VALENTINO ROSSI POSITIVO AL COVID – SALTA ANCHE TERUEL

Valentino Rossi salterà anche il GP di Teruel di Domenica 25 ottobre. Tegola durissima sulla stagione di Valentino, già drammatica di per sé. Piove sul bagnato dopo le 3 cadute di fila alle quali si aggiungeranno i due 0 della doppia di Aragon.

Rivedremo in pista Rossi per le ultime tre gare dell’anno. Yamaha non porterà un sostituto per domenica prossima.

https://twitter.com/YamahaMotoGP/status/1317747540348067841?s=19

 

ROSSI POSITIVO AL COVID19.

Piove sul bagnato in casa Rossi. Se le recenti prestazioni avevano lasciato molte domande, una tegola pesantissima si abbatte sul Campione di Tavullia. Il Covid.

Rossi è risultato positivo dopo il rientro da LeMans. Salterà il GP di domenica ad Aragon ed è in dubbio anche per il prossimo. (Doppia di Aragon)

COURTESY OF VALENTINO ROSSI (INSTAGRAM PROFILE)

Mondiale sempre più in salita per Valentino, dopo la “tripletta” di cadute di fila negli ultimi 3 GP segnerà un altro “zero” in quel di Aragon, con la possibilità non remota di saltare anche il prossimo.

Naturalmente ciò che conta è ritornare presto in pista ed augurare a Vale una pronta guarigione.

MOTOGP 2020- GP D’ARAGONA

Dalla Francia alla Spagna. La giostra del mondiale si sposta definitivamente in penisola iberica sino alla sua conclusione.

Due gare ad Aragon consecutive, una settimana di pausa e poi una doppia Valencia con la finalissima di Portimao subito dopo. In sei settimane ben cinque gare con l’incognita del tempo essendo ormai in autunno inoltrato.

Petrucci è stato il settimo vincitore stagionale di un mondiale che non vuole trovare un padrone: ma ci sarà mai un padrone per questo Mondiale? L’unica ragionevole strada per trovarlo è quella di vedere un pilota in grado di vincere almeno tre delle restanti cinque gare piazzandosi sul podio nelle altre due. Qualsiasi altra combinazione di risultati ci restituirà un Campione legittimo, assolutamente non autoritario e sicuramente meno autorevole rispetto alla storia recente.

Lo stesso leader Quartararo ha vinto tre gare su nove eppure ha solo 115 punti: in rapporto alle corse disputate fanno la misera media di 12,7 punti/gara. Numeri alla mano avrebbe finito i campionati degli ultimi 15 anni quasi sempre in quarta posizione , con picchi della terza nel 2018/2019, ma anche della quinta nel 2014/2015.

Scavando più in fondo si scopre che, nell’era MotoGp, i due anni con il punteggio più basso sono stati il 2006 vinto da Nicky Hayden con una media di 14,8 punti/gara ed il 2016 vinto da Marquez con la media di 16,5: il Fabio del 2020 sarebbe finito quinto nel 2006 e quarto nel 2016…

Il mondiale potrebbe essere più avvincente se tutti i protagonisti mostrassero almeno una certa costanza di rendimento, e questo anche la netto dell’assenza di Re Marquez. Il nocciolo della questione è proprio quello: l’incostanza.  Ed è una caratteristica comune a tutti i contendenti anche al netto delle cadute e dei problemi meccanici che hanno afflitto tutte le Yamaha in primis a parte quella di Quartararo. Laddove non sono mancate le moto sono mancati i piloti….

Tale incostanza pare ormai chiaro sia da attribuire agli pneumatici che Michelin ha scelto di portare quest’anno. Dopo i primi mal di pancia di alcuni sono arrivate le lamentele di altri e, visto che sulla moto ci vanno i piloti, alla fine dobbiamo fidarci della loro opinione. Interverrà il costruttore francese? Non nel corso di questo campionato, pena il rischio di falsarlo favorendo qualcuno a danno di altri.

Nel frattempo i francesi ci stanno “regalando” una stagione simile a quella del rientro in veste di fornitore unico, il 2016. Quell’anno ci furono 9 vincitori diversi su 18 gare: nel 2020 siamo già a 7 su 14 per cui abbiamo già pareggiato l’incidenza. Tenendo conto che abbiamo ancora 5 appuntamenti e che i due Suzukisti e Bagnaia sono pronti all’impresa, allora ecco che potremmo rischiare di vedere battuto anche il record assoluto. Ed a Portimao dovrebbe rientrare anche Marc… Chi osa pensare che non potrà vincere?

Ma torniamo a questa settimana. Il tracciato presenta curve con diverse caratteristiche, alcune lunghe da percorrere in accelerazione altre in rilascio, altre molto secche da bassa velocità e con cambi di direzione. Il settore finale è composto da un lungo rettilineo nel quale si “entra” da una variante molto lenta, per cui le moto con più trazione ed allungo potrebbero fare la differenza. Gia, ma quali?

(immagine tratta dal sito vanessapaddock)

In un decennio di storia ad Aragon ci hanno vinto solo Stoner con due moto diverse, Pedrosa una volta, Lorenzo due, Marquez cinque. Per i team una vittoria Ducati, due Yamaha e poi solo Honda che quest’anno difficilmente potrà allungare la striscia delle quattro di fila e delle sette totali.

Con Marquez in pista avremmo saltato a piè pari l’intro al GP:  ne ha vinte cinque su sette in classe regina a partire dal 2013. Ma Marc non c’è ancora, ed un topo potrà ballare meglio e più degli altri. Chi?

Nelle ultime intro non ho azzeccato un pronostico manco per sbaglio, quindi mi asterrò.

E vista la “confusione” attuale è improbabile pensare di delineare dei valori dettati dall’adattabilità delle moto al circuito come in passato: tutto troppo condizionato da altri fattori, altrimenti Petrucci non avrebbe vinto in Francia, Oliveira non avrebbe vinto in Austria e Binder a Brno.

A sto giro mettiamo i numeri di gara nel sacchetto di quelli della tombola e tiriamoli fuori a sorte.

Ma ci sarà da divertirsi comunque.

 

 

Moto2

(immagine tratta da motorsport.com)

Lo scorso weekend nessuno dei tre capofila in classifica di ognuna delle tre classi ha vinto, ma chi ha fatto peggio è stato proprio Luca Marini che ha messo in casella un brutto zero figlio della legnata presa in terra venerdì. Avrà voglia di rifarsi sempre che sia in condizioni fisiche per potersi difendere. Abbiamo detto tante volte che il calendario molto “stretto” del 2020 con blocchi di tre gare “ammucchiate” avrebbe avuto qualche scompenso.

Ci auguriamo per lui che possa difendersi e gli è andata bene che i suoi rivali più diretti abbiano fatto punti in maniera inversamente proporzionale al distacco che avevano in classifica e questo gli ha dato modo di non trovarseli sul collo più di quanto già lo siano.

In 22 punti ci sono nell’ordine Marini, Bastanini, Bezzecchi e Lowes. Il Mondiale si deciderà tra questi quattro piloti.

 

 

Moto3

(immagine tratta da oa sport)

Bel colpo in Francia di Vietti che sale in classifica generale avvicinandosi al vertice e, soprattutto, mostrando una lucidità che lo potrebbe far diventare il più serio aspirante alla corona iridata sull’onda dell’entusiasmo.

Cercherà il riscatto Ai Ogura autore di una prova molto incolore in Francia compromessa sin dalle prove, mentre Albert Arenas (il più maturo di tutti) ha limitato i danni.

Anche in Moto3 la classifica si è delineata raggruppando in venti punti Arenas, Ogura, Vietti ed Arbolino. Il campione 2020 è tra di loro.

Sarà la consueta gara di scie, di incroci di traiettorie e di sorpassi pazzi. Un pronostico? Auguri, fatelo voi.

 

(Immagine in evidenza tratta dal sito tuttomotoriweb.com)

GOING NOWHERE FAST EP.1 – SIAMO UNA SQUADRA FORTISSIMI

Se credete che una scuderia di F1 non possa spingersi più in basso della Williams dello scorso anno o della Manor del 2015… beh, il bello della vita è che le cose non vanno mai così male da non poter peggiorare ulteriormente. Per recensire le avventure di tutti quei capitani di ventura che, mossi dalla più pura delle passioni, si sono calati nella grande avventura della F1 senza la minima preparazione servirebbe un intero atlante. In questa serie di articoli analizzerò più nello specifico le vicende più divertenti o istruttive di quel microuniverso di scuderie che per decenni hanno affollato la griglia di partenza con risultati irrisori.

AUTODROMO JUAN Y OSCAR GALVEZ, ARGENTINA – APRIL 07: Pedro Diniz, Ligier JS43 Mugen-Honda, hits Luca Badoer, Forti FG01B Ford, causing the latter to flip over and end up upside down in the gravel trap during the Argentinian GP at Autodromo Juan y Oscar Galvez on April 07, 1996 in Autodromo Juan y Oscar Galvez, Argentina. (Photo by LAT Images)

Oggi parlerò della Forti Corse, una scuderia italiana che corse tra 1995 e 1996. A suo modo chiuse un’epoca: è stata infatti l’ultima scuderia a debuttare in F1 da sola, senza il supporto di un costruttore (al contrario es. della Stewart-Ford) o di un munifico investitore (al contrario es. della Force India). La storia della Forti in F1 è la storia del declino dei veri garagisti.

[COURTESY OF FORMULAPASSION.COM]

“Il fallimento nel fare un piano realizza il piano del fallimento” potrebbe essere la tagline della Forti. Era un team abile e motivato che però commise diversi errori di pianificazione che pesarono come macigni sulla sua sorte. Come la Coloni (altro team “storico” del quale riparlerò), la Forti, fondata ad Alessandria nel 1977 dal pilota Guido Forti e dall’ingegnere Paolo Guerci, militò con successo nelle formule minori fino a quando nel 1991 decise di tentare il grande salto. Forti era un personaggio ambizioso ma non ingenuo (a differenza, per dire, di Andrea Sassetti, mr Andrea Moda). La condizione necessaria per correre in F1 era di poter contare su un forte capitale finanziario, pertanto passò gli anni successivi a consolidare la squadra corse e a intessere pubbliche relazioni.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Nel 1993 si concretizzò l’occasione: approdò nel team di F3000 Pedro Diniz, figlio di Abìlio Diniz, imprenditore brasiliano di successo che voleva a tutti i costi trovare un sedile competitivo al figlio. Il matrimonio era felice: il team Forti era per Diniz sr il modo più rapido per portare suo figlio in F1 mentre per il signor Forti il denaro di Diniz sr era la via più agevole per l’approdo nella massima formula. L’intesa fu suggellata dall’ingresso in scuderia di Carlo Gancia, storico procacciatore di sponsor per piloti brasiliani. Grazie alle piantagioni da zucchero di Diniz sr ma anche al lavoro di Gancia, che convinse Parmalat e Sadia a finanziare il team, a fine 1994 il team aveva un budget sufficiente per debuttare nel 1995. Per essere un deb la Forti era messa meglio di tanti altri. Bisognava però anche investirlo, questo capitale.

[COURTESY OF FLICKR.COM]

Proprio in quegli anni la F1 aveva ingaggiato una lotta per eliminare i team dilettanti, pericolosi per sé e per gli altri, e il nuovo regolamento tecnico sanciva che ogni team doveva progettare da sé il proprio telaio, anziché acquistarlo da terzi. Serviva quindi una base più attrezzata dell’officina di Alessandria; Forti decise di assorbire le risorse umane e tecniche nel team Fondmetal,  fallito nel 1992 pur avendo i progetti della macchina del 1993. L’approccio era in teoria corretto; in pratica la Forti avrebbe gareggiato nel 1995 con una macchina progettata due anni prima, basata su progetti ancora più anziani e probabilmente non competitivi neanche all’epoca. Va bene che l’obiettivo non era quello di vincere il campionato, ma dico solo questo: saranno gli unici della griglia ad avere ancora un cambio a H e a non avere un airscope.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Grazie all’attrattiva esercitata dal mercato sudamericano sulla Ford, il team riuscì a dotarsi del Cosworth ED V8, lo stesso dei diretti avversari. Ai piloti ci pensò Diniz sr: un sedile andò ovviamente al figlio Pedro, l’altro, volendo un secondo brasiliano in squadra, toccò a Roberto Moreno, un pover’uomo già forgiato dalle terrificanti esperienze di Coloni e Andrea Moda, a conti fatti l’ennesima death flag sul progetto.

[COURTESY OF PILOSELLA.ALTERVISTA.ORG]

Grazie all’attenta pianificazione, il team sostenne i test pre-stagionali senza grossi intoppi (per dire, Minardi, Larrousse, Pacific e Fookwork non ci riuscirono). In questo modo però i nodi vennero subito al pettine: il miglior tempo di Diniz risultò di quattro secondi più lento di Mansell su McLaren. La stagione si preannuncia in salita.

Il primo GP  è in Brasile e gli eventi prendono subito una piega favorevole: la Larrousse fallisce e la Lotus confluisce nella Pacific; la presenza di soli 26 partenti significa niente pre-qualifiche, storico spauracchio dei team di quinta fascia. Sarà l’ultima buona notizia della stagione. Joe Saward al termine delle prove libere spiega perché: “Pedro Diniz made [Pacific’s] Lavaggi and Deletraz look like amateurs when it came to throwing money away. […] The Forti was a fearful pile of junk and not even Roberto Moreno could make it go quickly. […] It was sad to watch“.

[COURTESY OF FORTI CORSE VIA FACEBOOK]

Le qualifiche si svolgono senza bandiere rosse e con un cielo terso, le condizioni deali per mostrare la competitività della vettura; finirono invece per metterne spietatamente a nudo i difetti. Moreno e Diniz si qualificarono a +6.188 e +7.711 dal poleman Damon Hill. Malgrado disponesse di uno dei budget migliori per la fascia, la Forti subì l’umiliazione di vedere entrambe le macchine battute da Taki Inoue e riuscì a battere solo la Simtek! Una scuderia il cui quartier generale era una capra che danzava intorno a un falò!

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La Domenica almeno la macchina si mostrò affidabile. Entrambe le vetture arrivarono a due terzi della distanza di gara; Moreno poi finì in testacoda, ma almeno Diniz giunse all’arrivo. Il risultato, di per sé significativo per un team in queste condizioni, venne eclissato dal fatto che rimediò sette giri (!!!) dal vincitore Schumacher e solo cinque (!!!) dal penultimo, Aguri Suzuki su Ligier. E meno male che Interlagos era un circuito di motore, dove almeno il Ford V8 poteva salvare la baracca.

1995, Argentina — Roberto Moreno racing for the Forti Ford team at the 1995 Argentinian Grand Prix. — Image by © Jerome Prevost/TempSport/Corbis

Peccato che il GP successivo fosse in Argentina, e il tortuoso tracciato di Buenos  Aires avrebbe esaltato le carenze del telaio. La pioggia che cadde durante le qualifiche estremizzò la situazione già poco rosea, e Moreno dovette accontentarsi di un 24° posto a 11 (!!!) secondi dal poleman Coulthard, con Diniz più indietro. Almeno stavolta si erano messi alle spalle Inoue… La gara se possibile risultò ancora più crudele. Come in Brasile, le macchine ressero ma stavolta servì a poco: le due Forti vennero doppiate NOVE VOLTE (!!!), così tante da non completare il 90% della distanza di gara, pertanto non vennero classificate. Per indulgere in questa pornografia del disastro, si beccarono cinque giri anche dalla Simtek di Schiattarella, mentre il giro più veloce di Moreno fu 10s più lento di quello di Schumacher. Nell’arco di due gare il team Forti passò da novità promettente a barzelletta del circus.

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Se c’era una cosa che alla Forti non scarseggiava era denaro e buona volontà. Sergio Rinland (ex Brabham e Williams) si mise al lavoro, si spostò ad Alessandria per lavorare meglio, assunse i gradi di DT, litigò con tutto il management, lasciò il team. In Forti non si persero d’animo, e alla fine il lavoro del progettista Giorgio Stirano diede i suoi frutti: la macchina fu snellita di 60 kg, muso e sidepod vennero riprogettati, così come il telaio fu reso più resistente alla torsione. Non arrivò mai il cambio semiautomatico, ma comunque si riportarono in zona Pacific, che ogni tanto sconfissero in qualifica, ridussero i giri di distacco dal leader (con il vertice a Spa, dove vennero doppiati solo due volte da Schumacher) e mantennero un’ottima affidabilità per un team rookie. In Germania Diniz riuscì addirittura a sorpassare le McLaren di Hakkinen e Blundell! Ok, lui era su wet mentre loro su slick sulla pista bagnato, ma un sorpasso è un sorpasso.

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L’occasione dell’anno arrivò proprio nel corso dell’ultimo appuntamento in Australia. La macchina risultò fortissima, e 210.000 australiani assistettero a Moreno che influsse ben 8 decimi ai rivali della Pacific. La gara fu un gioco massacro: iniziò Coulthard, sbattendo contro il muretto mentre rientrava ai box da leader della corsa, ma uno a uno tutti i piloti venivano eliminati dal tracciato che non permetteva errori. Diniz si arrampicò fino alla 7a posizione , appena una al di fuori dei punti, quando all’ultimo giro la Ligier di Panis rallentò per una perdita d’olio. Il miracolo tuttavia non si concretizzò, e Diniz rimase l’unico pilota a non segnare punti quel giorno. Il risultato fu comunque importante e permise al team di concludere davanti ai rivali di Pacific e Simtek (che al massimo potevano vantare un ottavo posto come miglior piazzamento).

Per quanto l’anno sia stato l’opposto del successo in tutti i campi possibili, il team si trovava paradossalmente in una posizione di forza rispetto agli avversari all’inizio del 1996. La Pacific era fallita e Diniz aveva un contratto per altri due anni, il che significava un buon cash flow e una certa credibilità per sponsor e tecnici. Il team era stato sgrezzato e i miglioramenti erano stati significativi;  i risultati erano a portata di mano, e con qualche buona performance non avrebbero avuto problemi a trovare nuovi sponsor con cui rafforzare la propria presenza in campionato. Diniz jr inoltre nel 1995 si era mostrato piuttosto solido, riuscendo a completare ben 10 gare su 17. C’erano tenue speranze in vista del 1996.

Non ebbero neanche il tempo di iniziare a preoccuparsi: Diniz lasciò la scuderia con effetto immediato per la Ligier, portando il malloppo con sé. La luce in fondo al tunnel era quella del treno. Forti rimase fregato dal fatto di non aver mai stipulato un contratto scritto con la famiglia Diniz. Uno di quei “piccoli” errori di pianificazione che pesarono come macigni.

Luca Badoer (ITA) Forti FG03-96 Ford Cosworth Forti Corse – www.xpbimages.com, EMail: requests@xpbimages.com © Copyright: Photo4 / XPB Images

Con queste premesse il 1996 fu il correlativo oggettivo del detto “Dalle stelle alle stalle”. La Forti alla fine del 1995 aveva siglato un contratto con la Ford per usufruire del più potente JD Zetec-R V10, ma l’abbandono di Diniz indusse i vertici a concedergli solo la versione migliorata del V8 dell’anno prima. I piloti furono Andrea Montermini (che aveva vinto la F3000 con la Forti una vita prima) e Franck Lagorce, pilota pagante poco pilota e pure poco pagante, tanto che fu sostituito da Badoer ancor prima di iniziare.

Monte Carlo, Monaco.
16-19 May 1996.
Luca Badoer (Forti FG03 96 Ford) failed to finish the race after crashing into Villeneuve.
Ref-96 MON 29.
World Copyright – LAT Photographic

La macchina nuova sarebbe stata disegnata da Riccardo de Marco, al primo incarico come progettista di macchine da corsa, e ovviamente non fu pronta per l’inizio del campionato. A peggiorare la situazione, la F1 introdusse per la prima volta la regola del 107%, una legge ad personam contro la Forti in pratica. Per i primi tempi potevano affidarsi solo che al motore per passare la tagliola; ovviamente non fu sufficiente.

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La nuova FG03 arrivò solo a Imola per il solo Badoer, e permise all’italiano di qualificarsi per la gara, pur restando confinato nelle ultimissime posizioni. Nell’unica occasione in cui avrebbero potuto segnare punti, il famoso GP di Monaco dove arrivarono in tre, le due Forti rimasero invischiate in incidenti. La vettura era decente ma il team stava morendo; era solo questione di tempo. Dopo il GP monegasco tuttavia entrò in scena l’ultimo personaggio della tragedia, l’entità misteriosa conosciuta come “Shannon Racing”, un team irlandese di F3000 sussidiario della compagnia FinFirst. Stando ai comunicati stampa, era un gruppo industriale e finanziario italiano desideroso di farsi pubblicità. La Shannon acquistò il 51% delle quote del team e le due FG03 arrivarono a Barcellona con una nuova livrea bianca e verde, a testimonianza il cambio di governance. La situazione precipitò subito dopo.
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Shannon non pagò mai, quindi Guido Forti rescisse il contratto e ritornò al comando del team. La macchina era migliorata (Badoer si qualificò davanti a Rosset in Canada) ma la scuderia ormai era oberata di debiti, il più grande dei quali con la Cosworth, che smise di rifornire il team di motori nuovi. Per un paio di gare si arrangiarono con dei motori a fine vita, ma alla fine in Germania dovettero arrendersi. A rendere il tutto più farsesco ci fu anche la disputa legale tra Forti e Shannon per il controllo del team. Shannon vinse per insufficienza di prove, ottenne il 100% del team, che nel frattempo era morto. Decenni di militanza nel motorsport distrutti in neanche un anno. Nel corso degli anni la Forti aveva lanciato nomi che certo risulteranno familiari alle vostre orecchie: Teo Fabi, Nicola Larini, Mimmo Schiattarella, Giovanna Amati, Fabiano Vandone, Gianni Morbidelli, Fabrizio Giovanardi.
[COURTESY OF FLICKR.COM]
La Shannon fu l’ultima grande truffa della storia della F1. Anche per questo la Forti ha chiuso un’epoca. Alla fine risultò essere un’entità fittizia (che rischiò di coinvolgere anche la Minardi, solo che i faentini, più smaliziati, intuirono la fregatura) che si ricollegava a Hermann Grantz, truffatore di professione ricercato da mezzo mondo (citato addirittura tra le carte del processo Publitalia su Berlusconi e Dell’Utri). FinFirst aveva acquisito diverse compagnìe, ma non garantì mai i soldi promessi. Probabilmente il coinvolgimento in F1 era solo un modo per rendersi credibile agli occhi degli investitori da ingannare.
[Recupero della memoria storica?]
Il peccato originale era stato usare il telaio della Fondmetal del 1992, troppo vecchio per combinare alcunché. In generale ormai erano cambiati i tempi: un team ben organizzato, composto da abili lavoratori, onesti e guidati dal sogno non poteva più entrare in F1 solo sulle proprie forze. Il fallimento della Forti terminò l’epopea dei garagisti. Peccato, poteva essere la storia dell’Eddie Jordan italiano.
Ci rivediamo la prossima settimana con la storia della Life e dell’inverecondo W12. Stay Tuned.
[Immagine in evidenza tratta dalla pagina Facebook della Forti Corse]
Lorenzo Giammarini a.k.a. LG Montoya

 

 

 

 

 

SCHUMACHER VS HAMILTON AL NETTO DEI LORO DOMINI

Che Hamilton raggiungesse Schumacher era ormai scontato e quel giorno, inesorabilmente, è arrivato.

Novantuno vittorie a testa, 182 insieme, che fanno il 18% dei Gran Premi di Formula 1 che la storia ha regalato ai posteri: un dato impressionante.

Sui socials spopola la disputa tra tifosi oltranzisti dell’una e dell’altra sponda, con furibonde discussioni su quanto sia stato determinante per l’uno o per l’altro il periodo al volante della loro monoposto dominante.

Traendo spunto da un commento del nostro Pier Alberto, mi è balenata l’idea di ragionare al contrario, ovvero fare un’analisi dei risultati dei due big AL NETTO dei periodi in cui hanno dominato. Sono stati quindi esclusi tutti gli anni da cui sono partiti i loro regni, dal 2000 per Il Kaiser e dal 2014 per Hamster.

Per fortuna l’andamento delle carriere dei nostri due ha permesso di spogliare le stesse in maniera equa per entrambi gli attori, regalandoci due quadri con contesti molto simili anche in termini temporali.

Ne è venuta fuori la tabella di cui sotto sulla quale trovate dei numeri che danno un’idea di quanto accaduto in quegli anni.

 

Curiosamente, prima dei loro “imperi”, entrambi avevano corso lo stesso numero di gare, 130 Schumacher e 129 Hamilton: il campione preso in esame è perciò significativo ma, soprattutto, confrontabile.

Tra i KPI evidenziati ci sono il numero di vittorie, di pole, di podi totali (comprese le vittorie) ed anche i Giri veloci in gara tanto cari a qualcuno..

Volutamente non sono stati presi in considerazione i punti conquistati perché, al di la della distribuzione diversa di punteggio, si è passati da periodi in cui si premiavano i primi 6 per passare ad 8 e poi a 10 piloti.

Il confronto è puro, su numeri incontrovertibili e chiari.

A voi i commenti.

 

(immagine in evidenza tratta dal sito Formula1.it)

HAMILTON RAGGIUNGE SCHUMACHER IN GERMANIA

Doveva succedere. Ed è successo proprio in Germania. Nella patria di Michael Schumacher. Nel week-end in cui suo figlio Mick avrebbe dovuto debuttare ufficialmente in F1, anche se solo nelle prove libere.
Le carriere di Lewis e Michael si sono incrociate tante volte.
Hanno avuto il tempo di farlo in pista, cosa che non sarebbe successa se Schumacher non avesse deciso di ritornare alle corse dopo il primo ritiro del 2006.
Ed è toccato all’inglese sostituire il grande campione tedesco in Mercedes, costringendolo, di fatto, al ritiro. E cedendo la propria monoposto a colui che avrebbe poi cancellato i suoi record.

La 91a vittoria sembrava non dovere arrivare mai. La distrazione della sua squadra a Monza e a Sochi gli è costata due vittorie, rimandando così il tutto proprio in terra tedesca, per rendere l’evento ancora più suggestivo.

Bottas ha provato a rimandare il tutto all’anonimo Portogallo, prima prendendosi imperiosamente la pole position, e poi resistendo strenuamente all’attacco di Lewis in partenza. Ma inutilmente, perchè un suo errore al 13° giro, e il cedimento della sua power unit al 18* giro, lo hanno riportato al suo solito standard, quello di maggiordomo ben pagato.

Per il resto, la gara è vissuta unicamente di quanto accaduto dietro i soliti tre, e a debita distanza. Il primo degli altri in qualifica è stato Leclerc, con una Ferrari apparsa in ripresa. Apparsa e basta, però, perchè è bastato che si spegnessero i semafori per rivedere la solita, inefficace, SF1000, con Charles costretto a prendersi 2 secondi al giro per i primi 9 giri, e a farsi poi sverniciare da Ricciardo fermandosi ai box prima di subire il sorpasso dagli altri.

E al compagno di squadra è andata pure peggio, autore di un errore da principiante e costretto a remare nelle retrovie lottando con le Haas, le Sauber e le Williams.

In una gara caratterizzata da strategie anche molto diverse e fantasiose a causa delle temperature fredde e del poco tempo passato in pista dopo l’annullamento delle prove del venerdì per la nebbia, si sono visti diversi bei duelli, e anche ben 5 ritiri. A rendere il finale di gara più emozionante ci ha pensato la ormai immancabile safety car “americana”, uscita al giro 44 per consentire di rimuovere la McLaren di Lando Norris, parcheggiata in zona peraltro sicura. 6 tornate per ricompattare tutto il gruppo e poi una gara sprint di 10 giri, che non ha però regalato le emozioni attese, evidenziando la difficoltà di queste auto a viaggiare vicine.

Fra i primi 10, tutti tranne uno hanno motivi per essere soddisfatti se non proprio felici. Di Hamilton e delle sue 91 vittorie abbiamo già detto. Verstappen secondo, e mai in grado di lottare con Lewis, si è tolto la soddisfazione del giro più veloce proprio all’ultima tornata. Terzo Ricciardo, che ha riportato la Renault sul podio dopo 11 anni, resistendo ai tentativi di attacco del redivivo Perez, ottimo quarto dopo diverse gare in ombra. Sainz, quinto, ritorna a punti dopo tre zeri, l’ultimo dei quali a causa di un suo grave errore. Sesto Gasly, che meriterebbe senza dubbio il posto di Albon, oggi ritirato e autore della solita scialba prestazione. Settimo Leclerc, l’unico che non ha motivo di essere felice, fra i primi dieci, per i motivi già spiegati. Ottavo Hulkenberg, autore di una magnifica prestazione dopo essere stato chiamato in extremis a sostituire l’indisposto Stroll e avere percorso solo pochi giri in Q1. Nono Grosjean, che ha marcato i primi punti della stagione, e decimo Giovinazzi, autore di una ottima prestazione stando, per una volta, davanti al proprio compagno di squadra.

Fuori dai punti Vettel, il quale farebbe meglio a farsi da parte per non continuare a rimediare figure indegne di un quattro volte campione del mondo, e Raikkonen, che ha festeggiato il record di Gran Premi con una prestazione da ragazzino, speronando violentemente Russel e beccandosi la penalità che gli ha impedito di concludere a punti.

Ora il mondiale fa tappa a Portimao, pista bellissima che nessuno ha mai visto. Delle 6 gare che mancano, ben 4 si correranno su tracciati per i quali non esistono riferimenti, così come è avvenuto al Nurburgring e precedentemente al Mugello. Questo potrebbe aiutare a vedere gare meno noiose, almeno dal quarto posto in giù. Perchè in condizioni normali il podio è già assegnato. Salvo imprevisti.

* immagine in evidenza dal profilo Twitter @MercedesAMGF1

 

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