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F1 in pillole – Capitolo 3

– Che c’è sul menù stasera signore?
– Il suo piatto preferito.
– Eccellente!
– Il solito tavolo signore?
– Ma certo grazie.
– Il Signore desidera pagare per caso in anticipo?
– No, sul mio conto prego.
– Mi rincresce informarla, Signore, che il suo credito ha raggiunto e superato il limite parecchio tempo fa.
– Oh be’, in questo caso..
– Aaah, denaro contante, andrà benissimo. Il signore gradisce un antipasto, una tartina magari?
–  No grazie, passerò direttamente ad un’iniezione in vena di pillole di F1 per favore.
–  Come desidera, Signore, come desidera.

Carlos, buona la prima – “Lole” era considerato come il più promettente pilota argentino e i suoi successi nelle formule minori gli consentirono di essere scelto dall’Automobile Club, che lo sponsorizzò per una stagione in Formula 1 con la Brabham. L’esordio avvenne nel Gp di casa, a Buenos Aires, e Reutemann rispose alla fiducia concessagli cogliendo incredibilmente la pole position, mentre in gara dovette accontentarsi del settimo posto. Oltre a Nino Farina, poleman del primo Gp della storia, e i due americani Faulkner e Nalon, che si limitarono a disputare la 500 miglia (allora in calendario), gli unici oltre a Reutemann a partire in pole al debutto sono stati Mario Andretti nel 1968 e Jacques Villeneuve nel 1996.

la “Montecarlo” spagnola –  Il circuito cittadino di Montjuïc venne utilizzato fin dagli anni ’30 ma entrò nel calendario di Formula 1 solo a fine anni ’60, ospitando quattro edizioni del Gp di Spagna, l’ultima di questa nel 1975. Già il mercoledi precedente la gara scoppiarono le polemiche sulla sicurezza del circuito e i piloti membri della GPDA minacciarono di boicottare le prove, ma gli organizzatori annunciarono la possibilità di far sequestrare le vetture. Messi alle strette, i piloti decisero di scendere in pista, ma Emerson Fittipaldi effettuò solo i 3 giri previsti dal regolamento e si ritirò senza prendere parte al resto dell’evento. La Mclaren restò con il solo Mass ,che scattò dall’11esima piazza e fu bravissimo a salire fino al primo posto in una gara caotica, vincendo il suo unico Gran Premio, l’ultimo per un pilota tedesco prima dell’arrivo di Schumacher. La gara fu interrotta al 29esimo giro perchè Stommelen finì oltre le barriere causa un guasto rompendosi le gambe e causando la morte di 4 persone; dopo questa tragedia la Formula 1 non tornò mai più al Montjuic.

La corsa dei campioni – Nei primi anni della propria storia la Formula 1 poteva contare su poche prove valide per il mondiale e numerose corse fuori campionato, spesso relative ad eventi o trofei prestigiosi: ad esempio nella prima edizione del 1950 le gare valide per la classifica erano solo sette, mentre quelle non valide per acquisire punti mondiali addirittura sedici. Con il passare del tempo la tendenza si è invertita e il campionato ha acquisito valore, ma per molti anni sono rimaste attive diverse prove, con al via piloti titolati ma anche da giovani promesse o debuttanti. Roelof Wunderink, che corse alcune gare nel 1975 con la Ensign, colse il miglior risultato in carriera proprio alla Race Of Champions, dove arrivò decimo, mentre nei gran premi iridati si qualificò in tre occasioni su sei ma non riuscì mai a classificarsi.

Pace profeta in Patria –  Il tracciato di Interlagos originariamente era lungo quasi 8 km e si snodava tra lunghi rettilinei raccordati da velocissime curve per poi svilupparsi all’interno di sé stesso; negli anni ottanta venne abbandonato prima di subire un rinnovamento nelle strutture e nel disegno della pista, che divenne più lenta e più breve, rientrando definitivamente in calendario all’inizio degli anni novanta. Dal 1985 il circuito è intitolato a José Carlos Pace, che proprio ad Interlagos nel 1975 riuscì a vincere l’unico Gran Premio in carriera, precedendo di pochi secondi il connazionale Emerson Fittipaldi. Il brasiliano,all’epoca in forza alla Brabham, con cui colse anche una pole position e tre podi,  è tragicamente scomparso il 18 marzo 1977 in un incidente aereo presso Mairiporã, città dello stato di San Paolo.

Rosso, verde, via!  Nel 1975 a Silverstone, in una gara folle, si sperimentò un sistema di partenza con semaforo al posto del tradizionale via libera dato con la bandiera nazionale. Le mutevoli condizioni climatiche portarono a numerosi ritiri per uscite di pista e la ricomparsa della pioggia nel corso del 55esimo giro creò il caos: visto il pericolo per i commissari, che non potevano intervenire in sicurezza per aiutare i piloti a uscire dalle vetture, la gara fu interrotta  con assegnazione della vittoria a Fittipaldi, che si era fermato anticipatamente per montare le gomme da bagnato.

La macchina perfetta si rompe un attimo dopo il traguardo – Nel 1975, dopo aver trascorso alcuni giri in testa in Belgio e centrato la pole in Svezia, fermato in entrambi i casi da guasti meccanici, Vittorio Brambilla colse la sua prima vittoria in Austria, al termine di un gran premio svolto in condizioni estreme, che fecero emergere il suo talento rendendo meno decisivo il divario tra i mezzi in gara. La gara venne interrotta prima che fosse coperta almeno il 75% della distanza e per questo, in base al regolamento, gli venne assegnata la metà dei punti; sotto il traguardo Brambilla festeggiò alzando entrambe le braccia e perse il controllo della vettura distruggendo il musetto che per molti anni venne usato come “trofeo” nell’officina di famiglia a ricordo della sua unica vittoria.

Lavoro offresi, chiedere di Bernie – Dopo un anno tribolato, in cui fu protagonista di un grave incidente in Spagna, Stommelen ebbe l’occasione di tornare in pista nel 1976 al Nurburgring con una Brabham del team Ram; al venerdi girò in 7’21″6, ma al termine delle prove le vetture della RAM vennero sequestrate dalla polizia tedesca su richiesta di Loris Kessel, appiedato dal team dopo il Gp di Francia.  Stommelen fu assunto dal team ufficiale Brabham per il prosieguo del weekend: qualificatosi con il tempo ottenuto con la vettura non ufficiale, disputò un’ottima prova e passò al sesto posto nelle battute finali sfruttando un’uscita di pista di Regazzoni, cogliendo così il suo ultimo punto in Formula 1. Perse la vita il 24 aprile 1983 a bordo di una Porsche 935 in una gara del campionato IMSA, a causa del cedimento dell’alettone posteriore.

I primi “Samurai” della F1 – Prima dell’arrivo di piloti in grado di correre con regolarità, il Giappone in Formula 1 veniva rappresentato dai propri portacolori solo nel Gran Premio di casa, con alterne fortune. Nel drammatico Gp disputato sotto il diluvio al Fuji nel 1976 furono ben 4 i piloti nipponici iscritti: debuttarono la Kojima e il pilota giapponese Hasemi, che chiuse 11esimo a sette giri dal vincitore e in gara fece segnare il giro più veloce (episodio dubbio, visto che gli addetti alle posizioni rilevarono che il giapponese in quella tornata fu passato da Hoshino, Laffite e Jarier). Noritake Takahara, ingaggiato dalla Surtees, fu il migliore del lotto avendo concluso al nono posto a tre giri dal vincitore, mentre Hoshino fu costretto al ritiro e Kuwashima venne sostituito dopo un solo turno di prove. Quest’ultimo tentò, grazie ad un appoggio economico, di correre con la Wolf Williams (che schierava la FW05 derivata dalla Hesketh 308C), ma nelle prove libere risultò troppo lento e in virtù dell’abbandono dello sponsor, il team decise di impiegare in gara il “titolare” Binder.  L’anno seguente la Kojima si ripresentò con Takahara e Hoshino, che centrò un ottimo undicesimo tempo in prova confermando poi la posizione in gara; nello stesso evento corse anche il connazionale Takahashi, iscrittosi con una Tyrrell 007 per conto del team privato Meiritsu e concludendo al nono posto la sua unica presenza nel circus.

Donne al volante – In occasione del Gp d’Inghilterra del 1976, disputato a Brands Hatch, per la prima e unica volta parteciparono due donne ad una prova del mondiale di Formula 1: Lella Lombardi si iscrisse con una Brabham del team RAM, mentre Divina Galica con una Surtees del team Shellsport, ma nessuna delle due si qualificò. Lella Lombardi corse in tutto 12 gran premi ed è stata l’unica pilota donna a riuscire a cogliere punti (Spagna, 1976) nel mondiale di Formula 1, Divina Galica tentò invece in tre occasioni ma non riuscì mai a prendere il via.

Usato garantito –  La Boro è stato il primo team olandese di Formula 1, unico fino all’arrivo della Spyker nel 2007: il nome derivava dalle iniziali dei nomi dei fondatori, i fratelli Bob e Rody Hoogenboom, mentre la sua nascita è dovuta a dissidi risalenti al 1975: il patron dell’Ensign Mo Nunn conobbe tramite Teddy Yip lo sponsor H.B. Bewaking, che sostenne il pilota Roelof Wunderink al Gran Premio di Spagna, prima che un incidente dello stesso in Formula 5000 costringesse la Ensign a sostituirlo con Gijs Van Lennep. La H.B. Bewaking pretese poi il ritorno di Wunderink, mentre Mo Nunn si mise alla ricerca di un nuovo sponsor, situazione che sfociò in una serie di cause legali, vinte dalla ditta olandese che ottenne in pagamento una Ensign N175 ribattezzata poi Boro 001 con l’aggiunta di materiale della Embassy Hill. Nel 1976 il team schierò in cinque Gran Premi una vettura per Larry Perkins, che a Zolder colse il miglior risultato in carriera per sé e per il team, terminando la gara all’ottavo posto.  L’anno seguente la Boro partecipò a due soli eventi (una squalifica e una mancata qualificazione) con Henton, poi a fine anno i fratelli Hoogenboom vendettero il loro materiale proprio a Teddy Yip, che fondò la Theodore Racing.

Hesketh vietata ai minori  – Nel corso degli anni settanta le sponsorizzazioni entrarono prepotentemente nel mondo dei gran premi, in alcuni casi con soluzioni che fecero storcere il naso ad alcuni addetti ai lavori. Dopo un ottimo 1975 Lord Hesketh perse Hunt e Postlethwaite e di fatto lasciò il controllo del proprio team, affidando le vetture a privati con relativi appoggi: tra questi Guy Edwards, che corse con la 308D con la sponsorizzazione della rivista erotica Penthouse e una donna svestita disegnata sul frontale. Il debutto avvenne in Belgio dove l’inglese mancò la qualificazione e durante l’anno non arrivarono punti, ma Edwards si distinte per essere stato tra gli eroi che si gettarono tra le fiamme per salvare la vita di Lauda al Nurburgring, gesto che gli garantì la Queen’s Gallantry Medal

C’è posto per tutti, o quasi  – Visto l’elevato numero di iscritti, a Silverstone nel 1977 si disputarono le prequalifiche, dove parteciparono i 13 piloti che non facevano parte delle scuderie legate alla Foca, oltre a Gilles Villeneuve, al debutto su Mclaren. Venne stabilito che i migliori cinque fossero autorizzati a prendere parte alle qualifiche, nelle quali altri quattro piloti sarebbero stati esclusi fino a formare la griglia dei 26 al via. McGuire si iscrisse in proprio modificando personalmente una Williams FW04 ribattezzata BM1, senza riuscire a prequalificarsi (ottenne il 13esimo tempo su 14), nello stesso anno perse la vita a Brands Hatch durante lo svolgimento di una gara di Formula Shellsport.

Presentat, Arm! In passato furono numerosi i team privati che gestivano auto realizzate da altri costruttori, pertanto poteva capitare di vedere altre vetture in concorrenza con quelle ufficiali, solitamente con scarsa fortuna. Lo statunitense Brett Lunger, oltre ad aver contribuito a salvare la vita di Lauda al Nurburgring nel ’76, quando era giovane Marine aveva soccorso eroicamente un commilitone figlio di un amministratore della Chesterfield, il quale lo sostenne nel corso della carriera in F1, prima con Hesketh e Surtees, poi con un team privato che gestì nel 1977 e 1978 vetture March e Mclaren, con le quali Lunger non riuscì a cogliere a punti, pur facendosi notare per una gestione ottimale del mezzo meccanico, che gli consentì di arrivare spesso al traguardo in un’epoca dove la percentuale di ritiri era molto elevata.

Vengo anch’io! No, tu no! – Al Paul Ricard nel 1976 Harald Ertl, uno degli angeli di Lauda, mancò la qualificazione e venne segnato come terza riserva, nonostante ciò si schierò in griglia illegalmente e prese il via, ma prima ancora di vedere esposta la bandiera nera fu costretto al ritiro per problemi al differenziale. La sua impresa fu “emulata” l’anno seguente da Hans Heyer, iscritto al GP di Germania dall’ATS: schierato ai box, sfruttando un pó di confusione partì, ma dopo pochi giri si ritiró per un problema alla trasmissione e fu a quel punto che i commissari di gara si accorsero di quanto accaduto. A proposito di Ertl, a Monza nel 1978, caso unico in Formula 1,  fu iscritto due volte: partecipò senza successo alle prequalifiche con la Ensign, poi venne schierato in prova dalla Ats per sostituire l’infortunato Mass, fallendo la qualificazione.

Purley, un “coniglio” molto coraggioso – A Zolder nel 1977 vi fu un’incomprensione fra David Purley e Niki Lauda (che lamentò di esser stato ostacolato e di avere rimediato un testacoda): l’austriaco apostrofò come “coniglio” il collega, che replicò: “Un grande campione non avrebbe dovuto avere difficoltà a sorpassare un coniglio, per di più su una mezza macchina come la Lec”. Lauda gli mostrò il dito medio e Purley rispose: “La prossima volta che mi mostri il dito te lo infilo nel c…” Al Gp seguente Purley per ironizzare simpaticamente sull’accaduto si presentò con un coniglio disegnato sulla sua Lec, mentre poche settimane dopo, a causa del blocco dell’acceleratore, durante le prequalifiche a Silverstone tagliò interamente la curva Becketts e passò da 170 a 0 km/h in settanta centimetri: una decelerazione record vicina ai 180 G dalla quale riuscì miracolosamente a sopravvivere. Morì purtroppo nel 1985 alla guida di un aereo acrobatico con il quale precipitò in mare; nel 1973 era stato decorato con una medaglia al valore, la George Medal, per aver tentato di salvare la vita al giovane Williamson durante il Gran Premio d’Olanda gettandosi tra le fiamme.

E’ proprio vero: Piloti, che gente!

See you later

Mister Brown

 

PS: per leggere gli articoli precedenti:

101st Running of the Indy 500 PennGrade Motor Oil

La si potrebbe “solo” definire come la 101 esima edizione della sfida più veloce del mondo ma, mai come quest’anno, è invece la sfida di un pilota che sta stupendo tutti: un certo FERNANDO ALONSO.

Il campione spagnolo è riuscito ancora una volta a far parlare il mondo, mettendo ormai però a tacere tutti quelli che dubitavano sulla sua capacità di apprendimento, nella guida su ovale e feeling con le vetture della Indycar. Ma Fernando pare essere come il calabrone, che in teoria non potrebbe volare ma lui non lo sa e vola lo stesso. Ed ecco appunto che abbiamo assistito a una curva di apprendimento rapidissima, tanto da vederlo entrare nella TOP 9 per la pole da subito, ed essere addirittura quinto sulla griglia per la gara di domenica, ad una media superiore alle 231 mph (quasi 370 km/h)!!!

Già, avete letto bene, un risultato che ha del pazzesco anche perchè, fino ad oggi, nessun vincitore di una gara di F1 era mai riuscito in una prestazione simile al debutto assoluto sul catino dell’Indiana, quindi si può dire tranquillamente che ha già vinto nettamente la sua prima sfida.

La Honda tuttavia ha deciso di non fargli perdere le abitudini prese in F1, ed ecco che un motore è saltato nelle ultime libere con il suo team costretto a una sostituzione molto rapida prima delle qualifiche, ma anche la nuova unità ha presentato poi un problema con il turbo durante i giri di qualifica. Quindi il risultato sarebbe potuto essere anche migliore, difficile la pole ma forse una prima fila magari.

Già, la pole firmata da uno Scott Dixon fin incredulo di ciò che si è trovato a leggere sul suo display, ossia una media di 232.164 mph (oltre 373 km/h) che fa sì che sia la pole più veloce dal 1996, quando le vetture erano ben diverse dalle attuali. Alle sue spalle troviamo il vincitore (al debutto) della gara del 2016, con al suo fianco una nota conoscenza per il mondo della F1, alias TaKuma Sato. Una menzione va data a Bourdais, probabilmente il favorito per la corsa, che si è trovato a finire pesantemente a muro, trovandosi ora a sistemare femore e bacino fratturati. Giusto per ricordare che il pericolo è sempre lì vicino.

Il predominio Honda è stato notevole sia dal lato motore che quello dell’aereo kit, tanto che il team Penske (dotato di motore Chevy) si è ritrovato in netta crisi con i suoi piloti, con il solo Will Power nella Top 9 e classificatosi ultimo di questi, mentre Montoya e Castroneves navigano nelle retrovie.

Il solito sistema pazzesco delle qualifiche è riuscito a far si che anche stavolta ci sia un pilota classificatosi decimo che risulta avere un giro medio che lo avrebbe portato al quarto posto in griglia, parliamo di Ryan Hunter-Reay, con i suoi 231.442 mph di media (il sistema di qualifica ha un regolamento troppo complesso da scrivere qui in poche righe)

Ma c’è poco da disperarsi, Indy 500 è sempre una gara ricca di colpi di scena dove anche le logiche più assodate finiscono per essere rivoluzionate dalle strategie improvvisate, dalle situazioni di Yellow Flag (giri dietro la safety dopo un incidente o detriti in pista) o da errori più o meno gravi dei piloti.

Negli annali delle cose più rocambolesche accadute nella 500 miglia ci sono da ricordare vittorie azzardate come quella di Alexander Rossi dello scorso anno, rimasto fuori nell’ultima situazione di yellow flag, finendo per avere un vantaggio pazzesco su chi ha pittato, percorrendo gli ultimi due giri a una andatura lentissima e tagliando il traguardo quasi con i vapori di metanolo.

Non meno pazzesca l’edizione 2015 vinta da Montoya, che nelle prime fasi di gara si era ritrovato ultimo, con un giro di distacco dal primo. Ma nonostante l’imprevisto lui e il suo team sono riusciti a fare un ottimo gioco di strategia, riprendendo il giro e riuscendo poi a risalire posizione su posizione, andando a vincere la corsa. Quando si dice che a Indy nulla è mai certo.

Un’altro finale pazzesco, quello del 2011 con Hildebrand che aveva ormai la gara in pugno, ad una sola curva dalla fine, durante un doppiaggio esce dalla traiettoria migliore, mette le gomme sullo sporco e finisce a muro. La macchina struscia il muretto fino alla linea del traguardo ma è Dan Wheldon ad aggiudicarsi la corsa, mentre Hildebrand finisce secondo senza ruote del lato destro. Una cosa incredibile.

Tuttavia uno dei finali più pazzeschi di sempre ci fu nella Indy Lights del 2012, con 4 piloti a giocarsi la gara fino alla fine, curve dove c’erano 3 auto appaiate e sul traguardo…no dai, gustatevi il video

www.youtube.com/watch?v=Wp1klmtsWQA

Ma ora basta, ormai i giorni che ci separano alla corsa sono pochi, l’interesse per la corsa, anche grazie ad Alonso, è altissimo. Non che normalmente non lo sia, ma in questi ultimi mesi i riflettori son stati ben puntati su questa corsa, speriamo quindi che ci dia le solite grandi emozioni.

Visto che si parla di gare Americane non posso chiudere l’articolo senza fare un doveroso ricordo a Nicky Hayden che ieri ha perso la sua gara per la vita, un errore in bici pagato molto caro. Quando il destino, beffardo, non chiede il prezzo in una caduta a 300 km/h in moto ma te lo chiede in un pomeriggio di Maggio.

Riposa in pace Nicky #69

Saluti Davide_QV

 

Virtual driver by McLaren

Vuoi diventare un pilota di F1 per il  simulatore della McLaren? A breve potrai farlo.

Già, la casa di Woking ha avviato un progetto di ricerca di driver online, andando a chiedere aiuto a colui che fece nascere la GT Academy, alias  Darren Cox. Per i meno avvezzi, è il personaggio che ha ideato la GT Academy , in collaborazione con Nissan e Play Station, per dimostrare che si potesse portare in gara e con buoni risultati, dei piloti virtuali fortissimi sulla piattaforma del gioco Gran Turismo. (progetto nato nel 2008)

Per quel che riguarda il tentativo fatto con la GT Academy, i risultati sono stati più che rosei, con piloti che spesso hanno ben figurato poi nelle competizioni. C’è da dire però, che le selezioni non si limitavano a una attitudine limitata al game, ma dopo una selezione di un gruppo di possibili futuri piloti reali, c’erano da superare difficili sessioni di allenamento, verifiche delle doti di guida nella realtà, la capacità di apprendimento, il lavoro di squadra, l’analisi dei dati, il saper sopportare lo stress e fatica. Insomma, non illudetevi che basti essere forti a Gran Turismo, per poter far belle cose a Le Mans.

Nel caso di Mclaren, a oggi non sono ancora ben chiare le regole del concorso, ma si sa già da ora, che non ci sarà una sola piattaforma di “gioco” (ormai più simulazione vera e propria), su cui verranno trovati i 10 virtual driver, che andranno poi alla seconda fase. E’ facile aspettarsi che si andranno a utilizzare i vari simulatori di guida un pò meno realistici, come probabilmente i vari Gran Turismo e Forza Motorsport, andando poi a salire, fino a quelli per palati sopraffini, come Assetto Corsa, una delle eccellenze nella simulazione per pc e non.

Dei 10 piloti virtuali, 6 verranno scelti da un gruppo di esperti di F1 e videogame, mentre altri 4 usciranno dalle varie sfide che si effettueranno nei mesi estivi. Passata la prima fase, ci sarà una ulteriore sfida direttamente in sede a Woking, dove i 10 dovranno dimostrare di avere anche altre doti, oltre che la pura capacità velocistica nel virtuale, andando a mostrare anche le loro capacità di lavoro di squadra, analisi dei dati, capacità di fornire informazioni e quanto altro serva, per essere un ottimo pilota da simulatore.

Il compenso per il vincitore, sarà quello di vedersi sottoscrivere un contratto di un anno, come virtual tester con McLaren, prospettiva che può essere da sogno per molti appassionati di corse.

Resto in dubbio, su quanto questa, sia più una trovata per avvicinare i giovani alla F1 o invece mero marketing, oppure una visione a lungo termine, su un ipotetica futura competizione di F1 virtuali.

Ma ora scusate, vi lascio perchè devo allenarmi al pc 😉

Saluti Davide_In-Driving -Simulation_QV

La Beffa di Adelaide

La Formula 1 “che fu” deve la propria fama a gare spettacolari, gesti eroici, fallimenti clamorosi, grandi uomini, circuiti affascinanti, innovazioni tecniche e tanto altro, oltre indubbiamente a rivalità e dualismi dai risvolti sportivi e umani molto intensi; storie che attirano il pubblico, coinvolto a sua volta in diatribe infinite che spesso superano la carriera e a volte l’esistenza stessa dei protagonisti delle vicende narrate. Su una di queste storie Ron Howard ha prodotto un film che ha riscosso un grande successo al botteghino, incontrando i favori del grande pubblico e dividendo gli appassionati di Formula 1, visto che alcuni si aspettavano forse una riproduzione più tecnica e fedele delle avventure di Lauda e Hunt, ma non possiamo dimenticare che quella pellicola è prima di tutto intrattenimento e in un’era dove la Formula 1 è distante come non mai dalla gente vedere le file al cinema per ammirare le gesta di due eroi dei gran premi dovrebbe bastarci.

“Due sono i mondi in cui gli uomini si ritrovano messi a nudo, tutte le facciate spariscono, in modo che è possibile vedere il loro nocciolo duro. Il primo è il campo di battaglia.” Edward Bunker 

Senza scomodare i pionieri della Formula 1 e restando nell’era moderna, c’è sicuramente un incontro/scontro che se trasferito a Hollywoord meriterebbe una trilogia in stile “Lord of the Rings”: stiamo parlando ovviamente di Senna e Prost, il duello dei duelli, in pista e fuori, tra dichiarazioni al vetriolo, colpi proibiti e un finale romantico reso amaro dalla tragedia. La Mclaren in quel periodo non aveva rivali all’altezza e riuscì a controllare la situazione incamerando titoli mondiali a ripetizione, ma in casa Williams una situazione analoga portò risultati nefasti in ben due occasioni. Nel 1981, con Reutemann e Jones a condividere il box, il team non riuscì a gestire il conflitto con logica “aziendale”, vanificando le prestazioni dell’auto favorita e lasciando strada ad un terzo incomodo teoricamente svantaggiato, ma abile a raccogliere i risultati necessari per tenersi in gioco fino all’ultimo incredibile round. Il terzo incomodo rispondeva al nome di Nelson Piquet, che cinque anni più tardi si trovò a sua volta al centro di un aspro conflitto con il compagno di squadra Nigel Mansell alla corte di Sir Frank.

Dopo due titoli mondiali in sette stagioni alla Brabham, team di nobile origine destinato ad un rapidissimo declino, Piquet aveva trovato nuovi stimoli nell’offerta della Williams, pronta a tornare ai vertici grazie ad uno staff di prim’ordine e una FW11 di nuova concezione, più convenzionale e affidabile, dotata di un propulsore Honda che si dimostrò non solo potente ma più equilibrato nel rapporto tra durata e prestazioni, limando anche i cronici problemi di turbo-lag che lo avevano afflitto nelle prime stagioni in F1. Il campione carioca trovò ai box Nigel Mansell, pilota aggressivo e istintivo che dopo le iniziali difficoltà convinse gli addetti ai lavori in merito alla proprie qualità, entusiasmando il pubblico per l’attitudine da guerriero senza paura, come quando a Dallas partì dalla pole e dopo alcuni problemi tecnici svenne al traguardo dopo aver spinto la vettura rimasta senza benzina. Il leone inglese era arrivato in Williams l’anno precedente, accolto con poca simpatia da Rosberg, anche se lavorando insieme i due riuscirono ad instaurare un rapporto di reciproca stima e collaborazione importante per i risultati in pista e lo sviluppo della vettura; sarebbero riusciti i due nuovi compagni di squadra a creare lo stesso clima?

A proposito: Senna, Prost, Mansell, Piquet. Incredibile pensare che per un decennio quei quattro nomi fossero presenti in un’unica griglia di partenza! C’è una bella foto che li ritrae insieme, sorridenti e rilassati (evento raro), quattro tra i piloti più forti di tutti i tempi protagonisti di un’era che, purtroppo, non potrà ripetersi, ma questa è un’altra storia.

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“Resistere significa semplicemente tirare fuori gli attributi, e meno sono le chance più dolce è la vittoria.” Charles Bukowski

Arrivò finalmente l’atteso “Via” e i test invernali indicarono la Williams Honda come la compagine favorita per il titolo, anche se il team prima dell’inizio del campionato venne sconvolto da un drammatico incidente stradale di cui fu vittima il Patron Frank, da quel giorno costretto a vivere su una sedia a rotelle. Tra gli altri team il rivale più accreditato era sicuramente la Mclaren dominatrice delle ultime due stagioni, con il campione in carica Alain Prost, finalmente smarcatosi da quell’etichetta di eterno secondo che lo aveva perseguitato nei primi anni di carriera. A far compagnia al professore francese arrivò Keke Rosberg, mentre la Lotus confermò l’astro nascente Ayrton Senna, pilota micidiale sul giro secco, implacabile in condizioni di pista avverse e sempre più maturo, tanto aggressivo in pista quanto influente all’interno del proprio team, da anni lontana dai fasti degli anni d’oro ma ancora in grado di mettere in pista una vettura competitiva, con uno staff molto attento alle indicazioni di un pilota sicuramente in grado di fare la differenza.

Nel tradizionale appuntamento di apertura a Jacarepagua Ayrton Senna confermò le proprie doti in prova rifilando sette decimi a Piquet e oltre un secondo a Mansell, mentre in piena era del turbo la differenza tra colossi dell’auto e piccoli team divenne sempre più evidente, tanto che a metà schieramento si riscontravano distacchi pesanti e nelle ultime file le “sorelle minori” giravano oltre dieci secondi al giro più lente. In gara Mansell fu vittima di un eccesso di agonismo ed uscì subito di scena nel tentativo di passare Senna, che chiuse secondo alle spalle di Piquet; deluse invece le aspettative la rivoluzionaria Brabham BT55 denominata “sogliola” , con Patrese costretto presto al ritiro e De Angelis fuori dalla zona punti a tre giri dal vincitore, un fallimento probabilmente decisivo per le sorti del team fondato da Black Jack.

Dopo 5 anni la Formula 1 tornò in Spagna nel nuovo impianto di Jerez, aspramente criticato per la conformazione poco adatta alla categoria e le misure di sicurezza giudicate insufficienti, ne uscì comunque una bellissima gara, destinata ad entrare nella storia: Senna, ancora in pole con quasi un secondo sulla diretta concorrenza, tentò di prendere il largo, mentre alle sue spalle non mancarono i duelli; a metà gara Mansell passò in testa ma iniziò a patire un eccessivo degrado degli pneumatici, prendendo poi troppo tardi la decisione di sostituirli: rientrato in pista dopo il pit-stop iniziò a macinare giri record e in poco tempo si riportò alle spalle di Senna e i due arrivarono al fotofinish con il brasiliano primo con 14 millesimi di vantaggio!

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“Fortis cadere, cedere non potest.” Proverbio latino

Prost, fino a quel momento defilato, calò un bis di vittorie a Imola e Montecarlo, portandosi in testa al mondiale, mentre le Williams sorprendentemente stentavano a decollare. Quella del principato fu purtroppo l’ultima presenza di Elio De Angelis: i suoi sogni di gloria, già ridimensionati da un team tanto ambizioso quanto deludente, si infransero infatti definitivamente il 15 maggio 1986 in un ospedale di Marsiglia, a causa delle ferite riportate in un gravissimo incidente avvenuto il giorno precedente al Paul Ricard durante una sessione di test privati dove le misure di sicurezza si rivelarono fatalmente inadeguate. La Brabham decollò per il distacco di un alettone e prese fuoco in seguito all’impatto, De Angelis restò nella macchina in fiamme per sette minuti e i primi a soccorrerlo furono i piloti (Alain Prost tentò di estrarlo dall’auto) mentre meccanici e commissari giunsero tardivamente. Cediamo per un attimo la parola a Ezio Zermiani: “Basta con questi laceranti rumori, ora potrai rilassarti come piaceva a te. Ricordi? Ssshht, non disturbiamolo, Elio sta sognando”

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“Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te.” Friedrich Nietzsche

Ancora commosso per l’assurda perdita di Elio, l’ambiente della Formula 1 ripartì nel segno di un duello tra quattro piloti consapevoli l’un l’altro di avere di fronte tre nemici di altissimo livello, vietato abbassare la guardia dunque, con ovvia soddisfazione per gli spettatori di un’opera di prim’ordine, probabilmente uno dei campionati più entusiasmanti della storia.

A Spa Berger si mise in evidenza in prova ma al via costrinse al contatto Senna (comunque secondo) e Prost, ottimo sesto al termine di una gara di rimonta dopo essere finito in fondo al gruppo; Mansell approfittò del ritiro di Piquet per vincere la gara e recuperare terreno, concedendo un gradito bis a Montreal, insidiato realmente dal solo Rosberg, tanto aggressivo quanto eccessivo nei consumi. A quel punto il leone aveva affiancato Senna a due sole lunghezze dal leader Prost, come sempre costante e attento nella visione strategica in ottica campionato, mentre Piquet, visto da molti come il grande favorito a inizio stagione, sembrava non essere in grado di incidere.  Dopo un quinto posto a Detroit, dove vinse Senna, Mansell riprese la fuga vincendo sia al Paul Ricard (drasticamente rivisto dopo l’incidente mortale di De Angelis) che a Brands Hatch, di fronte a Frank Williams, che tornò per la prima volta ai box dopo l’incidente, assistendo ad una gara dove le sue vetture terrorizzarono la concorrenza doppiando tutti. Quella di Brands Hatch fu anche l’ultima gara per Jacques Laffite, che proprio in quell’occasione eguagliò il record di presenze di Graham Hill, ma fu coinvolto  in una carambola innescata da Boutsen che gli procurò gravi ferite alle gambe. Protagonista con la Ligier a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, l’umile Jacquot non ha mai attirato l’attenzione dei riflettori come altri suoi colleghi, ma è sicuramente stato tra i piloti più veloci in una generazione di fenomeni e salutò tutti con 176 presenze, 6 vittorie, 7 pole e 32 podi.

A quel punto Piquet era a 18 punti dal compagno di squadra, ma Nelson non era certo tipo da abbattersi, come dimostrano le incredibili rimonte che lo portarono al titolo nel 1981 e 1983, quando a metà campionato nessuno, come in questo caso, avrebbe scommesso sulla sua vittoria. Non a caso il brasiliano calò un tris di successi tra Hockenheim e Monza, confezionando tra l’altro all’Hungaroring un sorpasso su Senna destinato ad entrare nella leggenda: un primo tentativo avvenne forzando la staccata in fondo al rettilineo, ma la Williams finì larga, Piquet rimase incollato agli scarichi di Senna per sfruttare al massimo la scia della Lotus e all’esterno della solita staccata dopo il rettilineo di partenza percorse tutto il curvone di traverso, riuscendo a controllare con un controsterzo incredibile la sua Williams, un sorpasso leggendario che portò il brasiliano di Rio a vincere il primo GP d’Ungheria della storia.

1986 Hungarian GP - Piquet Senna

In mezzo ai tre successi di Piquet vinse un Gran Premio anche Prost, sempre incollato alle Williams, mentre Senna fu vittima di due ritiri consecutivi che lo allontanarono dal vertice; nel frattempo si mise in luce il nostro Teo Fabi, protagonista a Monza e sull’Osterreichring con due pole position che, causa guasti meccanici, non portarono punti, mentre all’Estoril Mansell colse la quinta vittoria stagionale, rifilando una vera e propria mazzata alla concorrenza: con due sole gare da disputare il Leone poteva ora contare su ben 70 punti, con un margine di 10 lunghezze su Piquet e 11 su Prost. A Città del Messico il mondiale poteva chiudersi anticipatamente ma le condizioni del tracciato favorirono il compagno di squadra di Fabi, Gerhard Berger (già pronto per il passaggio in Ferrari) che regalò la prima vittoria alla Benetton con la complicità degli pneumatici Pirelli, grazie ai quali riuscì a non fermarsi ai box al contrario degli avversari gommati Goodyear, tra questi Mansell, che chiuse la gara al quinto posto ad un giro del vincitore, mentre Prost, secondo, riuscì a riaprire il mondiale, anche se la conferma del titolo sembrava comunque un’ipotesi poco probabile.

“Veni, vidi, vici” Giulio Cesare

Ad Adelaide, prova conclusiva del mondiale, in quello che poteva essere un trionfo annunciato la Williams, arrivò addirittura Sōichirō Honda, padre fondatore dell’azienda che portava il suo nome; le prove confermarono le sensazioni della vigilia con le Williams in prima fila, grazie a Mansell primo e Piquet secondo, con Senna (ormai fuori dai giochi) al terzo posto e Prost quarto ad oltre un secondo di distacco.

Davanti ad un foltissimo pubblico Ayrton Senna fu velocissimo allo start, mentre dopo pochi giri fu sorprendentemente Rosberg a prendere il comando, deciso a dare l’addio alla Formula 1 nel migliore dei modi al termine di una stagione tribolata. Mansell continuava a controllare la corsa in quanto sia Piquet che Prost avrebbero potuto sopravanzarlo in classifica solo vincendo il Gran Premio, situazione che nella prima fase di gara appariva ancora improbabile tenendo in considerazione che Piquet fu protagonista di un testacoda senza conseguenze che lo aveva ulteriormente allontanato dal leader, mentre Prost rientrò ai box causa una foratura perdendo alcune posizioni. Questo cambio gomme imprevisto si rivelò quanto mai decisivo, ma in quel momento nessuno avrebbe potuto immaginarlo.

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La Goodyear aveva rassicurato i propri clienti sul fatto che le proprie gomme sarebbero durate per l’intero Gran Premio, ma al sessantatreesimo passaggio la gomma di Rosberg cedette e Keke fu costretto mestamente ad accostare; la Williams forse sottovalutò l’episodio, oppure le comunicazioni non furono sufficientemente tempestive, ad ogni modo ai box del team inglese non suonò il campanello d’allarme e Mansell rimase in pista, ma nel giro successivo sul velocissimo Brabham Straight la sua gomma posteriore sinistra esplose alla velocità di 290 Km/h: l’inglese diede prova di grande temperamento controllando la vettura fino alla via di fuga, ma a quel punto poteva solo assistere al finale di gara sperando in un miracolo.

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La Williams tentò di correre ai ripari e Piquet venne richiamato frettolosamente ai box mentre Prost, che aveva già sostituito gli pneumatici dopo la foratura, prese il comando e non lo lasciò più, gestendo nel finale la rincorsa di uno scatenato Piquet, che inanellò una serie di giri veloci insufficienti per recuperare lo svantaggio. Si era ormai consumata quella che nella storia della Formula 1 è ricordata come la beffa di Adelaide. Alain Prost vinse il suo secondo titolo mondiale, per la Mclaren fu invece il terzo consecutivo, la compagine capitanata da Ron Dennis aveva già in programma un anno di transizione in vista del passaggio ai motori Honda, che arrivarono nel 1988 insieme ad Ayrton Senna, con l’intento di continuare il proprio ciclo vincente in Formula 1.

Box Mclaren, Senna e Prost, ma questa è un’altra storia…

TO BE CONTINUED

Mister Brown

Blancpain, quando un campionato stupendo vien seguito da pochi.

Eccomi qua, a raccontarvi le emozioni che ho provato nella prima gara stagionale del Blancpain, in quel del bellissimo circuito intitolato al grande MARCO SIMONCELLI, ossia Misano.

All’arrivo a Misano, si punta prima all’albergo, dal quale si sentono arrivare dalla pista, i fantastici suoni dei V8 di Maranello e i V10 di Sant’Agata Bolognese, con qualche suono più sordo e cupo dei turbo di Stoccarda o della casa di Woking. Come sempre, la scimmia incomincia a salire, ed il bisogno di vedere questi mezzi sfidarsi sul tracciato, sale a dismisura.

Sbrigate velocemente le questioni alberghiere, si vola di filata in pista. I soliti furbi proprietari di case e prati, presenti nei paraggi del circuito, sono li come rapaci, pronti ad accalappiarsi la preda che gli dia un sazio introito esentasse, rendendosi disponibili a custodire il mezzo. Ovviamente diamo loro la solita glissata all’invito, anche perchè, da subito si nota che non ci sia questa grossa presenza di pubblico, vista la scarsa difficoltà a trovar posteggio. (sul discorso pubblico parlerò dopo)

Si arriva all’ingresso ed il costo del biglietto, che permette di girare su qualsiasi tribuna, nel paddock e persino in pit-line, è di soli 14 euro, una cifra stra onesta per lo spettacolo che di li a poco si potrà gustare.

Eccoci entrati, e subito ti imbatti nelle varie Ferrari F12, o sulla FF grigia met, in una McLaren LP675 e la Huracan, tutte rigorosamente stradali, che finiscono per passare quasi inosservate, perchè proprio mentre muovi i primi passi, ti si fermano davanti le GT SPORT CLUB, ossia le auto del campionato AMATORI del Blancpain.

Come puoi riuscire a non ritrovarti con gli occhi a cuoricino, quando hai davanti dei mostri bassissimi, che già di loro sono favolosi, ed in questo campionato vengono resi ancora più stupendi, con le loro fiancate allargate, gli spoiler non eccessivi e un suono di scarico da puro orgasmo?

Già, è impossibile e per me, la più favolosa resta la BMW Z4, che della sua versione stradale forse ne mantiene solo la sagoma superiore, ma di certo non sfigurano manco le Hurracan, o le 458 e 488 di KASSEL, forse le sole che emozionano un filo meno, sono le Merz SLS (cmq da 8.5 come voto estetico).

Nella pausa pranzo, si può percorrere la pit line, ed andare ad ammirare le vetture del GT SERIES SPRINT CUP, ossia i mostri ufficiali e non, su cui corrono i piloti professionisti (per fare un nome, Fassler, uno che ha vinto “solo” 3 volte Le Mans). Passi di box in box, affascianto da quelle vetture favolose (R8 V10, Hurracan, 488, SLS, Continetal GT, Bmw M6, Mclaren 650S)  che mostrano cattiveria, già solo nella loro estetica. Ti soffermi a guardarle nei loro dettagli più nascosti, perchè nessun tecnico o meccanico ti proibisce di entrare anche all’interno del box, per poter ammirare la vettura. Ti perdi ad osservare gli attacchi delle sospensioni, le disposizioni di pompe dei freni, serbatoi, l’uso smodato di fibre varie per alleggerire le vetture, gli impianti frenanti spaziali con pinze enormi, estrattori degni delle migliori gt da competizione. Poi ad un tratto, ti ritrovi a seguire in diretta a una prova di pit stop della Bentley, restando esterrefatto della rapidità dei mecccanici e della loro meticolosità nelle operazioni….cosa può voler di più un appassionato di corse?

Il tempo nella corsia box finisce, perchè  ricomincia del movimento in pista, si sale subito sul tetto del palazzo della race direction, fiondandosi a seguire l’evento delle Fiat 500 Abarth, rimanendo stupito per quanto viaggiassero e di come nessuna si sia capottata, al contrario di quel che si vede normalmente nei video in rete.

Passano pochi minuti dalla fine delle prove delle 500, ed ecco entrare in azione i mostri della SPRINT CUP, tutte belle ora li in linea, pronte a scaricare le loro potenze. In un primo momento, un pò di stupore, misto a un pò di delusione, perchè il sound è figo, ma tutti i piloti non tirano pieni giri e staccano presto. Le traiettorie nelle curve non sono nulla di sconvolgente, resto esterrefatto. Passano 15 min…poi i succesivi 10…la situazione cambia poco, ma ancora “ni” emozione. Ultimi 15 min. e iniziano a spingere di più, ma con qualche errore dei piloti. (che forse mi stessi aspettando troppo? può essere, ma aspettate a trarre le conclusioni)

Giusto 10 min. ed ecco entrare le GT SPORT CLUB, con i piloti che danno l’anima fin da subito, facendomi tornare subito il sorriso, oltre che provare pura eccitazione, ogni qualvolta mi sfrecciava davanti la Z4. (il suo sound ancora riecheggia nelle mie orecchie). Già, in questa categoria si vede si l’andare al limite, ma anche la difficoltà, ed alla fine non sono rare le uscite di pista ed i testacoda, come non manca qualche inghiaiata. Tuttavia lo spettacolo è davvero stupendo.

Finiti i turni di qualifica, ci si spara un tour del paddock, ritrovandosi in un ambiente più casereccio, dove si nota la molta amicizia fra vari team, con totale assenza di spocchiosità dei piloti, ed i tecnici, son li che scherzano con i meccanici, anche se in qualche team, ovviamente, fervono i lavori di ripristino dei mezzi danneggiati nei vari impatti. La scena più figa, è stata sentire la radio del meccanico, con su la canzone del cartoon di CARLETTO IL PRINCIPE DEI MOSTRI 😀 …giuro che volevo abbracciarlo 😀 ahahaha fantastico.

A questo punto decidiamo di vederci la gara delle GT4 dalle tribune del carro, rimanendo sempre deluso dal poco pubblico presente. Poco importa, in pista le sportellate non mancano fra le varie Porsche Cayman, Mclaren 570 S, le KTM X-Bow, le varie Nissan 370z, le Maserati GT e la supercar Bulgara della Sin Cars. Le spinte, i sorpassi e gli errori son talmente tanti, che alla fine la gara dura una eternità, con molte bandiere rosse. Tuttavia le emozioni non son mancate, con la vittoria della gara che è andata a un figlio d’arte, ossia Cecotto Jr.

Pochi istanti, ed è già ora della  FORMULA 4, con un nutrito e consistente numero di auto partecipanti. Categoria dove corrono molti giovani, che al contrario della loro età, sono molto disciplinati e corretti nelle manovre, almeno fino a quando non inizia a saltare qualche musetto o ci scappa una ruotata. Già, proprio in questa categoria arriva il botto con il mega capottone, senza conseguenze per i piloti (come? le 500 non capottano e le formula si? :O ) . Nella categoria, compaiono i nomi di Gachot e Fittipaldi, con il primo che è figlio di colui che si fece arrestare nel 1991, lasciando libero il sedile della Jordan per il debutto di Schumi, mentre il secondo è il nipote di Emerson.

Momento di colore, incappare nel buon Davide Valsecchi che esce dal bagno, già, il posto più assurdo dove pensi mai di trovare un personaggio del genere. Lo fermo per una foto assieme e si finisce a fare quattro chiacchiere, che persona, è davvero fuori come in Tv e di una simpatia pazzesca.

Nemmeno il tempo di digerire i duelli della F4, che subito si sentono i motori della F2, categoria con uno schieramento meno nutrito, ma con vetture davvero potenti e rumorose. La gara scorre abbastanza decisa, con le vetture che raramente si trovano a duellare da vicino, almeno fino a quando, primo e secondo non si trovano ai ferri corti, ed il tutto si conclude con un doppio ritiro, a causa di un incidente avvenuto davanti ai miei occhi. La vettura in seconda posizione di Cola, decide di rompere gli indugi e sferrare un attacco a Ponzio, con una frenata oltre il limite, le due vetture si toccano, ed inevitabile arriva il ritiro per entrambi. Pazzesco è dir poco, tuttavia e stato bello assistere a un abbraccio fra i due, con Cola che si scusa da subito per la collisione.

Le emozioni ormai sono alle stelle, e deve ancora cominciare la gara, dalla durata di un ora, della GT SPORT. Questa gara ha un pò meno fascino della successiva, perchè si corre all’imbrunire e non quando è già buio, tuttavia, il vedere il plotone di auto schierate per la partenza lanciata è stupendo. Questo filotto di 25 auto, una più bella dell’altra, tutte pronte a scalpitare. Parte la gara via subito grandi duelli, senza mai lasciarti un attimo annoiato. Qualche momento di Safety car anche qui per le normali uscite, ma dannazione che gare, molti sorpassi, prestazioni al limite e devo dire anche pochi errori di guida, segno che anche fra gli amatori, il livello è alto.

Un attimo di pausa per la cena, ed ecco scendere l’oscurità della sera. I riflettori illuminano il tracciato, tutto assume un fascino diverso, la pista è li che aspetta i gladiatori, con le vie di fuga ed i muretti che quasi non si percepiscono, perchè risalta solo il nastro d’asfalto. Nel miscuglio delle emozioni, su tutte la voglia di girare su una pista illuminata, ecco che si sentono i motori rombare, ed i mostri della GT SPRINT entrare in pista. Lo schieramento, con i riflettori che mettono ancor più in risalto le vetture, è qualcosa di favoloso, sulla griglia si vede la tensione, quegli istanti di tranquillità dei box son ormai alle spalle. La safety parte per due giri di riscaldamento, ed ecco il via, le luci delle vetture quasi ti accecano, mentre li vedi entrare nella prima S, li perdi un attimo di vista, e sbadabram…un mega botto a 6, appena dietro la tribuna principale, fa subito fermare la corsa. Fortunatamente nessun danno ai piloti, ma le vetture eran praticamente demolite. Si riparte a plotone ridotto, ed eccoli li i professionisti, che si mettono a dare il massimo, facendo un giro uguale all’altro, non risparmiano nulla delle loro vetture, ed in un sol colpo la mezza delusione mattutina, viene cancellata e trasformata in esaltazione. (Preciso che la gara del sabato sera, serve ad attribuire la posizione in griglia per la domenica).

La gara si conclude con un dominio Mercedes, ma credetemi, il livello della competizione è davvero altissimo, del resto nel lotto partecipanti ci son piloti del calibro di Fassler, Raffaele Marciello, Daniel Juncadella, Christian Engelhart, Mirko Bortolotti, Jamie Green, Tom Blomqvist, Rob Bell, Kevin Ceccon, Alvaro Parente, Marco Mapelli e molti altri ancora. Piloti che han vinto i più disparati campionati endurance, Dtm, monomarca, GP2, corso nella Indycar etc. etc. gente che insomma, sa andare veloce e sbagliando davvero poco, giusto per indicare quanto alto sia il livello di questa competizione.

Mi soffermo proprio su questo punto, perchè a mio avviso e pazzesco che in Italia, certe gare non vengano seguite, solo perchè non sono la classica competizione dove c’è la Ferrari in F1 o Valentino in Motogp. Insomma, come sempre l’Italiano medio, se non gli si pubblicizza la competizione in tv, non muove il ciapet per andarsela a vedere, ed è davvero un peccato, perchè il Blancpain è un evento che merita di essere visto, essendo un concentrato infinito di emozioni e gare, che non ti danno mai un momento di tregua e noia, ad un prezzo onestissimo.

Oddio, forse la cosa meno onesta era il prezzo della birra, con la cassiera, che al settimo giro di birre da mezzo, va a chiedere alla mia amica se avesse l’età per bere, pretendendo il documento, ahahahah, siam scoppiati a ridere. Forse spinare birra, fa più danni che berla 😀

Nelle emozioni del sabato resterebbe ancora la gara notturna della GT4, ma senza che vi lascio ancora a un ennesimo commento entusiasta di una gara, racconto solo il momento in cui, una Ferrari ritorna ai box senza il muso e scende un pilota con al capo un casco nero e tre righe colorate. Una rossa, una blu ed una gialla, con un nome impresso. HUNT, FREDDIE HUNT si proprio il figlio di JAMES. Posso assicurarvi che ha tutte le fattezze del padre, sia nel modo di esternare frustrazione e quel pizzico di menefreghismo, che lo porta a stare li scazzato a guardare lo smartphone, mentre il team manager gli parla, per poi vederlo andare a seguire la gara dal muretto box. (Magari puntava una delle due grid girls che erano li vicino, va a sapere, del resto, il gene del padre sicuro c’è anche in lui 😀 )

Ora vi saluto,

Davide_innamorato del Blancpain_QV