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GOING NOWHERE FAST EP. 4 – IL PIU’ GRANDE RECORD AL CONTRARIO DELLA STORIA DELLA F1

Benritrovati, manica di sadici. Nelle intenzioni originali, questo articolo doveva esplorare la storia della morbosamente celebre Andrea Moda. Il punto è che la sua vicenda si innesta su quella di un’altra leggenda della serie D della F1, la Scuderia Coloni. Non mi sembrava giusto liquidare questo pezzo di storia in uno o due paragrafi, ergo le ho dedicato un articolo intero. Se siete venuti per l’Andrea Moda, consideratelo come il prequel, la origin story. Per tutti gli altri, ecco a voi la Scuderia Coloni, il team di maggior insuccesso di tutti i tempi!

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La storia della Coloni è meno scoppiettante di quelle di altri team, ma a suo modo è esemplare. Mentre gli altri team di questa rubrica hanno spesso fatto fatica a sopportare un anno di pessimi risultati, la Coloni, malgrado zero budget, prestazioni inesistenti e un team che a stento riempiva una Multipla (non è un’iperbole), partecipò a ben quattro edizioni e mezzo del Campionato di F1.

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Se ti chiami Enzo e lavori nel motorsport, la F1 è nel tuo destino. Dopo i fasti di Enzo Ferrari e gli apprezzabili sforzi di Enzo Osella, negli anni Ottanta arrivò la chiamata anche per Enzo Coloni. Aveva iniziato come pilota, ma dopo una carriera poco esaltante in cui conquistò un titolo nella F3 italiana a 36 anni, nel 1983 decise di mettersi in proprio.  Il nuovo team fece incetta di risultati: nel lustro successivo conquistò due titoli nella F3 italiana (con Santin e Nicola Larini), uno nella F3 internazionale (con Ivan Capelli) e altrettante piazze d’onore.

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Il team stava pianificando di correre nella F3000 internazionale, ma all’orizzonte si andava delinando un’occasione ghiotta: la FIA infatti annunciò il ban dei motori turbo in F1. Questo avrebbe permesso la partecipazione di tanti piccoli team che altrimenti non si sarebbero potuti permettere i costosi motori sovralimentati. Dopo un 1987 di apprendimento in F3000, Coloni pensò che bisognava cogliere la palla al balzo e in pochi mesi allestì una macchina di F1.

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Fu una buona idea? Con una gestione diversa del team, forse. La F1iniziava ad essere diversa da quella artigianale degli anni ’60 e ’70 e aveva bisogno di ampi budget per garantire una certa competitività. La Coloni aveva la volontà e gli uomini, ma difettava in solidità finanziaria. A posteriori, Enzo Coloni ammise l’errore: “[La F1 fu] L’unico periodo della mia vita in cui ho vissuto con l’acqua alla gola. Approdando alla F.1 ho commesso un grande errore, ho badato alla tecnica senza preoccuparmi degli aspetti commerciali, mentre avrei dovuto fare esattamente l’opposto”.

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A differenza di tanti altri piccoli team (Minardi, Spirit, Osella etc) Coloni non aveva mai costruito un telaio in casa, ma confidavano nel veterano della Dallara Roberto Ori. Sul fronte piloti, per il 1987 prese il suo vecchio pupillo Nicola Larini. Parteciparono al GP di Monza, ma era poco più di una sessione di test (comunque risultarono davanti alla AGS), saltarono la gara successiva in Portogallo e conclusero a Jerez (in origine era previsto di far correre Franco Scapini, ma Marlboro si impose per far correre Larini). Allora ancora non c’erano le prequalifiche, quindi presero parte alla gara e Larini addirittura riuscì a mettere il muso davanti all’ex Coloni Alex Caffi. Poi la macchina si ruppe. Intendiamoci, erano comunque otto secondi (!) off the pace, ma considerando che queste due gare furono poco più di uno shakedown, quantomeno erano stati mandati segnali positivi.

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Dal 1988 si iniziò a fare sul serio. Larini abbandonò Enzo n.3 e andò da Enzo n.2 all’Osella. Coloni, che aveva qualche sponsor, un buon designer e il Ford Cosworth come motore, si ritrovò senza piloti. Visto che nel motorsport vige la regola che un finlandese è sempre un buon viatico per la vittoria, Enzo n3 ingaggiò Jari Nurminen, pilota di F3000 che nell’ultimo campionato aveva fatto segnare 10 DNQ e un ritiro. Visto che non portava neanche sponsor non ho proprio idea del perché di questa scelta. Anyway, la FIA non gli concesse la superlicenza pertanto Coloni ritornò in Italia e ingaggiò Gabriele Tarquini, all’epoca un rookie 26enne. Il “Lupo di Tuoro” ha sempre avuto buon gusto per i piloti. La scelta fu motivata anche dal fatto che Tarquini corse gratis per tutta la stagione, ad eccezione di un unico rimborso spese.

Il problema è che erano stati in molti ad avere avuto la stessa idea di Coloni: nel 1988 il numero di piloti iscritti arrivò a 31, uno in più degli ammessi al weekend da regolamento, pertanto la FIA introdusse il sistema delle prequalifiche: i nuovi team e i peggiori dell’anno prima (ovvero Coloni, Rial, EuroBrun e Dallara) si sarebbero scontrati in una sessione di prequalifica al Venerdì mattina; i peggiori non avrebbero potuto partecipare al resto del weekend.

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Il weekend inaugurale di Rio andò abbastanza bene: la Dallara si presentò con una F3000 modificata, quindi la lotta per le prequalifiche fu presto risolta a favore del team di Passignano sul Trasimeno. Tarquini inoltre dimostrò la propria abilità al volante della vettura gialla e riuscì a qualificarsi per la gara, battendo tra le altre anche una Tyrrell. A Imola andò ancora meglio: grazie all’esperienza, all’aria di casa e al talento di Tarquini si arrampicarono fino alla 17a posizione in griglia (!), che diventò 13a dopo una partenza eccellente. Era comunque una scuderia dotata di un budget ridicolo, e questo si palesò dopo pochi giri, quando la vettura rese l’anima al creatore. Anche a Monaco andò in maniera simile: 24 in qualifica e ritirati in gara. La prima bandiera a scacchi fu colta in Messico: 5 giri di ritardo dal vincitore, ma riuscirono anche a precedere due vetture.

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Meglio ancora in Canada, dove Tarquini azzeccò la gara della vita: da 26 e ultimo sulla griglia, si arrampicò fino all’ottava posizione al traguardo, con solo due giri di ritardo da Senna e Prost. E il tutto senza dischi di carbonio!

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La favola durò poco. Nelle prequalifiche di Detroit Tarquini fu battuto da EuroBrun e Dallara, e, prima volta di molte, dovettero tornare a casa senza aver percorso che pochi giri. Per le gare successive andò così, malgrado dei test a Misano e ad Hockenheim. La striscia negativa fu interrotta all’Hungaroring, dove Tarquini si qualificò ed ebbe anche il suo momento di gloria inserendosi, da doppiato, nella lotta per la vittoria tra Prost e Senna.

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In Belgio si presentarono con: una macchina, due treni di gomme, un pilota, tre (!!!) meccanici e Enzo in persona, ma con somma sorpresa (loro per primi) Tarquini riuscì a qualificarsi ben 22°. In gara non andò troppo bene, visto che finirono staccati di 7 giri per via del piantone dello sterzo, che necessitò di riparazioni a metà gara. Fu l’ultimo acuto della stagione, che si concluse con un arrivo a 5 giri in Portogallo e tre eliminazioni (di cui due nelle prequalifiche). Tirando le somme, il 1988 fu una stagione decente, essendo loro senza esperienza né denaro. La macchina gialla suscitava tenerezza: Patrese e Nannini più volte aiutarono il team con la messa a punto della macchina, soprattutto nei circuiti dove la Coloni non aveva mai corso.

Il 1989 appariva come positivo: avevano qualche sponsor in più, un telaista migliore (Christian Vanderpleyn), una seconda macchina ma soprattutto non erano più condannati alla tortura delle prequalifiche (almeno con una macchina) grazie all’ottavo posto di Montreal. I piloti sarebbero stati Roberto Moreno sulla macchina “salva” e Pierre-Henri Raphanel sull’altra (pilota discreto, portava buoni soldi, specialista delle qualifiche e forte nei circuiti cittadini). La nuova C3 sembrava promettente, ma non fu pronta per l’inizio della stagione. Erano i primi scricchiolii di un’avventura finora dignitosa.

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Nei primi 5 appuntamenti Tarquini e Raphanel erano lontanissimi dai tempi importanti e non passarono quasi mai né qualifiche né prequalifiche. Raphanel però compì un’impresa a Montecarlo: passò le prequalifiche in terza posizione (passavano i primi 4 di 13), ma nel giro di lancio nelle qualifiche vere e proprie tamponò una Lola, danneggiando l’ala da qualifica. A RHP montarono quindi l’ala da gara, più lenta. Il francese però era in stato di grazia e grazie a un giro  “Marte o Morte” riuscì a qualificarsi 18o, addirittura davanti a Nelson Piquet (!!!). Moreno fu 25o, a completare il weekend trionfale (fu l’unica gara della storia della Coloni dove riuscirono a qualificarsi tutti e due). Ovviamente si ritirarono in corsa, per via della meccanica usurata.  Lo stato attuale era dovuto al fatto che l’attenzione della scuderia era tutta per la  nuova macchina. Per dire, a Phoenix mandarono solo tre meccanici.

La C3 fu pronta per il Canada. Le linee erano pulite e gradevoli e montava persino un airscope. Ovviamente fu affidata solo a Moreno, Raphanel dovette accontentarsi della vecchia FC188. La gara fu una delle più incasinate della storia della F1, e Moreno diede il suo contributo: fa 3 soste, si arrampica fino all’ottava posizione, perde una ruota in pista, rientra ai box e gliela rimontano, riparte e alla fine si ritira per un problema al cambio.

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La C3 era leggermente meglio come competitività, ma fu un passo indietro sull’affidabilità: si qualificò anche a Silverstone, ma la sua gara durò due giri. Ma la notizia peggiore fu che, per via della scarsissima competitività messa in luce (pochissime partenze, nessun arrivo), anche Moreno fu costretto alle prequalifiche. Insomma, entrambe le macchine nelle prequalifiche, sviluppo indietro di anni luce, i progettisti (Vanderokeyn e Gary Anderson) che scappavano, alla fine pure Raphanel pure li abbandona. Insomma, dopo una stagione il team è allo sfascio.

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Enzo non si perse d’animo. Ingaggiò il veneziano Enrico Bertaggia al posto del francese (forse uno dei peggiori piloti italiani ad aver corso in F1); la nuova ala anteriore si rivelò sorprendentemente efficace e permise a Moreno all’Estoril di qualificarsi in 15a posizione (!!!). La felicità per questi team dura sempre lo spazio di una notte: Moreno sfascia l’alettone in uno scontro con Cheever e addio prototipo. Non riuscì a qualificarsi mai più (anche se ci andò vicino in Giappone, con l’ala ricostruita); sempre meglio di Bertaggia, che arrivò ultimo in ogni sessione di prequalifiche disputata. Insomma, il 1989 fu un disastro. Ma qualcosa di importante stava accadendo.

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Gli ultimi anni Ottanta fu il periodo d’oro dei motoristi giapponesi. Ispirata dai successi di Honda e  Yamaha (vabbé), anche la Subaru si buttò in F1. Respinti dalla Minardi (death flag #1), i giapponesi contattarono Enzo e conclusero un accordo: acquistarono il 50% del team, dipinsero la macchina con i loro colori (rosso bianco e verde) e rimpolparono il reparto tecnico. Per i piloti furono scelti Bertrand Gachot e Luis Perez-Sala. Tutto bello. La fregatura? Il motore made in Subaru.

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La loro unità propulsiva era un capolavoro di ingegneria. Per gli anni Sessanta. Era un 12 cilindri boxer (che non si vedevano in giro dai tempi di Lauda in Ferrari) ed era progettato dalla Motori Moderni di Carlo Chiti (death flag #2). Il motore nei progetti doveva essere meno potente della concorrenza, ma la sua piattezza avrebbe comportato benefici aerodinamici (death flag #3). Il risultato finale fu, per usare un termine del gergo dei motoristi, ‘nammerda. Il motore erogava 560 cv, 30 in meno del diretto avversario (no, il W12 della Life non è degno di essere chiamato motore) e almeno 100 cv meno dei migliori. E inoltre era pure 112 kg più pesante del Cosworth (!!!). Ciliegina sulla torta, usava un cambio made in Minardi (death flag #4). Intendiamoci, la Minardi di questo periodo andava forte (sesti nel 1989), ma non era esattamente famosa per la solidità delle creazioni.

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Questo dato fu subito chiaro: nella prima gara la scatola del cambio non resse neanche il tragitto dal garage all’uscita della pitlane. Questo significa che la Coloni fu l’unica macchina che concluse una sessione di prequalifica dietro alla Life. Come la Life, anche loro perdevano una vita dai diretti concorrenti per via del motore (da 5 a 10 secondi). Solo a Montecarlo Gachot riuscì a limitare il distacco a 1.5s,  ma fu l’unico “””risultato””” “””degno di nota””” della collaborazione.

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Come si può immaginare, il team se la passava male anche a livello di rapporti interni. Sia Coloni che i giapponesi possedevano il 50% del team, quindi il processo decisionale era un muro contro muro continuo; Coloni inoltre declinò l’offerta della Subaru di acquistare il team. Furono i giapponesi a stufarsi per primi: dopo l’ottava prequalifica mancata di fila, restituirono a Coloni le loro quote e mandarono al diavolo la F1.

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Coloni aveva un asso nella manica: tornò Vanderpley, che risistemò la macchina (che non era altro se non una versione aggiornata di quella del 1989) e si dotò di un motore vero, non di un fossile. Gachot avvertì il miglioramento, e in tutta risposta si schiantò ad Hockenheim. La macchina aveva fatto passi avanti, ma era comunque materiale da parte bassa delle prequalifiche.

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Mors tua vita mea. Questo motto è valido per tutta la F1, ma lo è in particolare per i team di ultimissima fascia. La Onyx fallì dopo il GP del Belgio, il che significò che la Coloni ora per passare doveva battere solamente due team: la Life, una barzelletta a quattro ruote, e la EuroBrun, un team possibilmente messo molto peggio della Coloni. Superate le prequalifiche, Gachot a Monza stava finalmente per compiere il miracolo della qualificazione alla gara, ma l’altrimenti affidabile Cosworth saltò nel momento topico. Ennesimo DNQ di una storia travagliata a dir poco. Ma Enzo Coloni (ora diventato Enzo n.1, dato il decesso di Enzo Ferrari e la defezione di Enzo Osella) non si arrese neanche stavolta.

Visti i risultati del ’90  (nessuna partenza, rottura col partner tecnologico, un budget che nei top team bastava a coprire le spese per gli adesivi) furono tutti sorpresi dall’annuncio che non solo avrebbe partecipato anche nel 1991, ma addirittura schierando una macchina nuova (la C4 – no jokes please). Gachot, che nel 1990 aveva fatto dei piccoli miracoli, fu notato e ingaggiato dalla Jordan, e a suo modo giocò un ruolo importante nella storia della F1, quindi Coloni ripiegò sul campione di F3000 inglese, il portoghese Pedro Chaves. E si ricomincia, con lo sviluppo tecnico della macchina curato da… gli studenti dell’università di Perugia (!).

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Ormai il team era diventato uno specialista delle prequalifiche, con 50 e passa tentativi. Nella prima gara a Phoenix Chaves stava riuscendo a qualificarsi (grazie ai casini altrui) ma le speranze di gloria si schiantarono contro un muro del circuito cittadino. In Coloni non se la presero troppo, ma a conti fatti avevano buttato l’unica possibilità di passare le prequalifiche di tutto l’anno. Con cronici problemi al cambio e finanze così disastrate da non permettersi neanche una singola sessione di test, il fatto che riuscirono in qualche gara a battere la AGS fu un piccolo miracolo.

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Non fu sufficiente per trattenere Chaves, comprensibilmente alterato per aver ricevuto solo un decimo del suo già misero salario e indispettito per l’amatorialità della squadra, che abbandonò il team a tre gare dalla fine. Si presentarono in Spagna con la sola macchina, per attrarre compratori, mentre per le due trasferte oltreoceano inventarono il kickstarter in F1: trovarono un pilota, il campione in carica della F3000 giapponese Naoki Hattori, e contattarono i suoi fan: per 250$ avrebbero avuto il loro nome scritto sui sidepod della vettura. Col denaro racimolato riuscirono a volare in Giappone e in Australia, solo per incassare gli ultimi due DNPQ della loro storia.

Enzo Coloni aveva già fatto un miracolo vero a mantenere in piedi il team senza budget per ben quattro anni, ma ora era impossibile andare avanti. Trovarono un coraggioso (e folle) acquirente in Andrea Sassetti, il proprietario di una fabbrica di calzatura nelle Marche, che acquistò il team e la macchina vecchia di tre anni per partecipare nel campionato 1992. Il resto è storia, ma ne parlerò nel prossimo episodio.

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La storia della Coloni in F1 terminò qui, ma il team continuò a esistere nelle formule minori, dove ottenne importanti successi in F3, F3000, Formula Nissan e anche in Gp2, con un progetto condiviso con Giancarlo Fisichella, dove nel 2011 lottò per il titolo con Luca Filippi. Fu il canto del cigno del team di Passignano sul Trasimeno; attualmente la Coloni Racing System è attiva in F4.

Questa è stata la Coloni, il team di maggior insuccesso della storia della F1, statistiche alla mano: 82 tentativi, 64 DNPQ, 14 partenze, 4 arrivi. Quando si dice la perseveranza… Battute a parte, è stato un team che ha vissuto gli anni della massima formula con grande vivacità, ottenendo tra l’altro un motore ufficiale. Ressero per tanti anni con un budget ridicolo e zero risultati, ma affidandosi comunque a buoni tecnici e abili piloti. La Coloni fu l’equivalente della Minardi per la Minardi.

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya

[Immagine di copertina tratta dal profilo facebook della Coloni F1]

CALENDARIO PROVVISORIO F1 2021

Pubblicato il calendario provvisorio della prossima stagione 2021.

L’idea è quella delle 23 gare con ancora “in asterisco” Spagna e Brasile che devono confermare i propri contratti.

Slot del round 4 del 23-25 aprile ancora da assegnare.

Confermata Zandvoort e la novità di Jeddah.

Saltato il Vietnam e Miami?

Le date prevedono tutti weekend da tre giorni quindi pare scongiurata l’ipotesi del “weeke…” stile Imola.

Scomparsi, come prevedibile, i circuiti della passione come il Mugello, Imola e Portimao.

Con la contingente situazione mondiale  sarà “Formula 1 fantasy”?

 

(Immagini tratte dal web)

HAMILTON ONORA SE STESSO AD IMOLA. E LA MERCEDES FA 7 IN CASA DELLA FERRARI.

Correva l’anno 1980. La Formula 1 faceva il suo debutto ufficiale sul circuito in riva al Santerno. Chi scrive era presente, e ricorda distintamente piloti e macchine dell’epoca, dotate di effetto suolo ma con 500 cavalli e tanta tecnologia in meno, cimentarsi in un circuito veloce, stretto e difficile, che qualcuno definì un kartodromo.

In 40 anni di acqua sotto il ponte che porta al paddock ne è passata tanta. Il circuito ha cambiato faccia e gestione, e sembrava uscito dal giro che conta. Ma la catastrofe sanitaria di questo 2020 ha creato le condizioni per farlo rientrare, per la gioia dei piloti che hanno fornito, da subito, solo commenti positivi.

Il week-end distribuito su soli due giorni ha permesso di vedere tanta attività in pista il sabato mattina, e una qualifica interessante al pomeriggio. Con un po’ di sorpresa, Bottas agguanta la pole position con 1 decimo di vantaggio su Hamilton, con Verstappen terzo  e l’ottimo Gasly quarto.

E, quando si spengono i semafori, il finlandese se ne va indisturbato, mentre Max, dopo essersi posizionato sullo schieramento in modalità old-style, cioè un po’ a caso, riesce a sopravanzare Hamilton, il quale rischia di perdere la posizione anche su Gasly che per poco non lo tampona.

Dietro, Giovinazzi scatta in modo perfetto dall’ultima posizione e, complice un contatto fra Vettel e Magnussen, guadagna ben 6 posizioni, ponendo le basi per un ottimo risultato.

I primi 3 sono di un’altra categoria, e guadagnano un secondo al giro sul quarto che é Ricciardo. Al 9° giro si ritira Gasly a causa di una perdita di pressione al circuito dell’acqua. Al giro 14 pit-stop anticipato per Leclerc, che monta le gomme più dure. Il giro dopo si fermano anche Ricciardo, che lo precedeva, e Albon e Kvyat che lo seguivano. Ma le posizioni non cambiano.

Verstappen prova l’undercut e si ferma al giro 19. Ma Bottas copre la sua mossa e si ferma al giro successivo. Anche loro montano gomme dure. Hamilton invece tenta il colpo a sorpresa e prosegue, iniziando a marcare giri velocissimi.

Dopo il pit-stop, Verstappen sembra averne di più di Bottas, che ha il fondo danneggiato per avere raccolto un pezzo dell’ala di Vettel al secondo giro. Ma l’olandese non riesce ad avvicinarsi. Hamilton continua a volare, e, nonostante un gruppo di doppiati, decide di continuare. Una volta liberatosi di loro, torna ad andare forte e riesce ad accumulare il vantaggio su Bottas sufficiente per fare il pit-stop e rimanergli davanti.

Ma non ce n’era bisogno, perchè al giro 30 Ocon si ferma poco prima della variante alta in prossimità di un varco nel guard-rail. La direzione gara, per estrema precauzione, decide di attivare la Virtual Safety car per pochi secondi, che sono quelli necessari a rimuovere l’auto del francese, ma anche a permettere ad Hamilton di fare il suo pit-stop risparmiando una decina di secondi.

Lewis si ritrova così al comando con un bel vantaggio su Bottas, il quale ha il suo daffare a tenere dietro Max, tanto che al giro 43 arriva lungo alla Rivazza, e non può evitare di essere superato al successivo passaggio alla variante del Tamburello. Ma al 51° giro, poco prima della variante Villeneuve, l’olandese colpisce un detrito e buca la ruota posteriore destra, finendo nella ghiaia e terminando così la sua gara.

Esce la Safety Car, e Russel ne approfitta per rovinare un possibile arrivo a punti, il primo per lui, mettendo a muro la  sua Williams nel tentativo di scaldare le gomme dietro la SC. La gara riparte dopo ben 7 giri, necessari a far passare i doppiati (regola che si rivela ogni volta più stupida). 

Se la lotta per le prime due posizioni è ovviamente inesistente, quella per il gradino più basso del podio è entusiasmante. Alla ripartenza Albon, che navigava in quinta posizione, si fa fregare prima da Kvyat e poi da Perez, per poi girarsi come un pivello all’uscita della Villeneuve, ponendo fine alla sua gara e, probabilmente, alla sua carriera in Formula 1.

Kvyat supera subito anche Leclerc e si mette a caccia di Ricciardo e del sogno di un podio colto a 15 km dalla sede della ex-Minardi. Il monegasco della Ferrari deve difendersi anche dagli attacchi di Perez, il quale ha visto la sua terza posizione, guadagnata con una prima parte di gara ottima, vanificata da un pit-stop incomprensibile sotto SC.

Il circuito non dà però grandi possibilità di sorpasso, quando tutti hanno le gomme in temperatura, e dopo la lotta delle prime curve non succederà più nulla.

La gara finisce così con una doppietta Mercedes, che consente al team tedesco di guadagnare matematicamente il settimo titolo consecutivo cancellando il precedente record che deteneva assieme alla Ferrari, e proprio sul circuito che porta il nome del Drake e di suo figlio.

Al terzo posto un ancora ottimo Ricciardo su una Renault che si conferma la terza forza, per la gioia di Alonso, presente sul circuito in questo week-end. Lo segue un bravissimo Kvyat, la cui prestazione probabilmente non sarà sufficiente a mantenere un posto in Formula 1.

Al quinto posto Leclerc, che ha tratto il massimo dalla solita, difficile, SF1000, seguito da Perez che, come già detto, si è visto sfuggire il podio a causa di un errore macroscopico della sua squadra. Al settimo e ottavo posto le due McLaren di Sainz e Norris, bloccate nel traffico per tutta la gara, seguite dalle due Sauber di Raikkonen e Giovinazzi, che festeggiano il rinnovo del contratto con un’ottima gara.

Fuori dai punti Latifi, mai così vicino a cogliere un bel risultato, e Vettel, la cui buona gara è stata completamente rovinata da un pit-stop interminabile senza il quale sarebbe arrivato probabilmente settimo. Lo seguono Stroll, inguardabile e anche pericoloso, avendo investito un suo meccanico al pit-stop, Grosjean e Albon.

La prossima gara sarà ad Istanbul, in un altro bel circuito che fa il suo rientro nel giro del mondiale. Ci aspetta il quarto week-end di fila con un top record eguagliato o battuto. Perchè è molto probabile che Lewis colga il suo settimo mondiale proprio in Turchia, sulla pista sulla quale nel 2006 in GP2 si produsse in una prodigiosa rimonta, che face dire, a chi scrive, “è arrivato il nuovo Senna”.

P.S. a proposito del campione brasiliano, ho trovato stucchevole il continuo riferimento al fatto che Imola è il circuito su cui ha perso la vita. Hanno ceduto alla tentazione non solo Sky (e di questo non c’è da stupirsi, visto lo scarso livello giornalistico che offrono), ma anche la stessa F1 e un pilota che è sceso in pista con identici colori del casco. Oggi non c’era nessun anniversario da celebrare, e quel tragico week-end del 1° maggio 1994 è qualcosa da tenere ben a mente ma non è certamente un elemento che possa essere utilizzato per celebrare la storia del circuito di Imola, anche se gli stessi gestori, va detto, ne hanno fatto e ne fanno tutt’ora uso.

 

F1 2020 – GRAN PREMIO DELL’EMILIA ROMAGNA

E dài pur con i gran premi “esotici”…quelli veri però!

E’ arrivato il turno di un improbabile (in tempi “normali”) e dal sapore bucolico GP dell’Emilia Romagna che, se non ci fossero le ormai note restrizioni alla presenza del pubblico pagante, ci si immagina già i prati della Tosa e della Rivazza stipate di gente in attesa della gara tra una birra e qualsiasi cosa di commestibile sia stato ricavato da un maiale.

Messo da parte l’aspetto antropologico, il tracciato Enzo e Dino Ferrari accoglierà una F1 molto diversa rispetto all’ultima che ha calcato il suo asfalto. Dal 2006 ad oggi sono cambiati protagonisti ( escluso Raikkonen) e soprattutto le monoposto, con la curiosità di capire fin dove riusciranno a spingersi le prestazioni su una pista atipica per la F1 moderna, una delle poche ormai che si affronta in senso antiorario, con sede stradale molto stretta in alcuni punti e vie di fuga un pò più old style del solito.

immagine da it.f1-facts.com

Molti piloti hanno già salutato con estremo favore e grosse aspettative il ritorno su una pista che ha fatto la storia, nel bene e nel male. Tra i saliscendi del circuito romagnolo ci si aspetta maggiore grip rispetto a Portimao, a cui fa da contrasto L’unica sessione di prove libere prevista e le basse temperature che sono previste.

Pirelli ha fatto una scelta intermedia di gomme, portando le C2, C3, C4. Il format del Gp su due sole giornate, la pista nuova e l’attenzione particolare alle strategie di gara per una pista in cui i sorpassi saranno merce rara, mette in grossa difficoltà i team e i piloti che avranno poco tempo per mettere insieme un set-up decente. Di sicuro un pò tutti avranno abusato dei simulatori per cercare di farsi trovare più pronti possibile.

Ad Imola si arriva con la “solita” Mercedes e il “solito” Hamilton e il “solito” Bottas. Nell’ordine granitica, imbattibile nonostante crampi e quant’altro, dalla consistenza di un souffle venuto male quando c’è stato bisogno di lottare.

Viene difficile pensare che a Imola non riescano a prenotare la prima fila e condurre una gara senza grossi patemi ma il poco tempo a disposizione per le prove potrebbe metterli in parziale difficoltà.

Molto più ringalluzzita del solito arriva invece la Ferrari, o almeno quello con il numero 16. Leclerc sta sempre più aumentando il gap nei confronti di Vettel, il quale sembra sempre più il classico impiegato che viene a lavorare solo per timbrare il cartellino.

immagine da f1grandprix.motorionline.it

Se è vero che in prova la SF1000 offre una discreta garanzia, in gara le mancanze della monoposte vengono acuite soprattutto nella gestione delle gomme e del passo gara dovuto, sembra, ai problemi atavici al retrotreno e alla variazione di altezza delle sospensioni posteriori al variare delle temperature durante l’arco temporale della gara.

Come detto Leclerc ci mette spesso e volentieri una pezza, Vettel no e quando prova a forzare commette errori e testacoda. A tal punto da far ipotizzare che le due SF1000 non siano proprio uguali, ipotesi subito smentita da pilota e squadra.

In casa Red Bull e Alpha Tauri invece continua a tenere banco il mercato piloti. Confermato Gasly in Alpha Tauri, rimangono sulla graticola Albon e Kvyat. Su entrambi pesano le ombre di Hulkenberg e Tsunoda. Considerando la disinvoltura con cui Helmut Marko affronta questo genere di situazioni, non sarei molto ottimista fossi nei due piloti in bilico.

Gara dal sapore di riscatto anche per Lando Norris, che sta subendo il prepotente ritorno il classifica di Sainz e che ultimamente passa più tempo a scusarsi per improvvidi team radio e polemici post su instagram piuttosto che cercare di raddrizzare un brutto momento di forma.

Anche Renault non è uscita bene da Portimao e rimane invischiata nella lotta a tre con Racing Point e McLaren per il terzo posto nella classifica costruttori. Nel bailamme di piloti che sono in entrata/uscita non dovrebbe rientrare Ocon che però comincia a sentire qualche brivido in merito, data la metà dei punti conquistata rispetto a Ricciardo. Abiteboul lo ha tranquillizzato ma implicitamente gli ha chiesto di darsi una decisa svegliata…

Con 77 punti di vantaggio in classifica, Hamilton manca un solo punto per avere il primo match point da giocarsi domenica per la conquista del titolo. Anche in caso di vittoria/giro veloce e ritiro di Bottas, il tutto sarebbe rimandato al prossimo GP in Turchia. Vincere il mondiale ad Imola piuttosto che in Turchia o in Bahrein avrebbe tutto un altro sapore ma pensiamo che non siano questi i suoi problemi nella vita…

immagine da automobilsport.com

Molto più facile invece che la Mercedes chiuda la pratica del mondiale costruttori. Basterà conquistare 6 punti in più della Red Bull per conquistare il settimo sigillo di fila dal 2014. Come un rigore a porta vuota.

In ottica 2021 sembra sia stato pre-approvato un calendario con 23 gare, con alcuni appuntamenti ancora in bilico come il GP del Vietnam o quello d’Olanda che sono subordinati alla pandemia Covid (il primo) e alla presenza o meno di pubblico (il secondo).

23 GP…considerando i chiari di luna a cui andiamo incontro sembra un numero di GP molto ottimistico da tenere in piedi…tante cose possono cambiare da oggi a Marzo e se solo un mese si poteva essere ragionevolmente ottimisti, oggi le nubi che si accumulano sulla stagione 2021 sono sempre più pesanti.

Melbourne ha già confermato di essere il primo GP della stagione ventura, speriamo possa essere proprio così.

*immagine in evidenza da promoracing.it

Rocco Alessandro

GOING NOWHERE FAST EP.3 – THE AMERICAN NIGHTMARE

Benritrovati, compagni di sventura. Oggi parlerò della USF1, una grande avventura americana che purtroppo non è mai esistita. Prima di procedere con ordine, un piccolo disclaimer: rispetto al solito vedrete poche immagini. La colpa non è mia, ma spiegarvi il motivo comporterebbe spoiler. Allo stesso modo, debbo avvertirvi che l’immagine di copertina non c’entra nulla con l’argomento dell’articolo (è una A1GP), ma dovevo pur mettere qualcosa.

[COURTESY OF LASTWORDONSPORTS.COM]

Gli ultimi Duemila furono anni di fuoco per la F1. Da una parte le tensioni tra FOTA e FIA portarono i team a un passo dalla scissione, dall’altra la crisi finanziaria e economica di fine 2008 indusse BMW, Toyota e Honda a smobilitare le squadre corsa. Non sorprende quindi che Ecclestone nel 2009 facesse la corte chiunque avesse intenzione di entrare in F1. Oggi può apparire strano, ma i team interessati erano in gran numero e andavano dal ridicolo (come MyF1Dream.com, una scuderia il cui business plan si basava sulle donazioni dei fan – un kickstarter ante litteram) al solido (come la Virgin o la Lola). A Febbraio 2009 venne annunciata la prima nuova squadra ad essere ufficialmente ammessa al campionato 2010, e a sorpresa fu la USF1, il sogno di Ken Anderson (ex Onyx e Ligier) e del celebre giornalista Peter Windsor.

La USF1 si annunciò con magniloquenza (leitmotiv della vicenda) come il primo team di F1 dall’anima totalmente a stelle e striscie, una sorta di nazionale statunitense di F1. Adesso la presenza americana in F1 è significativa (Haas, il COTA, Liberty Media), ma all’epoca i rapporti con gli USA erano freddini – anche a causa del fallimento di Indianapolis. In pieno stile States, Anderson e Windsor videro nel disinteresse degli yankees una grande opportunità di crescita. Ma si sa, il cammino dell’uomo timorato è minacciato da ogni parte dalle iniquità degli esseri egoisti e dalla tirannia degli uomini malvagi.

Il primo ostacolo del progetto era ovvio. La grande maggioranza dei team di F1 ha da sempre stretti collegamenti con la Gran Bretagna (o similmente con l’Italia), per motivi storici ma soprattutto logistici – tra l’Oxfordshire e le Midlands si possono trovare fornitori di ogni cosa, dalle sospensioni al cambio ai freni. La USF1 invece voleva essere un progetto “all american”, quindi con base negli Stati Uniti.

Il team impiantò quindi il quartier generale a Charlotte, North Carolina. Non era una cattiva idea: Charlotte era la patria della NASCAR e in pochi chilometri si trovavano gli head quarter dei team più importanti. Visto che però sarebbe stato folle fare avanti e indietro America-Europa per i weekend di gara, la USF1 avrebbe impiantato una seconda base operativa in Spagna, vicino al Motorland Aragon (del resto la Haas ha una struttura simile: la sede ufficiale è a Kannapolis ma la sede operativa è a Banbury, in UK).

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Il team -e il suo guerilla marketing- colpì l’immaginazione della stampa, che subito iniziò a fantasticare sul progetto. Anderson e Windsor furono felici di alimentare i rumors e raccontarono di aver preso contatti con una quantità di personalità del motorsport americano – come Kyle Busch, Danica Patrick e Scott Speed. Dall’esterno le cose sembravano filare liscio: per il motore avevano firmato un accordo di fornitura con la Cosworth; mr. YouTube, Chad Hurley, si mostrò interessato a partecipare al progetto; Charlie Whiting ispezionò la fabbrica e rimase soddisfatto. La presenza di un budget cap (frutto del braccio di ferro FIA-FOTA) li avrebbe inoltre messi in condizioni di competere ad armi pari con i team con più risorse ed esperienza. L’euforia durò poco.

Dopo mesi di schermaglie Team e FIA trovarono un accordo che fu suggellato dalla firma di un nuovo Patto della Concordia nel quale (tra le varie cose) non c’era più traccia di alcun budget cap. Per la USF1 fu una catastrofe: non avrebbero avuto nessuna speranza contro i team maggiori e le spese sarebbero esplose le spese verso l’alto. Inoltre l’attesa del verdetto fece perdere alla USF1 un mese di preparazione.

Proprio di questo si iniziò a parlare. Windsor e Anderson saranno pure stati motivati e esperti, ma appariva chiaro che sarebbe servito un miracolo per essere pronti in tempo. Tutto stava progressivamente sfuggendo dalla tabella di marcia; per fare un confronto, mentre Virgin e Lotus (questa sì arrivata all’ultimo momento) avevano già annunciato la line up completa, in USF1 non avevano nominato nemmeno un pilota (no, le 38 nomine farlocche di prima non contano). Inoltre, malgrado YouTube e altri investitori tra cui la agenzia di pubblicità Goodby, il flusso monetario pareva scarso.

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Certo, il settore marketing continuava a dare l’impressione di fare qualcosa, con frequenti post sui social media, comunicati stampa su ogni minuzia -come il classico “USF1 pay fee to FIA”- , interviste con i proprietari, immagini e video della fabbrica (dove sono in bella vista i macchinari col logo HAAS), del processo di progettazione e perfino del musetto, l’unica cosa tangibile prodotta finora.

A Novembre la FIA ricevette la soffiata che il team sarebbe stato “incapable” di gareggiare in Bahrain. Ecclestone stesso ventilò dei dubbi al proposito, constatando il silenzio proveniente dal fronte dello sviluppo della macchina o del team, che dopo l’annuncio della partnership con Hurley sembrava essere scomparso. Windsor rispose negando che il team fosse in cattive acque, lamentandosi che “Such are the demands of modern media (…) if you’re not saying something, you’re not doing anything. (…) I think everyone and every company is entitled to its heads-down time” e, rispondendo alle persone che gli chiedevano il motivo dell’inattività “One, while the F1 politics were sorting themselves out there was very little that we could do or say.” e [vi avviso, questa merita] “Second, since August, we have been building our ‘house’. Literally. We gutted the ex-Hall of Fame Racing/Joe Gibbs NASCAR shop, re-painted it, re-floored it, re-wired it, re-lit it and re-designed it. In three weeks. And then, once we had a building (and even before we had one), we began to design parts and to hire our team. Again we were building. People wanted to know what was going on. We replied that we were ‘putting together the team.’ It’s a bit like building a new house“.

[COURTESY OF USF1 VIA FACEBOOK.COM]

Lo stesso giorno il team varò il sito internet e l’account Twitter. Dopo sei mesi avevano ammobiliato il quartier generale, presentato un logo e costruito un musetto. Almeno ci furono progressi sul fronte piloti: in origine c’era la volontà di far correre due piloti americani, ma presto si dovette ricorrere a un compromesso, incarnato dalla figura del 27enne argentino José Maria Lopez, che avrebbe portato in dote 8 milioni di dollari grazie al supporto dello Stato. Il team “All American” sarebbe stato controllato dall’Argentina – How the turntables…

Giunto Dicembre, la situazione diventò drammatica, ma mai seria. Il personale intuì che la “Type 1” non ce l’avrebbe fatta in tempo per i test e neanche per il Bahrain. I progetti semplicemente non arrivavano – e questo era dovuto anche alla gestione del progetto da parte di Anderson, che voleva visionare ogni singolo progetto prima di esprimere un parere. Le risorse erano scarse; il production manager rassicurò l’equipe tecnico con la frase: “Well, Ken has a plan“. Intorno a metà Dicembre era previsto un intensificarsi dei lavori, ma i progetti non arrivarono mai. Impossibilitato a lavorare, lo staff iniziò a progettare  prototipi di toaster per passare il tempo.

Per illustrare meglio la situazione, ecco un aneddoto. A Febbraio Windsor visitò il quartier generale a Charlotte e rivolse all’intera equipe la domanda, nelle sue intenzioni retorica: “Chi di voi crede che non ce la faremo in tempo per il Bahrain?” Ogni singolo dipendente alzò la mano. Peter ci rimase male.

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Intuendo la mala parata, Anderson, Windsor e Hurley chiesero una deroga alla FIA, chiedendo se potevano mancare alle prime quattro gare della stagione. La FIA acconsentì a patto di ricevere una nuova ispezione di Charlie Whiting. Quello che l’esperto race director scoprì fu una scuderia in “no position to race” (del resto bastava guardare i video del canale ufficiale: inquadrano sempre quattro tizi che annuiscono, Windsor in giacca e cravatta, tre computer e l’onnipresente musetto).

Hurley, all’oscuro del duo proprietario, cercò disperatamente una fusione con la Stefan GP (un’altra scuderia della quale dovrei parlare), ma l’operazione fu osteggiata da tutte le parti in causa e si risolse in nulla di fatto. Hurley e Lopez decisero di disimpegnarsi. Il team era così impreparato che avrebbero fatto fatica addirittura a mandare un container di tavoli e sedie in Bahrain, come fece la Stefan GP.

[COURTESY OF USF1 VIA FACEBOOK.COM]

A metà Febbraio un dipendente denunciò la gestione confusionaria del team : “La situazione è caotica. Le notizie che arrivano alla gente sono tutt’altro che vere e stiamo solo costruendo una grande bugia. Ci servirebbero altri due mesi per completare la macchina e se avessimo avuto soldi e risorse umane per completarla prima, non abbiamo avuto dirigenti capaci di prendere delle decisioni. Anche con i pagamenti delle buste paga siamo già indietro: lunedì ci hanno pagato metà mese e l’altro lunedì ci hanno promesso l’altra metà. Due terzi del personale lavora già metà di quanto previsto, ma chi può biasimarli, c’è poco da lavorare.

Non abbiamo ancora ricevuto neppure un motore dalla Cosworth, dato che gli dobbiamo circa 2,5 milioni di euro. I ragazzi che lavorano il carbonio non hanno le attrezzature che servono per realizzare il telaio, figuriamoci la macchina intera. Quello che è stato fatto fino ad ora era solo per inviarlo alla FIA per i crash test.

[COURTESY OF USF1 VIA FACEBOOK.COM]

Povero Lopez, si è presentato qui ieri e non c’è nessuna macchina sulla quale farlo sedere. Poverino, ha esclamato “Succede, quando i soldi arrivano in ritardo…”. La verità è che Peter e Ken sono i due peggiori dirigenti che la F1 potesse mai avere. Si sono convinti d’essere due grandi imprenditori, quando non hanno le basi per comprendere come formare una squadra del genere, delegando le responsabilità a persone che non sanno quello che devono fare, mentre chi lo sa non è autorizzato ad aprire bocca.

Il reparto marketing ha alimentato ancora di più le bugie, perché tutto quello che avete visto è ben lontano dalla realtà. Quando Ken [Anderson] non ha potuto fare le buste paga, è andato a Daytona in cerca di gentlman drivers che gli hanno messo un mucchio di soldi in tasca, pensando di investire in qualcosa di buono e ritrovandosi con un pugno di mosche in mano.

A questo punto è tutto così triste, ma l’occasione è stata persa e gli investitori truffati. Tutto frutto di una cattiva gestione, affidata più all’ego di Ken e Peter che ad altro. Togliendo loro due, forse con gli investimenti fatti si poteva anche arriva in Spagna per i test…”

Dichiarazioni che fanno sembrare Ernesto Vita il Ron Dennis italiano. La FIA aveva visto abbastanza: inflisse al team una multa di 309.000 euro e, più importante, lo bandì permanentemente da tutte le sue competizioni.

[COURTESY OF CDN.MOTOR1.COM]

Dopo un anno di protratti sviluppi, tutto quello che la squadra poteva offrire era mezza scocca, degli stampi lasciati a metà, account su ogni tipo di social in uso all’epoca, dei fighissimi tostapane e IL musetto. Che andò distrutto in un crash test fallito.

[COURTESY OF USF1 VIA YOUTUBE.COM]

Le informazioni sull’USF1 in realtà sono così poche che non è neanche chiaro il motivo del fallimento. Alla base c’è di sicuro il disinteresse del pubblico americano per le formule europee e l’indiscussa incapacità manageriale di Windsor e Anderson, ma non anche le giravolte sul budget cap ebbero una parte rilevante sul disastro dell’esperienza. Di sicuro l’ambizione del progetto avrebbe richiesto più tempo, più denaro e persone migliori. Per finire, non aiutò il fatto che volessero costruire tutto quanto in casa – almeno la Campos e la Stefan GP si erano appoggiate a fornitori esterni. Loro furono l’opposto della Haas: volevano fare tutto loro, arrivarono all’improvviso e in pompa magna e morirono senza che nessuno se ne accorgesse.

La USF1 ottenne pertanto l’ambito record di essere stato l’unico team collassato su sé stesso e bannato da ogni competizione ancor prima di avvitare una ruota. Ad aggiungere danno alla beffa, la USF1 rubò il posto a gente che probabilmente sarebbe stata in grado di presentare una macchina funzionante, come la Lola o la Prodrive (nelle intenzioni un team B della McLaren), che forse ci avrebbe garantito uno spettacolo migliore di quello di Lotus, Virgin, HRT.

La prossima volta parlerò dell’unico altro team nella storia che riuscì a farsi bandire da tutte le competizioni FIA, la mitica Andrea Moda. Stay Tuned!

[Immagine di copertina tratta da autoevolution.com]

Lorenzo Giammarini a.k.a. LG Montoya