C’era una volta…

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Quello che segue è un racconto, non necessariamente ha la pretesa di essere oggettivo ed esatto ma veleggia sospinto e sostenuto dal vento delle emozioni e dei ricordi.

Se vi va, se ne avete voglia e tempo, potete anche proseguire.


 

La leggera bruma mattutina aveva avvolto gli steli dell’erba del prato e si era insinuata fin sotto i primi alberi al limitare del bosco.  Adesso, al primo albeggiare, stava lentamente diradandosi lasciando dietro di se piccole gocce di rugiada.  Era già settembre e, anche se si era solo al suo inizio, l’umidità di quel posto faceva già sentire, seppure solo nelle primissime ore del mattino, timide avvisaglie di autunno.

Diede un fugace sguardo oltre il bordo incernierato della tenda, l’aurora stava lentamente sottraendo alla penombra e alla foschia gli alberi al limitare del bosco; si era appena svegliato dopo essersi infilato nel sacco a pelo la notte prima quando questa era già troppo inoltrata.  L’umidità del luogo e la stanchezza lo intirizzivano.

Appena superò la soglia dalla tenda cercò subito un posto per scaldarsi; un piccolo fuoco ancora acceso e una tazza di the scaldato alla buona furono propizi per allontanare la stanchezza che ancora gli pesava sulle palpebre e per procurarsi un lieve sollievo dall’intorpidimento della notte.

Mentre il suo corpo riprendeva vigore ripensò agli anni appena trascorsi in quel luogo e , con una punta di malinconia, realizzò che la giovinezza e la prima adolescenza erano ormai lasciate e superate, presto avrebbe affrontato nuove sfide e nuove avventure, avrebbe guardato il mondo con occhi diversi, ma anche si rendeva conto che stava inesorabilmente perdendo qualcosa di importante, qualcosa che non sarebbe mia più tornata.  Lontano sentiva il flebile vociare delle prime persone che arrivavano da fuori e presto l’eccitazione avrebbe velocemente allontanato ogni stanchezza e sonnolenza.

C’era una volta, e c’è tutt’ora nella memoria di questa persona, un luogo preciso e concreto, un luogo reale ed allo stesso tempo onirico.

E’ un luogo che ha celebrato gioie e vittorie ma anche consumato tragedie e sofferenze, un posto che ha esaltato auto, piloti e consegnato al Mito i suoi Protagonisti sia di brillante metallo che di tenera carne, un luogo intriso dall’anima di chi ci ha corso o che vi ha semplicemente assistito come spettatore.  Soppesò questi pensieri mentre sorseggiava lentamente la calda bevanda, lasciando che questa scorresse piacevolmente dentro di se per apprezzarne ogni più piccolo beneficio. Anche se a casa sua l’automobilismo era uno sport poco seguito, di questo luogo ne venne comunque a conoscenza da bambino attraverso le parole e i discorsi che saltuariamente ascoltava.  La Passione, in lui dirompente ed innata, fece il resto.

Questo posto ha un nome e precise coordinate geografiche, si chiama Autodromo Nazionale di Monza, per lui (come per molti altri) è semplicemente “Monza”.

Tutto ebbe inizio in un ormai lontano mese di settembre di metà anni ’70.  A quel tempo era solo un ragazzino ma i colori e le sensazioni che provò risiederanno da allora ben radicati nella sua memoria.  Si ricorda di aver affrontato quello che gli sembrava una camminata interminabile, poi un nastro di asfalto circondato da un bosco ordinato, lui che scrutava la cima alta degli alberi; era ancora mattina presto e il cielo stava iniziando a tingersi di azzurro.

Andare ad assistere al GP di Italia di Formula 1 a Monza significava alzarsi presto di mattina, quando la notte , con il suo buio, non aveva ancora ceduto terreno ai primi chiari dell’alba.  Si saliva in macchina, si accendevano i fari e già il cuore era tutto un tumulto in quei minuti di strada che separavano casa sua da quella cinta di pietra oltre la quale era custodito il desiderio tanto sognato.  A quel tempo la maggioranza delle persone entrava in autodromo con il biglietto prato, le tribune erano poche e molto costose. Molti scavalcavano la cinta e si imbucavano gratuitamente in un atteggiamento che, a quei tempi, era considerato quasi lecito; i buchi nella rete e i posti dove  risultava più facile scavalcare erano conosciuti dalla maggior parte dei frequentatori e ognuno aveva i suoi preferiti.  Superato l’ingresso ed entrati nel parco ci si avvicinava alla pista. Lì giunti si cercava un posto al di quà delle reti individuando un gradino o un rialzo che permettesse di poter sbirciare meglio al di là di esse: arrivare il prima possibile era una condizione indispensabile.

In quegli anni l’ingegno di crearsi postazioni di osservazione tanto provvisorie quanto efficaci si stava rafforzando diventando una normale consuetudine (dovuto anche al fatto che la pista di Monza non presenta rilievi naturali da cui poter osservare la pista). Durante gli anni ’70 e i primissimi anni ‘80 si arrivò ad avere un unico serpentone di trabattelli improvvisati e ponteggi ben legati e sostenuti gli uni agli altri che, dalla prima variante, si snodava lungo tutto il circuito fino ad arrivare alla Ascari ed oltre. Ovviamente gli organizzatori reputavano tali costruzioni pericolose ed insicure.  Ne conseguì che la vigilanza divenne sempre più forte; introdurre le impalcature di ferro e le assi di appoggio oltre il perimetro del circuito divenne via via sempre più difficile.

Un fruscio al suo fianco lo ridestò dai pensieri.   Alberto,  suo amico , lo aveva raggiunto e ora lo stava guardando dall’altro lato del piccolo confortevole fuoco .

“Dormito bene questa notte?” gli domanda;

“Oh, come no, fino a che Paolo non è ritornato si, poi con quel trombone che si ritrova puoi perdere ogni speranza: a proposito ma a che ora è ritornato questa notte ?”

“Mi pare che erano le 4 o giù di lì, possibile che non l’hai sentito?  Ha fatto un tal  baccano …”

“Guarda, avevo un sonno che dormivo anche in piedi, ma poi quando ha iniziato a russare pesante mi son svegliato e non son più riuscito a riprendere sonno. Ho fatto un po’ di the, ne vuoi un po’?”

“Certo che si, con l’umidità che c’è … , ma a cosa stavi pensando prima ?”, lo schernì con un piccolo sorriso.

“No no, nulla a cui stai alludendo.” gli risponde con un sorriso inclinato, “solo un pensiero a ciò che è passato, piuttosto, tu che dici oggi? Hai visto il vecchio Mario, appena ritornato da oltre Atlantico e ti piazza una pole, è proprio vero che chi ha del manico non si smentisce mai”.

Ad un certo punto, volgendosi verso i ponteggi, Alberto chiede: “ma chi è quella sagoma scura che sta su, sdraiata a dormire sopra alle assi con il sacco a pelo?”

“Mi sa tanto che è Beppe, questa notte lui e altri si sono dati il cambio a curare il ponteggio, avevano paura che gli rubassero le assi come è successo lo scorso anno.”

“Caspita, hai ragione, certo che è meglio avere gli occhi sempre aperti, non si può mai sapere cosa ne vien fuori qui.”

Il discorso si addentrò oltre e non sapevano ancora che, a poche ore di distanza, si sarebbero lì presentati Polizia e Carabinieri con cani e manganelli per intimare alle persone di scendere e rimuovere i ponteggi su cui avevano programmato di assistere al GP.  Ne sarebbe scaturito un acceso scontro: sopra ai ponteggi vi stavano alcune persone veementi, al di sotto di essi la polizia con cani ringhiosi, una situazione grottesca che poco aveva a che fare con la gara. Loro, appena ritornati sul posto dopo le prove del mattino, se ne stavano in disparte con altre persone ad assiste increduli a tutta la scena: dopo due notti trascorse in tenda desideravano solo che la festa si potesse vivere compiutamente.  Le intimidazioni della Polizia non ebbero efficacia, chi stava sopra ai ponteggi minacciò che se scendevano loro sarebbero scesi pure tutti i ponteggi ma che li avrebbero gettati in pista  e allora tutto restò così com’era,    Dopo quell’anno vennero adottate controlli e misure ancor più restrittive e finalmente vennero realizzate delle tribunette gratuite per il pubblico a prato, cosa che del resto sarebbe stato corretto fare ben molto prima.

Ma quelli erano altri tempi, tempi in cui la festa iniziava il giovedì sera quando ci si accampava con tende o furgoni ai bordi della pista, dove ci si trovava tutti in unica variopinta moltitudine di lingue e passioni con l’odore dei fuochi e della carne alla griglia che si diffondeva lungo il circuito e non si dormiva fino a notte inoltrata passata ad ascoltare i racconti dei grandi e a stringere nuove amicizie.

La sagoma alta degli alberi ora si stagliava scura sullo sfondo del cielo che andava rischiarandosi “Ti ricordi le volte che al sabato  abbiamo percorso la pista a piedi di sera o quando già faceva notte?” si raccontano ora i due amici, “Era piena di gente, c’era anche chi ci andava in bicicletta, e che baldoria.”

“Di un po’, e quella volta che hanno fatto la discoteca in mezzo alla pista?”

“Ma certo che la ricordo, era il gruppo dei bergamaschi di Zogno che aveva organizzato il tutto se non ricordo male.”

“Ma no, guarda che ti ricordi male, erano quelli di Vimercate”

“Mah, non ne sono tanto certo, però che musica, a palla fino alle tre di notte.”

“Monza” era una grande festa spontanea, che nasceva dal basso, un gioire di animi e di pensieri, un tifo colorato ed esuberante e a volte non mancavano situazioni colorate che ancora gli colpivano la fantasia.

Alberto, che gli sedava di fronte, lo incalzò incuriosito: “Dai dai, racconta di quella volta…”

“Quel sabato mi trovavo alla variante della Roggia, dopo le prove vediamo arrivare un furgoncino sulla pista; si ferma nella nostra zona e scendono alcuni operai che si mettono a scaricare tubi metallici, giunti e pannelli di lamiera ondulata.  Costruiscono una torretta per posizionare, il giorno successivo, la telecamera delle riprese televisive. Poi, per finire, tamponando le pareti laterali della torre con i pannelli di lamiera, così fanno una barriera che ci impedisce di vedere la pista. Non ti dico cosa n’è venuto fuori. Quella notte “qualcuno” scavalca le reti e poi si mette a smontare la pannellatura di lamiera. Poi la lancia sopra alle reti e la fa sparire nel bosco.  Sai che ridere al mattino quando quelli della RAI arrivano per piazzarci la telecamera e ci trovano solo la struttura di sostegno.”

I due amici si mettono a ridere ad alta voce, incuranti di quanti stanno ancora dormendo, ma ormai era l’alba e, per chi aveva fatto troppo casino la notte prima, era ora arrivato il momento di pagare pegno. “Per fortuna che era stata lasciata la struttura su cui installare la telecamera e tutto finì lì, ma che ridere, fu talmente comico che poi si misero tutti a scherzare e bere vino e birra in compagnia degli stessi tecnici della RAI,  . . . e mi risulta che le riprese siano venute anche bene”.

Ormai il cielo si era schiarito, il suo colore azzurro intenso prometteva una bella giornata serena; l’eccitazione, trasmessa dalla gente che cominciava ad arrivare numerosa in autodromo, iniziava a contagiarli sempre di più diffondendosi inarrestabile in tutta l’aria che li circondava.  Alzandosi per sgranchirsi le gambe chiede ad Alberto: “Dì, ma ricordi quel pomeriggio di questa estate nelle prove libere quando siamo andati sul ponte della sopraelevata passando da quel buco nelle rete?”

“Certo che mi ricordo, cos’hai in mente?”

“Mi domandavo, che ne pensi se per il warmup andiamo a vedere se quel passaggio è incustodito, magari ci riesce di infilarci  e ci spariamo tutti i 30 minuti lì sulla sopraelevata a tutta adrenalina ?”

Era stato uno spettacolo salirci lì sopra: si volgeva le spalle alla curva del Serraglio (che sta dietro l’impennata della sopraelevata) e si sentiva il suono del motore in accelerazione dopo la seconda curva di Lesmo che si avvicinava e diveniva sempre più forte, sempre più alto,     …ecco tra poco ci siamo,  tra poco sbuca sotto di noi,   stiamo pronti e…    BAMMM       un botto fortissimo quando l’auto transitava e il rombo del suo motore si liberava dopo il sottopassaggio; se non eri pronto ti faceva letteralmente sobbalzare e non ci facevi mai l’abitudine,  …poi sentivi la staccata con le marce che venivano inserite in successione come fossero fucilate.

L’intirizzimento della notte era ormai sconfitto, Paolo continuava a rumoreggiare dentro alla tenda ma era ora tempo di svegliarlo, pace all’anima sua se aveva ancora sonno; si doveva spegnere il fuoco e cominciare a mettere in ordine le cose, predisporre ed ordinare tutto per il proseguo della giornata e per il loro veloce recupero al ritorno dopo l’invasione di pista, abituale consuetudine del dopogara.

A Monza era una abitudine consolidata da molto tempo: alla fine di ogni gara il pubblico saltava le reti di protezione ed entrava in pista ancor prima che le auto completassero il loro giro di rientro  con enorme euforia ma anche imprudente del pericolo delle auto ancora transitanti.  Lui stesso, ancora ragazzino ed ignaro del pericolo, ricorda di aver corso dalla Roggia fino a sotto il podio, tutto a perdifiato senza fermarsi, contromano rispetto alla direzione delle auto che stavano rientrando dopo aver transitato sul traguardo. Giunse sul rettilineo d’attivo sfinito, appena in tempo per vedere Gilles e Jody su quella piccola terrazza a lato della struttura dei box su cui veniva ricavato il podio di Monza.

Rammenta ancora le emozioni e la gioia smisurata della Vittoria: ricorda soprattutto la piccola figura di Gilles che con un braccio alzato salutava la folla sottostante come la cosa più emozionante di quel podio.  Trasportato dalla corrente della folla varcò una porta metallica lasciata incustodita, una porta che conduceva nel retro dei box là dove c’erano tendoni e bisarche, meccanici intenti nel lavoro e le auto smontate. Toccò con mano la carrozzeria della T4, quella parte ampia e larga che avvolgeva e chiudeva tutta la parte superiore, dall’abitacolo al motore, fiancate comprese.  Lei se ne stava accostata, in verticale, affiancata alla sua gemella che recava il numero 11: tra la calca un uomo della Ferrari ringraziava la moltitudine della folla. Raccomandava, con il viso felice, di fare attenzione e di non danneggiare le carrozzerie.  La folla concitata ma rispettosa ubbidiva attentamente.

Accovacciato sull’erba, mentre arrotola il sacco a pelo per legarlo allo zaino, un sorriso gli sfiora le guance al pensiero di quel giorno  e di quei ricordi.  Tutte quelle emozioni gli sarebbero rimaste indelebili.  Smontano e sistemano con calma la tenda, ormai il suo compito era svolto anche per quell’anno.  Quindi dispongono tutti i loro averi a bordo di un furgoncino di amici che stava lì a lato. Rivolge distrattamente uno sguardo allo spazio d’erba calpestata che prima aveva contenuto la loro tenda e che ora gli appare inusualmente spoglio. Dentro ai suoi pensieri avverte un piccolo vuoto ma non ci pensa più di tanto e alla memoria gli riaffiorano i ricordi della sua prima volta.

Le Formula 1, con il loro gigantesco ruggito sfrecciavano veloci da sinistra a destra e il suo occhio faticava a tenerne la scia. Quello che ne restava impresso era il potente rombo che faceva vibrare il petto e pure le gambe, e una scia di colori forti e brillanti. Sopra a tutto una carica esplosiva di vita e di inebriante eccitazione.

Sinceramente  ricorda poco di quella gara.  Le rosse Ferrari n. 12 e 11, rispettivamente di Niki Lauda e di Clay Regazzoni, erano intense macchie rosse.

Fecero una partenza arrembante e andarono in testa, in fuga, … poi Lauda ( che era al comando) transitò seguito da un esile fumo azzurrino … e non ripassò più, … poco dopo anche a Regazzoni ( che aveva ereditato la prima posizione dopo il ritiro di Niki) toccò lo stesso destino. Non si ricorda se andò effettivamente così, ma il ricordo era quello. Il motore delle due Ferrari avevano esalato l’ultimo alito di respiro, un trafilaggio di olio ne aveva decretato la sua rottura e la fine dell’avventura. La gara la vinse una macchina tutta nera con inserti in oro seguita da una vettura bianca e rossa.

Erano Ronnie Peterson su Lotus ed Emerson Fittipaldi su McLaren, due grandissimi piloti. Il secondo sarà bicampione del mondo e vincerà anche ad Indianapolis. Il primo invece, per motivi che sfuggono alla razionalità della comprensione umana, diventerà un pilota a cui sarà sempre molto legato e che ricorda, ogni volta, con particolare sentimento. Un terribile incidente lo strapperà via per sempre, uno strappo nei sogni e nella coscienza, sullo stesso asfalto che lo ha visto vincitore tre volte, tanto caldo e carico di sogni , vita ed emozioni, quanto a volte freddo, aspro e duro più del marmo bianco.

Mentre ormai si avviano verso la curva Ascari in attesa del warmup del mattino, il pensiero ritorna a quel giorno (o forse sarebbe meglio dire ai giorni immediatamente successivi) e comincia ad intuire che nella vita nulla è e sarà per sempre, che essa stessa non è un gioco di adrenalina ma una cosa preziosa; comincia a farsi l’idea che crescere ha tanto da dare e costruire, ne è eccitato da questa nuova prospettiva con cui guarda alla vita, ma è anche conscio che la vita stessa può anche tanto togliere.

Quel giorno che Peterson ebbe l’incidente  lui si trovava su un ponteggio posizionato all’uscita della chicane Good Year (così era chiamata la prima doppia variante).

Non vide molto dell’incidente.

Le prime auto transitarono veloci, … Andretti, Gilles, Lauda e pochi altri e… e poi il nulla. Pironi sulla Tyrrell si trascinava con la ruota posteriore divelta per fermarsi in corrispondenza del ponteggio su cui era sistemato. Una nuvola di polvere, diradandosi, si espandeva oltre gli alberi che impedivano la visuale oltre il rettilineo e sul luogo dell’incidente. Forse vide una parvenza di una lingua di fuoco tra le fronde e i rami degli alberi prontamente domata. Nessuno a bordo pista ebbe coscienza del dramma che era appena successo. Dopo una infinita attesa venne ridato il via alla corsa, una corsa partita male e conclusasi senza che lo spettatore “bordopista” capì chi realmente aveva vinto.

Dopo poco lui e i suoi amici giungono nei pressi della Ascari, riescono a trovare incustodito il passaggio  e arrivano sopra al ponte della sopraelevata dove trovano già tanta altra gente. Presto giungono le 10 del mattino e sentono il rombo lontano dei motori levarsi alto: le auto lasciano i box e si avviano sulla pista per i 30 minuti di prove del mattino.  Presto quel rombo ritorna più prepotente, si avvicina e diventa sempre più forte, sempre più alto, …ecco tra poco ci siamo, tra poco sbuca sotto di noi,  stiamo pronti e… BAMMM.

Come capita ogni volta, tutti i pensieri tristi vennero spazzati via, il Cuore ora batteva forte dall’emozione!


Epilogo

Purtroppo quella Monza , con grande dispiacere, non esiste più.

Ora quelle sensazioni e quel modo di vivere i giorni del Gran Premi di Monza è finito per sempre. Troppe sono le abitudini e le situazioni della vita che sono cambiate in tutti questi anni, come troppo diversi sono i valori prominenti a cui ora rivolgiamo la nostra attenzione in questo mondo contemporaneo. Il tempo è una delle poche costanti fisiche che sfugge al controllo della volontà umana, è una pellicola che scorre sempre inesorabile nella stessa direzione e che non può mai essere riavvolta, pena il sussistere dell’essenza della vita stessa. Il mondo attuale è molto lontano da quel periodo,  da quelle sensazioni e da quegli umori.

La stessa Formula 1 è inesorabilmente cambiata.  E’ cambiata nelle regole, negli spazi e negli uomini.

Persino il Rombo, quel Rombo che faceva vibrare il petto ed esaltare gli entusiasmi, quel Rombo che sentivi da lontano quando le auto uscivano dai box entrando in pista e che si riempiva tra gli alberi del bosco, quello stesso Rombo che sentivi diventare sempre più energico mano a mano che le macchine si avvicinavano, che saliva sempre più vigoroso, un urlo che poi esplodeva in un fragoroso Ruggito quando queste ti transitavano davanti, quel Rombo che proprio a Monza sembrava vivere di maggior energia e trovava ancor maggior risonanza delimitato ed amplificato dalla cortina di alberi che ne incorniciano la pista.  Per assurdo anche quel Rombo oggi non c’è più.

Giustamente,  per preservare l’integrità ecologica del parco, non è più possibile accamparsi lungo le reti della pista; da anni vi è un’area destinata al camping, servita da appropriate infrastrutture, ma non è la stessa cosa.

Le persone stesse sembrano diverse e la Formula 1, quella dei piloti, dei meccanici e delle macchine, del grasso e degli odori, appare lontana, celata dietro ad un impenetrabile muro di rete metallica che ne impedisce la visione ed il contatto.

Pure l’entusiasmo che essa genera vi resta confinato e mortificato al di là di esse, in un mondo che, dall’esterno, appare plastico e artificiale, un mondo inaccessibile per i molti veri appassionati.

Un mondo in cui il Cuore dell’entusiasmo trova difficile palpitare ancora di vita propria e spontanea, imprigionato in una scatola che ne blocca la forza di comunicare, di condividere e di coinvolgere.

Chissà, forse anche questo è parte del prezzo che ci troviamo a pagare in un sistema dove tutto è pesato in funzione del ritorno economico, dove tutto è solo merce, anche la Passione delle persone e le Emozioni che ne vengono generate.

Ma forse queste parole sono eccessivamente pessimiste e troppo influenzate dalla malinconia di ricordi di un tempo passato. In fondo le luci ed i colori del passato sono ancora oggi intatte e tenacemente rifulgono di nuova vita, sospinte della vitalità che solo quella Passione sa dare.

E’ nella loro natura che queste luci non si spegneranno mai, “la vittoria più bella è quella che deve ancora arrivare”.

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Dedicato a…

Tutto il Ring e alle persone che lo compongono e lo fanno vivere, alla comune Passione che li unisce e li sospinge, infinita forza propulsiva e, con modestia, ad un sublime narratore di emozioni che indirettamente li ha fatti incontrare.