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F1 2019 CANADIAN GP: AN INTRODUCTION

Finita la prima parentesi di gare europee si torna oltreoceano per il Gp del Canada sullo storico tracciato di Montreal. Circuito che si può annoverare tra quelli di altri tempi, considerando gli obbrobri che l’attuale calendario (e quello del 2020…) propongono, con muri vicini alla pista e vie di fuga che non lasciano molto spazio all’errore.

Si viene dal vetusto ma ormai non così glorioso Gp di Montecarlo che ha portato una conferma e una sorpresa: la conferma è il perdurare dello stato confusionale al muretto Ferrari, che ha pensato bene di rovinare la qualifica e quindi anche la gara del beniamino di casa Leclerc. La sorpresa, considerando anche l’esito delle qualifiche, è stata la mancata doppietta Mercedes, che vede il filotto arrestarsi a 5 e lascia, stavolta è proprio il caso di dirlo, le briciole ad un Vettel che è un po’ come Lazzaro alla tavola del ricco Epulone.

Probabilmente la Mercedes ha voluto migliorare un po’ il suo karma lasciando che anche Lazzaro/Vettel mangiasse alla sua tavola, non sia mai che debba patire gli stessi tormenti di Epulone reo di aver ricevuto troppa grazia… C’è anche il sospetto che, considerando l’errore nel montare le medie a Hamilton dopo il pit stop, stiano provando a vincere le gare con un livello di difficoltà superiore autoimposto, se no diventa troppo facile e non si divertono più.

Lasciando da parte le facezie, l’approssimarsi al Gp del Canada non può che vedere la Mercedes ovvia favorita, a dispetto anche del layout della pista che dovrebbe adattarsi molto bene alle caratteristiche della SF90H. Dovrebbe perché, rispetto alla gara del Bahrein, sono passati quasi due mesi e la sensazione è che la Mercedes sia migliorata più che la Ferrari in questo lasso di tempo. Mettiamoci anche che è prevista l’introduzione di una nuova PU Mercedes con qualche cavallo in più e il gioco è fatto.

Il jolly della nuova PU la Ferrari se lo era già giocato in Spagna e le note di ottimismo per il Gp del Canada vengono, oltre che dalle caratteristica stop&go della pista, anche dalle indicazioni che i due piloti titolari hanno ricevuto dalle prove al simulatore fatte dopo l’ultimo GP. Sembra un po’ poco ma potrebbe anche bastare per avere una Rossa competitiva in Canada. Intanto una nuova ala anteriore che garantisce più carico arriverà solo dal Gp di Francia.

Per la Red Bull non sembra essere il GP del Canada quello in cui riporre grandi speranze di un ottimo risultato. In teoria i lunghi rettilinei dovrebbero penalizzarla ma non è detto che, soprattutto in gara, non possano rivelarsi un concorrente piuttosto ostico.

Pirelli ha scelto di portare le stesse mescole del GP di Montecarlo, ovvero C3, C4 e C5. Dato l’asfalto liscio del Montmelò e l’assenza di curve in appoggio ad alta velocità, è una scelta più che comprensibile.

immagine da formulapassion.it

I team hanno scelto tendenzialmente più treni di gomme C5 e C4, lasciando la C3 solo a qualche prova nelle libere. La Ferrari va in controtendenza rispetto agli altri team e sceglie un maggiore equilibrio tra set di C4 e C5. Probabile che voglia tenersi aperta la possibilità di provare più set di gomme, operare delle strategie alternative in gara e soprattutto cercare di superare al Q2 con la mescola C4. Nel mid-field Alfa Romeo, Sportpesa e McLaren molto sbilanciate su mescole C5.

Previsioni meteo al momento vedono un clima soleggiato con temperature non molto alte, con massime intorno ai 22°C che probabilmente consentiranno ai team di cercare la massima efficienza aerodinamica non avendo bisogno di aprire sfoghi sulle pance per far respirare maggiormente le PU.

Stabilità in frenata, trazione in uscita dalle curve e velocità di punta. Queste le variabili tecniche su cui si confronteranno i team. A questo si aggiungono i consumi che su questa pista sono importanti e la variabile safety car, che è storicamente molto probabile.

Necessario per la Ferrari un weekend “pulito”, in modo da sfruttare al massimo le caratteristiche della pista e valutare serenamente gli aggiornamenti di tipo meccanico introdotti a Montecarlo. E’ una delle occasioni (poche) rimaste per centrare almeno un successo parziale. Se così non dovesse essere rischia di vedersi sopravanzata anche dalla Red Bull, la cui PU sta dando prova di una discreta efficienza.

immagine da formulapassion.it

Hamilton ha operato il primo vero “strappo” in classifica nei confronti di Bottas e considerando che si va su una pista molto congeniale al pilota inglese, il distacco in classifica tra i due potrebbe dilatarsi. Proprio in questi momenti Bottas deve dare prova di solidità e di crescita, andando a colmare il gap quando molti fattori fanno ritenere il contrario.

Si sono scatenate molti rumors sul futuro prossimo di molti piloti, con Vettel dato addirittura per ritirato a fine anno e un possibile arrivo di Hulkemberg in Red Bull al posto di Gasly. Tutto smentito ovviamente ma, se per Vettel il possibile ritiro sembra davvero una sciocchezza, sui contatti Hulkemberg-Red Bull potrebbe esserci qualcosa di tangibile. Sarebbe, a posteriori, anche una sorta di “vendetta” in relazione all’ingaggio di Ricciardo operato da Renault.

*immagine in evidenza da motorbox.com

Rocco Alessandro

IL PAGELLONE SEMISERIO DEL FROLDI: MONACO

IN-QUALIFICA-bile
Non solo la qualifica mandata alle ortiche, ma pure un travaso di bile. M’è venuta così, sabato, pensando al gran pasticciaccio in salsa rossa opaca. Mentre distruggevano il fine settimana di Leclerc, ho immaginato che gli uomini in rosso avessero avanzate attrezzature elettroniche…degli anni Sessanta. (vedi foto in esclusiva sotto).
 
Domenica alla fine della gara, meno soporifera di quanto le premesse facessero sperare, ho rischiato il ricovero per infarto mentre Vanzini annunciava che Hamilton (vana speranza) aveva bucato le gomme nella “garibaldinata” di Max. Oh, quello centra le auto solo se sono rosse…
 
Cioè, capite, vincere senza colpo ferire con una culata mega-galattica sarebbe stato orgasmatico. Ma poiché la Ferrari e la fortuna sono due rette parallele che non s’incontrano mai, non poteva accadere. E infatti ha vinto Hamilton (sai la novità) e c’è stata la sesta vittoria consecutiva dellaMercedes. Ma i grigi ci hanno fatto così impazzire che ci tocca festeggiare perché non hanno fatto la sesta doppietta di fila. Pensa come siamo ridotti.
 
Niki Lauda. Voto: ha vinto lui. Domenica ha fatto primo e secondo. Non ci credete? Vedete la foto sopra. In Formula Uno, come nella vita, chi semina raccoglie. Lauda è stato un pilota ed una persona straordinaria. Non poteva lasciare indifferente anche quel mondo cinico della Formula Uno.
Vettel. Voto: 9 1/2. Ragazzi, non poteva fare altro e giustamente ha atteso il momento propizio per capitalizzare. E c’è mancato poco ahimè! Un secondo posto che è una bella boccata di ossigeno. Certo, non basta, ma aiuta.
Leclerc. Voto: Villenueve. Sarò retorico, ma quel rientro con la gomma posteriore in brandelli…vabbè avete capito. Purtroppo la sua gara è finita il giorno prima, al termine della Q1.
Muretto Ferrari. Voto: Circus. A Maranello devono aver preso troppo sul serio l’appellativo di Circo, uno dei sostantivi più usati per parlare della Formula Uno. Il fatto è che, a pensarci bene, a me il circo non ha mai fatto sorridere. Ed i clown, addirittura, mi fanno profondamente tristezza. Non dico altro perché non voglio infierire ulteriormente…
Scuderia Ferrari. Voto: 3 per la qualifica, 7 per la gara. Incredibile: Rueda in gara non ha fatto Casinò.
Seduta collettiva di autoanalisi in Ferrari. Voto: la franchezza e chiarezza di Binotto sopratutto con l’incontro (non previsto) sabato con i media, almeno dal punto di vista della comunicazione, è un bel cambiamento.
Mercedes. Voto: 5 1/2. Vincono anche quando sbagliano. Durante la gara si è capito che hanno pasticciato un pò con le strategie, tanto che Hamilton ha dovuto remare con le medie per tutta la seconda parte di gara. Eppure, complice anche il budello monegasco, hanno portato a casa la vittoria.
Hamilton. Voto: Superpianginamegagalattico. Detto che ammiro il pilota, un talento mostruoso, devo ammettere che mi ha fatto sorridere il fatto che stesso il suo team, dopo la gara, lo abbia bonariamente preso in giro per il piagnisteo che il nostro ha messo in atto negli ultimi 30 giri. Roba che sicuramentepotrebbero dargli l’Oscar per la migliore interpretazione drammatica. D’altronde, a Lewis,Hollywood piace no?!
Bottas. Voto: Numero DUE. L’amico @FormulaHumor non sarà d’accordo…sapete, lui ormai parteggia apertamente per #TeamBottas…ma Bottas è tornato quello che è sempre stato: un ottimo numero due. Eppure…io ci sperò ancora un pochino, giusto per vedere qualche gara più combattuta.
Mad Max. Voto: 9. Si, c’è la scorrettezza in Pit Lane. Ma dopo non c’è nulla da eccepire. Ci ha provato quando poteva provarci, ed è stato un mastino per decine di giri. Chapeau. Ah…e comunque, senza le sue mattane, il secondo posto lo vedevamo con il binocolo…
Gomme Pirelli. Voto: Taxi. La Pirelli fa le gomme che la Fia le dice di fare. Purtroppo, se in gara si gira 7 o 10 secondi sopra i tempi delle qualifiche, per il sottoscritto è una sconfitta dello sport e dell’essenza stessa della Formula Uno.
P.S.: Torno per attimo al grande Niki. Le agenzie di stampa hanno battuto la notizia, pare confermata, che Lauda abbia chiesto di essere seppellito con la tuta Ferrari dei suoi primi dueMondiali. Ecco: si è piloti per sempre. Poi: la vita supera sempre la morte. E infine: al cuore non si comanda.
Si ringraziano come sempre @FormulaHumor e la pagina FB “Le cordiali gufate di Gianfranco Mazzoni”
 
Mariano Froldi – @MarianoFroldi

F1 2019 SPANISH GP: AN INTRODUCTION

Chiusa la primissima parte del mondiale con le gare extra-europee, la F1 torna in Europa per entrare in quella che sarà una fase molto importante del campionato. Prima tappa sarà come di consueto il GP di Spagna sul circuito del Montmelò, che ha ospitato anche i test pre-stagionali e che non dovrebbe avere segreti per i team dato l’enorme numero di giri e di dati che sono stati già raccolti quest’anno e in quelli passati.

Il tracciato catalano è da sempre considerato quello “definitivo” per valutare la competitività delle monoposto. E’ evidente che dopo queste prime gare, questo tipo di valutazione non vale nello specifico per i test pre-stagionali che davano una Ferrari in grande spolvero e una Mercedes apparentemente in difesa. Come ben sappiamo la realtà delle gare è stata ben diversa con 4 doppiette Mercedes e una Ferrari la cui principale caratteristica sembra essere quella di “incompiuta”.

Ma non limitandoci solo a Ferrari e Mercedes, facciamo un piccolo bilancio di questa prima parte di campionato per tutte le scuderie del mondiale:

  • Mercedes: basterebbe dire che una partenza lanciata da 4 doppiette nelle prime 4 gare non c’era mai stata nella storia. Team solidissimo, Bottas in grande spolvero e una monoposto che sembra aver risolto il suo più grosso cruccio della stagione 2018, la gestione delle gomme. E quando erano quasi battute ci hanno pensato le magagne degli altri a regalarle la vittoria. Al momento imbattibili sia per meriti propri e anche per (grossi) demeriti altrui.
  • Ferrari: la grande illusione dei test si è palesata nelle prime gare del 2019. Macchina veloce ma a tratti, con problemi di affidabilità che sono costati una vittoria in Bahrain, una gestione delle gomme pessima in gara e Vettel non ancora a suo agio con la vettura. Unica nota positiva la velocità mostrata da Leclerc. Ma il bilancio è fortemente negativo e francamente è tutta farina del loro sacco.
  • Red Bull: a sorpresa l’aspetto più critico della monoposto non sembra essere la PU Honda ma la parte telaistica. Praticamente un ossimoro rispetto alla situazione vista negli ultimi anni. Aspetto molto positivo la estrema (forse anche troppo) gentilezza nei confronti delle gomme, che la rendono un bel problema in gara. Verstappen sembra aver compiuto un ulteriore maturazione, Gasly sembra invece semplicemente inadatto e mal supportato dalla squadra.
  • McLaren: solo il dato di fatto che sono i migliori motorizzati Renault dice molto. Finalmente un bel salto di qualità dal punto di vista del telaio e della meccanica della monoposto che non sembra soffrire eccessivamente dell’inadeguatezza della PU Renault. E, altra sorpresa, il debuttante Norris che sta facendo vedere i sorci verdi a Sainz. Sembra evidente che in McLaren è andato via lo spagnolo sbagliato.
  • SportPesa Racing Point: vecchio team con nuovi capitali e un inizio di stagione corso in difesa, proprio in attesa delle gare europee e dei primi importanti sviluppi tecnici. Nelle ultime stagioni sono stati il team che, considerando i mezzi economici a disposizione, ha maggiormente incrementato la competitività della monoposto ed è evidente che ci contano anche per questa stagione. Perez è una garanzia, Stroll se si corresse solo a Baku sarebbe da punti sempre.
immagine da motorbox.com
  • Alfa Romeo: è stata anch’essa principessa nei test e cenerentola in gara, con problemi dovuti soprattutto a qualche noia a carico della PU e centralina degli iniettori. Inoltre qualcosa dai test è stato perso per strada in termini di velocità. La roccia della Alfa Romeo si chiama Raikkonen, a punti in tutte le gare anche quando è stato costretto a partire dalla pit-lane. Giovinazzi invece sembra e si sta rivelando l’anello debole di una scuderia con forti ambizioni.
  • Renault: la più grande delusione di questo inizio di mondiale. Scuderia ufficiale che subisce l’onta di vedersi sopravanzare da un team cliente che monta la stessa PU. La monoposto sembra soffrire degli stessi problemi del 2018, con l’aggravante di un Ricciardo che non si sta rivelando un valore aggiunto. Tanti soldi spesi e ancora nessun risultato degno di nota.
  • Haas: la “ferrarina” soffre degli stessi problemi della sorella maggiore, non manda in temperatura gli pneumatici. E come la Ferrari avrebbe potuto raccogliere più di quanto non abbia fatto anche a causa di un Grosjean di cui si fatica a capire l’utilità in griglia di partenza.
  • Toro Rosso: il sospetto che venga usata come cavia per aggiornamenti aggressivi della PU Honda a beneficio della Red Bull è sempre presente ma almeno offre, soprattutto in qualifica, degli sprazzi di competitività ammirevoli. Contrariamente alla aspettative Albon sta reggendo il confronto con Kvyat ma serve qualcosa in più da parte del team per trovare il passo soprattutto in gara.
  • Williams: sarebbe da “no comment” una scuderia che, nonostante esperienza e la PU Mercedes ha sbagliato completamente macchina, avvicinandosi ad essere una vera e propria chicane mobile. Addirittura si sono dovuti rivolgere al passato remoto nelle vesti di Patrick Head per cercare la soluzione ad una parte dei loro problemi. Russell sembra un ottimo pilota ma la monoposto non ne esalta certo il talento mentre Kubica non sembra poter avere più voce in capitolo in questa F1.

Tornando alla gara, sul circuito catalano servirà una monoposto che sappia generare un elevato carico aerodinamico, abbia un buon grip meccanico e un’ottima trazione. Ma il focus principale sarà quello di centrare la  finestra ottimale di temperatura delle gomme. Tutte caratteristiche che fanno della W10 la logica favorita della gara.

Pirelli porta in Spagna le mescole più dure a disposizione: C1 hard, C2 medium e C3 soft. La riasfaltatura del 2018 dovrebbe aver abbassato l’abrasività nei confronti delle gomme. Se C1 e C2 daranno buone indicazioni di durata e performance nelle prove libere è probabile che saranno utilizzate in gara cercando una sola sosta, con la C3 relegata alla sola Q3.

immagine da circusF1.com

Come si può ben vedere Ferrari sceglie di portare più set di C3 rispetto a Mercedes e Red Bull. Anche tra piloti dello stesso team ci sono differenze nel numero di set a disposizione. Unico team a portare 3 set di C1 è la McLaren mentre tra i top team la Red Bull è quello più sbilanciato verso mescole C1/C2.

Rispetto al 2018 le pressioni sono invariate al posteriore, 20.5 psi, e aumentate di 0.5 psi all’anteriore, 22.5 psi. Il meteo prevede giornate prevalentemente soleggiate e temperatura intorno ai 23/24 °C.

Rumors indicano che la Ferrari potrebbe anticipare l’evoluzione della PU portando la seconda specifica in un ottica di un programma “aggressivo” di sviluppo della vettura, anche accollandosi qualche rischio in più in termini di gestione delle componenti sul lungo periodo. Questo deve essere visto come un aspetto positivo da parte dei tifosi del Cavallino che quanto meno vedono una squadra che mostra coraggi nel reagire ad una situazione difficile. Previsti anche aggiornamenti aerodinamici, meccanici e una nuova benzina.

La Mercedes invece deve solo continuare quello che ha iniziato nelle prime gare, ovvero sfruttare le debolezze dei rivali e cercare di mettere in pista la migliore versione possibile della W10. In questa ottica probabile il va libera allo sfruttamento pieno della PU, limitata fino ad ora da problemi di raffreddamento.

Da tenere in considerazione la Red Bull per la gara data l’ottima gestione delle gomme fin qui mostrata e i possibili aggiornamenti che potrebbero avvicinarla al duo Mercedes/Ferrari e che Marko definisce “molto promettenti”.

(immagine in evidenza da motorbox.com)

Rocco Alessandro

LongBeach’83: elementare Watson

Il campionato del mondo di Formula 1 1982 fu segnato tanto da terribili tragedie, quanto dallo spettacolo in pista, con gare incerte, undici diversi vincitori in sedici appuntamenti e il titolo assegnato in occasione della prova finale a Keke Rosberg, che portò per l’ultima volta sul tetto del mondo il motore Ford Cosworth, in una stagione dove si imposero con prepotenza i motori Turbo, destinati a dominare la scena negli anni a venire.

La ricerca di propulsori sovralimentati non fu l’unica novità tecnica, in quanto anche un mondo cinico come quello della Formula 1 non poté chiudere gli occhi di fronte alle tragedie avvenute in pista e di conseguenza la serie di gravi incidenti, uniti alla morte del giovane e sfortunato Paletti oltre a quella di uno dei piloti più rappresentativi, Gilles Villeneuve, portò ad un repentino cambio delle norme, situazione analoga a quella che si sarebbe verificata purtroppo anche dodici anni più tardi.  Il 13 ottobre 1982 venne pianificata una consistente modifica del regolamento tecnico che vietò il fondo piatto e le minigonne, portando il peso minimo delle monoposto a 540 Kg con portata del serbatoio a 250 kg e autorizzazione del rifornimento in corsa; le decisioni della Federazione furono appoggiate dai piloti e costrinsero i team a modificare le vetture già progettate per la stagione 1983, superando tra l’altro il Patto della Concordia che aveva congelato il regolamento tecnico fino al 31 dicembre 1984. La risposta delle case costruttrici non si fece attendere e fu discussa il 3 novembre, giorno in cui si giunse ad una mediazione, posticipando il debutto iridato al 13 marzo in Brasile con conseguente spostamento del Gran Premio del Sudafrica a fine stagione, una scelta che non rese comunque vita facile ai team, tanto che in occasione della prova inaugurale l’unica vettura completamente nuova fu la Brabham Bt52, seguita a ruota dalla Renault Re40, mentre il resto dei partenti iniziò la stagione con le vetture dell’anno precedente adattate alle nuove regole, portando in pista i nuovi modelli successivamente nel corso del campionato.

La prima prova iridata confermò il potenziale delle vetture turbo e sul velocissimo tracciato di Jacarepagua il campione in carica Rosberg fu autore di un piccolo miracolo, conquistando la pole position davanti a sette vetture sovralimentate, mentre il secondo aspirato in griglia fu Lauda, distaccato di un secondo e mezzo in un’anonima quinta fila. Nel corso del Gran Premio Rosberg testò personalmente la pericolosità dei rifornimenti, uscendo di corsa dalla vettura incendiata durante la sosta, poi ripartì spinto dai meccanici e venne squalificato, vedendo quindi annullato il suo secondo posto al traguardo, mentre Piquet vinse agevolmente una corsa dove i principali rivali nella corsa al titolo furono messi fuori gioco da vari problemi tecnici.

I motori aspirati, penalizzati nei circuiti più veloci, avrebbero potuto alzare la voce nei tracciati cittadini di Long Beach, Montecarlo e Detroit, dove le vetture turbo, di cui molte in fase di studio e non ancora perfettamente affidabili e bilanciate, avrebbero patito tra muretti, brevi rettilinei e continue accelerazioni. Il primo di questi appuntamenti fu quello di Long Beach, seconda prova in calendario, in un circuito già “ritoccato” in seguito al drammatico incidente di Regazzoni del 1980 e ora modificato in modo più radicale nel tentativo di limitare i forti saliscendi e rendere più sicuro l’ingresso ai box, anche se il nuovo layout risultò nei fatti più veloce e potenzialmente più pericoloso. Tra i concorrenti spinti dal Ford Cosworth vi era la Mclaren, ancora in attesa del Tag-Porsche che avrebbe debuttato a stagione in corso, ma le due vetture di Watson e Lauda non incisero in prova, trovandosi rispettivamente in ventiduesima e ventitreesima posizione a quattro secondi dalla pole di Tambay, il quale rifilò otto decimi al compagno di squadra Arnoux, anche lui in prima fila, mentre la seconda fu monopolizzata dalle Williams di Rosberg e Laffite.

Le vetture partirono dunque per il giro di ricognizione con prima fila tutta Ferrari e seconda fila Williams, poi a seguire De Angelis (Lotus), Warwick (Toleman), Alboreto (Tyrrell), Prost (Renault), Sullivan (Tyrrell), Jarier (Ligier), Patrese (Brabham), Jones (Arrows, unica presenza stagionale), Mansell (Lotus), Giacomelli (Toleman), Cheever (Renault), Surer (Arrows), Cecotto e Guerrero (Theodore), De Cesaris (Alfa Romeo), Piquet (Brabham), Baldi (Alfa Romeo), Watson e Lauda (Mclaren), Winkelhock (Ats), Salazar (Ram) e Boesel (Ligier), mentre i sue alfieri dell’Osella, Corrado Fabi e Piercarlo Ghinzani, dovettero seguire la gara da spettatori, avendo mancato la qualificazione.  Le prime fasi di gara videro come protagonista, nel bene e nel male, uno scatenato Rosberg, il quale partito dalla seconda fila, cercò subito di prendere il comando infilandosi tra le due Ferrari toccando quella di Arnoux, mentre nel corso del primo giro tentò un sorpasso impossibile su Tambay compiendo uno spettacolare 360° fortunatamente senza conseguenze. Il gruppo procedeva compatto tra i muretti di Long Beach e non mancarono i sorpassi: nel corso del secondo giro Patrese infilò Sullivan, che poco dopo cedette il passo anche alle Renault di Cheever e Prost, poi quest’ultimo iniziò a patire problemi tecnici che lo traghettarono nelle retrovie, così come Arnoux, costretto ad una sosta d’emergenza causa un inatteso degrado degli pneumatici.

I primi continuavano a viaggiare a strettissimo contatto, con Tambay sempre in testa davanti alle Williams di Rosberg e Laffite, in forte pressing sul ferrarista e  seguiti da Alboreto, Cheever, Patrese e Jarier. La bagarre per le prime posizioni favorì i colpi di scena: Cheever perse contatto con il gruppo dopo essere rientrato ai box con i meccanici Renault ancora impegnati con la vettura del compagno di squadra, mentre Jarier tentò un sorpasso ardito su Alboreto mettendolo fuori gioco, anche se a stravolgere realmente l’esito della corsa fu di nuovo Rosberg; il finlandese attaccò Tambay nel corso del ventiseiesimo giro causando il ritiro dell’avversario, poi proseguì e in prossimità del tornantino finale toccò la Williams del compagno di squadra e fu colpito a sua volta da Jarier, con conseguente ritiro dei due piloti e passaggio in testa di Laffite, seguito da Patrese, Surer e dalle sorprendenti Mclaren di Lauda e Watson, entrambi abilissimi a sfruttare le disavventure altrui per portarsi in zona punti dopo essere partiti dal fondo dello schieramento.

La coppia Mclaren proseguì in simbiosi la propria marcia ed entrambi i piloti infilarono Surer, poi Watson ruppe gli indugi e passò Lauda in staccata al termine della Shoreline Drive; bastarono una manciata di giri e i due, sempre vicinissimi tra loro, superarono anche Patrese e infine Laffite, in crisi con gli pneumatici, arrivando clamorosamente al comando della corsa. Ad animare un Gran Premio destinato ad entrare nella storia ci pensò anche René Arnoux, autore di una grande rimonta in seguito al cambio gomme: raggiunto Cheever, lo seguì fino a quando quest’ultimo si incollò alla Williams di Laffite per poi passare entrambi. Nelle fasi finali la corsa perse Cheever e Patrese per problemi tecnici, mentre Lauda fu vittima dei crampi e si limitò ad amministrare un ottimo secondo posto rinunciando ad attaccare il compagno di squadra Watson, che vinse la sua quinta ed ultima gara in Formula 1, primo ed unico nella storia a conquistare il gradino più alto del podio partendo dalla ventiduesima posizione, impresa resa ancora più incredibile dal piazzamento di Lauda, ventitreesimo in griglia e secondo al traguardo.

Il podio del Gran Premio fu completato da Arnoux, ultimo a pieni giri, mentre in zona punti si classificarono anche (a un giro) Laffite, Surer e Cecotto, primo venezuelano a punti in un Gran Premio iridato; a seguire (a due giri) Boesel, Sullivan e Alboreto, poi (a tre giri) Prost, Mansell, Patrese e Cheever, questi ultimi ritirati ma classificati avendo coperto un numero di giri sufficiente. Lauda passò in testa al mondiale con 10 punti, contro i 9 di Watson e Piquet, poi come previsto presero il largo le vetture Turbo e la lotta per il titolo vide come protagonisti Piquet, Prost e Arnoux; le Mclaren vissero invece una stagione di transizione e, dopo aver mancato entrambe la qualificazione a Montecarlo, raccolsero poche soddisfazioni, con due podi di Watson a Detroit e Zandvoort, pista dove Lauda, che nel resto del campionato raccolse due soli punti, portò al debutto il propulsore sovralimentato Tag-Porsche destinato a riportare le vetture biancorosse al vertice.

L’impresa di Long Beach fu l’ultima perla nella storia del trentasettenne John Watson, il quale, nonostante le convincenti stagioni alla corte di Ron Dennis, dovette lasciare il posto al promettente Alain Prost, per poi tornare un’ultima volta al volante due anni più tardi, quando corse a Brands Hatch in sostituzione di Lauda portando al traguardo in settima posizione la Mclaren numero 1, ultimo a correre con quel numero senza essere campione del mondo in carica. La carriera del pilota inglese si concluse con 154 presenze, 5 vittorie, 2 pole position, 5 giri più veloci e 20 podi, oltre alla soddisfazione di essersi confrontato a testa alta con due piloti del calibro di Prost e Lauda.

Se questo racconto non vi è bastato, a voi una sintesi della gara.

Buona visione da Mister Brown

 

 

Jacarepagua 1989: inizia una nuova era

La stagione 1988 del mondiale di Formula 1 mandò in pensione i motori sovralimentati protagonisti dell’ultimo decennio e, come preannunciato già dal 1986, tutte le scuderie si prepararono a competere utilizzando motori aspirati con cilindrata fino a 3500 cm³ e numero di cilindri massimo pari a 12, senza alcun limite di consumo. Il V12 fu adottato dalla Ferrari e dalla Lamborghini, che spinse le Lola Larrousse senza particolare fortuna, penalizzata dalla scarsa affidabilità e dai mezzi risicati del team; molte scuderie, tra cui la Benetton, scelsero un convenzionale propulsore Ford ad otto cilindri, soluzione su cui puntarono anche Judd, fornitrice per quattro scuderie, e Yamaha, partner della modesta Zakspeed, qualificatasi in due sole occasioni. Honda e Renault introdussero invece un inedito dieci cilindri nel tentativo di trovare una via di mezzo tra i vantaggi in termini di peso e dimensioni dei V8 e la maggiore potenza dei V12, considerando il minor spazio disponibile per il motore a causa dell’arretramento degli abitacoli indicato dal regolamento. Le grandi novità del nuovo mondiale non si esaurirono con i motori: dopo due stagioni di monopolio Goodyear tornò infatti in Formula 1 la Pirelli, scelta da Brabham, Coloni, Eurobrun, Dallara, Osella, Zakspeed e Minardi, e proprio grazie all’ottima tenuta degli pneumatici la scuderia faentina vide le proprie prestazioni incrementare notevolmente nel finale di stagione, al punto che Martini si trovò in testa all’Estoril, facendo capolino più volte nei quartieri alti durante le ultime gare. 


Il numero di team e piloti iscritti rese necessaria l’organizzazione delle prequalifiche, ovvero una sessione di un’ora da disputarsi il venerdì mattina dalle otto alle nove, dove tredici piloti sarebbero stati costretti a dare tutto per superare la tagliola ed approdare alle qualifiche ufficiali, durante le quali altri quattro sarebbero stati esclusi per portare in griglia i 26 piloti ammessi su un totale di 39; per i piccoli team si sarebbe rivelata un’impresa, per alcuni piloti un miraggio: Suzuki, Foitek, Larrauri, Bertaggia, Winkelhock e Dalmas limitarono la propria partecipazione al mondiale al solo turno del venerdi mattina. La stagione partì purtroppo con un dramma: durante una sessione di test a Jacarepagua in vista della prima gara, Philippe Streiff uscì di pista con la sua Ags e riportò gravi danni alla colonna vertebrale rimanendo paralizzato; dotato di una grande forza d’animo, ebbe modo di adoperarsi attivamente fino a diventare consigliere tecnico per i diritti delle persone diversamente abili sotto la supervisione del Ministero della Sanità francese. Proprio sul circuito brasiliano partì il campionato del mondo, con grande curiosità per un particolare introdotto dalla Ferrari, che portò in pista la rivoluzionaria 640 F1, soprannominata “papera” per la particolare forma del muso, dotata di un cambio semiautomatico sequenziale con innesti direttamente sul volante, soluzione al debutto assoluto in Formula 1. Per tentare di riportare in alto i colori del Cavallino era stato ingaggiato il tecnico John Barnard, il quale mostrò grande sicurezza nel nuovo progetto, al punto di disegnare l’abitacolo della vettura senza spazio per un eventuale ritorno alla leva manuale, anche se lo sviluppo del nuovo sistema si rivelò particolarmente laborioso, tanto che per lo studio sui motori venne utilizzata una vettura del 1987 modificata per l’esecuzione dei test. 


Le prove a Rio de Janeiro fecero le prime vittime illustri, tra i quali Johansson, alla guida di una Onyx ancora acerba, i nostri Caffi e Ghinzani, oltre ad Arnoux, al volante di una Ligier sempre più in crisi; la pole position venne invece conquistata dall’idolo di casa Ayrton Senna, capace di rifilare otto decimi a Patrese (in prima fila per la prima volta dal 1983) e oltre un secondo al compagno di squadra Prost, in terza fila con Mansell e preceduto dall’altra Ferrari di Berger e dalla Williams di Boutsen. Pronti, partenza, via: e subito la prima sorpresa! Patrese e Berger partirono benissimo affiancando Senna, ma solo la vettura dell’italiano passò indenne la prima curva, mentre per i due piloti di Ferrari e McLaren la corsa durò lo spazio del primo rettilineo, con l’austriaco subito fermo e il brasiliano costretto per lungo tempo ai box; Boutsen, uscito di scena dopo pochi giri per la rottura del motore, perse addirittura lo specchietto destro a causa di un pezzo schizzato dalla vettura di Senna. La situazione di gara a quel punto vedeva Mansell e Prost all’inseguimento dell’ottimo Patrese, successivamente “vittima” di una strategia non molto azzeccata della Williams, che attese troppo tempo per il primo cambio gomme, permettendo ai due contendenti, già fermatisi per la prima sosta, di raggiungere e superare il padovano, ormai sensibilmente più lento a causa degli pneumatici usurati. Mansell stava imprimendo un ritmo infernale alla corsa, ma iniziò a patire problemi con il nuovo cambio semi-automatico, arrivando addirittura alla sostituzione del volante con i relativi innesti durante la seconda sosta ai box, poi tornò in pista e si lanciò all’inseguimento di Prost, che superò dopo pochi giri, mentre il francese, consapevole che il suo principale antagonista era ormai fuori gioco, evitò rischi inutili ragionando come di consueto in ottica campionato. Alcune tornate prima si erano vissuti istanti di paura per Eddie Cheever, costretto a guidare una Arrows dall’abitacolo strettissimo (caso non troppo isolato all’epoca) e svenuto per il caldo e la stanchezza una volta uscito dalla vettura in seguito ad una collisione con Schneider; fortunatamente per “l’americano di Roma” nessuna conseguenza.


Riccardo Patrese, fino a quel momento grande protagonista, dopo uno spettacolare sorpasso su Gugelmin fu costretto a rallentare, accostando mestamente per noie all’alternatore e congelando di fatto le posizioni dei primi, con Mansell in vantaggio di alcuni secondi su un Prost sempre più tranquillo in seconda posizione, mentre ai box Ferrari la tensione era altissima per le incognite sull’affidabilità della nuova monoposto di Maranello; fortunatamente tutto funzionò perfettamente fino al traguardo, dove per primo transitò proprio Mansell, l’ultimo pilota scelto da Enzo Ferrari in persona, protagonista di un debutto memorabile sul Cavallino Rampante. Secondo fu Prost e terzo Gugelmin, profeta in Patria e a podio per l’unica volta in carriera, mentre a sorpresa si classificò quarto Johnny Herbert, giunto eroicamente al traguardo nonostante fosse ancora claudicante e in fase di recupero dal grave incidente avvenuto durante una gara di Formula 3000 nel corso della stagione precedente; quinta la Arrows di Warwick e sesta l’altra Benetton di Nannini, seguiti nell’ordine e fuori dalla zona punti da Palmer, Nakajima, Grouillard, Alboreto, Senna e Alliot. Fu la prima vittoria per una vettura dotata di cambio semi-automatico, sistema che aveva già stuzzicato la fantasia dei tecnici Ferrari molti anni addietro: pare che alla fine degli anni Settanta l’ing. Forghieri avesse tentato di applicare un’idea del Drake montando quel particolare cambio su una 312 T3, poi il progetto venne messo in stand by e, dopo un nuovo testo su una F186, riproposto in modo deciso con l’arrivo di John Barnard, partendo da lunghe sessioni di test con Roberto Moreno fino al debutto vincente di Rio De Janeiro. L’intuizione si dimostrò vincente: Ayrton Senna ad Adelaide nel 1991 siglò l’ultima pole position per il cambio ad H, che rimase in dotazione per pochi anni tra i piccoli team, prima di lasciare definitivamente spazio al semi-automatico, nel pieno di un’era in cui lo sviluppo tecnologico riuscì a coniugarsi perfettamente con lo spettacolo in pista, come dimostrato dallo splendido campionato del mondo di Formula 1 1989.

Mister Brown

APPROFONDIMENTI VIDEO

Sintesi ampia e fasi salienti della corsa

Un giro a bordo della Williams di Riccardo Patrese  Commento di Michele Alboreto

 

SINTESI DEL MONDIALE 1989, COMMENTO DI M.ALBORETO

 Parte 1 (Jacarepagua, Imola e Montecarlo)

Parte 2 (Mexico City, Phoenix, Montreal e Paul Ricard) 

Parte 3  (Silverstone, Hockenheim, Hungaroring, Spa e Monza)

Parte 4 (Estoril, Jerez, Suzuka e Adelaide)