FORMULA 1 GRAN PREMIO DE ESPAÑA PIRELLI 2016

Salve Ringers! Questo weekend va in scena la quinta prova del Mondiale di F1 al Montmelò di Barcellona, già teatro delle due uniche sessioni di test prestagionali (e presto della prima infrastagionale prevista per la prossima settimana). Non parlo di test a caso perchè a mio parere vuolsi per la caratteristica del tracciato vuolsi per le caratteristiche delle attuali F1 il Montmelò è perfetto per i Test (eccellere là significa aver per le mani una macchina che andrà bene ovunque) ma forse superato in ottica gara (il seppur superbo Vettel lo scorso anno tenne dietro Hamilton per 30 giri ed il Nero aveva una vettura capace di un passo gara di quasi 1 secondo più veloce della SF15T) in quanto praticamente sempre teatro di competizioni piuttosto noiose seppur indicative anch’esse del vero stato di forma dei Teams partecipanti.

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La rivoluzione del carbonio: la McLaren MP4/1

La Formula 1 ha vissuto un decennio di grandi innovazioni fra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’80. Alcune di queste hanno fatto scuola solo nell’ambito ristretto del motorsport, altre hanno trovato applicazione anche nell’industria automobilistica. Ma ve ne è una, poco visibile al grande pubblico, che ha letteralmente aperto un mondo di applicazioni in tutti i settori industriali. Questa è la storia della McLaren MP4/1, la prima monoposto con telaio completamente in fibra di carbonio ad avere partecipato ad un gran premio.

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Max Mosley e il sogno di una F1 innocua

I liked the environment but I didn’t like the danger. Of the 21 people on the grid at that Hockenheim F2 race I did [that’s 7 April, 1968, the race in which Clark was killed], three were dead within three months. When you came up against the reality – the real reality, like when they pulled the remains of Roger Williamson out of his car (Zandvoort, ’73), or when that marshal went to pick up Helmuth Koinigg’s helmet and his head was still in it (Watkins Glen, ’74) – and you realized that, by applying a modicum of technology, you could avoid most of these things, it seemed to me completely immoral not to do it.

Con queste parole si apre l’intervista che il presidente della FIA, Max Mosley rilascia a Damon Hill per la testata “F1 Racing”.
Mosley, all’epoca dell’incidente di Zandvoort, è il co-fondatore della March Racing Team ed è lui che viene chiamato in uno squallido scantinato dove hanno parcheggiato quello che resta della monoposto di Roger Williamson, per operare il riconoscimento della salma e per estrarre il cadavere, o quel poco che ne rimane, dall’abitacolo. Nessuno come Mosley ha più ben chiaro cosa sia il rischio nel Motorsport e pochi hanno fatto altrettanto in termini di impegno e progresso per affrancare le competizioni dall’incubo delle tragedie in pista.
E se si guardano le statistiche e i risultati ottenuti non si può che ammettere l’enorme passo in avanti che le competizioni motoristiche hanno compiuto negli ultimi decenni.
Ma come per ogni progresso violento, pare debba essere necessario passare per un altrettanto violento shock da impatto.
Il quinquennio fra il 1973 e il 1977 è feroce con il conto dei decessi in pista fra i piloti che arriva a 5, un commissario e 6 spettatori (gli spettatori erano tutti in aree non adibite alla presenza di pubblico). Nel 1973 vengono ridefiniti gli standard per i serbatoi della benzina, nel 1974 vengono introdotti gli accoppiatori autobloccanti fra il serbatoio e il resto dell’alimentazione della vettura, nel 1977 vengono standardizzati i caschi per i piloti, ridefinite le strutture di protezione intorno ai piedi e introdotti le linee guida per le zone di arresto in “gravel”.
Il miglioramento è netto ma non ancora definitivo e infatti nel quinquennio successivo, 1978, 1982 gli incidenti mortali diminuiscono ma non si arrestano.
Sono gli anni di Peterson, di Villeneuve, anni in cui Motorsport fa ancora rima con “morte in pista”.
Il quinquennio successivo vede l’introduzione della Superlicenza (1984), vengono banditi i rifornimenti in gara (1984), vengono istituiti i crash test strutturali (1985) e introdotte linee guida sull’alloggiamento dei serbatoi nella parte centrale, banalmente la più protetta, delle monoposto (1985).
Viene introdotto lo standard FT5 per i serbatoi del carburante e il volantino a sgancio rapido (1990), vengono normati (abbassati) i cordoli e la Formula 1 finalmente vive un lungo periodo di relativa pace; fino al week end del primo maggio 1994.
E qua torniamo a Max Mosley e alla sua determinazione contro la pericolosità del Motorsport.
FIA reagisce alla tragedia di Imola in maniera forse scomposta e affrettata ma la reazione è unanime e il segnale che la Federazione manda è chiaro: non è più tollerabile morire in pista. Vengono ridefiniti gli standard per i cordoli nel 1997, nel 2001 viene definite le linee guida per le zone di “run off” che non devono più essere in “gravel” ma pavimentate, aumentate le velocità dei test laterali, frontali, introdotti i test intrusivi nel cockpit, introdotti sistemi standard di sgancio delle cinture, innalzato a 40g il test di decelerazione …
La quantità di modifiche e aggiustamenti introdotti diventa impressionante e i risultati si vedono.
Ad eccezione del tragico incidente a Gislimberti a Monza nel 2000 e al commissario deceduto per le conseguenze dell’urto fra Jacques Villeneuve e Ralf Schumacher a Melbourne nel 2001, gli incidenti mortali paiono scomparire dalla Formula 1.
E qua arriviamo al vero nodo di questo scritto.
Che non sono i progressi nella lotta alla pericolosità del Motorsport; lotta destinata a subire continui scorni visto i recenti eventi tragici di Bianchi e della De Villota. Perché per quanti sforzi si possano fare, correre a 300 kmph è pericoloso.
Punto.
Ma nel fatto che per lunghissimo tempo la Formula 1 è stata considerata “sicura”.
E lo è stata in primis dai suoi stessi protagonisti.
Questo ha portato in pista una generazione di piloti bravissimi, preparati e … fatalmente incoscienti.
Le generazioni precedenti erano consce del precario equilibrio su cui si muovevano; erano pronti al disastro in ogni momento e questo moderava enormemente i comportamenti lungo i tracciati. Certo vi erano episodi di bullismo, come lo chiameremmo oggi. Ma quasi sempre era lo stesso pericolo e la percezione dello stesso che sedavano ogni rivalsa.
Perché quando sai bene che mettere la monoposto fuori pista (la tua o quella di chiunque altro) può portare a conseguenze disastrose, prima di un’azione avventata ci pensi due volte.
Col tempo, e con il progressivo edulcorarsi del pericolo in pista è rimasto poco a limitare il comportamento aggressivo e non a caso più il Motorsport è diventato “innocuo” e più sono apparsi come funghi articoli del regolamento sportivo volti a regolamentare un comportamento che prima era banalmente regolato da sé.
Norme sui sorpassi, norme sulle porzioni di macchina da lasciare, norme sul numero di spostamenti di carreggiata concessi, norme su ogni cosa che un tempo avremmo banalmente chiamato “competizione”.
Le vie di fuga asfaltate hanno ridotto notevolmente il rischio di affossamento della monoposto in caso di ribaltamento ma al contempo sono diventate parte integrante della pista e spesso utilizzate come tale.
Oggi il sogno di Mosley di una Formula 1 senza rischi, o quasi, pare più vicino che mai.
Ed è rimasto ben poco a ricordare ai piloti che “Motorsport is dangerous”.
Se da un lato questo ci rende immensamente orgogliosi, bhé dall’altro ci porta a chiederci cosa sarà di uno sport sempre più simile a quei videogiochi in cui, se “muori”, ti basta selezionare dal menu “restart”.

2016 F1 Russian GP: An Overview.

Free Practice. Le libere verranno ivi discusse con la rilevanza che meritano, soprattutto per tutti coloro che decidono di spendere parte del loro venerdì seguendole con più o meno attenzione. Cioè nulla, visto che spesso i team faticano a capirci qualcosa con miriadi di dati sottomano, figuratevi noi. A meno che siate di quelli che si eccitano per un presunto passo gara nelle FP1, allora forse potete anche smettere di leggere.
E comunque, se proprio dovessi parlare delle FP, mi toccherebbe parlare del parabrezza, che fa abbastanza pena ma sempre meglio delle Havaianas. Anche se, vista l’apparente love story tra isole Britanniche ed infradito, temo l’adozione di quest’ultima soluzione. Ad ogni modo, niente parabrezza, ci allineiamo alle parole di Lauda/Ecclestone (più o meno: “la F1 è già sicurissima così”) e via verso il sabato del villaggio.

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