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Jacarepagua 1989: inizia una nuova era

La stagione 1988 del mondiale di Formula 1 mandò in pensione i motori sovralimentati protagonisti dell’ultimo decennio e, come preannunciato già dal 1986, tutte le scuderie si prepararono a competere utilizzando motori aspirati con cilindrata fino a 3500 cm³ e numero di cilindri massimo pari a 12, senza alcun limite di consumo. Il V12 fu adottato dalla Ferrari e dalla Lamborghini, che spinse le Lola Larrousse senza particolare fortuna, penalizzata dalla scarsa affidabilità e dai mezzi risicati del team; molte scuderie, tra cui la Benetton, scelsero un convenzionale propulsore Ford ad otto cilindri, soluzione su cui puntarono anche Judd, fornitrice per quattro scuderie, e Yamaha, partner della modesta Zakspeed, qualificatasi in due sole occasioni. Honda e Renault introdussero invece un inedito dieci cilindri nel tentativo di trovare una via di mezzo tra i vantaggi in termini di peso e dimensioni dei V8 e la maggiore potenza dei V12, considerando il minor spazio disponibile per il motore a causa dell’arretramento degli abitacoli indicato dal regolamento. Le grandi novità del nuovo mondiale non si esaurirono con i motori: dopo due stagioni di monopolio Goodyear tornò infatti in Formula 1 la Pirelli, scelta da Brabham, Coloni, Eurobrun, Dallara, Osella, Zakspeed e Minardi, e proprio grazie all’ottima tenuta degli pneumatici la scuderia faentina vide le proprie prestazioni incrementare notevolmente nel finale di stagione, al punto che Martini si trovò in testa all’Estoril, facendo capolino più volte nei quartieri alti durante le ultime gare. 


Il numero di team e piloti iscritti rese necessaria l’organizzazione delle prequalifiche, ovvero una sessione di un’ora da disputarsi il venerdì mattina dalle otto alle nove, dove tredici piloti sarebbero stati costretti a dare tutto per superare la tagliola ed approdare alle qualifiche ufficiali, durante le quali altri quattro sarebbero stati esclusi per portare in griglia i 26 piloti ammessi su un totale di 39; per i piccoli team si sarebbe rivelata un’impresa, per alcuni piloti un miraggio: Suzuki, Foitek, Larrauri, Bertaggia, Winkelhock e Dalmas limitarono la propria partecipazione al mondiale al solo turno del venerdi mattina. La stagione partì purtroppo con un dramma: durante una sessione di test a Jacarepagua in vista della prima gara, Philippe Streiff uscì di pista con la sua Ags e riportò gravi danni alla colonna vertebrale rimanendo paralizzato; dotato di una grande forza d’animo, ebbe modo di adoperarsi attivamente fino a diventare consigliere tecnico per i diritti delle persone diversamente abili sotto la supervisione del Ministero della Sanità francese. Proprio sul circuito brasiliano partì il campionato del mondo, con grande curiosità per un particolare introdotto dalla Ferrari, che portò in pista la rivoluzionaria 640 F1, soprannominata “papera” per la particolare forma del muso, dotata di un cambio semiautomatico sequenziale con innesti direttamente sul volante, soluzione al debutto assoluto in Formula 1. Per tentare di riportare in alto i colori del Cavallino era stato ingaggiato il tecnico John Barnard, il quale mostrò grande sicurezza nel nuovo progetto, al punto di disegnare l’abitacolo della vettura senza spazio per un eventuale ritorno alla leva manuale, anche se lo sviluppo del nuovo sistema si rivelò particolarmente laborioso, tanto che per lo studio sui motori venne utilizzata una vettura del 1987 modificata per l’esecuzione dei test. 


Le prove a Rio de Janeiro fecero le prime vittime illustri, tra i quali Johansson, alla guida di una Onyx ancora acerba, i nostri Caffi e Ghinzani, oltre ad Arnoux, al volante di una Ligier sempre più in crisi; la pole position venne invece conquistata dall’idolo di casa Ayrton Senna, capace di rifilare otto decimi a Patrese (in prima fila per la prima volta dal 1983) e oltre un secondo al compagno di squadra Prost, in terza fila con Mansell e preceduto dall’altra Ferrari di Berger e dalla Williams di Boutsen. Pronti, partenza, via: e subito la prima sorpresa! Patrese e Berger partirono benissimo affiancando Senna, ma solo la vettura dell’italiano passò indenne la prima curva, mentre per i due piloti di Ferrari e McLaren la corsa durò lo spazio del primo rettilineo, con l’austriaco subito fermo e il brasiliano costretto per lungo tempo ai box; Boutsen, uscito di scena dopo pochi giri per la rottura del motore, perse addirittura lo specchietto destro a causa di un pezzo schizzato dalla vettura di Senna. La situazione di gara a quel punto vedeva Mansell e Prost all’inseguimento dell’ottimo Patrese, successivamente “vittima” di una strategia non molto azzeccata della Williams, che attese troppo tempo per il primo cambio gomme, permettendo ai due contendenti, già fermatisi per la prima sosta, di raggiungere e superare il padovano, ormai sensibilmente più lento a causa degli pneumatici usurati. Mansell stava imprimendo un ritmo infernale alla corsa, ma iniziò a patire problemi con il nuovo cambio semi-automatico, arrivando addirittura alla sostituzione del volante con i relativi innesti durante la seconda sosta ai box, poi tornò in pista e si lanciò all’inseguimento di Prost, che superò dopo pochi giri, mentre il francese, consapevole che il suo principale antagonista era ormai fuori gioco, evitò rischi inutili ragionando come di consueto in ottica campionato. Alcune tornate prima si erano vissuti istanti di paura per Eddie Cheever, costretto a guidare una Arrows dall’abitacolo strettissimo (caso non troppo isolato all’epoca) e svenuto per il caldo e la stanchezza una volta uscito dalla vettura in seguito ad una collisione con Schneider; fortunatamente per “l’americano di Roma” nessuna conseguenza.


Riccardo Patrese, fino a quel momento grande protagonista, dopo uno spettacolare sorpasso su Gugelmin fu costretto a rallentare, accostando mestamente per noie all’alternatore e congelando di fatto le posizioni dei primi, con Mansell in vantaggio di alcuni secondi su un Prost sempre più tranquillo in seconda posizione, mentre ai box Ferrari la tensione era altissima per le incognite sull’affidabilità della nuova monoposto di Maranello; fortunatamente tutto funzionò perfettamente fino al traguardo, dove per primo transitò proprio Mansell, l’ultimo pilota scelto da Enzo Ferrari in persona, protagonista di un debutto memorabile sul Cavallino Rampante. Secondo fu Prost e terzo Gugelmin, profeta in Patria e a podio per l’unica volta in carriera, mentre a sorpresa si classificò quarto Johnny Herbert, giunto eroicamente al traguardo nonostante fosse ancora claudicante e in fase di recupero dal grave incidente avvenuto durante una gara di Formula 3000 nel corso della stagione precedente; quinta la Arrows di Warwick e sesta l’altra Benetton di Nannini, seguiti nell’ordine e fuori dalla zona punti da Palmer, Nakajima, Grouillard, Alboreto, Senna e Alliot. Fu la prima vittoria per una vettura dotata di cambio semi-automatico, sistema che aveva già stuzzicato la fantasia dei tecnici Ferrari molti anni addietro: pare che alla fine degli anni Settanta l’ing. Forghieri avesse tentato di applicare un’idea del Drake montando quel particolare cambio su una 312 T3, poi il progetto venne messo in stand by e, dopo un nuovo testo su una F186, riproposto in modo deciso con l’arrivo di John Barnard, partendo da lunghe sessioni di test con Roberto Moreno fino al debutto vincente di Rio De Janeiro. L’intuizione si dimostrò vincente: Ayrton Senna ad Adelaide nel 1991 siglò l’ultima pole position per il cambio ad H, che rimase in dotazione per pochi anni tra i piccoli team, prima di lasciare definitivamente spazio al semi-automatico, nel pieno di un’era in cui lo sviluppo tecnologico riuscì a coniugarsi perfettamente con lo spettacolo in pista, come dimostrato dallo splendido campionato del mondo di Formula 1 1989.

Mister Brown

APPROFONDIMENTI VIDEO

Sintesi ampia e fasi salienti della corsa

Un giro a bordo della Williams di Riccardo Patrese  Commento di Michele Alboreto

 

SINTESI DEL MONDIALE 1989, COMMENTO DI M.ALBORETO

 Parte 1 (Jacarepagua, Imola e Montecarlo)

Parte 2 (Mexico City, Phoenix, Montreal e Paul Ricard) 

Parte 3  (Silverstone, Hockenheim, Hungaroring, Spa e Monza)

Parte 4 (Estoril, Jerez, Suzuka e Adelaide)

SALUT, GILLES!

Gilles Joseph Henri Villeneuve was born in 1950, in Quebec and, after starting his competitive career in snowmobiles, rose to stardom after a couple of seasons in Formula Ford, and then winning both the US and Canadian Formula Atlantic championships in 1976. Villeneuve had beaten James Hunt and other GP drivers in a Canadian Formula Atlantic race and Hunt pointed him out to McLaren. Hunt told the McLaren management about them with the words “That kid is a genius! He can really drive!“. Even back in those days it was rare for a driver to point out the skills of an OTHER driver. Prompting Teddy Mayer to give Villeneuve a call, and arrange a meeting.

In the end it was decided to give Villeneuve a seat in an outdated M23 for the ’77 British GP, which would be their third car alongside the new M26’s driven by Hunt and Mass. On that Thursday Villeneuve drove an F1 for the very first time. During practice he changed nothing on the car, each time he came in to the pits he told the mechanics how great the car was and if he could have another go, to learn more.

In the meantime journalists and photographers would pop-in at the McLaren garage and tell them of the times the saw the new guy go off track or spin the car. Naming every corner on the Silverstone track! So when Villeneuve came back in to the pits Alastair Caldwell, who was McLaren’s team manager and head mechanic at the time, asked him if he had troubles with the car, since people told him he spun at every corner. To which Gilles replied: “I’m just finding out how fast I can go round the corners. You can’t tell how fast you’re going unless you lose control of the car.”

After a while he spun the car less and less, even ending up the pre-qualification session in p1. During the actual qualification session he ended up in ninth place, one place in front of Jochen Mass, the no.2 McLaren driver, in a newer M26. Eventually he would finish the race in 11th place, after a pit-stop for a faulty oil temperature gauge. Gilles Villeneuve was 29 when he was offered test driver role (and a five-race deal for the end of the ’78 season) with McLaren after the 1977 British GP. 

But right before that he was invited to Maranello where apparently Enzo was reminded of the great Tazio Nuvolari, and Gilles had received a similar offer, after a test session at Fiorano. He had been lapping the track in a 312T2 for half an hour, when he returned to the pits. In just 20 laps he had worn out a complete set of brake pads. Pads that should comfortably last a whole race… 

So when he told McLaren about it Mayer said that he should call Ferrari’s bluff and ask them for a full drive or nothing. Enzo promptly signed him up, from the last two races of 1977. Leaving Caldwell to be furious with Mayer, for not only throwing away a rough diamond but also negotiating his deal! Apart from that one-off McLaren drive Villeneuve only drove for Ferrari throughout his tragically shortened career.

Villeneuve, talking about those early snowmobile days said: “Every winter, you would reckon on three or four big spills, being thrown on to the ice at 100 miles per hour. Those things used to slide a lot, which taught me a great deal about control. And the visibility was terrible! Unless you were leading, you could see nothing, with all the snow blowing about. Good for the reactions — and it stopped me having any worries about racing in the rain.” Maybe he should have worried a little more, but he was certainly fearless.

John Blunsden wrote in The Times: “Anyone seeking a future World Champion need look no further than this quietly assured young man.”

Enzo Ferrai said: “When they presented me with this ‘piccolo Canadese’, this minuscule bundle of nerves, I immediately recognised in him the physique of Nuvolari and said to myself, let’s give him a try.”

Villeneuve replaced Niki Lauda, who left Ferrari two races before the end of the ’77 season after some disgruntlement (but not before winning his second title), but had a sad start to his career in the final event in Japan where he banged wheels with Ronnie Peterson’s Tyrrell, took off… and landed on a group of spectators, who were in a prohibited area. One spectator and a marshal were killed, and ten people were injured. An investigation decided not to apportion any blame. 

Villeneuve’s first full F1 season (1978) began with an eighth place in Argentina (plus fastest lap), followed by four retirements, the fourth at Long Beach, where Villeneuve had qualified second, and led for much of the race, until colliding with a back-marker and retiring. After that he would end up taking a fourth place at Monaco. After a string of further disappointments Villeneuve gained his first podium in Austria and then winning the final race in Canada – still the only Canadian to have won ‘at home’. However his teammate, Carlos Reutemann, won four times, to finish third in the Championship – there was more to come from Villeneuve.

At Monza the tifosi were overjoyed to see Villeneuve take his second front-row start of the year, and he also finished second in the race, but he and Andretti jumped the start and were penalised one minute, leaving them sixth and seventh. There were many incidents in the race, which was red-flagged as a result of Peterson’s crash, and it was about to be restarted, three hours late, when Jody Scheckter’s Wolf lost a lap on the formation lap, and flattened the guard-rail. A deputation of drivers examined the area, and asked for adjustments, and a much shortened race started at 6 PM, four hours late.

Mario Andretti: “I was on pole, and Gilles was next to me on the front row. He jumped the start and I reacted to it, so I jumped it too. We both knew early on we’d been penalised a minute, but still we fought the whole race like we were going for the win. I followed him until about six laps from the end. I could see him work really hard in that Ferrari. And I was waiting for the mistake, but the mistake never came… So I made my move at Ascari, just went in there full on the limit, and he gave me the room I needed. That showed he was thinking, and had a lot of respect. And I had great respect for him because of that.”

While Reutemann took the vacant seat at Lotus for the ’79 season, Villeneuve was joined by Scheckter. It was Ferrari’s year, at least until Alan Jones’ Williams came good in the second half and won four out of five races. The record shows Scheckter took the Championship with Villeneuve second, four points down: they each had three victories, and three second places. Villeneuve had an additional second place that had to be dropped, while Scheckter had four fourth places, two of which were dropped. [NB: at that time only the best 4 results from the first 7 races, and the best 4 results from the last 8 races counted towards the Drivers’ Championship] Both drivers had one pole position but Villeneuve was the only one to score fastest laps – six of them.

After the first five races Villeneuve led by 20:16 but he failed to score in the next two and Scheckter pulled ahead. At the half-way point Villeneuve trailed 20:30, and failed to regain the lead. It would be twenty-one years before another Ferrari driver would be Champion…

In the French GP there was the titanic battle between Villeneuve and Arnoux which Villeneuve won. He commented afterwards, “I tell you, that was really fun! I thought for sure we were going to get on our heads, you know, because when you start interlocking wheels it’s very easy for one car to climb over another.”

The Dutch GP provided another Villeneuve classic: a slow puncture collapsed his left rear tyre and put him off the track but he limped back to the pits on three wheels, losing the damaged wheel on the way. He completed the lap on just two wheels – one was gone, and the opposite one was in the air… Villeneuve insisted the team replace the missing wheel, and it apparently took a while to assure him the suspension damage was beyond repair. Reaction at the time was mixed: either an act of the ultimate competitor not wanting to give up… or an irresponsible, emotional decision.

In Italy Villeneuve could have gone on to win the Championship by beating Scheckter… but allegedly chose to finish second, less than a second behind, ending his own championship challenge. Although Scheckter was ahead in the Championship Villeneuve was still in contention. He qualified fifth to Scheckter’s third and ran right behind Scheckter’s gearbox throughout the race… Was he on team orders to let Scheckter win if Scheckter was ahead, was he being a gentleman, or was Scheckter simply the faster man on this occasion. At no time during the race was Villeneuve seen trying to pull alongside, or even pulling out of the slipstream to take a look.

His behaviour throughout was of the dutiful No.2 driver, reminiscent of Moss to Fangio, Peterson to Andretti, and many others… and yet Gilles Villeneuve was nobody’s stooge. Did he run so consistently close to demonstrate he could have taken the lead? Whatever, it was extremely uncharacteristic for a man who was never slow to put his car’s nose ahead… and keep it there… to apparently accept second best on this occasion. During the year, when they both finished without a problem, Villeneuve beat Scheckter 6:4.

I have no desire to denigrate Scheckter’s Championship – I just find Villeneuve’s behaviour unusual. Unless it was a Ferrari decision…

In his last ever interview Villeneuve would use this to explain his feud with Pironi, after the ’82 Imola GP: “When I was behind Scheckter, in South Africa in ’79, I only passed him when he was in the pits. When I was in Monza, and it was my last chance to win a race, and the Championship was at stake (’79), I stayed behind Jody without trying to pass him. When I was at Monaco, before the gearbox broke, Jody was in front of me, going slowly. Because he had a huge lead, and I never tried to pass him. That was the Ferrari rule!”

Funnily enough Scheckter would comment about that Monza win:“As much as I trusted Gilles – I was looking in my mirors more than usual. On the last lap I slowed right down in one section, then just went as fast as I could for insurance… I would have been surprised if he had tried anything but I always look out for surprises.”

In Canada Villeneuve qualified second, between the two all-conquering Williams cars, while Scheckter languished in ninth. Villeneuve jumped into the lead and held off Jones for fifty laps before having to give best to Williams, though he held on to second from a really hard-pushing Regazzoni.

Finally to Watkins Glen. The record book shows Villeneuve won, in wet conditions, but he was 48 seconds ahead of Arnoux… after Jones had crashed, from an ill-fitted wheel. But there’s a lot more to that story:

The rain was so heavy for the Friday practice session and only a few cars ventured forth. Villeneuve was fastest, 11(!) seconds ahead of Scheckter. Yes, you read that right. Eleven seconds! Scheckter would later recalled: “I scared myself rigid that day. I thought I had to be quickest. Then I saw Gilles’s time and — I still don’t really understand how it was possible. Eleven seconds!”

Twenty minutes before the race started it was raining again. Villeneuve jumped ahead and after two laps was five seconds ahead but, as the track began to dry, Jones closed in and went ahead on lap 31. Villeneuve pitted for slicks but, when Jones did the same, one wheel wasn’t properly fitted, and he was soon out of the race, leaving Villeneuve almost a full lap ahead of Scheckter, who later lost a tyre. Villeneuve cruised home, with fading oil- pressure, 48 secs. ahead of Arnoux.

1979 turned out to be Villeneuve’s best year – he would not even get close to winning a championship again.

Ferrari mechanic Scaramelli: “The Villeneuve era was wonderful, and it peaked in 1979. That year the T4 engine would only break if you dropped it off the back of the truck. And Gilles was fantastic. We were accustomed to Lauda and Reutemann, who respected the machinery. Gilles gave us a lot more work, but he also completely re-awakened our enthusiasm! After each race, if you worked his car, you could see that he thoroughly wrung his car’s neck. The limiter on his accelerator pedal would always be pushed a little further down…”

Now came a dreadful year for Ferrari, 1980 – not a single win, no pole position, no fastest lap, no podium even… and finishing 10th in the Constructors Championship with just eight points – how the mighty can fall. It wasn’t just the Williams cars who took over; Ligier, Brabham and Renault all won two or three races each. Even the Fittipaldi team scored two podium finishes, to place eighth with, sandwiched in the middle, the also once-mighty McLaren team, whose drivers, Watson and Prost, only amassed eleven points between them… In the Drivers Championship Villeneuve finished fourteenth, with defending champion Scheckter in nineteenth

With several very bad accidents to Regazzoni and Jean-Pierre Jabouille, and the loss of Patrick Depailler, 1980 was a dreadful year for more than just Ferrari.

Scheckter decided to call it a day in 1981 and Villeneuve was joined by newcomer; Pironi, to drive Ferrari’s first turbo car which had considerable power and straight-line speed, but turbo-lag and handling problems prevented a challenge for the Constructors Championship, eventually finishing fifth. Nevertheless Villeneuve scored an amazing victory at the slow Monaco circuit and, at Jarama, he held back five faster cars who were able to close up on the corners before Villeneuve roared away on the straights. He also took pole position and fastest lap at Imola.

In Monaco Villeneuve finished forty seconds ahead of Jones, who was fifty seconds ahead of Lafitte, the only other drivers on the lead lap but, in Spain, only 1.24 seconds covered 1st-5th places – the second closest finish in F1 history. It was also Villeneuve’s last victory, and is often held up as a tactical masterpiece. He only qualified seventh but at the start he jumped to third at the first corner, and was second at the end of the first lap…

Jones was in full control, until he spun off on lap 14, and Lafitte, Watson, Reutemann, and de Angelis closed up on Villeneuve, and all five were packed like a 215kph tin of sardines, to the line. [Some F1 purists childishly denigrate ovals but check the 2013 Indy Lights race at Indianapolis – a four-abreast finish, with 0.0026 secs. between them.]

Midseason Ferrari acquired the services of Harvey Postlethwaite to pen the 1982 car (with a young Adrian Newey in the drawing office), who said: “That car…had literally one quarter of the downforce than, say Williams or Brabham. It had a power advantage over the Cosworths for sure, but it also had massive throttle lag at that time. In terms of sheer ability I think Gilles was on a different plane to the other drivers. To win those races, the 1981 GPs at Monaco and Jarama — on tight circuits — was quite out of this world. I know how bad that car was.”

In the penultimate race at Ile Notre Dame, which would be renamed, Circuit Gilles Villeneuve, the following year, Gilles drove with a seriously damaged front wing for much of the race, probably obscuring much of his forward vision, and in heavy rain… But I expect he thought it was nothing compared to his snowmobile days. Nevertheless he should have been black-flagged but after several frightening laps the wing became disconnected, and Ferrari left him to decide. I say this because the wing could have easily caused a death if it had hit anyone when it let go, and even the debris could have had severe repercussions. As with the missing wheel in 1979, Villeneuve drove without apparent concern for what could have happened behind him.

Ferrari mechanic Corradini: “Another legendary race. Gilles was charging in the wet with his front wing bent upwards and compromising his visibility. But for him it made no difference. He was on his way to the podium. I was terrified that Forghieri was going to stop him. Call him in to change his nose. I was Pironi’s mechanic, but I was a fan of Gilles. So what I did, crazy as it may seem, was to grab the board with ‘Box’ written on it and hide it. At that point Forghieri could say what he wanted: the signal, the order for Gilles to surrender, couldn’t been shown by anyone!”

1982: Now came disaster, with which I have already dealt with in the Pironi article. I don’t enjoy writing of tragedies, and the loss of Villeneuve in a practice accident was, and still is, a tragedy. Many people have attempted to ‘explain’ the incident – most have a highly subjective opinion. All we know for certain is that Villeneuve came across another, slower- moving, car, both drivers took evasive action, but failed to avoid a collision, and the Ferrari took off. Villeneuve, still strapped to his seat, was thrown from the disintegrating vehicle and died in hospital that evening.

Gilles Villeneuve was especially noted for his exuberance, even devil-may-care approach to racing. Certainly he so often put his car where a lesser man (i.e. almost all other drivers) would not have dared, and his impeccable car control enabled him to pull it off. But.. in his final performance even Villeneuve’s skill proved insufficient to get himself out of trouble.

Niki Lauda said of him: “He was the craziest devil I ever came across in Formula 1… The fact that, for all this, he was a sensitive and lovable character rather than an out-and-out hell-raiser made him such a unique human being. Gilles was the perfect racing driver, I think. In any car he was quick. He didn’t drive for points, but to win races. I liked him even more than I admired him. He was the best -and the fastest- racing driver in the world!”

Professor Sid Watkins once said about Villeneuve that what an inch was for Gilles was like a yard for anyone else. He was that precise. 

Chris Amon: “People always talk about Senna, who obviously had brilliant races too. But Senna had the advantage of being in top rate equipment for some of those races. Gilles most exceptional races were driven in uncompetitive cars.”

Rene Arnoux: “At Watkins Glen one time, I asked him -the corner before the pits, I take a small lift there, do you? He said he also lifted a little there, but in final qualification he would try it flat out. So just before the end of the session I came to this corner and there was his car. Completely destroyed in the wall. But he was OK. So when I got back to the pits I asked him if this bend could be taken flat out? ‘No, Rene’ he said, ‘I tried, but it is not possible.’ But he had decided that it could be done so he tried it… And that was Gilles Villeneuve for me.”

In the end Villeneuve would only score six wins (from 67 starts), two pole positions and a further 13 podiums. Plus eight fastest laps. But he created this immortal legend. I’m a massive Villeneuve fan, and perhaps I romanticise his story a bit too much. If you ever go to an F1 race and you come across a guy with a massive Villeneuve tattoo on his right arm come say ‘Hi’ to me, hahaha.

Phil Bruznic

LETTERA A BABBO NATALE

Caro Babbo Natale, ti scrivo questa letterina sperando che almeno qualcuno di questi desideri
possa avverarsi…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei che tu chiedessi alla Befana di portare un pò di carbone a Toto Wolff; sia chiaro, carbone rigorosamente tedesco. Vedi…il nostro ha la straordinaria abitudine di essere un vincente (prima a dir la verità piagnucolava ogni giorno che se continuavano a perdere si sarebbero ritirati…); ma accade che il suo prenderci in giro (e lo fa divinamente sia chiaro) diventi alla fine un pò noioso, una volta scoperto che se dice una cosa, è vera quella contraria…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poi, mi piacerebbe che qualcuno spiegasse a Luigino che no, a Natale non è nato lui, e che per quanto sia uno straordinario pilota, non fa ancora i miracoli. Per questo vorrei che trovasse sotto l’albero una settantina di chilogrammi di modestia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei regalare a Valterino una nuova divisa da maggiordomo. Quella che ha è ormai consunta, è stata usata tanto e proficuamente, ed il nostro pinguino finnico ha bisogno di una nuova tuta, splendida splendente.

Vorrei che tu regalassi una dose extra di salute per il grande Niki Lauda. E ovviamente vorrei che assistesse alla vittoria della Ferrari in entrambi i mondiali.

Vorrei che Pirelli, sotto l’albero di Natale (fatto rigorosamente in Turchia e di plastica riciclabile) trovasse la formula perfetta per fare finalmente gomme degne di tale nome. Insomma, che diventassero semplicemente quegli affari tondi e neri dalle cui bizze non dipende tutta una gara. Una variabile indipendente e non una variabile determinante. Come era negli anni in cui, da ragazzino, seguivo le gare di Formula Uno. Tu pensa..c’era gente che vinceva le gare anche con le gomme spiattellate.

Vorrei regalare a Luca Cordero di Montezemolo una macchina della verità con annesso pentotal. Mi piacerebbe sottoporlo ad una seduta per chiedergli come mai, negli anni novanta, fece prima la voce grossa per un sacrosanto campionato alternativo alla Formula Uno, e sembrava fare su serio… salvo poi rimangiarsi tutto. Ma non solo, vorrei chiedergli come mai alla fine del suo regno a Maranello si lamentò della mancanza dei test in pista, dell’abuso dei simulatori e di altre follie ancora oggi presenti, quando fu lui stesso, con il silenzio-assenso, ad avallare quelle robe e pure un regolamento che il compianto Marchionne avrebbe giustamente e splendidamente definito come “scritto da 4 ubriachi al bar”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi piacerebbe che tutto il Team di Maranello trovasse sotto l’albero di Natale un grande contenitore di serenità e umiltà. Servono entrambe per vincere.

Vorrei che Seb, vero ferrarista, ricevesse sotto l’albero un pacchetto di un’ottima tisana rilassante, e una copia del libro “L’arte della guerra” di Sun Tzu, affinché capisca quanto è importante comprendere i punti deboli dell’avversario e volgerli a proprio vantaggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei che qualcuno regalasse ad Arrivabene un lunghissimo viaggio in giro per il Mondo, pieno di agi e confort, ma lontano dagli week end di Formula Uno…

Vorrei che gli agli attuali capi della Ferrari (Elkann e Camilleri) ricevessero in dono un pò dello “spirito” di Marchionne nel gestire e tenere unita una squadra come la Ferrari. Servirebbe. Eccome.

Vorrei che a Mattia Binotto fosse consegnata sotto l’albero una dose extra di pazienza. Serve, eccome, la sua competenza e le sue capacità organizzative. Disuniti si perde.

Vorrei che una cassa di buon senso arrivasse ai piani alti della FIA. Regolamenti assurdi, commissari impreparati, interpretazioni tecnico-regolamentari alquanto discutibili, iper-tutela di AMG e Hamilton (che non ne hanno bisogno visto che vincono meritatamente). A Place de la Concorde a quanto pare il buon senso è merce rarissima, se non quasi introvabile. Ma non demordiamo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei regalare un bonus extra di maturità per Max. Non che non abbia già mostrati notevoli segni di maturità ma ecco, vorrei che il processo di crescita professionale fosse un pochino… accelerato.

E’ evidente, caro Babbo Natale, quale sia il mio desiderio, un desiderio immagino condiviso da milioni di persone in tutto il globo terracqueo. Che la Ferrari torni a vincere il Mondiale. Vedi, checché se ne dica, tu esisti, ed inoltre hai la tuta rossa! Quindi sei automaticamente dalla parte dei ferraristi.
Una vittoria iridata sarebbe davvero una bella ventata di ossigeno. Però, è anche vero che nella vita reale (e nello sport) non ti arriva nulla da nulla. A meno che, sia chiaro, non ci sia una mammina generosa che prepari regolamenti tagliati su misura per te.
Ma a chi piacerebbe vincere a mani basse uno o due mondiali senza concorrenza? A me certamente no, e credo neanche a tutti coloro che si proclamano sinceri sportivi. Detto questo, ecco mi piacerebbe se, sotto l’albero di Natale tu portassi, almeno, qualche botta di culo a Maranello. Per quando potrebbe servire. E certamente non guasterebbe. Perché al netto degli errori e dei limiti degli uomini in rosso, siamo storicamente in credito con la dea bendata.

E in conclusione, mi piacerebbe, ed ora torno dannatamente serio, rivedere Michael. Il cristianesimo è intriso del senso del miracolo. Anche se razionalmente non ci crediamo (ed è giusto così) talvolta le cose inspiegabili accadono…e non aggiungo altro…io comunque prego sempre per lui.

Mariano Froldi, Direttore Resposabile di FunoAT

IL PAGELLONE SEMISERIO DEL FROLDI: ABU DHABI

La corona dell’Imperatore Lewis Quinto (se l’è posata sul capo qualche tempo fa) è più dorata e brillante del solito. La contesa in terra moresca chiude l’annuale stagione dei tornei per assegnare l’alloro mondiale. La sua corona, a guardarla bene, sembra quasi di plastica, ma si sa: all’Imperatore piacciono queste cose un po’, si direbbe, barocche (per non offenderlo), ma più semplicemente “tamarre”, com’è nel suo stile coreografico. Ha la corona piena di fregi, disegni, colori che prima richiamavano l’indimenticato e compianto imperatore brasiliano; poi, nella strada che ogni imperatore fa per trovare se stesso, per allontanarsi dai suoi miti fondativi e farsi egli stesso mito, si sono modificati via via. Il trono di Lewis è meritato e lui è maturo come mai. Siede e squadra gli altri dall’alto del suo pesante scranno. Talvolta sembra giocare al gatto con il topo. Sornione e pronto al momento opportuno ad azzannare la preda. Volpe e Leone nella sintesi di Macchiavelli. Perfetto. L’Imperatore è già nel mito, e ci sta entrando sempre più. Lo si deve celebrare, come si celebrano i più grandi. Tuttavia, la roba di plastica cromata da lontano sembra bella… poi ti avvicini, la tocchi, la senti risuonare opaca e vedi che non c’è sostanza. E’ vuota e dà l’idea di essere falsa. Come il girare per il mondo di questi puledri ibridi, sin dal 2014. Queste plastica cromata, questa paccottiglia è, almeno in parte, il simbolo di questo torneo tutto norme, codicilli, regolamenti, conferenze stampa in cui i campioni rispondono (quasi sempre) manco fossero degli algoritmi social, dei “bot” delle chat.

Resteranno sempre ombre su questo dominio asfissiante. Non sull’Imperatore Lewis Quinto. Ma sul puledro grigio schiaccia sassi. Sul ronzino che era e sullo splendido cavallo  che è. Cinque anni: dominio plumbeo. Ci troviamo sempre lì: un peccato originale mai sanato, quando il puledro potè allenarsi per mille chilometri, nel 2013, violando le regole senza sanzioni. E d’improvviso prese il volo nelle tappe del torneo. Poi arrivò un regolamento cucito su misura. Un regolamento suicida avallato dall’allora gran capo di Maranello. Dominanza strapotente/strafottente-tecnico/politica degli anglo-teutonici. Ciclo d’oro ma che sa, almeno all’inizio, di plastica cromata. Appunto. La Ferrari nel suo lustro  d’oro vide cambi regolamentari praticamente ogni anno. Per impedirle di dominare troppo. Come sempre, onore ai dominatori. I vinti hanno tanto da recriminare. In primis verso se stessi.

Forse il napoleonide a capo della Federazione, che pensava a non far scappare un prestigioso e munifico contendente, non si aspettava un tale dominio, non considerando la mentalità teutonica che non lascia neanche le briciole. E forse la FIA è ormai troppo prona o tale sembra (ma in questo caso la percezione coincide con la realtà, per i suoi effetti) al potente cavallo grigio per ergersi ad arbitro imparziale. Troppe le scene, gli eventi, le mancate penalizzazioni, i buffetti per gli uni e le scudisciate per gli altri. C’è tanto da riflettere per il napoleonide e la sua corte. A partire da come i commissari locali applichino, nelle varie tappe del supremo torneo, norme e sanzioni. Basterebbe che in FIA leggessero i vari commenti sui social (al netto di chi offende indiscriminatamente) per capire che tanti dicono: “Il re è nudo”. Ma il re, anche se gli altri glielo dicono, non si rende conto di essere nudo.

Quando ti chiedi se questo spettacolo drogato meriti davvero tempo, abbia davvero senso, ecco che, appena finita la torrida tenzone, i due campioni si avvicinano all’asturiano decaduto. Guida un ronzino scalcagnato, pallida ombra del purosangue che fu. Lo spagnolo decaduto è tanto rabbioso quanto rassegnato. Se ne va perché non può più far vedere il suo valore e il suo talento. Entrambi cristallini. I due più grandi campioni di oggi,  l’Imperatore e il suo più strenuo avversario, scortano lo spagnolo. Lo salutano in Mondovisione e riempiono di fumo, con vorticosi testacoda, il rettilineo principale. Il pubblico è in visibilio. Poi si salutano di un rispetto sincero, genuino, che scalda il cuore e gli occhi. Non credo che fosse preparata questa parata.

O perlomeno, lasciatemi sperare e credere che non lo fosse.

Il circo leva le tende con gli ultimi saluti di Luigi e Sebastiano. Che si capisce quanto si stimino. No, non è paccottiglia questa. E’ roba genuina che splende d’argento e d’oro. E anche questo è un tè caldo per chi ama questo sport fatto di pazzi che sfrecciano a 300 chilometri all’ora.

Arriva il breve inverno. Che sia di riflessioni per tanti. Al 2019.

Bottas. Voto: Dante. Cominciano da lui. Beh…che dire. Il più grande gregario della storia della Formula Uno è rimasto a bocca asciutta in questo 2018. Non era mai accaduto ad un pilota AMG da quando esiste la formula ibrida. E addirittura quinto nella classifica mondiale finale. Un perfetto contrappasso dantesco.

Mad Max. Voto: 10. Ad Ocon voleva passargli sopra, memore dello sgarro subito in Brasile. Al re nero ha fatto capire che non era giornata. A Bottas gli ha dato una spallata. E’ un cavallo di razza. Mi ha convinto (per ora).

Hamilton. Voto: 10. Ha giocato al gatto con il topo, supportato dal Team. Una vittoria neanche un pò sudata, ma meritata. Il 10: è legato al fatto che soprattutto quando, visto che non aveva senso rischiare con Max, tanto primo lo sarebbe tornato comunque, se ne è stato quatto quatto a gestire gli pneumatici. Il Lewis del 2016 non lo avrebbe fatto. Mi ha stupito per la magnanimità finale con gli altri piloti. Mi direte…vabbè: gli è andato tutto per il verso giusto. Si, ma se l’è cercato, quel verso giusto. E comunque si capisce quando uno finge (ad esempio nei saluti con Vettel): non è questo il caso.

Vettel. Voto: 9. Parte finale di gara arrembante e giro veloce stampato nel penultimo giro. Un pò s’è ritrovato. Ma si capiva, si percepiva chiaramente quanto Vettel avesse bisogno di staccare mentalmente, dopo un Mondiale che lo ha visto protagonista (nel bene e nel male) con uno stress enorme da gestire. Di certo, umanamente, è una persona splendida.

Raikkonen. Voto: NC (non classificato). Azzoppato da una défaillance elettrica, non ha potuto disputare l’ultima gara in rosso. Il futuro è di Leclerc (e secondo me è giusto così), ma Kimi in rosso mancherà a tanti.

Alonso. Voto: 7. I mesti 4 anni nel purgatorio Mc-Laren sono stati una triste parabola discendente per il pilota spagnolo. Si discuterà a lungo e non si troverà mai una sintesi fra chi lo denigra per il carattere che ha (o la nomea che si è stampata su di lui di “spacca-squadre”) e chi mette in rilievo il talento cristallino ed assoluto con mezzi palesemente inferiori. Chissà…forse il suo è solo un arrivederci. Mai dire mai…

Toto-Troll. Voto: 10 e lode/sadico. Come percula lui…stiamo ancora aspettando che esploda la PU di Lewis…

Arrivabene e l’intervista. Voto: wow. Francamente, ed è incredibile, mi è piaciuta la sua risposta stizzita in conferenza stampa FIA.

Commissari FIA. Voto: Vabbè…che ve lo dico a fare…

 Charlie. Voto: non te ne vai in pensione? Dai su…largo ai giovani!

 Pirelli. Voto: 2023. Come dice PG, dopo l’annunciato rinnovo (sinceramente nessuno credeva che la FIA si rivolgesse ad altri), riusciranno a fare davvero gomme decenti entro i prossimi 5 anni? Ecco, ci speriamo tutti. Come ce ne accorgeremo? Se non si parlerà  più degli pneumatici, delle pressioni di gonfiaggio (e del fatto che vengano alzate ed abbassate tipo roulette russa), del degrado ad ogni gara…

Mariano Froldi, Direttore Responsabile di FunoAT

Hamilton fa 11, il mondiale 2018 va in archivio

L’ultima gara di una stagione molto lunga. Troppo lunga. E, nell’ultima parte, rovinata dalle continue polemiche regolamentari (batteria sì, batteria no, fori sì, fori no). Laddove, dopo Spa, ci si sarebbe aspettati un duello entusiasmante fra Vettel e Hamilton. Così non è stato, per motivi che sono stati ampiamente discussi e sui quali diretti interessati e tifosi hanno opinioni diverse.

Qualifica poco emozionante, col dominio della Mercedes dai cerchi forati, le due Ferrari in seconda fila e le due Red Bull in terza.

E anche il via non regala emozioni, almeno nelle prime posizioni, bensì un grosso spavento per Hulkenberg che finisce sulle barriere a testa in giù dopo avere chiuso un po’ troppo ottimisticamente una curva a destra avendo Grosjean all’interno.

Dietro Verstappen perde diverse posizioni a causa di un sensore difettoso che aveva portato il motore in modalità safe. Leclerc invece diverse posizioni le guadagna e si issa in quinta posizione, resistendo agli attacchi di Ricciardo.

Subito dopo il rientro della Safety Car, uscita dopo l’incidente di Nico, Max ingaggia una bella lotta con Ocon, questa volta per una posizione. La sua Red Bull vola nelle curve, ma è tremendamente lenta nei rettilinei, e non può resistere alla grande velocità della Force India. All’olandese servono alcuni giri per avere la meglio sul francese, questa volta molto corretto e, apparentemente, molto attento a non prendersi un’altra volta con l’antico rivale.

Al giro 10 la lunga carriera di Raikkonen in Ferrari finisce con poca gloria quando la sua Ferrari si spegne improvvisamente sul rettilineo di partenza. Dopo qualche inutile tentativo per rimetterla in moto, Kimi si deve arrendere. Hamilton e Leclerc approfittano della virtual safety car per cambiare le gomme e montare la mescola più dura fra quelle disponibili. Lewis si ritrova assieme a Verstappen col quale ingaggia un bel duello. L’olandese ha però la meglio e riesce a mettere rapidamente 2 secondi fra lui e l’inglese. Il quale, evidentemente, deve pensare a salvaguardare le sue coperture, dovendo arrivare fino in fondo.

Bottas conduce senza grandi problemi davanti a Vettel sempre a distanza di sicurezza e a Ricciardo che riduce progressivamente il distacco girando mezzo secondo più veloce. Ma ancora più velocemente si avvicina a lui il suo compagno di squadra, che si piazza ad 1 secondo senza però provare l’attacco.

Al giro 16 Vettel cerca l’undercut rientrando ai box per un pit-stop che però si rivela piuttosto lungo, e così Bottas può coprire agevolmente la strategia rientrando al giro successivo e uscendo comodamente davanti al tedesco.

Al giro 18 anche Verstappen si ferma ai box, lasciando quindi Ricciardo da solo in testa alla gara, seguito da Hamilton a 5 secondi. Qualche giro dopo inizia addirittura a piovere, ma con le temperature del deserto la pista non si bagna neanche, e non c’è alcun effetto sui tempi sul giro.

A metà gara Ricciardo è l’unico dei primi a non avere ancora cambiato le gomme, e i suoi tempi iniziano ad alzarsi, con Hamilton che gli guadagna 4 secondi in 3 giri arrivandogli a meno di 3. Ma è solo un’illusione, perchè l’australiano torna a girare sui tempi dell’inglese, mantenendo il distacco costante. A questo punto la gara di Daniel è però compromessa, perchè l’inevitabile pit-stop lo farà precipitare in quinta posizione ad almeno 5 secondi dalla quarta.

E il pit-stop arriva a 20 giri dalla fine, e l’australiano inizia una furiosa rincorsa che dovrà però compiere con la mescola più dura a disposizione. Nonostante questo, i suoi tempi nei primi giri a gomma nuova sono di 3 secondi più veloci rispetto a quelli che ha davanti, che raggiunge in così in poche tornate.

Nel frattempo Bottas si trova improvvisamente in difficoltà e viene superato in tromba da Vettel. Verstappen gli si accoda ma riesce a superarlo di forza solo dopo qualche giro, rifilandogli anche una ruotata. A Ricciardo servono invece poche curve per passare davanti al finlandese, che vede così materializzarsi la possibilità di un 2018 a zero vittorie, destinato a restare una macchia nella sua carriera.

Gli ultimi giri sono all’insegna della noia, con Vettel che prova timidamente ad avvicinarsi ad Hamilton, non andando però mai sotto i 4 secondi, e le due Red Bull che non ingaggiano alcun duello e nemmeno riescono a raggiungere il ferrarista.

Finisce così con Hamilton, Vettel e Verstappen sul podio, Ricciardo che saluta la Red Bull con un quarto posto, frutto della strategia che la squadra gli ha affibbiato, e Bottas. A debita distanza Sainz che a sua volta saluta la Renault guadagnando la posizione di “migliore degli altri”. Poi Leclerc, destinato a ben altre posizioni l’anno prossimo, Perez, Grosjean e Magnussen.

Alonso chiude la carriera in Formula 1 con un undicesimo posto e 5 secondi di penalità. Ma l’immagine di Seb e Lewis che lo accompagnano nel giro d’onore e fanno i tondi assieme a lui sul traguardo resterà come una delle più belle di questa stagione, che, come detto all’inizio, ha regalato tanti bei momenti ma ha anche, per certi versi, mostrato i limiti di una Formula 1 dai toni spesso esasperati ed esagerati.

Undicesima vittoria su 21 gare per Hamilton. Il mondiale 2018 resterà negli archivi come il migliore di Lewis, quello in cui, fuori da ogni dubbio, il merito è stato più suo che della macchina o di qualche episodio fortunato (o sfortunato per gli avversari). E la dimostrazione è data non solo dalle vittorie ottenute nei momenti di maggiore difficoltà, ma anche dal fatto che il compagno di squadra, come detto, ha finito con zero primi posti. E, a ragion veduta, il ruolo di maggiordomo che gli hanno affibbiato, benchè poco giustificabile da un punto di vista sportivo, è stato più che meritato.

Raikkonen finisce ottimo terzo nel mondiale e sarà costretto suo malgrado a presenziare alla premiazione FIA.

E’ stato il gran premio dei tanti addii: Ricciardo alla Red Bull, Leclerc alla Sauber, Raikkonen alla Ferrari, Sainz alla Renault, Sirotkin, Ocon e Vandoorne alla Formula 1 (e in pochi li rimpiangeranno). Ma soprattutto Alonso: a parere di chi scrive, peraltro, il suo non è un addio ma un arrivederci, quindi non vale la pena di parlarne oltre.

Appuntamento al 2019.

P.S. immaginiamo per un momento che Vettel e Hamilton fossero arrivati a giocarsi il titolo ad Abu Dhabi. Con una macchina ritirata e un pit-stop sbagliato, la Ferrari l’avrebbe comunque perso. Tanto si  è parlato delle responsabilità del pilota, il quale in questi giorni non ha perso occasione per ribadire di “non avere avuto una macchina dominante” (dando implicitamente ragione a quelli che sostengono che lui abbia proprio bisogno di questo, per vincere il titolo, come fu ai tempi della Red Bull). In realtà se è vero che Hamilton si è dimostrato nettamente superiore a Vettel, è vero anche che la Mercedes, come squadra, si è dimostrata superiore alla Ferrari. E, probabilmente, ha ragione Bernie Ecclestone quando afferma che con Marchionne ancora presente ai box le cose sarebbero andate in maniera un po’ diversa.

P.S 2: l’immagine di un motore Honda fumante davanti alle due Red Bull porta a chiedersi dove trovi Marko tutto l’ottimismo che va spargendo in merito ai presunti progressi dei giapponesi. Il più grosso interrogativo che ci porteremo a Melbourne nel 2019 sarà legato alla competitività del binomio austriaco-nipponico, e alle conseguenti speranze di vedere Verstappen come serio candidato al titolo.