A Melbourne vince il virus. Formula 1 nel caos.

Stiamo vivendo un periodo storico, di quelli destinati ad avere qualche pagina nei libri di storia sui quali studieranno i nostri nipoti. Un periodo che, molto probabilmente, cambierà per sempre l’approccio alle emergenze, non solo delle singole nazioni, ma anche del mondo intero. Perché, come stiamo vedendo, le decisioni da prendere sono di quelle che fanno la differenza per la sicurezza delle persone. Non di poche decine, ma di centinaia di migliaia.

E, in questo senso, a Melbourne si è consumato uno psicodramma per la Formula 1, i protagonisti del quale sono stati la FIA, Liberty Media, i teams e gli organizzatori.

Questa è la cronaca di un GP destinato a lasciare il segno anche se non si è mai disputato.

Si arriva a Melbourne fra test brevi come mai in passato, e dall’esito poco chiaro, ma, soprattutto, in un mare di polemiche, con la Ferrari che pare essere stata graziata dalla FIA per le irregolarità della PU nella stagione scorsa, e 7 team a chiedere in maniera decisa spiegazioni.

Ad esse si aggiungono i dubbi per soluzioni tecniche Mercedes dalla regolarità più che dubbia, con il DAS considerato conforme mentre le prese d’aria posteriori, conformi lo scorso anno sulla W10, improvvisamente diventano irregolari sula W11 e pure sul clone rosa.

Si preannuncia un avvio di stagione strano, come lo fu nel 2009 quando si arrivò a Melbourne fra mille polemiche per i diffusori col buco, che poi si rivelarono decisivi per l’esito del mondiale.

Ma, rispetto alle stagioni scorse, c’è una importante differenza, che in pochi hanno notato: manca una persona che, nel bene e nel male, era sempre riuscita a tenere d’accordo tutti. Si tratta di Charlie Whiting, scomparso esattamente un anno fa. In effetti con lui alla guida nessun team era mai arrivato a protestare contro un altro, perché Charlie sapeva sempre mettere d’accordo tutti dietro le quinte, spesso anticipando i problemi, anziché affrontarli a posteriori. Come sapeva fare anche Ecclestone.

E come, invece, non sembrano essere in grado di fare gli attuali capi, benchè molto competenti e di grande esperienza.

Già la decisione di partire ugualmente per Melbourne, nonostante la situazione italiana fosse degenerata da due settimane (va ricordato che tre team e un importante fornitore hanno la sede nelle zone già identificate come rosse o molto vicine ad esse), è stata discutibile, ma si può anche pensare che a spingere per l’effettuazione del GP a tutti i costi siano stati gli organizzatori di Melbourne. Il ministro della salute australiano, non più tardi di una settimana fa, diceva che “tanto il virus sarebbe arrivato, meglio godersi lo sport”. E così decine di migliaia di persone hanno preso aerei e prenotato alberghi per presentarsi puntuali al circuito venerdì mattina.

Senonché, al giovedì, come volevasi dimostrare, sono spuntati i casi di possibile positività al virus. E, alla prima conferma, un meccanico inglese della McLaren, il team ha saggiamente abbandonato, e si è aperta la discussione sul proseguire o meno lo spettacolo.

E qui è iniziato un tira e molla fra team, organizzatori e Liberty Media che non è sbagliato definire indecente. Perché di fronte a queste cose, come hanno dimostrato le decisioni prese in tante nazioni, ma anche da altri sport dove di soldi in ballo ce n’erano molti, c’è solo una cosa fare: fermarsi. Poi alle conseguenze economiche ci si pensa dopo, ci saranno di sicuro e anche grandi, ma almeno si sarà sicuri di avere fatto tutto il possibile per non fare ammalare le persone, evitando un possibile, colossale, danno d’immagine, nonché cause legali che, quando sono coinvolte decine di migliaia di persone, possono diventare anche class action.

E, invece, ci sono state lunghe discussioni, culminate con l’ufficializzazione della cancellazione dell’evento avvenuta alle 8.57 di venerdì, 3 minuti prima che iniziassero le attività in pista, con il pubblico già arrivato al circuito.

Perchè? Semplice, con un team che aveva già abbandonato ufficialmente, si è fatto di tutto per andare avanti ugualmente. Pare che gli unici che volessero tornarsene a casa fossero Ferrari, Sauber, Renault e, ovviamente, McLaren. Gli altri team, e gli organizzatori, volevano proseguire a tutti i costi, magari a porte chiuse. E Liberty Media e la FIA non hanno imposto una loro decisione, ammesso l’avessero già presa.

E i piloti? Hamilton aveva già espresso la sua forte contrarietà non solo alla prosecuzione dell’evento, ma anche al fatto che si fosse tenuto regolarmente. Pare, inoltre, che Vettel e Raikkonen fossero già sulla via del ritorno giovedì notte, prima dell’annuncio ufficiale della cancellazione.

Ma perchè, di fronte ad un team che aveva già abbandonato, e alla possibilità di vedere contagiato il proprio personale, non hanno deciso tutti all’unanimità di andarsene? Probabilmente, per questioni contrattuali, era meglio che la cancellazione fosse sancita dagli organizzatori. E, forse,  Mercedes, Red Bull, ma anche Racing Point, erano così convinte di far bene che erano ansiose di correre. Fatto sta che, in una situazione di stallo, con 4 team a favore della cancellazione, 4 sfavorevoli e 2 astenuti, a portare il buon senso ci ha dovuto pensare il CEO di Mercedes, Ola Kallenius, il quale ha convinto Toto Wolff a lasciare perdere e a tornare a casa. Saggiamente, aggiungiamo, perchè di sicuro il costruttore tedesco non avrebbe fatto una grande figura di fronte ad un mondo sempre più spaventato dal virus.

E così, con l’annuncio della cancellazione dato da Mercedes in anticipo rispetto a quello ufficiale della FIA, facendoli passare per quelli che avevano risolto la situazione, nel paddock si è cominciato a smontare tutto. Poco dopo è arrivata la conferma dell’annullamento dei GP di Bahrain e Vietnam. E sembra quasi sicuro che pure Olanda, Spagna e Montecarlo salteranno.

La stagione potrebbe quindi iniziare solo in giugno a Baku, quando, si spera, l’emergenza mondiale sarà finita. 3 mesi nei quali la F1 dovrà riorganizzarsi, sistemando le proprie faccende interne e, anche, le situazioni contrattuali ed economiche, visto che il titolo in borsa ha quasi dimezzato il proprio valore.

I team potranno continuare a lavorare sulle auto, e quelli più in difficoltà, come la Ferrari, avranno tempo per risolvere un po’ di problemi, pur senza fare test. Ma, contemporaneamente, dovranno pensare alle auto del 2021, quando cambierà tutto.

Se cambierà tutto, perchè con una stagione di oltre 20 gare da cominciare in giugno, verrà sicuramente presa in considerazione l’idea di rinviare il cambio regolamentare al 2022. E non sarebbe, decisamente, una cattiva idea.

Un periodo storico, dicevamo all’inizio. E anche per la F1 sarà una stagione storica. Speriamo di potere, fra qualche mese, ritornare a pensare solo a come funziona il DAS, se è regolare o meno, se la Ferrari ha trovato il carico sull’anteriore, e, soprattutto, rivedere le 20 macchine allineate in attesa che le luci si spengano. Vorrà dire che questo maledetto virus se ne è andato, che è quello che tutti noi vogliamo in questo momento in cui abbiamo dovuto radicalmente cambiare, nel giro di poche settimane, le nostre abitudini.

* Immagine in evidenza da www.motorsport.it