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2017 FORMULA 1 ROLEX AUSTRALIAN GRAND PRIX

driiiinnnnnnn…..driiiiinnnnnn…..driiiiiiinnnnnn….ecco la sveglia che ci ricorda che la nuova stagione è alle porte, si esce dal torpore invernale, da quell’angolo di noia senza gare, da quei momenti infiniti di lunghi dibattiti e teorie, quel valutare all’infinito ogni passaggio dei test, quel non riuscire ad analizzare il valore dei tempi, le forme e le soluzioni tecniche quasi diverse, ma che poi alla fine son tutte così simili, ed ecco comparire quel bisogno di vederli tutti e 20 su quella griglia…e VIA VIA VIA!!!!

2017, la stagione che cambia tanto, ma che forse non cambia molto, o forse invece anche troppo.

Ormai siamo ad un passo dal vedere quali saranno le reali prestazioni di queste nuove vetture dall’aerodinamica favolosa, con un carico aerodinamico, che permetterà di rivede dei giri folli, quel modo fantastico di affrontare il circuito, in cui pare che ogni curva sia l’ultima che deve percorrere un pilota.

In qualifica, molto probabilmente si vedrà un tempo inferiore all’1.20, vista la pole di 1.23.8 dello scorso anno, andando a frantumare il record del 2011 di Vettel, che è di 1.23.5.

Ma tuttavia ci sarà pur sempre da fare il conto con le PU nella gara, perchè le contingentazioni dei motori, portati a sole 4 unità per l’intera stagione, costringerà i team a dover sacrificarne un pò del loro potenziale. Per un team, già sappiamo che ci saranno potenze di una GP3, quindi aspettiamoci qualche bel team radio di Alonso, contro la Honda (non credo che le meritate frecciate ai Giapponesi, saranno opera del solo Fernando).

Ma tolto l’aspetto tecnico, sarà anche la prima stagione senza Bernie a muovere le trame della F1, con Liberty Media che gli ha dato il benservito. Questa è ad oggi, il più grande cambiamento per il circus, ma ad oggi, non è ancora chiara la direzione che hanno intenzione di far intraprendere al mondiale di F1. Si parla di più gare, si parla di eventi invernali extra campionato, si parla di più coinvolgimento per il pubblico, ma è ancora troppo fumosa la cosa. Apprezziamo intanto, la maggior libertà di ripresa e proposizione dei video, che hanno avuto i test.

Sul lato piloti, pare che le nuove vetture non abbiano trovato impreparato nessuno di loro. Fra le fila rosse c’è molto entusiasmo nel duo Vettel e Raikkonen, mentre Lewis sembra talmente sicuro di se, che pare quasi rilassato. Del resto chi metterebbe 2 cent su Bottas davanti a lui a fine stagione? Ed è difficile credere che la Ferrari abbia recuperato, se non sopravanzato, la Merz in un inverno.

In Red Bull aleggia il mistero, sia sul comparto vettura, dove in molti credono che domani si vedrà una monoposto del tutto diversa da quella dei test, oltre a una PU Renault, che è ancora più difficile da decifrare. Force India pare la più in palla, nel gruppo delle altre, con una Williams che forse ha cercato troppo i tempi, più che avere un vero potenziale per lottare al vertice (forse c’è più attesa, su quanti muretti prenderà Stroll) . Toro Rosso ed Haas, saranno da valutarsi nel corso della stagione, mentre Renault si lancia in molti proclami, sarà curioso analizzare lo sviluppo che avrà questa vettura. Per la Sauber, la magra consolazione sta nella certezza, che sarà difficile non tenersi dietro  la Mclaren, almeno fin quando il team di Woking avrà ancora le deludenti e scarsamente affidabili PU Honda.

Ma ora basta, ho già parlato troppo, andiamo a puntare le sveglie e via carichi, ad assistere alla nuova stagione.

GENTLEMAN…..START YOUR ENGINE!!! 😉

Davide_QV

Piccoli FRIC crescono

La stagione di Formula 1 che si appresta ad iniziare offre parecchi spunti di riflessione su molteplici piani.
Uno dei cambiamenti meno evidenti e più radicali consiste nella parte dei freni.
Un cambiamento non dovuto al solo fatto che le monoposto avranno minori velocità di punta in rettilineo e maggiori in curva.
Ma la maggiore impronta a terra delle gomme e il maggiore carico aerodinamico farà sì che gli spazi di frenata vengano ridotti.
Ricordiamo a tal proposito che una monoposto da competizione non frena come una macchina qualsiasi ma, sfruttando il fatto che la deportanza diminuisce drasticamente con la velocità, la frenata tende ad essere più violenta possibile nei primi istanti per poi lasciare la parte di modulazione quando la velocità e quindi il carico sono diminuite quel tanto da rendere la tenuta di strada prevalentemente appannaggio delle coperture.
Frenate più brevi e più violente, quindi.
E con le vetture che peseranno maggiormente a causa del nuovo limite minimo, delle gomme ad impronta più ampia e quindi più pesanti e della quantità aumentata di carburante, i trasferimenti di carico saranno ancora più forti fra avantreno e retrotreno in fase di frenata e successiva accelerazione.
E qua entra in gioco la stabilità cinematica della vettura e come le sospensioni riescano o meno a tenere il corpo macchina più stabile possibile.

Finalmente arriviamo al sistema Mercedes che utilizza una barra di torsione controllata automaticamente con un sistema che tiene conto dell’altezza della macchina da terra ad ogni dato instante e, via inerziale, se la vettura sta percorrendo una curva rapida o una lenta, se è in piena velocità o se in staccata.
Il regolamento tecnico proibisce espressamente una interconnessione fra le sospensioni anteriori e posteriori e ad incrocio (anteriore sinistra con posteriore destra, e vice versa) ma non vieta la comunicazione diretta fra la parte destra e sinistra dell’asse anteriore o posteriore.
Un esempio lampante di questa connessione è l’I-damper originariamente ideato di Phil Mackereth in McLaren ed oggi utilizzato praticamente dall’intero campo dei partenti in Formula 1.
Nel caso del sistema Mercedes oltre al noto sistema ci sarebbe una barra di torsione con un grado di rigidità variabile a seconda delle condizioni dinamiche in cui si trova la monoposto.
Ovviamente il regolamento tecnico impedisce qualsiasi trasferimento di energia al circuito che quindi deve essere chiuso.
Non impedisce, però, una connessione con molle di ancoraggio che, se opportunamente calibrate, possono agire come regolatori dell’intero sistema.
Proprio la calibrazione molto lunga e laboriosa di questo sistema pare sia stato il motivo principale delle sessioni di test pressoché infinite che hanno messo in pista gli uomini di Brackley ad inizio della scorsa stagione.
E pare che sia stato questo lo scoglio principale che ha fermato per buonissima parte della stagione appena conclusa i tecnici di Milton Keynes: gli unici che, sia dato sapere, hanno ideato qualcosa di simile al sistema messo in pista da Mercedes.
Ferrari ha chiesto espressamente un chiarimento sulla liceità dell’intero sistema ma stante l’avanzato stato di sviluppo della propria monoposto e stante i tempi biblici che paiono essere necessari per la corretta calibrazione dei delicati equilibri dinamici, questa richiesta più che altro pare una abile mossa di disturbo nei confronti degli avversari.
Certo un sistema che possa abbassare la vettura nei rettilinei facendo chiudere il flusso verso l’estrattore quindi con un netto vantaggio sulle velocità di punta, salvo poi rialzarla a piacimento nei tratti guidati pare un vantaggio a cui nessuno può rinunciare.
E che di certo nessuno vuole regalare ai propri avversari.

Peter Collins, il destino di un cavaliere

“Eravamo tutti coscienti il giovedì, quando andavamo via da casa, che forse non saremmo rientrati la domenica, lo sapevano anche le nostre famiglie. Eravamo pazzi, eravamo piloti del Gran Premio, erano una posizione e un privilegio unici”. Lo disse l’ex ferrarista Patrick Tambay alcuni anni dopo la fine della propria carriera, con i capelli grigi e la consapevolezza di avercela fatta, di aver sconfitto il nemico più insidioso. Il francese non era pazzo, come tanti suoi colleghi era animato da una passione che lo spingeva ogni volta a mettersi al volante con la consapevolezza del fatto che la morte facesse parte del gioco, un pensiero che per molti oggi potrebbe apparire folle ma che per loro non lo era affatto e ancora meno lo era per i Cavalieri del rischio che negli anni cinquanta scrissero i primi capitoli della storia della Formula 1, lasciando ai posteri pagine in bianco e nero di racconti e aneddoti indimenticabili.

Capelli biondi, sorriso da copertina patinata, sposato con l’attrice Louise King: potrebbe sembrare l’introduzione per un divo di Hollywood, ma a Peter John Collins piacevano le macchine da corsa e il suo mestiere era quello del pilota: nato a Kidderminster nel 1931, suo padre possedeva una società di trasporti e un garage, aspetti che probabilmente favorirono la sua conoscenza delle auto, che presto divennero una grande passione per il giovane Peter, capace di guadagnarsi un test drive a Silverstone che gli fruttò un contratto sia con Aston Martin che con HWM. Mentre in Formula 1 la sua carriera stentava a decollare, in altre competizioni riuscì a far emergere il proprio talento, al punto da convincere un pilota del calibro di Stirling Moss ad ingaggiarlo per la Targa Florio del 1955, competizione che tra l’altro i due si aggiudicarono. Nel 1957, anno in cui il compagno di squadra Castellotti perse la vita durante un test, venne affiancato alla Ferrari dall’amico Mike Hawthorn, un altro personaggio dallo stile inconfondibile, con il fare elegante e quel papillon con cui era solito correre; dal 1958, con l’ottima 246 F1, i due potevano pensare seriamente al titolo, da contendere alla Vanwall di Moss e al compagno di squadra Musso. Nel team non c’era una prima guida e nacque un’intensa rivalità sportiva, l’allora fidanzata di Musso dichiarò addirittura che i due inglesi si accordarono per dividersi i premi in caso di vittoria di uno dei due, per motivarsi a stare davanti al pilota italiano.

Luigi Musso era considerato uno dei piloti più promettenti dell’epoca e la sua stagione iniziò nel migliore dei modi, con due secondi posti a Buenos Aires e Montecarlo poi, dopo due gare deludenti, si arrivò a Reims dove purtroppo tuttò ando storto: il pilota italiano partì secondo alle spalle di Hawthorn che prese il largo, il ritmo di gara era tiratissimo, Musso non ne voleva sapere di lasciarlo scappare, ma al decimo giro uscì di strada alla Curva del Calvaire e finì nel fossato, venne trasportato in ospedale con ferite alla testa molto gravi, troppo, per lui purtroppo non ci fu nulla da fare, aveva 34 anni ed era la seconda vittima di quella stagione dopo Pat O’Connor, deceduto a causa di un incidente al via della 500 miglia di Indianapolis, allora in calendario iridato. La gara proseguì e Hawthorn vinse agevolmente compiendo tra l’altro un gesto nobile: poco prima del traguardo raggiunse Fangio ma rallentò e gli consentì di transitare prima di lui per evitargli l’onta del doppiaggio, una mossa semplice ma dal grande significato, anche perché per l’asso argentino fu l’ultima presenza: a fine gara infatti tornò ai box, guardo i suoi meccanici e disse semplicemente “è finita”. A quasi 50 anni e con cinque mondiali in tasca decise che ne aveva abbastanza.

Il gesto di rispetto dell’elegante pilota inglese nei confronti di Fangio a Reims esemplifica quanto fossero “umani” i romantici condottieri degli anni cinquanta, e a rendere ancor più l’idea di questo aspetto è un fatto accaduto proprio all’amico di Mike, ovvero Peter Collins, motivo per cui è necessario tornare al 1956. In quella stagione la Ferrari schierò la D50, vettura progettata dalla Lancia, la quale si ritirò dal mondiale e cedette tutto alla casa del Cavallino in seguito alla tragica scomparsa di Alberto Ascari, avvenuta l’anno precedente a Monza mentre il pilota era intento a provare una vettura Sport. I piloti di punta di Maranello per quella stagione sarebbero stati Luigi Musso, proveniente dalla Maserati, Eugenio Castellotti, il grande Juan Manuel Fangio e il giovane Collins, “fiutato” da Enzo Ferrari nonostante fino a quel momento non avesse ancora ottenuto punti iridati. Il Drake voleva in squadra un campione di razza ma non amava Fangio, che in un’epoca dove una stretta di mano valeva più di contratto era invece molto preparato e attento politicamente, tanto abile in pista quanto nella scelta della vettura e del contratto migliori, al punto da riuscire a strappare ad Enzo Ferrari condizioni fino ad allora mai prese in considerazione. Ben diverso il rapporto del Grande Vecchio con l’inglese Collins, cui venne addirittura regalata una bellissima 250GT; ora che correva per Maranello avrebbe dovuto mettere da parte la Lancia Flaminia con cui era solito circolare.

Il mondiale prese il via e in Argentina furono Fangio e Musso a vincere, dividendosi auto e punteggio (all’epoca il regolamento lo permetteva), situazione analoga a quella di Montecarlo dove a condividere il secondo posto alle spalle di Stirling Moss furono Fangio e Collins, che presto diventarono inaspettatamente rivali in quanto l’inglese, dopo la 500 miglia di Indianapolis, calò un bis di vittorie a Spa e Reims, cui l’argentino rispose con i successi a Silverstone e al Nurburgring; si arrivò quindi all’ultima gara, da disputarsi a Monza, con entrambi i piloti in lizza per il titolo e con un terzo incomodo molto pericoloso: Stirling Moss. Iniziò il Gran Premio: sul velocissimo circuito brianzolo, che all’epoca comprendeva sia il tracciato classico che l’anello ad alta velocità, si viaggiava ad oltre 200Km/h orari e causa la tenuta precaria di gomme e vetture non mancarono soste ai box e uscite di strada: Musso e Castellotti tentarono di prendere il largo, poi fu Fangio a passare in testa, ma prima venne superato da Moss e infine fu costretto a fermarsi per noie allo sterzo; con un pretesto venne richiamato ai box Musso per cedere la vettura all’argentino, ma il pilota italiano ripartì subito senza ubbidire alle direttive del team. Peter Collins era ancora in pista e con Fangio fuori dai giochi aveva concrete possibilità di conquistare il titolo, ma ad un certo punto rientrò ai box, scese dall’auto e fece cenno di salire al compagno di squadra, che partì immediatamente lanciandosi con successo all’inseguimento di quel titolo mondiale che sembrava ormai essergli sfuggito, una situazione ideale anche per Enzo Ferrari che dimostrò ancora una volta al suo pilota che la vittoria del campionato arrivò soprattutto grazie alla propria squadra.

A proposito si aprì un dibattito: alcuni nello staff di Maranello dissero in seguito che fosse stato Enzo Ferrari dietro le quinte ad organizzare e gestire la situazione, mentre il manager di Fangio sostenne invece di aver fermato personalmente Collins e che questi accettò l’ordine. La versione “ufficiale” rimase comunque quella dei piloti: Fangio, sempre riconoscente per il gesto del giovane amico, ammise con sincerità che a parti invertite nulla al mondo sarebbe riuscito a toglierlo dalla propria auto per lasciarla ad un collega,  Collins dichiarò invece di aver preso quella decisione serenamente: disse semplicemente a Fangio,  “Guarda, è più giusto che sia tu a vincere questo mondiale, io sono giovane e avrò altre occasioni”. Purtroppo non andò così.

Collins correva anche fuori dalle piste: amante delle donne e della bella vita, conobbe l’attrice Louise King e se ne innamorò a prima vista, due giorni dopo il primo appuntamento la portò in un Hotel a Miami e le chiese la mano, con celebrazione avvenuta una settimana più tardi tra lo stupore di famiglie e amici. In quel periodo stava spostando la propria attenzione anche su altri aspetti esterni alle corse, come il progetto di una nuova casa e alcuni investimenti tra i quali l’ambizione di aprire una concessionaria Ferrari insieme al padre, traslocò inoltre da Maranello andando a vivere con la moglie di uno yacht a Montecarlo, scelta che il Drake non apprezzò. La carriera di Collins proseguì con un deludente 1957 mentre Fangio passò in Maserati e, ironia della sorte, vinse il suo quinto e ultimo titolo mondiale, contrariamente alle previsioni dell’ex compagno di squadra, nonostante l’età ebbe un’ultima occasione iridata.

Torniamo al 1958: superato lo shock per la scomparsa di Musso, Collins non poteva certo dirsi soddisfatto del proprio rendimento fino a quel punto della stagione, con un solo podio e qualche ritiro di troppo, mentre Hawthorn sembrava involarsi sempre più deciso verso l’iride. Nel gran premio di casa fu però Collins a imporsi con un netto vantaggio sul compagno di squadra, anche se la classifica vedeva i due distaccati di 16 punti con sole quattro gare da disputare, quattro battaglie da vincere a partire dal primo scontro diretto: la temibile Nordschleife, più di nove minuti di curve e cambi di pendenza tra prati, colline e alberi, un inferno verde. Il 3 agosto del 1958 Collins partì quarto e si lanciò come una furia all’inseguimento del leader Brooks, ma nel corso del decimo giro uscì di pista a Pflanzgarten davanti agli occhi di Hawthorn schiantandosi contro un albero; morì poco dopo, a 27 anni, durante il trasporto in ospedale. Mike Hawthorn rimase sconvolto, tanto che subito dopo aver vinto il titolo mondiale annunciò il proprio ritiro dalle corse, in una stagione maledetta che pagò un ultimo tributo di sangue con la scomparsa di Lewis Evans nella prova conclusiva disputata in Marocco. Hawthorn era atteso a sua volta da un tragico destino: morì pochi mesi più tardi in un incidente automobilistico. Alcune fonti parlano di un sorpasso finito male mentre era intento a sfidarsi in strada con Rob Walker, signore del Whisky, e anche se le indagini non chiarirono definitivamente l’accaduto la versione è accettata e tramandata da tutti, forse perché rende l’idea di Hawthorn scomparso mentre faceva ciò che amava, correre in macchina, proprio come Collins.

Quel titolo regalato Collins non riuscì mai a conquistarlo, ma il suo gesto è di quelli che eccitano la fantasia popolare e vengono tramandati come un poema epico, si tratta di un episodio più unico che raro di sportività, amicizia e generosità, ma ai fan della Formula 1 non piacciono solo i bravi, amano tutte le storie che da sempre riguardano i propri beniamini: i sogni infranti di chi ha perso la vita inseguendo un sogno, il coraggio di chi torna in pista quaranta giorni dopo un rogo terribile e poche settimane più tardi ammette di avere paura sotto un diluvio ai piedi del monte Fuji, la passione di chi è disposto a correre su tre ruote tentando di vincere un Gran Premio, quella di chi sviene spingendo una macchina, fino a quelli che pur di surclassare un rivale o un compagno di squadra odiato, temuto e rispettato, hanno spinto sull’acceleratore fino ad accompagnarlo nella sabbia o contro un muretto.

Forse Tambay aveva ragione, erano pazzi,  ma è proprio quella pazzia radicata nel dna dei Cavalieri del rischio ad aver reso la Formula 1 uno sport così popolare e c’è un fattore indispensabile che la F1 2.0 ossessionata dallo share e dallo show ha completamente dimenticato, ciò che nel bene e nel male, con pregi e difetti, entusiasmava davvero i tifosi del Circus dei Gran Premi: l’uomo.

Mister Brown

Un colpo solo

“Un colpo solo”  – Christopher Walken durante la roulette russa che fungeva da epilogo de “Il cacciatore”, capolavoro di Michael Cimino.

Un pilota può avere diverse occasioni più o meno importanti, ma ci sono momenti decisivi che in una carriera possono anche capitare una volta sola, specialmente quando si parla della possibilità concreta di vincere un titolo mondiale, quel momento  che può diventare una roulette russa, un istante dove l’auto, il motore, le gomme, un rivale particolarmente ostico oppure i propri nervi diventano come proiettili: ne basta uno e il sogno svanisce.

“E cosa vuoi tu?” “Il mondo chico… e tutto quello che c’è dentro…”

Al Pacino – Scarface

Ogni pilota che si rispetti punta al massimo e vuole arrivare in alto. Clay Regazzoni era votato all’attacco, correva l’anno 1970 quando a 31 anni dominò l’europeo di Formula 2 e arrivò alla massima categoria dell’automobilismo. Dopo una manciata di gare, a Monza vinse un Gp dai ritmi tiratissimi mettendo in riga Stewart, Beltoise, Hulme e Stommelen, poi grazie ad altri piazzamenti di rilievo arrivò fino al terzo posto in classifica generale nonostante avesse saltato cinque gare, alle spalle di Rindt (deceduto proprio a Monza ma comunque campione) e a un passo dal compagno di squadra Ickx. Con un avvio così prorompente ci si aspettava che potesse arrivare presto al titolo, ma la casa del Cavallino stava affrontando un periodo di crisi e non riuscì a mettere in pista una vettura competitiva, pertanto nei due anni successivi lo svizzero dovette accontentarsi di alcuni podi e poche soddisfazioni, decidendo di cambiare aria alla fine del 1972, stagione in cui debuttò un altro trentenne veloce e promettente: l’argentino Carlos Reutemann, autore della pole al Gran premio d’esordio, impresa rarissima nel Circus.

Regazzoni passò alla decaduta BRM ma dopo una sola stagione fu richiamato dalla Ferrari, che con Luca Cordero di Montezemolo e l’Ing. Mauro Forghieri stava gettando le basi per uno straordinario ciclo vincente: Clay consigliò ad Enzo Ferrari l’ingaggio del compagno di squadra Niki Lauda, ignaro del fatto che l’austriaco sarebbe diventato una macchina da guerra inarrestabile e che presto lo avrebbe costretto ad essere una seconda guida. Che la Ferrari non fosse più relegata al ruolo di comparsa divenne chiaro da subito e al giro di boa del mondiale 1974 alle spalle del leader Fittipaldi si trovavano proprio Lauda (4 pole e 2 vittorie) e Regazzoni, ancora a secco di successi ma più costante dell’austriaco; poi al Nurburgring arrivò anche il momento del ritorno sul gradino più alto del podio per Clay,  cui seguì un altro piazzamento che lo portò a quota 46 punti, contro i 41 di Scheckter, i 38 di Lauda e i 37 di Fittipaldi.

“Chiunque al mondo può perdere un incontro”

Morgan Freeman – Million Dollar Baby

A tre gare dalla fine la classifica poneva dunque Regazzoni come favorito, ma a Monza il motore Ferrari lo tradì e a Mosport non andò oltre ad un secondo posto alle spalle di Fittipaldi, che lo raggiunse in classifica; la questione si sarebbe dunque risolta a Watkins Glen, in un contesto surreale dato che dopo dieci giri di gara Koinigg uscì di strada e fu orrendamente decapitato dal guard rail ma la vettura non venne rimossa. The Show must go on, la Formula 1 in tutto il suo cinismo. Reutemann conquistò la pole e vinse agevolmente la gara davanti al compagno di squadra Pace mentre per Regazzoni fu un calvario: partito nono alle spalle di Fittipaldi, iniziò progressivamente a rallentare tanto che si formò un trenino alle sue spalle, tentò un disperato cambio gomme al 15esimo giro ma la situazione non migliorò, pare per un problema alla sospensione, stesso guaio che costrinse al ritiro Lauda. Clay si classificò undicesimo a quattro giri dal vincitore e a Fittipaldi bastò così un quarto posto per vincere il titolo, in Ferrari prese poi il sopravvento Lauda, che vinse il mondiale nel 1975 lasciando solo le briciole a Regazzoni, il quale colse uno straordinario Grand Chelem a Long Beach nel 1976, anche se i rapporti con il team erano ormai deteriorati. A peggiorare la situazione una frase sibillina di Enzo Ferrari che lo definì, dopo una sua apparizione televisiva, «Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota», espressione non gradita al pilota, che inoltre nel finale di stagione non fu ritenuto sufficientemente efficacie nel contrastare l’avanzata di James Hunt durante la convalescenza di Lauda (il pilota era invece convinto di non essere stato supportato dal team). Avvenuto l’inevitabile divorzio dalla Ferrari trascorse un paio d’anni nelle retrovie con la Ensign e la Shadow, prima di passare alla Williams, dove con l’arrivo della FW07 colse la prima storica vittoria per il team inglese, oltre a quattro podi, risultati che non gli garantirono la conferma in quanto Frank Williams aveva deciso di puntare su Alan Jones e su quel Carlos Reutemann che già lo aveva rimpiazzato alla Ferrari. Tornato alla Ensign, dopo un inizio di stagione deludente i suoi sogni si infransero definitivamente sul pericoloso tracciato cittadino di Long Beach: nel corso del 51esimo giro la Ensign andò dritta causa la rottura dei freni e centrò in pieno la Brabham di Zunino parcheggiata a lato della pista, finendo poi contro il muretto: il pilota fu estratto dopo mezz’ora in gravi condizioni. Avrebbe avuto salva la vita, ma non la possibilità di tornare a camminare, Clay cuor di leone di strada ne fece comunque ancora tanta.

“Coinvolge un bel po’ di persone  collegate da un evento insignificante, una soffiata nella notte…”

Bruce Willis – Slevin

Il grande sogno Ferrari spezzato dalla classe di Lauda e il tentativo di rilancio con una Williams già orientata al proprio pilota di punta Alan Jones, la sceneggiatura di un ipotetico film su Regazzoni che ha ben più di un punto in comune con la storia di Carlos Reutemann, già apparso come attore non protagonista nella carriera del collega.

Pilota di classe e talento ma dal carattere instabile, l’argentino si era fatto in strada in Formula 1 con la Brabham, scuderia con cui ottenne quattro vittorie e due partenze al palo prima di ricevere un’offerta di quelle che non si rifiutano, quella di Enzo Ferrari, che lo contattò per rimpiazzare Niki Lauda, convinto che l’austriaco non sarebbe più stato in grado di correre dopo l’incidente. Reutemann si liberò soltanto a Monza, dove vennero schierate tre rosse, poi si sedette in panchina subentrando dal 1977 al posto di Regazzoni e con l’ipotetico ruolo di prima guida in quanto a Maranello l’epicità di Lauda al volante dopo 40 giorni dal rogo del Ring aveva lasciato il posto all’immagine della resa al Fuji che gli costò il titolo, quella di un uomo impaurito e forse segnato per sempre da quell’evento. The Show must go on, la Formula 1 in tutto il suo cinismo, parte seconda.

La trama ebbe un risvolto inatteso: Reutemann si portò subito in testa al mondiale ma già al terzo Gp a Kyalami, in una gara segnata dalla terribile tragedia di Pryce, colpito dall’estintore di un incauto commissario, purtroppo investito e deceduto a sua volta, Lauda vinse avviando una lunga serie di risultati che gli fruttarono il secondo titolo, con Reutemann spettatore e prigioniero delle proprie incertezze; in tal senso fu emblematico un filmato estratto da un test Ferrari nel quale l’argentino venne pesantemente ripreso da Forghieri in quanto incapace non solo di reggere il passo di Lauda, ma anche di ripetere i propri tempi, rimprovero cui il pilota rispose allargando le braccia e con un malinconico “io non lo posso fare”, segnalando problemi che i meccanici non riuscivano a capire.

Lauda vinse il mondiale e se ne andò sbattendo la porta, mentre Reutemann restò ancora un anno in cui fu protagonista di una stagione di altissimo livello, anche se non poté nulla contro le inarrivabili Lotus, team con cui corse l’anno seguente nel disperato tentativo di inseguire il mondiale, ma la vettura non resse il passo della concorrenza e il titolo, ironia della sorte, tornò proprio a Maranello, nelle mani di Scheckter; a quel punto l’argentino puntò sulla Williams, dominatrice del finale di stagione con Regazzoni e con Alan Jones, ormai consolidata prima guida del team.

“Prima regola del Fight Club, non parlate mai del Fight Club”

Brad Pitt – Fight Club

Reutemann avrebbe constatato personalmente il peso politico e il carattere del ruvido Alan Jones alla corte di Frank Williams attraverso un corpo a corpo che finì per logorargli i nervi. Il primo anno nel team seguì i piani con Jones campione e Reutemann fedele scudiero, poi l’argentino decise che doveva essere arrivato il suo momento e durante il secondo Gp del 1981 passò Jones e vinse senza curarsi degli ordini di scuderia: nel team si creò un forte imbarazzo e l’austrialiano la prese malissimo, tanto da non presentarsi nemmeno sul podio. Secondo a Buenos Aires, terzo a Imola e di nuovo primo a Zolder, a quel punto Reutemann aveva 12 punti di vantaggio su Piquet, mentre dopo il Gp d’Inghilterra il margine salì a +17 con sole sei gare da disputare. Proprio quando il titolo sembrava una formalità Piquet iniziò a recuperare, anche se a Monza fu costretto al ritiro mentre Reutemann litigò con il team, che non ordinò a Jones di farlo passare in ottica campionato; nel successivo appuntamento a Montreal l’australiano rifilò addirittura una ruotata al compagno di squadra che con l’auto danneggiata chiuse decimo e a Piquet bastò un quinto posto per portarsi ad un solo punto dalla vetta. Come avvenuto per Regazzoni nel 1974, anche la roulette russa di Reutemann si sarebbe tenuta negli Usa, dove il maestoso circuito del Glen era stato rimpiazzato da un circuito provvisorio allestito nel parcheggio del Caesar’s Palace Hotel.

“La regola fondamentale è di farli continuare a giocare e di farli continuare a tornare. Più giocano e più perdono.”

Robert De Niro – Casinò

A Las Vegas Reutemann conquistò la pole position ma non era tranquillo: durante il warm up lamentò problemi che i meccanici non riuscirono a individuare, come in quel test Ferrari in cui Forghieri gli chiedeva invano di andare più forte, inoltre in griglia di partenza aveva al proprio fianco Alan Jones, che ovviamente non valutò nemmeno per un istante l’ipotesi di coprirlo ma anzi, lo bruciò al via e prese la testa della corsa, mentre l’argentino iniziò a perdere posizioni scivolando fuori dalla zona punti fino ad un anonimo ottavo posto. Piquet era stremato dal caldo ma riuscì a terminare al quinto posto, piazzamento che gli consentì di laurearsi campione per la prima volta, venne estratto dalla vettura ormai senza forze e salì sul podio dove trovò un sorridente Alan Jones, che si fece beffe di Reutemann dichiarando che ormai poteva solo competere per Miss Argentina. Carlos annunciò il ritiro, poi ci ripensò e si presentò al via del 1982 debuttando con un ottimo secondo posto a Kyalami, ma in seguito ad un incidente con Arnoux in Brasile e soprattutto causa le tensioni politiche tra il suo paese e l’Inghilterra, Patria del team per cui correva, decise di tornare a casa per occuparsi dei propri terreni; al termine di una stagione segnata da colpi di scena e tragedie il mondiale lo vinse la Williams con il promettente Rosberg ed è lecito pensare che il più esperto Reutemann avrebbe potuto dire la sua, ma ormai erano già passati i titoli di coda, nessun rimpianto.

“Non c’è cosa peggiore del talento sprecato” 

Robert De Niro – Bronx

Si può parlare di talento sprecato raccontando la storia di due piloti di successo che hanno vinto, guadagnato e messo in pratica la propria passione fino al massimo livello? Sicuramente no, infatti è una forzatura, semplicemente ci sono colleghi di talento uguale o inferiore che hanno vinto il titolo perchè il loro colpo era quello buono, anche se il titolo ovviamente non è tutto nella carriera di un pilota. Carlos Reutemann ha partecipato a 146 GP iridati e ha collezionato 6 pole, 12 vittorie e 4 giri più veloci in gara, a chi sottolineò quel traguardo solo sfiorato Carlos rispose così: “quando penso a quello, ricordo che prima dovevo cavalcare per andare a scuola e da lì ero arrivato ad essere un pilota di Formula 1: questo risultato non me lo potrà mai togliere nessuno.”

Clay Regazzoni ha preso il via in 132 GP iridati, con 5 pole, 5 vittorie e 15 giri più veloci in gara. Mai domo, dopo l’incidente continuò a correre inventando personalmente alcuni sistemi di guida per ausilio disabili, diventò pure promotore dell’inserimento dei disabili nello sport e rappresentante della Federazione Italiana Sportiva Automobilismo Patenti Speciali. Perse la vita il 15 dicembre del 2006, stroncato da un malore mentre percorreva l’autostrada A1 e lasciando grandi rimpianti in un ambiente che ne aveva apprezzato anche le doti umane. Lauda disse di lui: “Pensando positivo e vivendo sempre fino in fondo tutte le esperienze, Clay mi ha insegnato ad amare la vita. Il gusto della vita l’ho imparato proprio da lui e dopo il mio incidente il suo insegnamento è stato ancora più prezioso. Perché se c’era un talento di Clay superiore agli altri questo era il suo pensare positivo.”

Le storie di Clay e Carlos sono le storie di due piloti e soprattutto di due uomini, con pregi, difetti e debolezze di ogni essere umano, non c’è un vero e proprio lieto fine, ma è tipico di tanti film d’autore il finale amaro, o agrodolce nella migliore delle ipotesi. La Formula 1 che mandava in scena trame epiche, belle e drammatiche degne dei migliori sceneggiatori è ormai un lontano ricordo, ma i grandi classici del passato, quelli non li dimenticheremo mai.

“È stata una bella storia, Beh, io spero che vi siate divertiti”

Sam Elliot – Il grande Lebowsky

Mister Brown

l’istante, l’evento, oppure la scintilla che…..

L’istante, l’evento, oppure la scintilla che….ha scatenato in voi la passione per i motori.

Io sono uno, che non ha un ricordo di quando i motori gli sono entrati dentro, perchè so solo di aver sempre avuto una dannata attrazione per i mezzi a motore, siano essi auto, come camion, moto, autobus, aerei e quant’altro possa avere una propulsione che lo faccia andare. Non è solo voglia di salirci sopra e andare, sfidare le curve e i limiti del mezzo, ma anche solo guidarla senza una meta e godersi il canto del motore, assieme a un bel panorama, oppure stare li ore ed ore, semplicemente ad ammirarle nella loro bellezza o tecnica.

Già, questa volta non voglio fare un’articolo storico, nemmeno un resoconto o una fredda analisi, ma voglio parlare di ciò che è la nostra passione per la F1 e per il mondo dei motori, per parlare di noi, e capire da cosa e quando nasce.

Mia mamma racconta sempre che le mie prime parole furono, brum brum e cam cam, detti con più o meno enfasi, a seconda di quanto stupore generassero in me le auto e i camion. Il brum brum aveva più o meno enfasi, tanto quanto era lo stupore e la bellezza che mi suscitavano, mentre per i camion c’era il cam cam, che anch’esso variava d’intensità come per le auto. Si lo so, già allora qualche segno di squilibrio mentale lo davo e il passare degli anni non ha attenuato la cosa.

Ma cosa potevate pretendere, da uno che al posto del topolino, rubava l’autosprint al papà per vedere le macchine, iniziando da li ad affascinarmi per quelle da corsa, che erano così belle e cattive, con i loro spoiler, gli allargamenti, le ruote scoperte ed i loro colori e adesivi. E poi il babbo Ferrarista, che non si perdeva un gp manco per sbaglio, ed eccomi a seguire il funambolo Canadese.

Eh si, quel Gilles, quello che per me pareva un supereroe, quel pilota che pareva poter far di tutto con la sua auto, tanto che anche in quel dì a Zolder, io mi convinsi che avrebbe potuto controllare la sua auto impazzita mentre volava in aria.

Quello fu il mio primo shock del mondo delle corse, del quale ricordo ancora oggi ogni istante di cosa feci quel giorno, nonostante i miei 6 anni, turbandomi talmente tanto, da non voler più seguire le gare fino al 1988, quando mio papà mi portò a vedere il mio primo gp di F1, dal vivo, a Imola. Già, era il 1° maggio del 1988, con le McLaren che doppiavano tutti, ma non importava, rimanevo incantato al passaggio delle auto, dal loro suono, dalla loro accelerazione…..era tutto così magico e da li iniziò, la mia passione irrefrenabile per la F1, le sveglie nella notte per vedere un gp, anche se mia mamma me lo proibiva.

Ma fra l’82 e l’88, non ero rimasto a digiuno di motori, perchè già al tempo mi soffermavo le ore a guardare la Porsche del babbo, poi venduta per una Opel Rekord con cui si facevano tutti i viaggi di famiglia, o la gtv 2.000 del vicino, o le varie auto pazzesche che c’erano in paese. (parliamo della zona del triangolo della sedia, dove in quel periodo, di soldi ne giravano tanti, con le Ferrari o altri marchi di lusso che non mancavano mai).

Ma a me, non serviva ammirare solo quelle auto stracostose, mi bastava anche andare a vedere il demolition derby, o l’autocross, per poi finire a Rivolto o Aviano a godere lo spettacolo di un airshow, con gli occhi incantati e meravigliati dalle magie che i piloti compiono nell’aria, quel mix di stupore e ammirazione, che provo ancora oggi nel vederli.

Già, perchè in me c’era e c’è sempre, il gusto di guardare e sviscerare ogni dettaglio del gesto tecnico, il cercare di capire come riescano nei loro numeri, sognando un giorno di poterlo fare anch’io, oppure provandoci, indossando un casco e scendendo in pista.

Ma allo stesso tempo, provo anche il piacere di prendere qualcosa e iniziare a modellarmelo a mio piacimento, sul mio gusto di guida,oltre che nell’estetica, perchè un mezzo di mio possesso, non può essere solo prestazionale o solo bello, ma deve avere il mix di entrambi, per poter gioire sia nella guida, che quando è fermo davanti a me. Notti infinite alla ricerca di un pezzo sul web, di un consiglio di un amico su come fare o modificare una cosa, ma anche solo aiutare gli altri a trovare il loro mezzo adatto, o la modifica, insomma per farla breve…

…motori, una passione di cui non smetterei mai di parlare, di cui non riesco mai ad esser stanco, una droga di cui ho bisogno.

Questo è in breve la mia storia e la vostra? 😉

Saluti Davide_QV