La Lotus 79: la bellezza nera che cambiò per sempre la F1

Le grandi scoperte avvengono sempre per caso. O quasi, perchè chi le compie sta sempre cercando qualcosa, a volte di diverso, ma sempre con grande tenacia. E spesso farà la fortuna di altri, più che di se stesso.

Questa è la storia dell’ultima creazione vincente del più grande visionario che la F1 abbia mai avuto, colui che non faceva auto per vincere ma per esplorare nuove vie, alternando clamorosi successi ad altrettanto clamorosi flop, e assomigliando in questo a tutti gli altri visionari che l’umanità ha conosciuto.

Stiamo parlando di Colin Chapman e della sua Lotus 79, la macchina che ha rivoluzionato il concetto di monoposto, dopo la quale nulla è più stato come prima nella F1 e nel motorsport in generale. Che sia stato un bene o un male poco importa, ciò che ci interessa è l’espressione della genialità nel battere terreni inesplorati e nel trovare, alla fine di un lungo percorso, ciò che si cercava. E il presentarlo al mondo dandogli pure una forma incredibilmente elegante, quasi che l’obbiettivo non fosse andare più forte degli altri, ma vincere il primo premio ad un concorso di bellezza per auto a ruote scoperte. O creare una forma destinata a sembrare moderna in qualsiasi epoca ci si trovi ad osservarla.

Tutto ha inizio nel 1975, quarant’anni fa. I computer erano merce rara, le gallerie del vento pure. La fantasia e l’intuizione erano l’arma principale a disposizione dei progettisti. Ma anche un po’ la fame, dettata dalla necessità di tornare a vincere e soprattutto di trovare i soldi per continuare a mandare in pista auto e meccanici. La Lotus si trova a fare i conti con un’auto rivoluzionaria e longeva, la 72, che ormai non tiene più il passo dei suoi cloni, come la McLaren M23, che ne riprende la forma a cuneo, o di macchine con tanti cavalli (e soldi) in più, come la Ferrari.

La scelta di evolvere quel progetto non paga. E così Chapman prende carta e penna e mette nero su bianco, in un documento di 27 pagine, le sue idee per un design innovativo in grado di generare deportanza senza sacrificare i (pochi) cavalli del Ford DFV, e per fare questo trae ispirazione dal de Havilland Mosquito, un bombardiere della seconda guerra mondiale.

Assieme ad un team di ingegneri studia, nella galleria del vento di un college inglese, alcune forme particolari del corpo vettura, che viene modellato ad ala rovesciata. E fu così che durante i test si iniziano a vedere dei risultati molto interessanti in termini di deportanza generata. Per precauzione i test vengono ripetuti diverse volte prima di comprendere che l’idea funziona. Di fatto è stato applicato l’effetto Venturi ad un’auto da corsa. Spiegandolo se possibile in parole semplici, le fiancate laterali della vettura, che sulle vetture dell’epoca (Ferrari a parte) erano progettate in modo da essere più corte possibile, diventano due lunghi canali il cui fondo ha la forma di un’ala rovesciata, e quindi con una sezione che si restringe in entrata e via via sia allarga in uscita. Il flusso d’aria che scorre sotto la macchina aumenta la sua velocità nel punto più stretto, e si genera una depressione che risucchia l’auto verso il basso senza però aumentare significativamente la resistenza all’avanzamento. Ma per definizione un canale è chiuso su tutti i lati, ed è pertanto necessario sigillare la fessura fra fiancata ed asfalto. Questo viene ottenuto per mezzo di bandelle che prenderanno il nome di minigonne e che saranno al centro di una disputa regolamentare essendo considerate, dalla Ferrari, dispositivi aerodinamici mobili, scatenando così una vera propria disputa fra la Federazione e i team inglesi. Ma questa è un’altra storia.

La scoperta di Chapman e soci arriva in pista per la prima volta nel 1977 sul mai abbastanza celebrato modello 78, che va molto vicino a vincere il mondiale, bloccato solo da problemi di affidabilità. Vi è da dire che Andretti, il pilota che sviluppò quella vettura, insistette per portare in pista l’auto già dopo l’estate del 1976, ma Chapman non volle, temendo che la sua idea straordinaria gli venisse subito copiata dagli avversari. E alla prova dei fatti fece bene, perchè detenne l’esclusiva dell’idea per ben due anni, un tempo lunghissimo considerando che di nascosto non c’era molto.

Nel 1977 la superiorità della Lotus 78 non è netta, e gli avversari non comprendono l’incredibile scoperta che si nasconde sotto la carrozzeria. Stranamente a nessuno viene neanche lontanamente in mente di copiare le soluzioni della Lotus 78, e l’anno successivo nessun nuovo modello avversario presenta il disegno delle fiancate, lunghe e dritte, che consente di ospitare i canali Venturi. A rendere non dominante la 78 sono però problemi di affidabilità che hanno la loro origine indiretta proprio nella particolare configurazione aerodinamica: la depressione sotto la vettura viene generata troppo in avanti, e costringe all’utilizzo di una grande ala posteriore per migliorare il bilanciamento dell’auto. Questo comporta una notevole diminuzione della velocità in rettilineo, alla quale la Ford cerca di porre rimedio fornendo una versione potenziata, ma ancora poco affidabile, del DFV. Andretti si dovrà ritirare non meno di 5 volte per rottura del motore, perdendo così ogni possibilità di vincere il campionato, che andrà a Lauda.

Alla fine, in ogni caso, la 78 vincerà ben 7 gran premi, fra il 1977 e le prime gare del 1978. E a partire dal GP del Belgio verrà sostituita dalla 79, che è considerata la prima vera wing- car della storia. Una macchina splendida e maledettamente veloce.
Caratterizzata da linee ancora più pulite rispetto alla 78, era stato eliminato completamente l’airscope che portava aria al DFV, le fiancate erano ancora più lunghe e alte nella zona posteriore, aumentando così il volume complessivo a disposizione dei canali laterali. Per migliorare la distribuzione dei pesi e lasciare più spazio nelle fiancate, il serbatoio era completamente alle spalle del pilota, elemento questo che andava a tutto vantaggio della sicurezza. Lo stesso non si può dire per un altro elemento caratteristico delle wing-car, e cioè il posto di guida spostato molto in avanti.

Anche visivamente, quindi, la Lotus 79 era qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che all’epoca calcava le piste da gran premio. E diversa lo rimase per tutto il 1978, perchè nessun team avversario fu in grado di andare in pista con un design simile.

Al debutto è subito vittoria con Mario Andretti. Ne seguiranno altre 5, 4 con l’italo-americano, che vincerà anche il mondiale, e 1 con il povero Ronnie Peterson, che morirà per i postumi dell’incidente avuto in partenza a Monza a bordo di una vecchia 78 dopo che Chapman aveva rifiutato di dargli il muletto modello 79 riservato ad Andretti.

Se si guardano le fredde statistiche, complessivamente la 79 ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto, concentrando i successi nell’arco di pochi mesi, da maggio ad agosto del 1978. Correrà anche l’anno successivo, ma nel frattempo gli avversari avranno capito il trucco e messo a punto auto che sapranno interpretare il concetto di wing-car ancora meglio di quanto fu fatto con la 79, anche se non riusciranno ad eguagliarne mai l’eleganza (ma, si sa, un’auto è bella quando vince). La Lotus non ritroverà più la forma del 1978, Chapman proverà ad evolvere in maniera estrema la 79  anzichè affinare ciò che lui stesso ha scoperto, ma andrà incontro a problemi di vario tipo e alla fine saranno solo insuccessi. Morirà nel 1982, dopo avere visto Elio de Angelis riportare una singola volta alla vittoria il suo team.

Dopo la 79 nulla sarà più come prima, da un punto di vista della progettazione di una F1. L’aerodinamica diventerà uno degli elementi cardine attorno al quale disegnare le auto. Come detto, le wing-car saranno bandite nel 1983, ufficialmente perchè ritenute troppo pericolose, ma il fondo vettura continuerà ad essere studiato e utilizzato per generare deportanza, e con gli anni, grazie al miglioramento degli strumenti a disposizione degli aerodinamici, si capirà sempre di più come generare carico aerodinamico nonostante i grandi limiti imposti dal regolamento, come il fondo piatto dal 1983 e il fondo scalinato dal 1994.

A Chapman deve essere riconosciuto il merito di avere introdotto in F1, e nel motorsport in generale, lo studio scientifico della fluidodinamica del corpo vettura come mezzo per aumentare l’efficienza aerodinamica e quindi la performance, cambiando per sempre i paradigmi utilizzati nella progettazione delle auto da corsa.
Se oggi si spende una quantità di tempo e risorse enorme fra gallerie del vento e CFD lo si deve anche a questo. Che sia un bene o un male non sta a me dirlo. Quello che è certo è che anche fra cent’anni, quando i nostri discendenti guarderanno i libri della storia della F1, arriveranno all’anno 1978 e si fermeranno per qualche minuto ammirando le foto e i disegni di quell’auto nera e bellissima che portò un pilota italo-americano alla vittoria del titolo mondiale. E mi piace pensare che saranno incuriositi dalla storia del suo sfortunato compagno svedese.

P.S.
Per una gara, una sola gara, in quel 1978, la 79 ha conosciuto una avversaria più forte, alla quale ha dovuto inchinarsi. Quell’avversaria si chiamava BT46B, ed è l’unica macchina della storia ad avere vinto il 100% delle gare cui ha partecipato. Era figlia di un altro progettista geniale, Gordon Murray, meno visionario di Chapman, sicuramente più pragmatico. Ma la storia di quell’aspirapolvere in grado di sfrecciare a 300 all’ora è bene raccontarla in un articolo a parte.