondiale.

È ovvio che, se hai successo, ti diverti di più.

Ma credo che per Rossi, in questa fase della sua vita in cui è già leggenda e non ha necessità di dimostrare un bel niente, il divertimento stia, oltre che nel guidare le migliori moto del mondo (un po’ come Kimi, per il quale il divertimento che lo tiene ancora lì è, secondo me, divertirsi a guidare le migliori auto del mondo, anche se gli unici risultati in cui può sperare è di racimolare qualche punto), nella sfida in sé, nel provarci ostinatamente, anche se non ci riesce, a vincere il decimo mondiale.

E farlo, nonostante non ci si riesca, finché pensa di avere la possibilità di riuscire, perché la parabola discendente delle sue capacità non è ancora tale da non poter riuscire, ma che si tratti solo di trovare il bandolo della matassa per sfruttare le moto attuali, trovando il giusto mix tra l’adattarsi lui alla moto e la moto a lui, tra elettronica sempre più spinta e resa delle gomme.

D’altronde, se uno è un vincente, è un vincente, e lo è anche quando perde: solo i perdenti mollano quando pensano di poter ancora competere e gli vengono ancora dati tutti i mezzi per provarci.

Questo non significa che non sia sacrosanto ritirarsi quando senti che per te è ora di smettere, visto che su quelle bestie, anche se spesso ce lo dimentichiamo tra una tragedia e l’altra, si rischia la vita ad ogni curva.

Che sia proprio perché non te la senti più.

Che sia perché hai vinto tanto e ti è passata un po’ “la fame”.

O che sia perché vedi che non riesci più vincere e non lo sopporti, oppure se, per la tua indole, pensi che, se non puoi vincere, o ti è diventato molto più difficile farlo, allora non ha senso correre.

Però ho più stima di chi sente di esserne ancora capace e ci prova nonostante le botte sui denti, invece che mollare.

Così come ho più stima di chi continua ad aver fame anche se quella fame è diventata estremamente difficile da soddisfare, piuttosto di chi ha fame ma riesce a soddisfarla con più facilità, come ad esempio un Hamilton (anche se è, ovviamente, notevole che non sia mai sazio e continui a non passargli la fame nonostante tutto quello che ha già vinto e sta vincendo), perché avere fame riuscendo a soddisfarla è una cosa, un’altra continuare ad averla anche nelle difficoltà.

Sarà che Rossi non riesce a riconoscere o ad accettare i suoi limiti dovuti all’età che è avanzata?

Forse.

Ma, di certo, si ritirerà quando (a parte se non troverà più qualcuno a dargli una moto) anche lui si convincerà che è una sfida che non può vincere perché ormai non ne ha più le capacità, i riflessi, la forza.

Ma questo è, di nuovo, qualcosa di solo suo ed indipendente da cosa pensino gli altri.

Eh, ma così offusca (se non addirittura distrugge) la sua immagine di leggenda che si era costruito negli anni con suoi successi.

Io non credo che gli ultimi anni opachi possano cancellare il passato e ciò che è stato.

Però concordo che, comunque, così l’immagine ne può uscire compromessa rispetto all’essersi ritirato quando ancora, anche se non vinceva più mondiali, era lì a giocarselo.

Ma, di nuovo, questo è quello che pensiamo noi.

Poi bisogna vedere cosa pensa lui.

Ma soprattutto io credo che occorra fare una distinzione importante per (provare a) capire, tra il “Valentino Rossi Leggenda” e il “Valentino Rossi Essere Umano”.

Credo che quando si invoca il ritiro, per non offuscare l’immagine che si è faticosamente costruito, lo si faccia pensando al “Valentino Rossi Leggenda”, che non si vorrebbe vedere offuscare o spegnersi perdendo il fulgore di quando vinceva.

Però, come dice la psicologia, noi non siamo i nostri insuccessi, e nemmeno i nostri successi.

Non siamo quello che facciamo.

Non siamo quello che proviamo.

Rossi è un essere umano, esattamente come tutti gli altri, non i suoi successi, non la sua leggenda, e nemmeno gli attuali insuccessi.

Rimanendo in tema di psicologia (da quattro soldi, invero), i nostri sentimenti e le nostre sensazioni, positive o negative, sono dei messaggeri che vanno ascoltati, perché ci dicono cosa dobbiamo fare per stare bene ed essere felici. Non farlo, o fare il contrario, ci rende infelici.

Ma la felicità non è per tutti uguale.

Per qualcuno la felicità può essere aver avuto una storia di vittorie leggendarie e ritirarsi prima del declino, sapendo di aver così lasciato una straordinaria immagine di sé.

Ma per Rossi la felicità potrebbe benissimo essere il correre in moto inseguendo la sfida impossibile del decimo mondiale, in cui può anche non crederci nessuno, a parte lui (ma, se gli danno la moto per provarci, forse reconditamente ci crede anche qualcun altro).

Se questa è la sua felicità, perché rinunciarci in nome di un qualcosa, cioè l’immagine di sé, che per lui può avere una importanza minore?

Non che non gli importi nulla della sua immagine, anzi.

Però sui due piatti della bilancia ci sono da una parte l’immagine che si è costruito con le vittorie, e dall’altra fare quello che lo stimola e lo rende felice, cioè correre e provare a vincere una sfida impossibile (per noi, ma non del tutto per lui, perché altrimenti si sarebbe già ritirato).

Evidentemente, per lui, vale più il divertirsi, e dunque il sentirsi bene, che la sua immagine.

E, se avessi ragione, se fosse davvero così, ha tutta la mia stima, perché un uomo è davvero libero quando se ne frega e di cosa dicano e pensino gli altri e, se necessario, della propria immagine (e ancor più se aveva un’immagine ingombrante come la sua), non rimanendo, quindi, schiavo di essa (con conseguente rinuncia a fare ciò che si ha voglia di fare).

Sentirsi bene ed essere felici vale più di qualsiasi immagine, fosse anche quella di una leggenda come Valentino Rossi.

 

Non ci riuscirà a vincere il decimo.

Ma, se dovesse riuscirci, quell’immagine che sembrava offuscata, riprenderà ancor più vigore di prima, perché diventerebbe ancor più leggenda.

E nello sport (come nella vita) non si può mai prevedere il futuro e sapere sempre con assoluta certezza cosa accadrà e cosa no, e a volte, seppur raramente, le cose impossibili accadono.

Se non accadrà, ne sarà comunque (per lui) valsa la pena godersi la sfida, perché è meglio essere il “Valentino Rossi Essere Umano” che si diverte ed è felice, che essere il “Valentino Rossi Leggenda” che per rimanere tale, deve rinunciare a ciò che ha voglia di fare.

E io, da tifoso, pur pensando che non accadrà, continuo a sperare nell’impossibile, ricordando il “Valentino Rossi Leggenda” mentre guardo il “Valentino Rossi Essere Umano” provare ad inseguire e raggiungere un sogno impossibile, che scappa via a più di 300km/h.

ZeBaldo

 

(immagine di copertina tratta da periocaldailysport)

LE VERSIONI DI SELDON

Versione 1

Le modifiche apportate al regolamento, in special modo il taglio del fondo con conseguente perdita di downforce, e le modifiche alle ali, hanno permesso un livellamento delle prestazioni. Sembrerebbe per esempio che la Mercedes e la collegata concettuale Aston Martin, in virtù di un basso rake, abbiano avuto i maggiori problemi di compensazione, mentre la Red Bull, quella a più alto rake, si sarebbe adattata meglio recuperando molto se non tutto il gap che accusava nel 2020. Questo grazie anche ad una aumentata competitività dell’unità Honda che la equipaggia da un paio d’anni. Hamilton è sembrato finora l’unico a saper sfruttare in gara tutto ciò che la macchina offre, afflitta come è da problemi di inconsueta instabilità al posteriore solo parzialmente risolti rispetto ai test, così come la gestione delle gomme.

La Red Bull con Verstappen avrebbe potuto essere senza certi errori suoi e/o del team in vantaggio in classifica, denotando che la RB16B è candidata seriamente al titolo. Più indietro la McLaren, che già con l’unità Renault lo scorso anno pareva aver superato il tunnel imboccato nel 2013, si ritrova come una tra le più competitive, se non la più credibile, delle inseguitrici. La Ferrari, scontato quello che sembra essere stato un passaggio al Purgatorio, che a parere dello scrivente è stato autogestito come da accordi con la FIA, pare abbia rimesso in campo una PU degna di tal nome, arrivando a delle performance che a detta degli addetti ai lavori sono inspiegabilmente positive se relazionate al livello 2020. Il risultato, da qualunque parte lo si osservi, è quello di essersi temporaneamente issati dal 6° al 3° posto virtuale, in lotta con la McLaren.

Ritrovata guidabilità, trazione, velocità. Ma soprattutto è rientrato nella norma il drag che non permetteva di dare carico utile, dovendo alleggerire per avere un minimo di velocità sul rettilineo, e come conseguenza avere gomme da buttare dopo pochi giri. In questi primi gp della stagione abbiamo visto una vettura che è sufficientemente veloce sul dritto e molto efficace nei tratti più guidati. Il tutto con una buona gestione delle gomme. In prova Leclerc è sempre capace di regalare un minimo di brivido, segno che la vettura lo asseconda. Un salto qualitativo notevole figlio di progressi sia a livello aerodinamico, (ricordando che il telaio è rimasto quello della SF1000), sia soprattutto a livello di PU.

Leggermente più staccate l’eterna promessa Renault (pardon…. Alpine), la quale non beneficia del miglior Alonso, spesso battuto dal giovane Ocon. L’ outsider mancata Alpha Tauri, con Gasly non completamente a suo agio e Tsunoda al momento polemico e inconsistente. Sembrerebbe così che la lotta per il terzo posto finale riguardi solo Ferrari e McLaren, con la Ferrari attualmente più in forma, anche se di poco! Più Indietro la lotta è tra una migliorata Williams, la sconcertante Aston Martin, che attende il talento (attualmente assente) di Vettel per risollevarsi, e l’Alfa Romeo, con un Giovinazzi in crescita e un Kimi che alterna ottime prestazioni a discutibili distrazioni. Infine Haas, la quale non chiede e non promette niente, soprattutto se chi la guida è Mazepin. Dignitoso invece Schumi jr.

Stiamo per affrontare Montecarlo, una pista che ha sempre premiato vetture bilanciate e dotate di buona trazione. E naturalmente  piloti senza peli sullo stomaco. Con ancora negli occhi i sorpassi riusciti a Charles nel 2019 a Norris e Grosjean, (ma anche quello mancato a Hulckenberg), spero davvero in una gara meno noiosa del solito. Meglio un giorno da leoni che una stagione da…, tanto ci si gioca la coppa di legno. Almeno fatecela ricordare per qualcosa che merita.

In definitiva una stagione molto promettente dal punto di vista dello spettacolo prima della rivoluzione del 2022. I tecnici della Ferrari sembrano ora perfettamente in grado di portare sviluppi efficaci sia sulla SF21 sia sulla futura vettura per la prossima stagione, avendo perfettamente capito i problemi che affliggevano la SF1000, al netto della squalifica/punizione/retrocessione… in qualsiasi modo la si voglia chiamare. Sarà di nuovo una Ferrari da primo posto? Speriamo!

Versione 2

Le modifiche apportate al regolamento, in special modo il taglio del fondo e le modifiche alle ali, dovevano permettere un livellamento delle prestazioni. Era dato per certo che la Mercedes e la collegata concettuale Aston Martin, in virtù di un basso rake, avrebbero avuto i maggiori problemi di compensazione, mentre la Red Bull, quella a più alto rake, si sarebbe adattata meglio recuperando molto se non tutto il gap che accusava nel 2020. Questo grazie anche ad una aumentata competitività dell’unità Honda che la equipaggia da un paio d’anni.

In realtà sembra che Hamilton stia in questo scorcio sfruttando bene una Mercedes che, in cima alle due classifiche, offre prestazioni ottime, così come la gestione delle gomme e, semmai, ha un unico punto debole nel secondo pilota. A Barcellona sono stati solo un lontano ricordo i problemi al posteriore e l’incomprensione delle gomme patiti in Bahrain.

La Red Bull, partita benissimo aveva dato l’illusione di potersela giocare, anche se a fatica, su entrambe le classifiche, ma alla resa dei fatti pare oggi davvero al limite. Verstappen, su cui la squadra riversa ogni energia e sforzo, combatte contro un team e una vettura superiori, così come era già successo alla Ferrari nel 2018, che a onor del vero era davvero una vettura pari o superiore almeno fino a metà campionato. La Red Bull non pare a questo punto poter puntare seriamente al titolo. Più indietro la McLaren, che è dotata ora dell’unità Mercedes si ritrova come una tra le due più accreditate inseguitrici. La nuova PU le ha dato una maggiore competitività specie in prova, e gestisce molto bene il consumo gomme. Non è però, al netto di Norris, convincente fino in fondo. Specie se si guarda a Ricciardo.

La Ferrari, scontato quello che sembra essere stato un passaggio al Purgatorio, che a parere dello scrivente è stato autogestito come da accordi con la FIA, pare abbia rimesso in campo una PU degna di tal nome, arrivando a delle performance che a detta degli addetti ai lavori sono  inspiegabilmente positive se relazionate al livello 2020. Nonostante ciò, pur osservando un miglioramento globale, e prestazioni che le permettono di stare con la McLaren, i distacchi con le prime della classe sono ancora elevati e talvolta immutati rispetto allo scorso anno.

C’è davvero stato un salto di qualità? Il fatto di una ritrovata guidabilità, trazione, velocità, derivano da uno step evolutivo positivo in assoluto? O sono piuttosto la conseguenza di: 1) livello molto basso di partenza e dunque con ampi margini; 2) minor miglioramento, per il motivo opposto, delle vetture più prestazionali? In questi primi gp della stagione abbiamo visto una vettura che è sufficientemente veloce sul dritto e molto efficace nei tratti più guidati, ma Red Bull e Mercedes sono sempre lontane. Leclerc l’anno scorso era addirittura riuscito a salire a podio…!

Leggermente più staccate l’Alpine, che però sembra avere dei margini di miglioramento, specie se Alonso trova la quadra e supporta Ocon. Seguono L’outsider mancata (per il momento) Alpha Tauri, che se mantiene le promesse dei test avanzerà, e sarà pericolosa per un duello a tre/quattro per il terzo posto e il mistero Aston Martin con alla guida il mistero Vettel. Più indietro una Williams ravvivata dal buon comportamento di Russell, Alfa Romeo  e Haas.

Ci avviciniamo al weekend monegasco, su una pista che ha sempre premiato vetture bilanciate e dotate di buona trazione. E naturalmente piloti senza peli sullo stomaco, e le premesse sono comunque di un ennesimo duello Verstappen/Hamilton, i due che garantiscono sulle migliori vetture il miglior spettacolo. Dietro, a differenza di anni addietro, non potremo vedere grandi sorpassi, perchè le prestazioni sono più ravvicinate e perchè Monaco ne regala davvero pochi.

Riuscirà Leclerc, (o magari Norris), almeno provandoci, a farci divertire più che gestire senza rischi una stagione avviata al semplice mantenimento del terzo posto? Una stagione che sembrava molto promettente dal punto di vista dello spettacolo prima della rivoluzione del 2022, sembra invece dopo la prova di Barcellona, essersi indirizzata verso Brackley.

I tecnici della Ferrari in effetti sembrano avere le idee chiare ma potrebbero, (una teoria) al pari di Red Bull essere al limite di sviluppo della vettura 2021. Se nel 2022 sarà di nuovo una Ferrari in difesa di posizioni di rincalzo non lo possiamo capire ora. Speriamo di no!

Riflessione

Mi sono chiesto: se vado a rivedere cosa pensavo, dicevo, scrivevo…un tempo, è cambiato qualcosa? Quando mi trovo in disaccordo con qualcuno è per qualcosa per cui una volta ero in accordo? O possibilista, o tollerante? Quello che vedo domenica dopo domenica dipana semplicemente meglio il quadro o sgretola anche delle certezze?

Secondo me faremmo bene ogni tot di tempo a rivedere le nostre posizioni passate per capire cosa ne è rimasto. Saggiare la nostra coerenza o la nostra razionalità. Ritengo probabile che persone lucide non inclini all’odio siano coerenti nelle esternazioni. Faccio un esempio: se dicevo fino a due anni fa che Ricciardo era un serio potenziale antagonista dei migliori e ora dico che è un buon pilota senza i numeri necessari, non sono coerente oppure ho solo esaminato ulteriori dati e ho “coerentemente” cambiato idea? Si può essere coerenti anche nell’essere sempre pronti a cambiare idea credo.

Altra ipotesi: se dieci anni fa pensavo che Vettel fosse forte quanto la macchina che guidava, non più e non meno. Nella sua era Ferrari pensavo che fosse un ottimo pilota che con la macchina giusta poteva ancora vincere il mondiale, e ora penso che non sia capace di superare i limiti della macchina (non parlo di limiti termodinamici quanto di difetti di guidabilità), sono coerente? O se no, di quanto mi sono allontanato dalla coerenza e perché?

Le due versioni sopra esposte, così simili e così poco simili allo stesso tempo, mi appartengono entrambe. Ma anche no, o non per intero. E’ possibile che alla seconda gara avrei preferito la prima versione alla seconda. Significa che parlo a vanvera? Sono sempre convinto di quello che scrivo, eppure lo potrei scrivere diversamente in momenti diversi. Pochi particolari cambiano tanto. Se le rileggessi tra qualche tempo penserei che siano plausibili. Anzi non lo penserei, le troverei inconsciamente plausibili. Cosa mi induce a indirizzare un commento in un senso o in un altro pur tenendo la stessa direzione?

Concludo. Prima che guidasse la migliore Williams pensavo che Mansell fosse una specie di Maldonado. Ora lo ricordo come tremendamente veloce anche se con poca visione. E penso pure che avrebbe potuto vincere più di un mondiale. Qui influisce il suo periodo Ferrari suppongo! Non vi dico cosa pensavo di Senna….e ora invece!? Con Piquet sono stato fino ad oggi molto coerente…!

Cosa, se è capitato, vi ha fatto cambiare idea sulla F1 e i suoi protagonisti? Per cambiare idea avete semplicemente rivisto le vostre posizioni o l’ambiente/il confronto vi hanno indotto a farlo?

Vi dico che, per es., nella mia frequentazione sportiva ho cambiato idea su Montezemolo, Dennis, Hamilton, Marchionne…..così, a caso!

 

Antonio.

 

Immagine in evidenza da: formulapassion.it

MILLER E DUCATI SI PRENDONO ANCHE LE MANS

Jack Miller è estro, genio, sregolatezza e divertimento. Potrà pur non essere un pilota da titolo mondiale, ma se vince le gare a questo modo su QUELLA Ducati, beh allora diventa un cliente difficile per tanti.

Gara “asciuttabagnasciutta” e quando le condizioni sono pazze bisogna sempre fare i conti con Jack che oggi la va a vincere di prepotenza, di acume e di intelligenza.

Si parte sull’asciutto con Vinales che prende il comando in breve e comincia ad allungare fino a quando l’acqua non lo “scioglie” nelle posizioni di rincalzo. Al primo cambio moto dell’anno sbagliano in tanti: entrambi i ducatisti che si beccano due long lap penalty per eccesso di velocità in corsia box, mentre Quartararo sbaglia proprio la piazzola andando su quella del compagno e pagando un long lap anche lui.

Chi non sbaglia questi momenti è sempre Marc Marquez che dopo una partenza prudente con le prime gocce d’acqua si riporta a ridosso dei primi e li passa tutti durante il cambio moto andando in testa. Purtroppo l’acqua non fa sconti e Marc la lancia nella ghiaia mentre è leader della gara. Ma il leone non si arrende mai e riparte per poi scivolare nuovamente per troppa foga: sarà per la prossima, perché la voglia di rischiare e la mentalità sembrano rimaste intatte.

(immagine tratta da sportfair)

Il “pazzo” Jack è stato intelligente nello scontare i due lap penalty quando si è reso conto che ne aveva di più di Quartararo in testa. E’ stato bravo al punto di girare negli stessi tempi del francese nonostante i due “giri lunghi”. Da quel momento non ce ne è stato più per nessuno perché passato Fabio ha avuto modo di allungare e di gestire il rientro garibaldino di Zarco che, cambiata moto, è tornato su come un demonio sino a sorpassare e lasciare sul posto Quartararo issandosi in quella seconda posizione che ha permesso la seconda doppietta Ducati di fila.

Podio completato da un ottimo Quartararo che ha dato l’impressione di volerci provare ma di non averne a sufficienza oggi. Intelligentemente si è preoccupato di salvare il suo primo podio sull’acqua e riprendersi la testa del mondiale visto che ne aveva l’occasione.

Chi ha perso la testa della classifica è il nostro Pecco Bagnaia che, dopo un venerdì ed un sabato disastrosi ed una prima parte di gara terribile, è riuscito a sfangare anche questa: sono segnali da cogliere perché è lì in alto senza ancora aver imparato a vincere, figuriamoci dove potrebbe essere quando avrà imparato. Il chivassese era terz’ultimo, è uscito dal cambio moto beccandosi la stessa penalità del compagno ed è riuscito lo stesso ad agguantare un quarto posto: questa settimana avrà da porsi molte domande seppur può esser soddisfatto di quanto fatto vedere oggi.

Piove, siamo in Francia e si rivede anche Danilo Petrucci che arriva in coda alla Ducati con la quale vinse nel 2020. Iniezione importante di fiducia sia per lui che per Ktm, anche se le gare si corrono prevalentemente su asciutto ed urgono soluzioni.

Maverick Vinales esce anche questa domenica con le ossa rotte da una gara che avrebbe dovuto portargli più punti e forse anche una vittoria. Al di là della decima posizione, fanno paura quei quasi 40 secondi di distacco dal suo compagno di box quando ad inizio gara sembrava averne di più.

In scia allo spagnolo è arrivato Valentino autore della sua ormai consueta gara e incolpevole attore di un contatto a tre nei primissimi giri con Espargaro e Morbidelli finito nella ghiaia. Franco ha ripreso dopo quattro giri mostrando estrema professionalità, anche se è servito giusto come passerella. Valentino è finito undicesino dopo essere partito nono e dopo che tre piloti partiti davanti a lui (Marquez, Pol Espargaro e Morbidelli) sono caduti. Significa aver perso 5 posizioni sui piloti che lo seguivano in griglia, in una di quelle gare in cui si poteva tentare il colpaccio.

Gara disastrosa per i piloti Suzuki. Se Mir è uscito subito (e mai pervenuto a dire il vero) Rins era partito forte ma è caduto sul più bello come spesso gli capita. Ok, oggi era più facile cadere che stare in piedi, ma per lui sta diventando troppo frequente.

Per non far torto ai giapponesi anche a Noale hanno collezionato un doppio zero. In questo caso la responsabilità è della moto perché si sono rotti due motori quando sia Savadori che Espargaro si stavano comportando molto bene. Un vero peccato perché oggi poteva accadere anche qualcosa di veramente bello.

Tra quattordici giorni si ritroveranno tutti al Mugello, pista molto favorevole a Ducati viste le caratteristiche, la conoscenza e la storia degli ultimi anni.

I tre ducatisti che seguono Quartararo in classifica generale sono chiamati alla prima tripletta della storia rossa. Ci sono le possibilità ed i piloti per riuscirci. Sarebbe fantastico.

 

Salvatore V.

(immagine di copertina tratta da motorbox)

RAUL “IL CONQUISTATORE” – MOTO2 POST GP

Raul Fernandez vince a Le Mans.

Erano circa 10 anni che non vedevo nulla di simile nella classe di mezzo, eppure Marc Marquez non iniziò così forte come Raul. Si prese del tempo e vinse a Le Mans, mentre Raul “il Conquistatore” sta davvero facendosi terra bruciata intorno.

È una gara ricca di colpi di scena quella della “middle-class” in cui alcune cadute ed errori di “peso” rendono interessante tutto il resto. Sicuramente Sam Lowes ha buttato al vento un’altra occasione, dopo l’ottimo inizio di Mondiale. Un regalo da 20 e passa punti ai rivali diretti. Cadono anche Canet e Joe Roberts.

Anche Fabio Diggiannantonio viene punito con un long Lap penalty per il contatto con Garzó (finisce a terra l’ex Campione Moto2 Spagnolo). Purtroppo sbaglia l’entrata nella corsia del long Lap e viene punito con un altro long Lap penalty (da rivedere questa regola). Nonostante tutto chiude 8°.

Tony Arbolino. Immagine MotoGP.com

È la gara dei rookies per tanti aspetti. Oltre a Raul Fernandez, bellissima e di sostanza anche la gara del Milanese Tony Arbolino. Chiude 4° a pochi secondi da Marco Bezzecchi (3°) e Remy Gardner (2°). Anche il Campione Americano SBK Cameron Beaubier, fino alla scivolata a pochi giri dalla fine, era in 6^ posizione e guidava il gruppo degli inseguitori. Ottima la gara anche di Ai Ogura che chiude 7°.

https://twitter.com/MotoGP/status/1393887107735859201?s=19

Mondiale quanto mai apertissimo, con i due Piloti RedBull divisi da solo 1 punto, con 5 Piloti in 29 punti.👇

🥇Remy Gardner 🇦🇺 8️⃣9️⃣

🥈Raul Fernandez🇪🇸 8️⃣8️⃣ (-1)

🥉Marco Bezzecchi🇮🇹 7️⃣2️⃣ (-17)

4️⃣Sam Lowes🇬🇧 6️⃣6️⃣ (-23)

5️⃣Fabio Diggiannantonio🇮🇹 6️⃣0️⃣ (-29)

Classifica Mondiale. Immagine MotoGP.com

Sará un Mondiale Moto2 molto interessante, forse il più combattuto degli ultimi anni.

Appuntamento al Mugello…

 

✍️ Francky