CHE GARA!!! ATTO SECONDO

Vorrei essere capace di fare un post gara normale, ma oggi no, oggi come a Zeltweg c’è solo da urlare, oggi come a Zeltweg c’erano due piloti mai domi in pista, oggi come a Zletweg tutti e due volevano vincere, oggi come a Zeltweg…ha vinto DESMODOVI!!! CHE GARA!!!!

Sono ancora carico a mille, per un duello durato una gara, con due piloti che avevano in testa solo il dover arrivare davanti al rivale. Dovizioso sempre pulito nei sorpassi, Marquez sempre quel pelo più cattivo, tutti e due al limite, con pure l’errorino, che poteva costare caro a Marquez, a metà del giro finale, con una moto quasi persa.

Dovi però oggi era nella modalità pilota vincente, gli si chiedeva di dare una risposta alla gara opaca di Aragon e lui ci ha tranquillizzato, anzi, forse oggi ha preso ancora più consapevolezza nel suo valore. Incredibile vedere la lucidità negli attacchi e la freddezza anche di saper che lo Spagnolo lo avrebbe attaccato sulla esse finale, impostando le chiacane in maniera perfetta, lasciandosi sfilare dal pilota Honda, aprendo prima, ed andando a prendersi una meritata vittoria!!!!

Il mondiale è ancora li apertissimo, 11 punti li separano a 3 gare dalla fine. Le prossime piste dovrebbero essere un pò più a favore di Marquez, eccezion fatta per Sepang, ma con un Dovi così, c’è margine per ribaltare ogni pronostico, le basi per un gran bel finale di stagione ci sono tutte e noi Italiani non possiamo che essere li a spingere in alto il Tricolore!!!

Bella gara anche del Petrux, che nei primi giri mette il cuore come sempre, provando a prendere il largo, ma il podio va a premiare la sua costanza e il suo valore, che esce sempre nelle gare bagnate. Lorenzo da comprendere che problema abbia avuto nella parte centrale di gara, perchè dopo un avvio brillante, è finito rapidamente nelle retrovie. Vinales saluta le velleità iridate, con una Yamaha che per tutto il weekend ha dimosrato la sua inadeguatezza sul tracciato Giapponese. Rossi fuori a metà gara per una caduta, come Crutchlow e Pedrosa, incappati in una gara zeppa di problemi, concluse con delle cadute o ritiri.

In Moto2 Morbidelli salva capra e cavoli, andando a prendersi i punti dell’ottavo posto, ma ritrovandosi a guadagnarne ancora su Luthi, autore di un errore. La gara viene vinta dal giovane Marquez, davanti a  Xavi Vierge, al primo podio nel mondiale e Hafizh Syahrin.

In Moto3 arriva una tripletta Italiana con Romano Fenati davanti a Niccolò Antonelli e un ottimo Marco Bezzecchi.

Saluti Davide_#grandedesmodovi_QV

F1 in pillole – Capitolo 6

Quando nel 1977 a Silverstone la Renault portò in pista una vettura spinta da un motore sovralimentato l’attenzione dei più resto focalizzata sulla lotta per il titolo tra Lauda, Andretti e Scheckter; nessuno (o quasi) riteneva possibile che quel particolare propulsore potesse portare a risultati di rilievo in quanto troppo penalizzato dai limiti regolamentari. La nostra piccola rubrica di Formula 1 in pillole viaggia oggi tra il 1983 e il 1986, l’era del turbo, tra vetture con più di 1000 cv e grandi case in pieno scontro tecnologico sul palcoscenico di una Formula 1 che in pochi anni si era trasformata sotto diversi aspetti, tra cui quello mediatico, con una presenza televisiva sempre più presente e all’avanguardia. Come d’abitudine ci dedicheremo principalmente  ai co-protagonisti della storia,  tra piccole grandi imprese, promesse, sogni e, purtroppo, qualche storia triste.

Mondiale 1983 in ritardo sul binario di Kyalami

Alla fine del 1982 venne decisa una modifica del regolamento (appoggiata anche ai piloti) che vietava ora trazione integrale, fondo piatto e minigonne, portava a 540 kg il peso minimo delle monoposto con un limite alla portata del serbatoio a 250 kg e autorizzava il rifornimento in corsa. Queste decisioni costrinsero le case a modificare le vetture già progettate per la stagione 1983 con ripercussioni sul calendario: la stagione sarebbe dovuta iniziare in Sudafrica, ma al fine di concedere più tempo ai costruttori per il repentino cambio di regolamento,  la corsa di Kyalami venne spostata a fine campionato e si partì da Jacarepagua. Alcune vetture presentarono soluzioni originali, come l’Osella e la Ligier, che schierarono rispettivamente  la FA1/83 e la JS21 dalla forma affusolata a pance ridottissime, entrambe poco fortunate e a secco di punti a fine stagione.

La F1 torna a Spa con De Cesaris protagonista

La sede del Gp del Belgio venne confermata solo a Febbraio: al posto di Zolder tornò Spa, che ora aveva un tracciato più breve, ma che continuava ad utilizzare parte dei punti originali. Durante dei test effettuati un mese prima della gara il più rapido fu De Cesaris, che  si confermò anche nel week end di gara piazzando la sua Alfa al terzo posto in griglia e prendendo subito il comando della corsa. Ancora una volta la sfortuna era dietro l’angolo: prima una lunga sosta ai box lo fece retrocedere al sesto posto, poi al 25esimo giro arrivò il ritiro per problemi al motore, quando il romano aveva rimontato fino alla seconda posizione. Dopo alcune stagioni in crescendo l’Alfa scese in pista con la 183T disegnata da Gérard Ducarouge e Mario Tollentino:  nonostante un elevato numero di ritiri fu proprio De Cesaris a cogliere  i migliori risultati con il giro più veloce a Spa e due secondi posti, ottenuti a Kyalami e ad Hockenheim, in entrambi i casi salendo sul podio con il connazionale Riccardo Patrese.

Debutto per Toleman e Hart

La Toleman, già “in pista” dai primi anni settanta, arrivò alla fine del decennio al dominio dell’ambitissimo europeo di Formula 2, con i due piloti Henton e Warwick rispettivamente primo e secondo, confermati dal team nel passaggio alla massima categoria, con una nuova vettura e il motore Hart turbo. I risultati furono inizialmente disastrosi, in quanto nel 1981 i due piloti si qualificarono solo una volta ciascuno, mentre l’anno seguente, dopo un inizio difficile, le Toleman iniziarono a prendere il via con regolarità, anche se per arrivare a punti si dovette attendere la fine del 1983, quando Derek Warwick terminò al quarto posto a Zandvoort, dove nell’edizione precedente aveva ottenuto il giro più veloce. Il pilota inglese entrò nei primi sei anche nei successivi gran premi di Italia, Europa e Sudafrica, prestazioni che gli valsero la chiamata della Renault, poi corse con Brabham, Lotus e Arrows (in seguito Footwork), terminando la carriera in F1 nel 1993; nota: nel 1992 Warwick ha vinto la 24 ore di Le Mans e il mondiale sport prototipi.

Cenni storici sul Gran Premio d’Europa

Dal  1923 l’AIACR istituì il titolo di Gp d’Europa per la gara di maggior prestigio della stagione e la prima corsa a ricevere il riconoscimento  fu il GP d’Italia dello stesso anno, disputato sul Circuito di Monza. L’organizzazione di un vero e proprio Gran Premio d’Europa arrivò nel 1983, con sede a Brands Hatch, circuito in passato sede del Gp d’Inghilterra in alternanza con Silverstone: nell’occasione  fece il suo debutto, con la terza Williams, il campione europeo di F2 Jonathan Palmer, che in prova fu 25esimo e riuscì a mettersi alle spalle addirittura Laffite, non qualificato, terminando la gara 13esimo a due giri dal vincitore Piquet. Terminata l’avventura in F1 nel 1989, Palmer è diventato commentatore e poi imprenditore nel motorsport, rilevando tra l’altro negli anni duemila, proprio i circuiti britannici appartenenti al gruppo di Brands Hatch; il Gran Premio d’Europa ha invece visto l’alternanza di alcuni circuito con netta prevalenza del rinnovato Nurburgring.

Dalle due alle quattro ruote

Oltre a John Surtees, un altro campione mondiale delle due ruote ha tentato la strada della F1: si tratta del venezuelano Cecotto, che nel 1983 debuttò con la Theodore e alla sua seconda presenza, a Long Beach, colse l’unico punto in Formula 1, nonchè l’ultimo per il team, che si ritirò a fine stagione. La sua carriera si interruppe bruscamente l’anno seguente quando, passato in Toleman, fu vittima di un gravissimo incidente durante le prove del Gran premio d’Inghilterra; successivamente si dedicò alle vetture  turismo, diventando campione italiano e due volte campione tedesco.

Tyrrell, occasione sprecata

I risultati ottenuti da Alboreto nel 1982 spinsero la Benetton ad appoggiare finanziariamente la Tyrrell, che però non riuscì a sfruttare l’occasione e proseguì con la vecchia monoposto adattata alle nuove regole (la nuova fu utilizzata solo a fine stagione) senza trovare un accordo per la fornitura di un motore turbo, ormai indispensabile per essere competitivi.  Al pilota milanese (vittorioso a Detroit) venne affiancato Danny Sullivan, ex meccanico di Jackie Stewart, che nell’unica stagione in F1 ottenne un piazzamento a punti, chiudendo il Gp di Monaco al quinto posto. Tornato negli Usa, vinse la 500 miglia nel 1985 e il campionato CART nel 1988, prestando anche l’immagine al noto videogioco Danny Sullivan’s Indy Heat.

Bellof, Winkelhock e Gartner: i sogni spezzati di grandi promesse

Dopo alcuni anni difficili, nel 1983 l’Ats riuscì ad ottenere la fornitura dei turbo Bmw e l’anno seguente la potenza del motore fece emergere il talento di Winkelhock, anche se la cronica mancanza di affidabilità finì per vanificare il tutto, come ad esempio a Zolder, quando il tedesco fu costretto al ritiro mentre era in terza posizione. Il rapporto tra le parti si chiuse nel peggiore dei modi: Winkelhock lasciò il team e chiuse la stagione in Brabham, poi passò alla modesta Ram con cui corse fino a metà del 1985, quando perse tragicamente la vita durante la 1000 Km di Mosport valida per il mondiale Endurance, categoria nella quale correva con successo contemporaneamente alla F1.

Al debutto stagionale del 1984 sul circuito di Jacarepagua, tutti i team si schierarono con il motore Turbo ad l’eccezione della Tyrrell, ancora legata al vecchio Ford Cosworth: una vera e propria beffa per la scuderia del “boscaiolo”, che negli anni settanta non accettò la proposta della Renault di portare al debutto il proprio motore sovralimentato. Nell’occasione fece il suo debutto il promettente Bellof, testato anche dalla Mclaren ma “bloccato” dal suo sponsor Rothmans: 22esimo in prova a 8.2 sec. dalla pole di De Angelis, si ritirò dopo soli 11 giri, mentre poche settimane dopo strabiliò tutti a Montecarlo (oscurato in parte dalla prestazione incredibile di Senna) e per tutto l’anno si dimostrò veloce e costante, pur limitato da una vettura poco competitiva, poi squalificata per un’irregolarità di gestione del peso della vettura. Pilota dal radioso avvenire, Bellof correva contemporaneamente il mondiale endurance (vincendolo), dove trovò la morte l’anno successivo durante la 1000 Km di Spa.

Nonostante corse spesso con vetture obsolete, Jo Gartner si fece notare nelle formule minori, tanto da trovare uno sponsor che gli permise di correre parte del 1984 con l’Osella, scuderia con la quale centrò un quinto posto a Monza. Passato alle vetture sport, morì durante lo svolgimento della 24 ore di Le Mans del 1986.

A Dallas la piccola grande impresa di Ghinzani

Oltre al Gp degli Stati Uniti Est disputato a Detroit, nel 1984 si tenne anche il Gp degli Usa, corso eccezionalmente a Dallas con non poche difficoltà, causa le precarie condizioni dell’asfalto e il caldo asfissiante, in aggiunta alle insidie già presenti in ogni tracciato cittadino. In una gara resa celebre dallo svenimento di Mansell sul traguardo si fece spazio il simpatico Ghinzani, che riuscì a portare l’Osella al quinto posto, ottenendo un risultato importantissimo per la sopravvivenza del team, che nella propria storia ottenne solo una altro piazzamento a punti con il quarto posto di Jarier a Imola nel 1982 (13 vetture al via), mentre il quinto di Gartner, sempre nel 1984, non fu conteggiato in quanto in quella stagione il team aveva iscritto una sola vettura.

Il passaggio ai motori sovralimentati mise sicuramente in difficoltà i piccoli team come l’Osella, che dal 1983 aveva instaurato una collaborazione con l’Alfa Romeo, prossima al ritiro come costruttore: i motori milanesi permisero alla scuderia di sopravvivere nell’era del turbo ma l’utilizzo di materiale datato e inaffidabile (cambio e telaio in uso fino al 1988 erano derivati dall’Alfa del 1983) limitò un possibile salto di qualità. Nel 1986 era prevista l’adozione dei V6 Motori Moderni ma la mancanza di fondi costrinse a proseguire con i vecchi motori. Oltre all’ormai collaudato Ghinzani venne ingaggiato Danner, che durante la stagione passò all’Arrows e fu sostituito da Berg, appoggiato da uno sponsor svizzero: il pilota canadese, a corto di esperienza, maturò spesso distacchi pesanti, stazionando costantemente in fondo al gruppo, come ad esempio in Austria, dove le due Osella occuparono l’ultima fila con Ghinzani a 10 e Berg a 12 secondi dalla pole (la gara di quest’ultimo durò poi soli sei giri). Nel 1987 il gran premio del Canada uscì momentaneamente dal calendario e Berg perse l’appoggio economico, motivo per cui non ebbe altre occasioni di correre in Formula 1; l’Osella è rimasta invece nel circus fino al 1990, cedendo poi il materiale allo sponsor principale, la Fondmetal.

Triste epilogo per la carriera di Streiff

Dopo una presenza con la Renault nell’ultima gara dell’anno precedente, Streiff venne ingaggiato nel corso del 1985 dalla Ligier  al fianco del connazionale Laffite in sostituzione di Andrea De Cesaris. Il francese concluse tre gare fuori dalla zona punti, mentre in Sud Africa corse con la Tyrrell, in quanto Ligier e Renault, In linea con la protesta della Francia contro l’apartheid in Sudafrica, decisero di non prendere parte al Gran Premio. Ritornato sulla vettura francese per l’ultimo Gp stagionale, ad Adelaide centrò il 18esimo tempo in prova (Laffite partì 20esimo) e in gara arrivò terzo, proprio alle spalle del compagno di squadra, cogliendo il primo e unico podio della propria carriera in Formula 1, interrotta drammaticamente nel 1989 a causa di un terribile incidente durante dei test dell’Ags sul circuito di Jacarepagua, in seguito al quale divenne tetraplegico.

Inizia la grande avventura della Minardi

Forte di una grande esperienza nelle formula “minori”, la Minardi realizzò la M184, primo esemplare per la Formula 1 destinato al motore 815T Alfa Romeo, mentre il debutto effettivo avvenne con la M185 motorizzata Cosworth, in attesa dell’arrivo del Turbo realizzato dalla Motori Moderni, dopo che l’Alfa aveva fatto saltare l’accordo. A Jacarepagua, con un solo ingegnere e uno staff di 13 persone, la Minardi entrò in F1 con Pierluigi Martini, che in prova fu 25esimo a sedici secondi dalla pole e in gara si ritirò per la rottura del motore. Il pilota romagnolo fu poi bandiera dello storico team italiano, per cui colse il primo punto, i migliori risultati in prova (secondo) e in gara (quarto), oltre all’unico giro in testa ad un Gp di Formula 1 nella storia del team.

Benvenuta Camera car, addio terza vettura

Il desiderio di filmare i cavalieri del rischio all’opera sulle auto più potenti del mondo è sempre stato vivo nel cuore di tifosi e addetti ai lavori, ma per tanti anni l’esperienza è stata limitata a test privati o turni di prove, spesso con metodi artigianali, come gli operatori legati alle auto. Nel 1985 al Nurburgring venne schierata la prima auto in gara con camera car: si trattava di una terza vettura schierata appositamente dalla Renault con alla guida Hesnault, che si ritirò dopo soli otto giri per problemi all’acceleratore;  fu anche l’ultima volta in cui un team scese in pista con più di due vetture.

Boutsen “spinge” l’Arrows sul podio

Dopo alcune stagioni incoraggianti con Riccardo Patrese al volante (1 pole e 4 podi), l’Arrows aveva affrontato tre stagioni di crisi e il 1985 sembrava essere iniziato sulla stessa linea, ma a Imola la storia cambiò: Thierry Boutsen centrò il quinto tempo in prova e fu autore di un’ottima gara, tanto che nel finale riuscì a portarsi nelle prime posizioni sfruttando al meglio i numerosi ritiri per esaurimento benzina. A pochi metri dal traguardo anche la sua Arrows si ammutolì, rimasta senza carburante, ma il pilota belga scese dall’auto e la spinse fisicamente oltre il traguardo, guadagnandosi il primo podio in carriera; la squalifica di Prost per peso irregolare lo portò al secondo posto. Durante la stagione seguirono poi altri piazzamenti interessanti che scaturirono l’interesse dei top team, permettendo a Boutsen di approdare prima alla Benetton e poi alla Williams, scuderie con cui corse ad alti livelli fino al 1990, chiudendo successivamente la carriera con Ligier e Jordan.

La pole non porta bene a Fabi

La partenza al palo non portava fortuna a Teo Fabi, che in occasione delle tre pole position conquistate in F1 ottenne altrettanti ritiri. Nel 1985 piazzò incredibilmente la Toleman al primo posto al Nurburgring ma venne fermato da un guasto all’acceleratore, l’anno successivo con la Benetton in Austria la sua corsa durò solo 17 giri e poche settimane dopo a Monza fu costretto a partire ultimo per un guasto alla centralina nel giro di ricognizione, poi si ritirò per una foratura dopo aver rimontato fino al quinto posto. Stessa sorte alla Indy 500 quando da debuttante ottenne la pole, in una stagione conclusa al secondo posto con tre vittorie e il titolo di rookie of the year, mentre in F1 terminò la sua avventura nel 1987 dopo 71 Gp, con tre pole, due podi e due giri più veloci.

Un nobile alla corte della Lotus

John Colum Crichton-Stuart prima del 1993 era conosciuto con il titolo di cortesia di Conte di Dumfries ed è quindi più o meno noto al pubblico dei Gran Premi come Johnny Dumfries. Rinunciò ad una formazione culturale costosa per soddisfare la sua passione per le corse, prima come autista di uno dei furgoni del team Williams, poi lavorando per ottenere i fondi per correre nelle formule minori. La Ferrari gli offrì nel 1985 un posto da collaudatore, mentre l’anno successivo disputò una stagione con la Lotus, ottenendo tre punti, in un team completamente devoto alla prima guida Senna, che con la stessa vettura si trovò addirittura in lizza per il titolo. Abbandonata la F1 passò alle ruote coperte, vincendo nel 1988 la 24 ore di Le Mans.

Haas riporta in pista Alan Jones

Nell’autunno del 1984 Carl Haas negoziò un accordo di sponsorizzazione per il campionato Cart con la Beatrice Food, compagnia con cui concordò l’ampliamento del team verso la F1, con il coinvolgimento di Teddy Mayer e il programma di fornitura motori Ford Turbo (inizialmente la vettura THL1 scese in pista con un propulsore Hart); venne associato il nome Lola anche se il costruttore non fu realmente coinvolto e le vetture vennero assemblate dalla Force. Nel 1985 Alan Jones disputò tre gare, mentre l’anno successivo fu affiancato da Tambay e arrivarono gli unici piazzamenti: all’Osterreichring, dove entrambi entrarono nei primi sei, e a Monza, dove Jones fu sesto e colse l’ultimo punto in F1 per un team americano, poi la Beatrice Foods ritirò i finanziamenti e la Haas abbandonò la categoria, così come Jones e Tambay.

L’amore proibito tra tabaccai e Formula 1

I primi contatti tra Formula 1 e sponsor “tabaccai” iniziarono alla fine degli anni sessanta, con l’ingresso dell’Imperial Tobacco, partner Lotus, fino a diventare una delle fonti primarie di entrate per gli eventi motoristici. Alcuni legislatori nazionali cominciarono ad introdurre articoli ad hoc per scoraggiare questa abitudine ritenuta “politicamente scorretta”, ma la norma venne spesso aggirata con l’utilizzo di soluzioni grafiche in grado di ricordare comunque i loghi delle aziende, oppure con nomi storpiati. La West nel 1986 sosteneva la presenza della Zakspeed e per superare il divieto ad Hockenheim tramutò il proprio nome in East; nel corso della stagione era stata anche schierata una seconda vettura grazie agli appoggi economici di Rothengatter, che per la terza ed ultima volta subentrò in F1 a stagione in corso, senza ottenere punti.

Ho un cuore che non molla mai (cit.)

Spinto da un incrollabile forza di volontà, dopo le 22 operazioni necessarie per rimettere in sesto le gambe dopo il gravissimo incidente di Hockenheim nel 1982, Didier Pironi testó un Ags al Paul Ricard nel 1986 nella speranza di tornare in F1, ma l’esito non fu positivo dal punto di vista fisico e il sogno rimase tale. Il pilota francese morì l’anno successivo durante lo svolgimento di una gara di off shore.

 

Tyrrell, Osella, Toleman e Minardi non ci sono più, i piccoli team non vengono più apprezzati, De Cesaris ci ha lasciati a causa di un incidente in moto nella sua città Natale, i tabaccai non fanno più pubblicità e sicuramente non vedremo mai piloti fumare in auto come faceva Depailler, in un mondo sempre più patinato e sempre meno spontaneo. La sicurezza ha fatto passi da gigante ed è bello pensare che, salvo casi estremamente rari, infortuni terribili o addirittura la morte possano infrangere i sogni dei piloti, ma a parte questo innegabile aspetto positivo, la sensazione di chi scrive è che tra qualche lustro sarà ben difficile raccogliere pillole di F1 e storie a cui pensare con il sorriso.

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80

MOTOGP 2017 – MOTUL GRAND PRIX OF JAPAN

Ci sono ancora 100 punti in palio, quindi la corsa al titolo è ancora quanto mai aperta per Marquez, Dovizioso e Vinales, ma il favorito resta il pilota della Honda, che sembra non sbagliare nulla, oltre ad essere in perfetta forma ed in totale simbiosi con la moto. E’ noto a chiunque che la pista Giapponese, risulta essere la pista di casa di Honda, quindi anche questo aspetto, va tutto verso il campione in carica.

Il tracciato è stato spesso terra di ottimi risultati per Honda e Yamaha, ma anche Ducati non ha mai sfigurato e proprio lo scorso anno, lo stesso Dovi era riuscito ad arrivare molto vicino a Marquez, quindi teniamoci in pò di ottimismo, anche se l’esito delle ultime corse, porta l’ago della bilancia a favore del leader di classifica.

Sulle moto non paiono in arrivo modifiche di sorta, se non i soliti affinamenti di ogni gp, resterà da vedere quali saranno i comportamenti dei vari compagni di scuderia. Difficile pensare a scenario di grosso aiuto, perchè Pedrosa vorrà pur sempre vincere, Rossi ha voglia di far vedere la sua forza, dopo il suo gran recupero e la buona corsa ad Aragon e Lorenzo è carico a mille, per la ricerca della sua prima vittoria in Ducati.

In ogni caso, aspettatevi un weekend, dove si farà molto parlare di cosa ci sia nel codone Ducati, si stan sentendo le sparate più incredibili, che portano a pensare a una sorta di mass damper, fino a un bilanciatore inerziale, che limita l’impennata, passando per qualcosa che funziona tipo un giorscopio, andando a rendere migliore la moto in curva. Chiacchere da bar insomma.

In Moto2 ci sarà la solita lotta fra Morbidelli e Luthi, dove anche qui l’Italiano è favorito, visto il suo incredibile numero di vittorie stagionali, ma non diamo per spacciato chi è secondo a soli 21 punti dal leader.

In Moto3 c’è il primo mach ball per il titolo di Mir, titolo mai in discussione per tutta la stagione.

Vi lascio i soliti orari per il GP:

Sky:

Sabato 14 ottobre
Ore 05:35  qualifiche Moto3
Ore 07:10  qualifiche MotoGP
Ore 08:05  qualifiche Moto2

Domenica 15 ottobre
Ore 04:00  gara Moto3
Ore 05:20  gara Moto2
Ore 07:00  gara MotoGP

TV8:

Sabato 14 ottobre
Ore 05:35  qualifiche Moto3
Ore 07:10  qualifiche MotoGP
Ore 08:05  qualifiche Moto2

Domenica 15 ottobre
Ore 04:00  gara Moto3
Ore 05:20  gara Moto2
Ore 07:00  gara MotoGP

Saluti

Davide_#tuttopuòsuccedere_QV

Piloti, coloro che pur di stare in sella, se ne infischiano del dolore.

Siamo freschi dell’ultimo caso di un pilota che è andato contro le regole della comune logica, vedendolo salire in sella e nel mezzo alla mischia, con una gamba ancora spezzata, giocandosela alla grande nelle prove e facendo pure una buona gara.

Ma il mondo delle due ruote, non è rappresentato solo dalle gesta incredibili di Rossi, perchè ci sono una quantità notevole di casi, dove il pilota non ha voluto sentire ragioni e fra mille dolori lancinanti, è montato in sella, spesso chiudendo la gara a podio fra le lacrime.

Il dottor Costa era un mago a descrivere, con le sue parole, il coraggio di questi uomini. Già, uomini, perchè sotto il casco e quelle tute in pelle, ci sono delle normali persone, mosse da una voglia spasmodica di correre e dimostrare il loro valore in pista.

Ed eccoci a ricordare gente come Bayliss, che a Donnington ’07, cade a terra in gara uno, si ferisce seriamente alla mano, in particolare al mignolo. Il pilota viene portato in ospedale e li i dottori lo ragguagliano della necessità di un intervento di ricostruzione del dito malconcio. Appresa la notizia, Bayliss scopre che nel caso di questa ipotesi, si ritroverebbe a saltare parecchie gare, ed ecco lo spirito del pilota, vincere sulla ragione, decidendo di farsi amputare il dito, per poter così partecipare alla gara successiva a Valencia, che si correva dopo solo 14 giorni e lo ritroviamo terzo sul podio di gara uno. Cose da leggenda.

Ma possiamo non ricordare anche  Jorge Lorenzo a Assen 2013, dove cade malamente a terra, rompendosi la clavicola? Il Maiorchino avrebbe dovuto alzare bandiera bianca, ma invece prende un volo per Barcellona e si sottopone a un intervento chirurgico. Dopo meno di 48 ore, si presenta in moto per il warm up facendo il settimo tempo. In gara il dolore non è da poco, ma lui stringe i denti e chiude quinto, arrivando sul traguardo stremato. Il passaggio sulla bandiera a scacchi lo vede quasi poggiare il capo sul serbatoio, ma ancora più toccante l’arrivo ai box, con tutti i meccanici attorno a lui, mentre il dolore non gli permette di riuscire a scendere dalla moto. I meccanici tutti attorno a lui, ad applaudirlo e poi abbracciarlo. Storia delle corse.

Lorenzo però non è nuovo a cose simili, perchè basta ritornare indietro di pochi anni, trovandosi a Le Mans 2008, vedendolo arrivare in sedia a rotelle, dopo la rovinosa caduta in Cina, in cui si era fratturato parte della caviglia e lesionato un tendine. Ma anche qui, una volta più, eccolo combattere con il solito spirito da leone, dimenticandosi dei problemi, andando a chiudere secondo e salendo sul podio in stampelle, ricevendo la coppa seduto sul podio. Tanta tanta stima.

Un’altro di quei piloti, che ha corso tante di quelle volte acciaccato, è Capirossi. L’Italiano non è assolutamente mai stato baciato dalla fortuna nelle sue cadute, concluse spesso con complicazioni e fratture varie. Ma nulla come ciò che successe a Barcellona 2006, dove un arrivo in mucchio alla prima curva, ed un Gibernau che si aggancia assieme al compagno di scuderia, finesce per generare una triplice capriola frontale, che vede coinvolti lui, Capirossi e Melandri. La gara successiva a Donington si presenta molto dolorante al torace, con grossi problemi di respirazione, ma essendo l’anno che potrebbe portarlo al titolo, decide di correre lo stesso, saltando qualche turno di prove, ma facendo quinto nelle prove e chiudendo nono in gara. Gara che in più riprese, lo vedeva sfinito ad appoggiarsi al serbatoio, per cercare di alleviare i dolori. Pare che niente lo può fermare.

Sempre Capirex, ad Assen 2000, cade e si frattura la mano sinistra. In clinica mobile lo curano come possibile, lo imbottiscono di anti dolorifici, ed eccolo schierato in griglia, a chiudere terzo sul bagnato, una gara che forse avrebbe potuto persino vincere. Leggenda.

Poi ci sono quelli come Stoner, che nel 2012 a Indianapolis arrivano ai box in stampelle, con lo stivale destro più grande, per poter permettere al piede fasciato di starci dentro. Il piede se lo fratturò nelle prove, ma anche questa volta non si voleva mollare il colpo, frega zero del male e via andare in griglia, a lottare come sempre, chiudendo con un buonissimo quarto posto. Stoico.

Ma si può dimenticare Dani Pedrosa? uno che a ferri nelle ossa e quasi alla pari di gente come Schwantz, uno che nella sua carriera, ha avuto una sfiga immonda, con cadute che lo han portato a rompersi un numero infinito di ossa. Ma Pedrosa non è uno che molla, infatti nel 2005, quando ancora correva in 250, giocandosi il titolo con Stoner, si ritrovò a cadere due volte nelle prove del gp di Motegi, procurandosi una frattura all’omero. Il pilota Spagnolo però decide di non dire nulla nessuno della sua situazione, sia per paura che i medici non gli desse l’ok per correre, sia al suo team, perchè aveva paura che lo levassero dalla moto. E Dani cosa fece? corse a Motegi chiudendo secondo, per poi vincere in Australia e Malesia, con un’altro secondo posto in Turchia. A titolo vinto ammise il problema fisico. Forza di volontà pazzesca.

Ci sarebbero ancora i casi come quello famosissimo di Doohan e il suo intervento alle gambe con rientro alle corse dopo solo 7 settimane, o casi come Barry Sheene a Daytona nel 1975, quando gli esplose il pneumatico posteriore mentre viaggiava a 280 km/h, ritrovandosi  femore e braccio rotti, con le vertebre e costole fratturate. Dopo quell’incidente lui disse: “Se fossi stato un cavallo da corsa mi avrebbero abbattuto”. Ma lui non si arrese e dopo 49 giorni ritornò in pista. Nei due anni successivi vinse due mondiali 500.

Ci sono corse come Assen del 94, con uno Schawantz già malconcio di suo per una caduta in mountain bike, ed una caduta in prova, lo porta ad avere un’ulteriore problema al polso sinistro, causando ulteriori danni alla cartilagine e alle ossa. Viene ingessato, ma il giorno dopo è già in sella, per 18 giri. L’Americano decide di correre anche la gara, giungendo stoicamente quinto, fra mille dolori e lacrime. Da quell’infortunio non recupererà più, ma ci provò ancora, per poi concludere la sua carriera nel 1995.

Piloti, una razza che non si arrende mai.

Saluti

Davide_QV

Hamilton vince a Suzuka, la Ferrari spegne la candela

Correva l’anno 1985. La Ferrari, dopo un 1984 avaro di soddisfazioni, era in testa al mondiale con un Alboreto strepitoso e un’ottima monoposto, la 156-85, davanti ad una McLaren che aveva dominato la stagione precedente. Arriva l’estate, e viene presa la decisione di cambiare il fornitore di turbine per differenziarsi dall’avversaria e cercare di trovare quella prestazione in più che avrebbe consentito di starle costantemente davanti. Da quel momento in poi Alboreto infilerà una serie di ritiri impressionante, e Prost chiuderà il mondiale con qualche gara di anticipo.

32 anni dopo la storia sembra ripetersi. La Ferrari è andata in ferie con una bella doppietta in Ungheria, la leadership comoda di Vettel nel mondiale piloti, in cantiere una PU nuova che prometteva 50 (?) cv in più, e tanti aggiornamenti dal punto di vista aerodinamico. Ma al rientro, da Spa in poi, tutte le promesse si sono sciolte come neve al sole, fra incidenti e problemi di affidabilità. Come nel 1985. A fronte di Hamilton che ha portato a casa 4 vittorie e un secondo posto, Vettel ha ottenuto solo due podi, un quarto posto e due ritiri. E la pista ci ha detto che la Mercedes è superiore in tutti gli aspetti. Macchina, motore ma anche piloti. La W08 è andata meglio in almeno 3 gare su 5. Il motore non ha dato alcun problema, mentre quello Ferrari si è rotto a ripetizione (solo componenti, si dirà, ma sempre sul motore vanno). E Lewis è sembrato in forma più che mai, non mostrando mai quei cali di rendimento che si erano visti nella prima parte della stagione. Si potrà obiettare che a Singapore e anche in Malesia la Ferrari sembrava la più forte in pista. Il problema è che “sembrava”, perchè la classifica ci dice che i punti portati a casa sono stati solo 12.  E anche oggi, se dobbiamo misurare le prestazioni dal risultato di Kimi, la SF70H era la terza forza.

A questo punto la Ferrari deve concentrarsi sul 2018, e possiamo consolarci pensando che considerando le ultime 10 stagioni, in almeno 8 si sapeva di dovere pensare all’anno successivo già dopo 5-6 gare, tanto era il gap prestazionale dalla prima della classe. E’ stato fatto un grande recupero rispetto allo scorso anno, e c’è un’ottima base dalla quale partire per combattere l’anno prossimo ancora più ad armi pari con la Mercedes. Si potrebbe obiettare che mancano ancora 4 gare. Ma c’è qualcuno che crede veramente che Vettel possa rimontare?

Ferrari terza forza, si diceva, perchè anche oggi la Red Bull ha confermato l’incredibile recupero maturato durante le ferie estive. Verstappen secondo molto vicino ad Hamilton (e avrebbe potuto anche attaccarlo negli ultimi 2 giri, non fosse stato per l’assurdo comportamento di Massa e Alonso in fase di doppiaggio). Ricciardo terzo, ben distaccato dal compagno, completa il podio.

Dietro di lui, i due finlandesi scudieri che hanno mostrato il solito rendimento mediocre (considerando le macchine che guidano). Se Bottas è stato, fino ad ora, molto utile alla causa con le sue funzioni di tappo da usarsi all’occorrenza (con perfetto tempismo oggi si è piazzato fra Lewis e Max bloccando di fatto il recupero di quest’ultimo), Kimi è risultato anche oggi totalmente incapace di tenere alta la bandiera Ferrari in assenza della prima guida, rimediando un distacco enorme. Ora di sicuro verrà fatto l’elenco delle ragioni che possono scusare questa prestazione, ma è innegabile che nell’economia di un risultato finale positivo, la Ferrari dovrebbe riesaminare il rendimento medio della seconda guida, e non solo l’affidabilità e la prestazione della vettura. All’epoca degli scudieri Irvine e Barrichello, il loro apporto era decisamente diverso, entrambi erano in grado di stare vicinissimi a Schumacher mettendosi fra lui e i diretti rivali per il titolo. E qualche vittoria la portavano a casa. Kimi sta invece per battere il poco invidiabile record di Alesi: 4 stagioni e mezzo alla guida della rossa senza vincere nemmeno un GP. E questo dice tutto.

Dietro i primi 5, i soliti noti colorati di rosa, sempre vicini vicini ma stavolta molto disciplinati, con Ocon davanti a Perez. Poi, sorpresa, il grande ritorno nei punti delle due Haas, anch’esse vicine vicine con i piloti capaci di portare a casa il risultato, il che non era scontato. Chiude la zona punti il probabile pensionando Massa, che in questo week-end ha ridicolizzato il giovanissimo compagno di squadra, apparso in difficoltà su questa difficile pista.

Magra figura nella gara di casa per la McLaren, con Alonso che stranamente non ci ha allietato con i suoi mitici team radio, e buio pesto anche per la Renault (anche se Hulkenberg si stava difendendo bene prima della rottura del DRS). Gasly ha portato a termine la sua seconda gara senza infamia e senza lode, mentre il compagno Sainz ha salutato in modo poco onorevole la sua squadra uscendo di pista dopo poche curve. A chiudere le sempre incolori Sauber blu.

Ora si va ad Austin, dove Ham può chiudere matematicamente il mondiale. Chissà che in Ferrari, liberatisi del peso della competizione, chiariti i problemi di affidabilità avuti in queste ultime due gare e avviando le opportune azioni correttive sia con i fornitori che all’interno del reparto corse, non riesca finalmente a fare esprimere alla SF70H tutto il suo potenziale, portando a casa qualche vittoria che permetterebbe di andare alla pausa invernale con il morale alto.