Dentro o fuori: le prequalifiche

I rutilanti anni settanta! Quelli che proiettarono la F1 verso l’interesse planetario di un pubblico affascinato da cavalieri del rischio che sfidavano la morte ad ogni gara, ora pronti a districarsi anche tra sponsor e tv con costante incremento di denaro e partecipanti, favoriti da un regolamento libero, che permetteva di tentare la gloria anche a privati e piccoli artigiani attraverso l’acquisto di parti o di vetture altrui. Il numero di iscritti a Silverstone toccò addirittura quota 42 (anche se non tutti si presentarono) e per evitare di respingere alcune richieste si decise di organizzare, evento che nella storia della F1 era avvenuto solo al Gp del Sudafrica del 1965, un turno di prequalifiche al mercoledi cui vennero fatti partecipare i 13 piloti che non facevano parte delle scuderia legate alla Foca, oltre a Gilles Villeneuve, debuttante a cui pochi prestarono attenzione nonostante un’ottima prestazione; i migliori cinque sarebbero passati alle qualifiche ufficiali, turno che prevedeva altre quattro eliminazioni per mettere in griglia i 26 piloti previsti.

In quell’ora, lontano dall’interesse generale, in 13 si giocarono il tutto per tutto e sarebbe bastato un errore o un guasto a compromettere tutto; il povero Purley, l’eroe che pochi anni prima si era gettato tra le fiamme per tentare di salvare il collega Williamson, andò a sbattere subendo la maggiore decelerazione mai registrata nella storia dei gran premi riuscendo miracolosamente a sopravvivere, qualcuno riuscì a passare, altri non ce la fecero, qualcuno non ebbe altre occasioni e terminò la propria carriera in quell’anonima ora del mercoledi. Da quel giorno il turno di prequalifiche venne utilizzato ogni qual volta il numero di iscritti si rivelava troppo elevato, poi il Turbo divenne protagonista facendo entrare le grandi case con conseguente incremento dei costi e riduzione dei partecipanti, ridotti al di sotto delle 26 unità; ma il tempo passava e gli anni ottanta giunsero al termine con nuove modifiche regolamentari: la Formula 1 impose ai concorrenti di adottare propulsori aspirati con cilindrata massima di 3500cc e cilindri fino a 12, per molti team, in particolare di categorie inferiori, fu l’occasione per tentare il salto di qualità, grazie a giri di sponsor o a piloti paganti, con il vecchio e fidato Cosworth o con fornitori alternativi quali Judd, Yamaha e Lamborghini.

Nel 1989 gli iscritti al mondiale erano ben 39, le prequalifiche divennero dunque una necessità da regolamentare: venne fissata una sessione di un’ora il venerdì mattina dalle otto alle nove in cui tredici piloti si sfidavano per i quattro posti d’accesso alle qualifiche vere e proprie. Questo primo scoglio era riservato, per la prima parte della stagione, ai piloti le cui scuderie avevano fatto il loro esordio in Formula 1 (Brabham, Onyx e, per la seconda vettura, Rial, AGS, Coloni e Scuderia Italia) o avevano fatto segnare i risultati peggiori nella seconda metà del 1988 (Zakspeed, Osella ed EuroBrun). Da metà stagione in poi, questi team sarebbero stati sostituiti con quelli che avessero fatto segnare i risultati peggiori nella prima parte del campionato. La Brabham, scuderia gloriosa ma assente nel 1988, poteva contare su piloti di spessore e prestazioni da centro classifica, per cui la pratica per Modena e Brundle risultò spesso una formalità (solo Brundle mancò l’obiettivo in due occasioni), mentre per altri la situazione divenne ben presto complicata. In occasione del primo appuntamento a Jacarepagua passarono appunto le Brabham, l’Eurobrun di Foitek (che poi fallì la qualificazione) e l’Osella di Larini, alcuni piloti accusarono distacchi pesanti, in particolare la Onyx, con Johansson a 7 e Gachot a 10 secondi dal tempo di Brundle, per nove piloti c’era dunque molto lavoro da fare per sperare di riuscire ad arrivare in griglia.

Oltre alle Brabham, anche la Dallara di Caffi e la Onyx di Johansson (che riuscirono anche a piazzarsi in griglia e addirittura finire a punti) iniziarono a superare il turno con regolarità, questo portò molti piloti a limitare la propria partecipazione al turno del venerdi mattina: caschi e vetture che in un’era ben lontana da web, smartphone e youtube si potevano vedere in qualche raro scatto di autosprint tra tribune vuote e copertura televisiva assente. Fino al giro di boa a Silverstone, gara che avrebbe segnato il bilancio e la nuova distribuzione degli iscritti alle prequalifiche, per Winkelhock, Suzuki, Weidler, Foitek e Ghinzani lo scoglio fu insormontabile, mentre Schneider, Dalmas e Raphanel riuscirono a superarlo in una sola occasione. Nel frattempo si creò una sorta di campionato “B” in quanto i team che fino a quel momento potevano godere di accesso diretto all’evento temevano la “retrocessione” al venerdi mattina con evidente necessità di fare punti, lottare e piazzarsi; tra le scuderie a rischio anche la Minardi, che con una grande prova d’orgoglio conquistò proprio a Silverstone tre punti decisivi (Martini quinto e Sala sesto) per continuare a giocarsela con tranquillità.

Da metà stagione in poi i due piloti della Brabham, Caffi e Weidler non dovettero più prendere parte alle prequalifiche grazie ai risultati fatti segnare dalle loro scuderie nella prima parte di campionato, mentre al loro posto furono costretti a parteciparvi le Larrousse, Moreno e Tarquini. Proprio quest’ultimo in Messico aveva portato un punto miracoloso all’Ags ma da Hockenheim non riuscì più a prequalificarsi, sorte che in un paio di occasioni condivise con una vittima illustre, Michele Alboreto (passato dalla Tyrrell alla Larrousse per motivi di sponsorizzazione), mentre Aguri Suzuki mancò l’obiettivo in tutte e 16 le occasioni, ebbe modo di rifarsi l’anno seguente salendo sul podio nella “sua” Suzuka.

La mancanza di risultati e fondi portò ad alcune defezioni ma il numero dei presenti rimase oltre le trenta unità anche per il 1990, tra gli altri fece il suo ingresso l’italiana Life, nata da un progetto dell’ex tecnico Ferrari Ing.Franco Rocchi, che progettò un motore 12 cilindri a W, con tre bancate da quattro, che in teoria avrebbe dovuto unire la potenza a dimensioni ridotte. L’imprenditore Ernesto Vita ne acquistò i diritti ma non trovò acquirenti, quindi fondò un team rilevando materiale della First di Leoni, che aveva tentato invano di iscriversi al mondiale l’anno precedente. I risultati furono purtroppo disastrosi: il team non superò mai le prequalifiche (prima con Gary Brabham e poi con Bruno Giacomelli) terminando spesso dopo un solo giro per problemi tecnici o accusando distacchi anche superiori ai 30 secondi dal tempo utile per passare alle prove ufficiali, nemmeno con il passaggio al più convenzionale Judd la situazione migliorò e la Life chiuse i battenti prima della fine del mondiale; stesso destino per l’Eurobrun, che si piazzò in griglia in poche occasioni con Moreno, mentre Langes rimase sempre fermo al venerdi mattina, spesso con distacchi pesanti dal resto del gruppo. Un altro progetto ambizioso fu quello della Coloni, che allo scopo di fare il salto di qualità si legò alla Subaru che aveva commissionato a Carlo Chiti (tecnico storico di Ferrari e Alfa Romeo) un motore Boxer a 12 Cilindri. Purtroppo il motore si rivelò poco competitivo e il contributo finanziario della Subaru insufficiente, la stagione divenne quindi un calvario, tanto che Bertrand Gachot non entrò mai nei 26 iscritti alla gara, nemmeno con il ritorno al Ford Cosworth. Durante la stagione abbandonò anche la Onyx e il numero decrescente di iscritti non rese più necessarie le prequalifiche a fine stagione, lasciando un pò di respiro all’Osella di Grouillard, già favorita dalle defezioni e dalla scarsa competitività della Ags che nonostante l’impiego di due piloti di spessore quali Tarquini e Dalmas continuava a qualificarsi raramente.

La Lamborghini Engineering, nata con lo scopo di produrre e distribuire un motore V12 per team di F1, ricevette una proposta dal finanziere messicano Fernando Gonzalez Luna che intendeva entrare in Formula 1 con un proprio team, cui diede il nome GLAS (Gonzalez Luna Auto Scuderia), prima di sparire nel nulla con i soldi destinati al progetto, situazione che spinse la Lamborghini (controllata dalla Chrysler) ad utilizzare l’esperienza per fondare una propria scuderia denominata Modena Team, nuovo ingresso per il 1991 insieme alla Jordan, inserite nel turno del venerdi insieme a Coloni, Fondmetal (nata dall’Osella) e Scuderia Italia, “retrocessa” causa un 1990 fallimentare. Le Jordan di De Cesaris e Gachot si rivelarono molto competitive, così come la Scuderia Italia che con Lehto centrò pure un podio a Imola, mentre il Modena Team potè contare sul settimo posto di Larini negli Usa, pertanto da metà stagione a Coloni e Fondmetal vennero affiancate le deludenti Brabham, le Ags e le Arrows-Footwork, tornate al Cosworth dopo il fallimentare tentativo con il propulsore Porsche.

I team abbonati all’eliminazione, ormai stremati finanziariamente, salutarono il circus, che si avviò al 1992 senza Ags (già ritirata nel corso della stagione precedente), Modena Team e Coloni, quest’ultima tra l’altro assente in griglia di partenza da oltre due anni (l’ultima presenza in gara era infatti datata 1989, con Moreno al volante). La debuttante del 1992, Andrea Moda, che si iscrisse proprio utilizzando delle vecchie Coloni prima di presentare le proprie vetture, fu corso della stagione l’unica vittima delle prequalifiche tra disavventure tragicomiche, come ad esempio l’utilizzo di gomme da bagnato sull’asciutto causa mancanza di materiale, vetture mai arrivate al circuito oppure iscritte ma rimaste ferme ai box con conseguente irritazione degli altri team costretti a disputare una sessione inutile. Al termine di un’esperienza che vide una sola partecipazione in gara, miracolo del solito “pupo” Moreno, esperto a districarsi a fondo griglia, con l’arresto del patron Sassetti nei box di Spa e conseguente allontanamento in base alla clausola di aver “danneggiato la reputazione dello sport”, il team chiuse i battenti e con esso la necessità della sessione di prequalifiche, disputate l’ultima volta in Ungheria, con l’esclusione di Moreno (distacco di oltre 10 secondi dal tempo della pole) e McCarthy (senza tempo).

La situazione economica disastrosa di alcuni team quali Lotus, March, Scuderia Italia, Brabham e Larrousse, oltre agli ingressi poco fortunati di scuderie quali Simtek, Pacific e Forti, ha portato il numero delle vetture iscritte a 22, motivo per cui anche le qualifiche non hanno richiesto eliminazioni se non per il tetto del 107%, fissato per evitare la presenza in gara di vetture eccessivamente lente. Con la metà degli anni novanta è dunque finita un’era che ha saputo offrire aneddoti e ricordi unici, nel bene o nel male: solo Jordan e Sauber hanno saputo costruirsi uno spazio duraturo e carico di soddisfazioni, grazie a scelte azzeccate, organizzazione e gestione oculata dei propri fondi, ma nella Formula 1 lanciata verso una sempre più crescente popolarità, tra i duelli di Senna, Prost e Mansell, le innovazioni tecnologiche e la presenza di piloti di spessore, merita uno spazio anche l’illusione di piccoli artigiani e team minori, pronti a tutto, anche a soluzioni coraggiose e sulla carta innovative, pur di salire la scala verso il successo.