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F1 2018 AMERICAN GP: AN INTRODUCTION

COTA. Circuit of the Americas. Austin, Texas.

This will be the end? Probabilmente no, ma ci andremo molto vicini. Quando prima di un GP si cominciano a fare ipotesi su “Tizio sarà campione se Caio arriverà nella posizione x” allora vuol dire che l’epilogo è vicino.

“Quando sono già stato quì?” Questa potrebbe essere la frase che la gran parte dei ferraristi potrebbe porsi in questo weekend. Disappunto che anche quest’anno viene esorcizzato nell’analisi delle colpe. Piloti, squadra, FIA. Lo stesso copione da anni con minime variazioni giusto per renderlo meno noioso ma ugualmente irritante (in base ai punti di vista ovviamente)

Più colpa di Vettel? Oppure della Scuderia, di Arrivabene? Oppure è la solita Fia che vuole male al simbolo stesso della F1? Ross Brawn, che a Maranello ha lasciato la “miseria” di 5 mondiali e 57 vittorie, ha dato di recente un suggerimento non richiesto ma molto sensato alla Scuderia, quello di rimanere uniti nelle difficoltà e di non iniziare il gioco delle colpe. Invece i rumors e gli atteggiamenti visti a Suzuka indicano un’altra realtà, quella di un team lontano da quello visto a inizio stagione, con una apparente eppur avvertibile frattura tra il pilota e il team principal, tra quest’ultimo e il direttore tecnico e la squadra tutta.

Ha ragione Ecclestone a definire con lombrosiana sicumera che è la “troppa italianità” del team la causa principale dei suoi mali? Oppure più semplicemente, ma non per questo giustificabile, la morte di Marchionne e la totale mancanza di un management all’altezza abbiano provocato i danni che si sono visti dalla domenica di Monza al tragicomico Gp del Giappone? Che hanno portato un pilota vincitore di 4 mondiali ad essere definito un pilota fragile da eminenti addetti ai lavori, un team principal ad accusare apertamente i suoi ingegneri e questi ultimi a barcamenarsi con una monoposto che si è trasformata in una bestia difficile da addomesticare?

Lasciando perdere cali prestazionali in merito a sensori e batterie, che pure avrebbero una certa base di fondamento, resta l’istantanea di una squadra che non è assemblata e addestrata per una maratona lunga 21 gp. Gli addetti ai lavori dicono che una maratona comincia a farsi selettiva dopo il 30esimo chilometro. E i fatti dicono che a questa soglia la Ferrari è arrivata col fiato corto a differenza della Mercedes, che è saputa stare in scia in momenti di crisi e ora opera un definitivo, quanto inaspettato nella sua perentorietà, allungo che la porterà solitaria al traguardo.

L’altra faccia del dualismo sono Hamilton, miglior stagione di sempre in F1, Wolff team principal che prende le decisioni più impopolari forte della logica del risultato finale da perseguire che già si era vista nella Ferrari dell’era Todt (però con la pretesa di insegnare agli altri come ci si comporta in merito) e un team che è capace di produrre uno sforzo tecnologico ed economico proprio quando serviva di più.

C’è da restare annichiliti e sgomenti anche guardando al 2019, consci che l’avversario sembra imbattibile e non sbaglia un colpo. E con una RBR che è sempre all’agguato e che potrebbe avere la PU Honda come arma per operare un definitivo salto di qualità, potendo già contare sul pilota più annunciato, più tosto e più benvoluto dai commissari Fia.

Detto ciò, ecco un’altra serie di notizie interessanti ci accompagnano verso l’appuntamento di Austin, circuito che non è la solita “tilkata” ma un collage, finalmente con un senso, di famigerate sezioni di altri circuiti da pelo sullo stomaco, come la sequenza Maggotts-Becketts-Chapel, il motodrome di Hockenheim e la curva 8 del circuito di Istanbul.

– Hamilton propone l’inversione della griglia per rendere interessanti i Gp più noiosi della stagione. Un altro passo verso la Formula wrestling?

– la FIA ufficializza il calendario 2019 che è una replica di quello del 2018. Con un deciso sdoganamento del tuning delle monoposto, che avranno le luci di posizione anche sulle paratie dell’ala posteriore

– la Williams ufficializza George Russel, prossimo campione della F2, come pilota per il 2019. Di sicuro Ocon e Kubica saranno altrettanto felici come il giovane inglese, più che altro per non dover guidare quella che nel 2018 si è dimostrata la peggior monoposto.

– I commissari Fia sanzioneranno i piloti che compiono un doppio spostamento in difesa della loro posizione in fase di tentato sorpasso da parte di un avversario. Cattiva notizia per Vettel? O Verstappen?

Tornando all’analisi delle variabili in pista, Pirelli non sceglie il salto di mescola per il Gp di Austin e propone soft, supersoft e ultrasoft, per un circuito dall’asfalto che non dovrebbe presentare eccessivi problemi di degrado anche se le mescole di quest’anno saranno di uno step più morbide rispetto a quelle del’anno passato. Nel 2017 la strategia migliore per chi partiva tra i primi 10 era la scelta di ultrasoft + soft, scelta che potrebbe essere copiata quest’anno ma che potrebbe anche vedere l’utilizzo della supersoft in Q2, per evitare di accorciare troppo il primo stint. Chi parte nelle retrovie potrebbe optare per la supersoft + ultrasoft, ma più probabile l’utilizzo della soft che offre maggiori garanzie in caso di sosta unica. Importante sarà gestire la frenata e la temperatura delle gomme nel rettilineo tra curva 11 e 12, oltre al possibile eccessivo scivolamento laterale nella sezione in contropendenza tra curva 2 e curva 10.

I tre top team questa volta si assomigliano nelle scelte con il solo Vettel a scegliere un treno di ultrasoft in più e il duo Red Bull che opta per un treno di supersoft più della concorrenza, con la sicurezza per tutti di poter provare adeguatamente passo e degrado di ogni mescola.

I team di seconda fascia e terza fascia hanno compiuto scelte più aggressive. Racing Point Force India, Williams e Sauber privilegiano le ultrasoft, Toro Rosso e Haas non pongono molta attenzione alla soft con Gasly e Grosjean, Renault copia Ferrari.

Fuori dal coro la McLaren che punta molto su soft. Da notare l’azzardo di Grosjean, Sirotkin , Gasly e Leclerc che hanno scelto un solo treno di soft.

Il meteo potrebbe riservare qualche sorpresa, con pioggia al venerdì e possibili rovesci al sabato e alla domenica, ma con percentuali sotto il 50%. Temperature piuttosto basse, difficilmente si supereranno i 20 gradi, con ovvie ricadute sulla gestione delle gomme.

Insomma, il palcoscenico sembra preparato per un’altra affermazione del duo Hamilton/Mercedes. Lo fanno supporre le ultime 4 vittorie di Hamilton su questo circuito e lo stato di forma della Mercedes. Ferrari è chiamata alla solita prova di orgoglio, quanto meno per ritrovare un po’ di ottimismo in vista del 2019, con Red Bull che sembra poter stabilmente impensierire la Scuderia e già proiettata all’anno prossimo, confortata dall’ottimismo dei tecnici Honda che si dicono sempre più vicini in termini di competititvità alle PU Ferrari e Mercedes, e “supportati” dalla decisione FIA di voler dare un ulteriore giro di vite all’utilizzo nelle qualifiche di olio nelle PU per ottenere un extraboost, grosso vantaggio per Ferrari e Mercedes e croce per la PU Honda.

Racing Point Force India continua il suo personale campionato che potrebbe anche portarla ad impensierire Renault e Haas per la vittoria del “gruppo B”. Si gioca in casa degli americani, potrebbe essere un vantaggio non da poco per la Haas. Anche Toro Rosso e Alfa-Sauber sono vicine nel punteggio, mentre McLaren e Williams aspettano solo che finisca il supplizio.

Rocco Alessandro

 

The Clinical Review – GP USA 2017

Ciao a tutti e benvenuti in questa nuova rubrica di F1 curata da me, Chris, sul Blog del Ring : The Clinical Reviewnella quale mi occuperò di analizzare con approccio “clinico” e mettere sotto la lente d’ingrandimento  i tanti spunti derivanti dal GP precedente con un occhio all’attualità, al GP successivo e al futuro.

Track detail.
United States Grand Prix, Circuit of the Americas, Austin, Texas, USA.

Il GP degli Stati Uniti è stato molto interessante, in quanto il particolare layout del tracciato e le temperature tutto sommato nella norma hanno permesso di delineare abbastanza chiaramente quale sia l’attuale situazione delle scuderie nel ranking mondiale, soprattutto perché negli scorsi eventi la mancanza nella lotta di testa di Ferrari (per varie vicissitudini) aveva causato dubbi sul potenziale delle vetture in questa ultima parte del campionato 2017.

Lewis Hamilton – Mercedes W08 EQ Power

Iniziamo subito col dire che la prima vettura del ranking in questo GP di Austin è la Mercedes W08 EQ Power #44 di Lewis Hamilton (precisazione doverosa dato che la vettura gemella sembrava non appartenere al team fresco fresco 4 volte Campione del Mondo ma piuttosto ad un team del midfield). La W08 è sembrata già dal venerdì a suo agio sul tilkodromo americano, complice l’esaltazione dei punti di forza dovuti a temperatura, layout e stato mentale del pilota. La Power Unit tedesca (unita ad un ottimo telaio ma non superiore alla concorrenza), come ormai da un po’ di tempo a questa parte, si è mostrata il quid che ha fatto la differenza sui competitors, grazie al fatto di aver sfruttato intelligentemente l’abominevole regola sull’olio entrata in vigore dal GP di Monza. Molto si è parlato dell’importanza dell’utilizzo dell’olio in queste PU: siamo passati da periodi in cui si esaltavano le doti in modo assurdo (ricordo un articolo in cui si parlava di un trafilaggio nei banchi Renault che aveva dato 70 cv di potenza) a periodi in cui si parlava di una manciata di cavalli totalmente “inutili”. Ma stanno davvero così le cose? A questo punto iniziamo ad analizzare i problemi che affliggono la Ferrari SF70H da qualche GP, che sono proprio dovuti dal ridotto uso dell’olio…

United States GP 2017 – Sebastian Vettel – Ferrari SF70H

Come penso già saprete e come hanno già spiegato in precedenza persone molto qualificate a riguardo, le PU soprattutto Mercedes e Ferrari, ma da qualche tempo anche Renault e Honda (a modo suo) utilizzano uno speciale metodo di combustione, denominato HCCI,  che permette di avere bassissimi consumi e alto rendimento, necessari a percorrere la maggior parte dei GP senza dover fare fuel saving e permette ad avere un’alta potenza specifica. Questo speciale metodo di combustione (testato e sviluppato da Mercedes dal 2007) usa una miscela aria/benzina magrissima, cioè con bassissimo contenuto di carburante rispetto alla quantità di aria. Senza entrare nei particolari tecnici del funzionamento di questo sistema che potete trovare altrove, vi dico qual è il principale problema che ha portato i motoristi all’utilizzo dell’olio come carburante: la detonazione, o comunemente chiamato sulle auto stradali “battito in testa”.

La detonazione: pre-accensione della miscela che riduce l’efficacia della scintilla e danneggia il motore.

Si definisce tale la “spontanea accensione della miscela combustibile (carburante)-comburente (ossigeno atmosferico) all’interno di motori alternativi a combustione interna ad accensione comandata, e il relativo rumore prodotto, non provocata dallo scocco della scintilla della candela”. Cosa significa? All’interno di un motore di F1, in cui si escludono errori progettuali (che si notano subito al banco prova) tipo disegno sbagliato della camera di combustione, candele sbagliate, benzine di scarsa qualità ecc, l’auto-accensione della miscela è dovuta alle alte temperature in camera, a loro volta dovute alla miscela magra che si utilizza (per facilitare la comprensione ricordate: miscela magra -> alte temperature in CdC; miscela grassa -> basse temperature). Perché allora utilizzare l’olio? All’interno dell’olio (in una F1) si possono utilizzare particolari sostanze “additivanti” che evitano questa pre-accensione, a tutto vantaggio della potenza, refrigerazione e affidabilità del motore. E perché non la benzina? Semplice: non tutti gli additivi sono consentiti dalla FIA nelle benzine (soprattutto gli organo-metallici, come il ferrocene utilizzato da Ferrari) e il quantitativo carburante è contingentato, mentre l’uso dell’olio (fino a prima della direttiva) no.

Kimi Raikkonen – Austin 2017 – Ferrari SF70H

In Ferrari, già da inizio anno, come in Mercedes da anni, era presente l’utilizzo dell’olio additivato perché permetteva di avere alta potenza in qualifica e soprattutto andava sostanzialmente a risolvere quasi tutti i problemi di consumi, temperature e vibrazioni che si manifestano sulle PU con sistema HCCI. Il resto della storia lo conoscete: la Fia riduce il quantitativo di olio a Ferrari (che ne usa di più di Mercedes per vari motivi) e pone un vincolo sulle PU 2017 Monza Spec e 2018; Mercedes sblocca la PU a Spa, evitando il vincolo; Ferrari per alcune vicissitudini interne dovute proprio alla direttiva emanata al GP di Baku è costretta a rivedere la PU, portandola in ritardo e beccandosi il vincolo sull’olio. Come si risolve? L’ho anticipato su Twitter nel post gara: Ferrari ha applicato una tecnica old school: ha aumentato la portata di benzina (chi si ricorda i turbo anni 80-90? Non solo di F1 eh..). Abbiamo visto che se la causa è la miscela magrissima, decidere di renderla leggermente più grassa evita la detonazione. Ma dove sta il rovescio della medaglia? Nei consumi! Nei 2 GP svolti con PU 4 Evo, sia Seb in Malesia, sia Kimi ad Austin, sono stati costretti ad un pesante fuel saving negli ultimi giri per finire il GP, dimostrando la veridicità dell’ipotesi sopra descritta. Questa scelta di Ferrari ha però permesso di recuperare circa 10-15 cv (gap di 30cv a partire dal GP di Silverstone) e di lottare quasi alla pari in ogni GP, “sfortune” permettendo.  Ovviamente il restante gap continua a pesare, non solo sulla velocità in qualifica o sui rettilinei, dov’è più evidente, ma anche sul setting aerodinamico, in quanto Ferrari sarà costretta (e lo è da oltre metà stagione su determinate piste) a scaricare le ali, quindi cercare un compromesso (cosa che Mercedes non fa..) e i risultati poi sull’utilizzo degli pneumatici si vedono (punto di forza invece della Ferrari pre direttive FIA). Nel 2018 la Fia ha ridotto ulteriormente il consumo di olio e ha imposto l’obbligo della singola specifica: cioè solo ad uso lubrificante e niente olio “speciale” tenuto in serbatoi “speciali”. Aggiungiamoci pure che le PU dovranno fare molti più km (solo 3 PU all’anno).. chissà cosa ne verrà fuori (stratagemmi furbi permettendo..)!

Daniel Ricciardo – Austin 2017 – Red Bull RB13

Il Gp degli Stati Uniti ha anche mostrato una Red Bull in crescita esponenziale, complice una grande evoluzione del pacchetto dal Gp di Ungheria (nuovo telaio) e una maggior comprensione del suo funzionamento. La mano di Newey si è vista tutta, con una Red Bull unica finora ad utilizzare un assetto rake molto spinto (caratteristica della, ahimè, Ferrari SF70H di inizio anno, poi “spompata” dalla FIA) grazie a delle sospensioni totalmente idrauliche a smorzamento controllato che sono il punto di riferimento in F1 e che esaltano il pacchetto su tutte le piste. Anche per Red Bull c’è un grosso handicap, cioè la PU: rottura per Ricciardo e sostituzione per Verstappen, alle prese anche loro con delle difficoltà di affidabilità. Almeno hanno il vantaggio di avere un sistema di recupero dell’energia al top come quello Mercedes..

Non tratterò, come avete capito, la questione “track limits” che invade i social in queste ore: il regolamento parla chiaro, ma la FIA come spesso, da molto tempo a questa parte, non ha uniformità di giudizio e si tira addosso polemiche per ogni azione che fa, giusta o sbagliata che sia.
COSA VEDREMO IN MESSICO?
Non voglio fare pronostici, perché le variabili sono talmente tante che è difficile prevedere l’andamento di un GP a priori. Posso dire però, a completamento del discorso precedente, che l’aria rarefatta porterà, dal punto di vista motoristico, ad un aumento delle pressioni del turbo per bilanciare la quantità di ossigeno mancante e al relativo aumento della quantità di carburante. Le PU, tra l’altro, saranno soggette a minor raffreddamento e quindi i team monteranno cofani con sfoghi aumentati.  Ci saranno particolari accorgimenti anche dal punto di vista aerodinamico: si monteranno ali ad altissimo carico (quasi Monaco Spec) e si raggiungeranno comunque velocità elevate; i team che usano l’assetto rake cambieranno anche i gradi di inclinazione: bisogna alimentare maggiormente di aria il diffusore per avere una quota di carico pari agli altri GP. Il particolare layout della pista (e le solite temperature) non dispiaceranno alla Ferrari e alla Red Bull, che, però, dovranno fare i conti con una Mercedes (e un Lewis Hamilton) “pompati” nel vero senso della parola…
Fra qualche giorno capiremo come stanno le cose…  per adesso alla prossima!!
Chris Ammirabile 

 

 

 

Hamilton fa la differenza in USA, Mercedes campione costruttori

Nella carriera di ogni campionissimo c’è un momento in cui lo stato di forma raggiunge il livello massimo. Probabilmente Lewis Hamilton si trova proprio in questo momento, a 10 anni esatti dal debutto e da un mondiale perso all’ultima gara di una stagione nella quale aveva fatto intuire quanto grande fosse il suo talento. Ironia della sorte, di fianco a lui sul podio oggi c’era, ancora vestito di rosso, colui che quel mondiale glielo sottrasse, e cioè Kimi Raikkonen.

Ma andiamo con ordine. Il venerdì avevamo già visto che in Texas non ce ne sarebbe stato per nessuno. Hamilton aveva dichiarato che si sentiva bene come non mai. E infatti il sabato ha stampato la ormai usuale pole. Nel frattempo il rivale per il mondiale continuava ad essere vittima di problemi tecnici, questa volta di telaio, ma poi piazzava la sua Ferrari in prima fila. E alla partenza ha bruciato Lewis dando l’illusione, per qualche giro, di potere far sua la gara. Ma solo di illusione si è trattato, perchè inesorabilmente l’inglese, con un sorpasso perentorio, ha ripreso il comando e lo ha tenuto indisturbato fino alla fine, gestendo magistralmente una gara basata su una sola sosta, ed essendo capace di mantenere un ottimo ritmo anche con le gomme soft. Come lui solo il buon Kimi è riuscito a gestire un solo cambio, pagando però dazio verso la fine, quando ha dovuto lasciare passare il compagno, complici problemi di consumo (immancabili quando Vettel lo sta avvicinando), per poi farsi superare a poche curve dal traguardo dall’arrembante Verstappen, poi letteralmente cacciato dalla saletta pre-podio causa penalizzazione per taglio di curva.

Ferrari seconda e terza, quindi, ritornando là dove è stata per tutta la stagione, e cioè dietro la Mercedes di Hamilton. Ma questa volta, come detto, la sensazione è che la differenza l’abbia proprio fatta il pilota inglese, se è vero che il compagno finlandese è sprofondato nel finale di gara al quinto posto, a causa di un pit stop non pianificato per sostituire le gomme soft che non aveva saputo gestire bene quanto Lewis.

L’impressione è che i disastri asiatici alla fine del mondiale non avranno fatto la differenza più di tanto, contro questa accoppiata. E che alla Ferrari manchi (e sia sempre mancato, durante la stagione) quel piccolo step di prestazione che le possa permettere di lottare per la vittoria in ogni occasione. Step che sembra avere decisamente fatto la Red Bull, che anche oggi ha mostrato, con Verstappen, un passo eccezionale, con quest’ultimo capace di rimontare dal sedicesimo al terzo posto (poi diventato quarto). Resta, come in alcune delle gare scorse, il dubbio di cosa avrebbe potuto fare Max se fosse partito nelle prime file (a parte creare grossi problemi alle macchine rosse, s’intende). E anche in questo caso c’è da chiedersi quanto ci sia del pilota e quanto della macchina in queste ottime prestazioni.

Oggi abbiamo visto delle bellissime lotte, a partire da quella fra Bottas e Ricciardo nei primi giri, capaci di fare lo snake fianco a fianco, e anche sorpassi spettacolari, primo fra tutti quello in curva 1 di Vettel su Bottas, durante il doppiaggio di Vandoorne. Come sempre, quando il circuito aiuta, e quello di Austin è indubbiamente uno splendido tracciato, i sorpassi si vedono.

Dietro i primi, a debita distanza, il solito Ocon seguito da Sainz, che ha riportato in alto la Renault dopo alcune gare decisamente opache, a dimostrazione del fatto che il pilota può ancora fare tanta differenza, specialmente per i team di seconda fascia (Force India docet). Ora anche Hulkenberg, oggi ritirato, si dovrà dare una mossa. Così come se la sono data Massa e Kvyat, arrivati al nono e decimo posto dietro Perez. Entrambi sono in odore di licenziamento (il secondo addirittura al rientro dopo un appiedamento provvisorio), e hanno ottenuto in Texas un risultato che deve fare riflettere chi ha in mano il destino dei loro contratti.

Fuori dai punti troviamo Stroll, autore di una pessima prestazione, nonostante il suo ingegnere personale, Baldisserri, sia stato elevato al ruolo di ingegnere di pista, poi Vandoorne e il debuttante Hartley. Pessima gara di casa per la Haas, coi due piloti sempre in grandissima difficoltà, e Magnussen capace di arrivare dietro alla Sauber guidata da Ericsson. Ritirato Alonso, il quale è evidentemente destinato, in terra americana, ad essere lasciato a piedi dal suo motore Honda.

Nel giorno in cui la Mercedes vince il mondiale costruttori, sul podio viene mandato James Allison, poco più di un anno fa cacciato con ignominia da Maranello. Un segnale significativo mandato ai rivali. E non dimentichiamo che un altro ex, Aldo Costa, oggi ha messo in bacheca il quarto titolo consecutivo di una macchina da lui disegnata.  Come si suol dire, meditate gente, meditate.

Ora si va a Città del Messico, in una città che si sta riprendendo dal terremoto di poco più di un mese fa. Non si può non chiedersi come sia possibile riprendersi in così poco tempo da eventi di questo tipo, ma i messicani avevano fatto subito sapere che ci voleva ben altro per metterli in difficoltà. La gara potrebbe definitivamente dare a Lewis il quarto titolo mondiale. Gli basterà non perdere più di 17 punti, cosa che al momento sembra impossibile. Più probabile è che questo mondiale, alla fine, assomigli a quello del 2013, quando Vettel nella seconda parte della stagione lasciò solamente le briciole all’avversario di turno, che anche all’epoca era la Ferrari, in quel caso però molto più lontana dalla Red Bull di quanto lo sia ora dalla Mercedes.