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GOING NOWHERE FAST EP.2 – LA VITA È L’OMBRA DI UN SOGNO SFUGGENTE

Avete mai pensato “La vita fa schifo” al termine di una brutta giornata? Sappiate che in F1 negli anni Novanta gareggiò l’esatta incarnazione di questo mood. Oggi parlerò di una delle avventure più deliranti visionarie della storia del circus: la storia della Life F1.

Atto I: The feeling begins

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La Life nacque dall’incontro fortuito tra menti visionarie.

Lamberto Leoni era il proprietario di un team di F3000, la First Racing. Data la congiuntura economica e tecnica (abolizione dei motori turbocompressi) favorevole, nel 1988 decise di compiere il grande passo: avrebbe gareggiato nel mondiale di F1.  L’abolizione dei motori turbocompressi da parte della FISA rese più conveniente il processo.

L’idea era di adattare il telaio della March 88B di F3000 (disegnato da un certo Adrian Newey) alle regolazioni della F1. Richard Divila fu il progettista designato. A causa della scarsità di fondi tuttavia emerse in fretta che le possibilità di sviluppo erano minime. Divila intuì la piega che stavano prendendo gli eventi e decise di salvarsi: “Leoni era un temerario. Ma non aveva soldi per pagarmi, pagare i fornitori…Non ne aveva per nessuno. Così ho deciso di passare alla Ligier, che si offrì al tempo. Ho visto che nella F189 c’erano problemi da sistemare, ma senza soldi sarebbe stato impossibile, ed io non volevo lavorare in quel modo.”

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Leoni proseguì testardamente e fece rattoppare la scocca con del carbonio. Cambio e motore furono montati assieme alla meno peggio, le sospensioni assemblate e montate fuori dai mounting point prestabiliti ed il “manichino” fu pronto, dotato dello stesso V8 Judd montato dalla March 88B. Gianni Marelli (ex Autodelta, Ferrari e Zakspeed) fu infine chiamato a rendere la macchina presentabile per il Motor Show di Bologna.

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Gareggiando al MotorShow, Gabriele Tarquini (pilota per la FIRST in F3000) sbatté contro il muro, piegando la sospensione e chiudendo il primo atto della neonata First F189.  Il vero colpo di scena si ebbe quando le telecamere della kermesse bolognese inquadrarono Richard Divila, intento ad osservare la vettura esanime, ferma a bordo del mini-circuito della fiera: notò che il cambio era inserito male, vi erano dei difetti nei punti d’aggancio delle sospensioni, il piantone dello sterzo era decisamente poco sicuro etc. Il progettista non fu tenero con la sua creatura: la definì “bomba a orologeria” e “trappola mortale”, preconizzò che non avrebbe mai passato i crash test, avvertì Tarquini della situazione e più tardi intraprese un’azione legale per rimuovere il suo nome dal progetto.  Non è un buon inizio.

E continuò peggio. Come prevedibile, la vettura non passò i crash test imposti per partecipare al campionato; Gabriele Tarquini, giustamente terrorizzato, si rifiutò di guidare; il team non aveva i soldi per ridisegnare il telaio. L’avventura della FIRST fallì ancor prima di iniziare. Ma la loro storia continuò.

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Negli anni Ottanta in F1 per vincere dovevi montare un motore turbo. Almeno fino a quando non vennero bannati, nel 1988. Questa norma scoperchiò un piccolo vaso di Pandora: nel 1989 i team, incerti sulla migliore soluzione tecnica, sfoderarono una vasta gamma di soluzioni tecniche, che andava dai leggeri V8 ai potenti e assetati V12.

Franco Rocchi in passato era stato uno storico motorista della Ferrari (considerato il padre del V12 iridato con Lauda e Sheckter), ma per motivi di salute dovette lasciare le competizioni al termine del ’74. Nel corso degli anni continuò a progettare motori da indipendente. Rocchi captò il clima effervescente di fine anni Ottanta e capì che era giunto il momento di realizzare il suo sogno nel cassetto: un motore W a 12 cilindri, quattro per bancata. L’architettura era particolarmente originale (soprattutto nel motorsport) anche se non nuova, in quanto già applicata in campo aeronautica. Questa disposizione innovativa in teoria avrebbe garantito la potenza di un classico V12 con gli ingombri longitudinali di un V8 (a prezzo di un’altezza maggiore). Il progetto c’era, Rocchi avrebbe dovuto solo trovare un investitore pronto a scommettere sulla sua tecnologia.

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Ernesto Vita era un imprenditore che rimase folgorato dall’idea del connazionale. Il piano era semplice: acquistare i diritti del W12, vendere il motore ai team di F1 confidando che gli acquirenti sperimentassero un’epifania simile alla sua, incassare. L’unico ostacolo che si frappose tra Vita e il suo obiettivo era il fatto che tutti rifiutarono i suoi W12. Apparentemente nessuna squadra voleva mettersi nelle mani di un imprenditore sconosciuto, senza esperienza sportiva, senza mezzi finanziari significativi, senza risorse tecniche di nessun tipo. Anche i team che ritorneranno in questa rubrica, come Coloni, AGS e EuroBrun, declinarono.

Vita, che aveva già speso una quantità considerevole di denaro, si trovò di fronte a un bivio: accettare la sconfitta, sbolognare i diritti di questo motore che neanche i team più scalcinati volevano e riciclarsi in un business più redditizio. Oppure spendere ancora di più, crearsi un proprio team di F1, provare al mondo intero che aveva ragione performando brillantemente nel 1990 e assicurarsi un contratto di fornitura con una scuderia vera nel 1991. Contrariamente a ogni logica Vita scelse la seconda.

Atto II: Before Night Falls

 

Una macchina tuttavia non è fatta di solo motore. Il problema fu risolto in fretta: Vita acquistò la fallimentare FIRST F189 (intendo letteralmente LA First: la loro unica vettura, tanto che aveva ancora la sospensione malconcia dell’incidente al motorshow) e fondò il team Life, motorizzato dalla Life Racing Engines, la cui sede sarebbe stata a Formigine, vicino Maranello.

Ricapitolando: un team di F1 fondato solo con l’idea di fare soldi grazie a un motore ingarbugliato a livelli comici montato su un telaio che per ammissione del suo stesso progettista poteva rivelarsi una trappola mortale. Andrà tutto bene…

La Life iniziò la sua avventura con pochissime parti di ricambio, 2 soli motori e delle modifiche da effettuare sulla vecchia F189. La monoposto infatti, per consentire l’installazione del nuovo propulsore (mai testato fino ad ora), dovette subire un grande rigonfiamento a causa della maggiore larghezza ed altezza del W12 rispetto al Judd V8 per cui fu pensata inizialmente. Per ragioni totalmente ignote a chi scrive, questa volta la macchina passò i crash test. Divila, mai tenero con la sua creazione, la definì stavolta “un’interessante fioriera”.

Sotto il profilo estetico la macchina si presentava bene: l’auto presentava due prese d’aria ai lati delle spalle del pilota (in stile Benetton), muso e pance strettissimi in ossequi ai principi aerodinamici in voga all’epoca ed era gradevole alla vista, seppur sia quest’ultimo un dettaglio del tutto ininfluente dal punto di vista prestazionale. Dato inoltre il colore rosso, da ferma e da lontano poteva ricordare la Ferrari dell’epoca. Il solo pilota designato era Gary Brabham, figlio del celebre Jack e campione di F3000 britannica.  Aveva anche uno sponsor: la PIC, una misconosciuta azienda bellica sovietica che, stando a Vita, era in affari con lui per convertirsi a produzioni civili e collaborare allo sviluppo della scuderia. Poteva andar peggio. La Life era pronta a gareggiare.

Circa.

Atto III: Passion

La griglia di partenza poteva infatti contenere solo 26 macchine, a fronte di 35 entranti, pertanto la FIA decise di recuperare la tortura delle Pre Qualifiche. Il Venerdì mattina alle 6 i nuovi team e i peggiori dell’annata precedente si sarebbero battuti per ottenere la possibilità di partecipare alle qualifiche. I migliori 4 passavano alla fase di qualifiche vera e propria, che ne avrebbe eliminate altre quattro. Nota: all’epoca non c’era la regola del 107%. Non importa quanto lento fossi, se risultavi più veloce degli altri eri ammesso alla gara.

Le prequalifiche sarebbero state una cartina al tornasole per verificare la competitività della macchina nei confronti degli avversari diretti – Coloni, Osella, EuroBrun etc. Fu positivo il fatto che la macchina riuscì a mettersi in moto e a uscire dalla pitlane. Il tempo da battere era il 1:33:331 della Larrousse di Aguri Suzuki. Quando Brabham uscì dall’ultima curva e prese la bandiera a scacchi, apparve chiaro quanto TUTTO fosse terribilmente inadeguato – il motore, la macchina, il team.

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  1. BRABHAM – 2:07.147

Esatto: la macchina è risultata ben 34 (!!!!!) secondi più lenta anche solo della soglia limite per superare le PreQualifiche, e di 30 secondi più lenta della già disastrosa EuroBrun. Per dare l’idea, è la differenza che intercorre tra una LMP1 e una GTPro, oppure il doppio della distanza media tra il poleman del 2020 e l’ultimo qualificato del 1990. Lascio la parola al collaudatore della Life Franco Scapini per la descrizione dei difetti del progetto: ”In sintesi, il problema della Life fu principalmente il motore, che aveva problemi di sviluppo a causa dei risicati mezzi economici a disposizione. Si rompeva sempre una delle bielle laterali per via delle vibrazioni che facevano “ruotare” le bronzine tanto da arrivare a tappare i fori di lubrificazione sul collegamento con l’albero motore. Quindi, per cercare di non rompere, bisognava impostare un regime di rotazione di 10.000 giri/min massimo, in luogo dei dovuti 12.500 con relativa perdita di potenza.

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Il motore oltre a essere sovrappeso era enormemente meno potente degli avversari: il V10 Honda che vinse il campionato era in grado di sviluppare circa 700 cavalli, mentre il Life W12 aveva 400 cavalli come picco, il che significa che correva con 380 cv per non farlo fondere dopo due giri (altro che “Gp2 engine”: almeno il motore delle F3000 dell’epoca produceva 450 cv). Questo dato fu evidente anche nelle speed trap: la velocità massima che la Life toccò nel weekend australiano fu di 185 km/h, mentre la top speed fu di 271 km/h. Lo chassis non era comunque tanto migliore, mancavano i pezzi di ricambio e l’equipe era motivata come l’esercito francese alla fine della Campagna di Russia. Il weekend era finito ancor prima di cominciare, la macchina era a 40 secondi dal poleman, il motore non era in grado di compiere 5 giri prima di fondere. Al confronto della Life la Forti o la Lola MasterCard erano la Mercedes del 2014. La cattiva notizia? Fu il weekend migliore della stagione.

1990 Brazilian Grand Prix.
Interlagos, Sao Paulo, Brazil.
23-25 March 1990.
Gary Brabham (Life 190). He failed to pre-qualify.
Ref-90 BRA 13.
World Copyright – LAT Photographic

Nel secondo appuntamento in Brasile Brabham non riuscì neanche a completare un giro nelle prequalifiche a causa dei problemi di lubrificazione già descritti sopra. La Life non era il buffone di corte, era l’intero circo. Gary Brabham, che si aspettava un livello di competitività diverso dal “non esistente”, scappò dopo la trasferta sudamericana. L’ostruzionismo della FIA nei confronti della Life (Gary Brabham era un nome “importante”) significò che il collaudatore Franco Scapini ottenne la Superlicenza solo la mattina delle Prequalifiche; la Life nel frattempo aveva già messo sotto contratto Bruno Giacomelli (che non toccava una F1 dal 1983).

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A Imola andò in onda una delle qualifiche più divertenti della storia della F1. Ayrton Senna con la Mclaren-Honda segnò la pole con 1:23:220. Il miglior giro di Giacomelli fu un incredibile 7:16:212 (!!!!!). Yep, sei minuti off the pace. Conti alla mano, emerge una media oraria di 41 km/h. Seriamente con una Panda si avrebbe fatto di meglio, e forse ci sarebbe riuscito anche un ciclista professionista. Ok, sarà stato il risultato di un problema tecnico, però è un buon esempio di come tutto quello che combinasse la Life riuscisse a essere tragedia e farsa in contemporanea.

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Come ovvio dalle premesse, la macchina non avrà mai la sensazione di una speranza di una possibilità di buttare un occhio a passare le prequalifiche: 14s più lenti del penultimo a Montecarlo (più lenti di tutte le F3000), 20s in Canada, 14 a Silverstone, 22 ad Hockenheim e 27 a Monza. La Nissan a trazione anteriore della Le Mans 2015 al confronto fu un successo travolgente.

Atto IV: The Promise Of Shadows

A questo punto si vide Ecclestone andare da Rocchi e Vita per cercare di dissuadere i due a continuare la loro avventura. Ma Vita aveva un asso nella manica: abbandonare il fallimentare W12 (del quale ne aveva le scatole piene pure lui) e montare il classico V8 Judd, lo stesso della concorrenza. Come ormai avrete intuito, il team non riuscì a passare 5 minuti senza coprirsi di ridicolo.

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La cronica assenza di fondi impedì di riprogettare il cofano motore alle nuove esigenze del motore, quindi lo sistemarono a martellate appena prima di far entrare in pista la macchina. Secondo voi come sarà andata a finire? La F190 (nel frattempo rinominata L190) perse il cofano motore in pieno rettilineo, Visto che la Life aveva 1 macchina, 1 motore, 1 di qualunque cosa, il cofano danneggiato significava che il loro weekend, ancora una volta, era terminato ancor prima di iniziare.

In Spagna a Jerez le cose andarono meglio: quantomeno riuscirono a partecipare alle prequalifiche, e stavolta montavano un motore decente. I risultati furono però gli stessi: 18s più lenti del tempo limite delle prequalifiche. Mi affido di nuovo a Scapini: “Anche il telaio era un problema: montato il Judd V8 ex Leyton House che spingeva davvero, la macchina non stava in pista. Inoltre l’abitacolo era strettissimo: io e Giacomelli, rispettivamente 172 cm e 168 cm di altezza, non potevamo avere il sedile perché semplicemente non ci stava. Eravamo seduti sulla scocca e li legati. Anche il cambio, seppure progettato dall’Ing. Salvarani ‘papà’ dei favolosi trasversali delle plurivittoriose Ferrari anni ’70, era durissimo e di difficile manovrabilità”. A questo punto Vita ne aveva avuto abbastanza e terminò l’avventura della Life F1 (che in seguito sarà riesumata in un festival di Goodwood).

Atto V: It Is Accomplished

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L’obiettivo della Life era di promuovere i motori W12 nel tentativo di venderli a un team di F1 la stagione dopo. Se la Life ha mai ottenuto un qualche risultato, è stato proprio l’opposto dell’obiettivo. Le ragioni principali del fallimento della Life possono essere riassunte in quattro punti:

  1. Tutto quanto
  2. Vedi sopra
  3. Vedi punto 2
  4. Quattro

L’unico risultato positivo della storia della Life, meme a parte, fu che non si fece male nessuno; considerando il divario di prestazioni che la rendeva letteralmente una chicane mobile, l’accrocchio infernale che era quel motore e la progettazione criminale della macchina, è comunque qualcosa. Ernesto Vita voleva scrivere la storia; a suo modo ci è riuscito.

[Immagine di copertina tratta da AutoMotorFargio.com]

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya

GOING NOWHERE FAST EP.1 – SIAMO UNA SQUADRA FORTISSIMI

Se credete che una scuderia di F1 non possa spingersi più in basso della Williams dello scorso anno o della Manor del 2015… beh, il bello della vita è che le cose non vanno mai così male da non poter peggiorare ulteriormente. Per recensire le avventure di tutti quei capitani di ventura che, mossi dalla più pura delle passioni, si sono calati nella grande avventura della F1 senza la minima preparazione servirebbe un intero atlante. In questa serie di articoli analizzerò più nello specifico le vicende più divertenti o istruttive di quel microuniverso di scuderie che per decenni hanno affollato la griglia di partenza con risultati irrisori.

AUTODROMO JUAN Y OSCAR GALVEZ, ARGENTINA – APRIL 07: Pedro Diniz, Ligier JS43 Mugen-Honda, hits Luca Badoer, Forti FG01B Ford, causing the latter to flip over and end up upside down in the gravel trap during the Argentinian GP at Autodromo Juan y Oscar Galvez on April 07, 1996 in Autodromo Juan y Oscar Galvez, Argentina. (Photo by LAT Images)

Oggi parlerò della Forti Corse, una scuderia italiana che corse tra 1995 e 1996. A suo modo chiuse un’epoca: è stata infatti l’ultima scuderia a debuttare in F1 da sola, senza il supporto di un costruttore (al contrario es. della Stewart-Ford) o di un munifico investitore (al contrario es. della Force India). La storia della Forti in F1 è la storia del declino dei veri garagisti.

[COURTESY OF FORMULAPASSION.COM]

“Il fallimento nel fare un piano realizza il piano del fallimento” potrebbe essere la tagline della Forti. Era un team abile e motivato che però commise diversi errori di pianificazione che pesarono come macigni sulla sua sorte. Come la Coloni (altro team “storico” del quale riparlerò), la Forti, fondata ad Alessandria nel 1977 dal pilota Guido Forti e dall’ingegnere Paolo Guerci, militò con successo nelle formule minori fino a quando nel 1991 decise di tentare il grande salto. Forti era un personaggio ambizioso ma non ingenuo (a differenza, per dire, di Andrea Sassetti, mr Andrea Moda). La condizione necessaria per correre in F1 era di poter contare su un forte capitale finanziario, pertanto passò gli anni successivi a consolidare la squadra corse e a intessere pubbliche relazioni.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Nel 1993 si concretizzò l’occasione: approdò nel team di F3000 Pedro Diniz, figlio di Abìlio Diniz, imprenditore brasiliano di successo che voleva a tutti i costi trovare un sedile competitivo al figlio. Il matrimonio era felice: il team Forti era per Diniz sr il modo più rapido per portare suo figlio in F1 mentre per il signor Forti il denaro di Diniz sr era la via più agevole per l’approdo nella massima formula. L’intesa fu suggellata dall’ingresso in scuderia di Carlo Gancia, storico procacciatore di sponsor per piloti brasiliani. Grazie alle piantagioni da zucchero di Diniz sr ma anche al lavoro di Gancia, che convinse Parmalat e Sadia a finanziare il team, a fine 1994 il team aveva un budget sufficiente per debuttare nel 1995. Per essere un deb la Forti era messa meglio di tanti altri. Bisognava però anche investirlo, questo capitale.

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Proprio in quegli anni la F1 aveva ingaggiato una lotta per eliminare i team dilettanti, pericolosi per sé e per gli altri, e il nuovo regolamento tecnico sanciva che ogni team doveva progettare da sé il proprio telaio, anziché acquistarlo da terzi. Serviva quindi una base più attrezzata dell’officina di Alessandria; Forti decise di assorbire le risorse umane e tecniche nel team Fondmetal,  fallito nel 1992 pur avendo i progetti della macchina del 1993. L’approccio era in teoria corretto; in pratica la Forti avrebbe gareggiato nel 1995 con una macchina progettata due anni prima, basata su progetti ancora più anziani e probabilmente non competitivi neanche all’epoca. Va bene che l’obiettivo non era quello di vincere il campionato, ma dico solo questo: saranno gli unici della griglia ad avere ancora un cambio a H e a non avere un airscope.

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Grazie all’attrattiva esercitata dal mercato sudamericano sulla Ford, il team riuscì a dotarsi del Cosworth ED V8, lo stesso dei diretti avversari. Ai piloti ci pensò Diniz sr: un sedile andò ovviamente al figlio Pedro, l’altro, volendo un secondo brasiliano in squadra, toccò a Roberto Moreno, un pover’uomo già forgiato dalle terrificanti esperienze di Coloni e Andrea Moda, a conti fatti l’ennesima death flag sul progetto.

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Grazie all’attenta pianificazione, il team sostenne i test pre-stagionali senza grossi intoppi (per dire, Minardi, Larrousse, Pacific e Fookwork non ci riuscirono). In questo modo però i nodi vennero subito al pettine: il miglior tempo di Diniz risultò di quattro secondi più lento di Mansell su McLaren. La stagione si preannuncia in salita.

Il primo GP  è in Brasile e gli eventi prendono subito una piega favorevole: la Larrousse fallisce e la Lotus confluisce nella Pacific; la presenza di soli 26 partenti significa niente pre-qualifiche, storico spauracchio dei team di quinta fascia. Sarà l’ultima buona notizia della stagione. Joe Saward al termine delle prove libere spiega perché: “Pedro Diniz made [Pacific’s] Lavaggi and Deletraz look like amateurs when it came to throwing money away. […] The Forti was a fearful pile of junk and not even Roberto Moreno could make it go quickly. […] It was sad to watch“.

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Le qualifiche si svolgono senza bandiere rosse e con un cielo terso, le condizioni deali per mostrare la competitività della vettura; finirono invece per metterne spietatamente a nudo i difetti. Moreno e Diniz si qualificarono a +6.188 e +7.711 dal poleman Damon Hill. Malgrado disponesse di uno dei budget migliori per la fascia, la Forti subì l’umiliazione di vedere entrambe le macchine battute da Taki Inoue e riuscì a battere solo la Simtek! Una scuderia il cui quartier generale era una capra che danzava intorno a un falò!

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La Domenica almeno la macchina si mostrò affidabile. Entrambe le vetture arrivarono a due terzi della distanza di gara; Moreno poi finì in testacoda, ma almeno Diniz giunse all’arrivo. Il risultato, di per sé significativo per un team in queste condizioni, venne eclissato dal fatto che rimediò sette giri (!!!) dal vincitore Schumacher e solo cinque (!!!) dal penultimo, Aguri Suzuki su Ligier. E meno male che Interlagos era un circuito di motore, dove almeno il Ford V8 poteva salvare la baracca.

1995, Argentina — Roberto Moreno racing for the Forti Ford team at the 1995 Argentinian Grand Prix. — Image by © Jerome Prevost/TempSport/Corbis

Peccato che il GP successivo fosse in Argentina, e il tortuoso tracciato di Buenos  Aires avrebbe esaltato le carenze del telaio. La pioggia che cadde durante le qualifiche estremizzò la situazione già poco rosea, e Moreno dovette accontentarsi di un 24° posto a 11 (!!!) secondi dal poleman Coulthard, con Diniz più indietro. Almeno stavolta si erano messi alle spalle Inoue… La gara se possibile risultò ancora più crudele. Come in Brasile, le macchine ressero ma stavolta servì a poco: le due Forti vennero doppiate NOVE VOLTE (!!!), così tante da non completare il 90% della distanza di gara, pertanto non vennero classificate. Per indulgere in questa pornografia del disastro, si beccarono cinque giri anche dalla Simtek di Schiattarella, mentre il giro più veloce di Moreno fu 10s più lento di quello di Schumacher. Nell’arco di due gare il team Forti passò da novità promettente a barzelletta del circus.

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Se c’era una cosa che alla Forti non scarseggiava era denaro e buona volontà. Sergio Rinland (ex Brabham e Williams) si mise al lavoro, si spostò ad Alessandria per lavorare meglio, assunse i gradi di DT, litigò con tutto il management, lasciò il team. In Forti non si persero d’animo, e alla fine il lavoro del progettista Giorgio Stirano diede i suoi frutti: la macchina fu snellita di 60 kg, muso e sidepod vennero riprogettati, così come il telaio fu reso più resistente alla torsione. Non arrivò mai il cambio semiautomatico, ma comunque si riportarono in zona Pacific, che ogni tanto sconfissero in qualifica, ridussero i giri di distacco dal leader (con il vertice a Spa, dove vennero doppiati solo due volte da Schumacher) e mantennero un’ottima affidabilità per un team rookie. In Germania Diniz riuscì addirittura a sorpassare le McLaren di Hakkinen e Blundell! Ok, lui era su wet mentre loro su slick sulla pista bagnato, ma un sorpasso è un sorpasso.

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L’occasione dell’anno arrivò proprio nel corso dell’ultimo appuntamento in Australia. La macchina risultò fortissima, e 210.000 australiani assistettero a Moreno che influsse ben 8 decimi ai rivali della Pacific. La gara fu un gioco massacro: iniziò Coulthard, sbattendo contro il muretto mentre rientrava ai box da leader della corsa, ma uno a uno tutti i piloti venivano eliminati dal tracciato che non permetteva errori. Diniz si arrampicò fino alla 7a posizione , appena una al di fuori dei punti, quando all’ultimo giro la Ligier di Panis rallentò per una perdita d’olio. Il miracolo tuttavia non si concretizzò, e Diniz rimase l’unico pilota a non segnare punti quel giorno. Il risultato fu comunque importante e permise al team di concludere davanti ai rivali di Pacific e Simtek (che al massimo potevano vantare un ottavo posto come miglior piazzamento).

Per quanto l’anno sia stato l’opposto del successo in tutti i campi possibili, il team si trovava paradossalmente in una posizione di forza rispetto agli avversari all’inizio del 1996. La Pacific era fallita e Diniz aveva un contratto per altri due anni, il che significava un buon cash flow e una certa credibilità per sponsor e tecnici. Il team era stato sgrezzato e i miglioramenti erano stati significativi;  i risultati erano a portata di mano, e con qualche buona performance non avrebbero avuto problemi a trovare nuovi sponsor con cui rafforzare la propria presenza in campionato. Diniz jr inoltre nel 1995 si era mostrato piuttosto solido, riuscendo a completare ben 10 gare su 17. C’erano tenue speranze in vista del 1996.

Non ebbero neanche il tempo di iniziare a preoccuparsi: Diniz lasciò la scuderia con effetto immediato per la Ligier, portando il malloppo con sé. La luce in fondo al tunnel era quella del treno. Forti rimase fregato dal fatto di non aver mai stipulato un contratto scritto con la famiglia Diniz. Uno di quei “piccoli” errori di pianificazione che pesarono come macigni.

Luca Badoer (ITA) Forti FG03-96 Ford Cosworth Forti Corse – www.xpbimages.com, EMail: requests@xpbimages.com © Copyright: Photo4 / XPB Images

Con queste premesse il 1996 fu il correlativo oggettivo del detto “Dalle stelle alle stalle”. La Forti alla fine del 1995 aveva siglato un contratto con la Ford per usufruire del più potente JD Zetec-R V10, ma l’abbandono di Diniz indusse i vertici a concedergli solo la versione migliorata del V8 dell’anno prima. I piloti furono Andrea Montermini (che aveva vinto la F3000 con la Forti una vita prima) e Franck Lagorce, pilota pagante poco pilota e pure poco pagante, tanto che fu sostituito da Badoer ancor prima di iniziare.

Monte Carlo, Monaco.
16-19 May 1996.
Luca Badoer (Forti FG03 96 Ford) failed to finish the race after crashing into Villeneuve.
Ref-96 MON 29.
World Copyright – LAT Photographic

La macchina nuova sarebbe stata disegnata da Riccardo de Marco, al primo incarico come progettista di macchine da corsa, e ovviamente non fu pronta per l’inizio del campionato. A peggiorare la situazione, la F1 introdusse per la prima volta la regola del 107%, una legge ad personam contro la Forti in pratica. Per i primi tempi potevano affidarsi solo che al motore per passare la tagliola; ovviamente non fu sufficiente.

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La nuova FG03 arrivò solo a Imola per il solo Badoer, e permise all’italiano di qualificarsi per la gara, pur restando confinato nelle ultimissime posizioni. Nell’unica occasione in cui avrebbero potuto segnare punti, il famoso GP di Monaco dove arrivarono in tre, le due Forti rimasero invischiate in incidenti. La vettura era decente ma il team stava morendo; era solo questione di tempo. Dopo il GP monegasco tuttavia entrò in scena l’ultimo personaggio della tragedia, l’entità misteriosa conosciuta come “Shannon Racing”, un team irlandese di F3000 sussidiario della compagnia FinFirst. Stando ai comunicati stampa, era un gruppo industriale e finanziario italiano desideroso di farsi pubblicità. La Shannon acquistò il 51% delle quote del team e le due FG03 arrivarono a Barcellona con una nuova livrea bianca e verde, a testimonianza il cambio di governance. La situazione precipitò subito dopo.
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Shannon non pagò mai, quindi Guido Forti rescisse il contratto e ritornò al comando del team. La macchina era migliorata (Badoer si qualificò davanti a Rosset in Canada) ma la scuderia ormai era oberata di debiti, il più grande dei quali con la Cosworth, che smise di rifornire il team di motori nuovi. Per un paio di gare si arrangiarono con dei motori a fine vita, ma alla fine in Germania dovettero arrendersi. A rendere il tutto più farsesco ci fu anche la disputa legale tra Forti e Shannon per il controllo del team. Shannon vinse per insufficienza di prove, ottenne il 100% del team, che nel frattempo era morto. Decenni di militanza nel motorsport distrutti in neanche un anno. Nel corso degli anni la Forti aveva lanciato nomi che certo risulteranno familiari alle vostre orecchie: Teo Fabi, Nicola Larini, Mimmo Schiattarella, Giovanna Amati, Fabiano Vandone, Gianni Morbidelli, Fabrizio Giovanardi.
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La Shannon fu l’ultima grande truffa della storia della F1. Anche per questo la Forti ha chiuso un’epoca. Alla fine risultò essere un’entità fittizia (che rischiò di coinvolgere anche la Minardi, solo che i faentini, più smaliziati, intuirono la fregatura) che si ricollegava a Hermann Grantz, truffatore di professione ricercato da mezzo mondo (citato addirittura tra le carte del processo Publitalia su Berlusconi e Dell’Utri). FinFirst aveva acquisito diverse compagnìe, ma non garantì mai i soldi promessi. Probabilmente il coinvolgimento in F1 era solo un modo per rendersi credibile agli occhi degli investitori da ingannare.
[Recupero della memoria storica?]
Il peccato originale era stato usare il telaio della Fondmetal del 1992, troppo vecchio per combinare alcunché. In generale ormai erano cambiati i tempi: un team ben organizzato, composto da abili lavoratori, onesti e guidati dal sogno non poteva più entrare in F1 solo sulle proprie forze. Il fallimento della Forti terminò l’epopea dei garagisti. Peccato, poteva essere la storia dell’Eddie Jordan italiano.
Ci rivediamo la prossima settimana con la storia della Life e dell’inverecondo W12. Stay Tuned.
[Immagine in evidenza tratta dalla pagina Facebook della Forti Corse]
Lorenzo Giammarini a.k.a. LG Montoya

 

 

 

 

 

STEFAN BELLOF- THE RINGMEISTER

Non esiste curva dove non si possa sorpassare (Ayrton Senna).
Stefan lo sapeva benissimo quando scelse la curva delle curve a Spa per fare quel sorpasso……
Ogni curva ha una traiettoria ideale, quella più veloce, una sola. Ma la si può percorrere in tanti modi, con LINEE diverse che talvolta si incrociano. Il buon esito degli incroci dipende sempre dallo SPAZIO e dal TEMPO in cui si verificano. E le traiettorie delle curve somigliano in maniera impressionante alle linee della vita degli uomini e dei piloti, quando esse si incrociano più volte nello spazio e nel tempo della loro esistenza.
Le linee perfette, quelle che il biondino tedesco si mise in testa di disegnare il 28 maggio 1983.

immagine tratta dal sito grahama.net

Durante le qualifiche della 1000 Km del Nurburgring sul tracciato della Nordschleife appare il TEMPO: 6’11”13…… Al box non sembrano crederci visto il distacco impensabile dalle altre auto. Quel giorno Stefan era a bordo di una Porsche 956 dello squadrone ufficiale Rothmans schierato nel mondiale Endurance.
Quando scese dall’auto non era soddisfatto perché credeva si potesse far meglio e avrebbe voluto riprovarci ma il suo box lo trattenne. Chi meglio di lui che aveva vissuto il suo giro dall’interno della Porsche poteva dire che il tempo si sarebbe potuto migliorare? Nessuno, solo lui. Ma forse non si rendeva conto che si era già impadronito di un record che sarebbe durato per sempre, che aveva già riscritto la storia sul tracciato più difficile mai disegnato sulla Terra. Forse non si rendeva conto che si era già impadronito dello scettro del Ring che sarebbe rimasto per sempre nelle sue mani…o molto più semplicemente non gli bastava…
Il giorno dopo il suo show continuò sull’asfalto bagnato della partenza della corsa, con altre curve ed altre linee. Stefan stava dominando la gara facendo una differenza abissale nei suoi turni di guida rispetto al suo compagno di auto Bell, ma anche rispetto all’equipaggio della vettura gemella che vedeva a bordo Mass e il belga Jackie Ickx, ovvero quello che fino al giorno prima era considerato il Re del Nurburgring dall’alto delle sue vittorie. La gara era ampiamente sotto controllo quando smise di piovere e l’asfalto si asciugò.. sarebbe bastato controllare, prendersela comoda e arrivare serenamente al traguardo. Ma tutto questo non bastava a Stefan: lui non voleva la vittoria, lui voleva battere il suo record dominando ancora una volta il Ring e la sua intera foresta. E aveva ragione, perché d’improvviso al primo intertempo di un giro qualunque il box si accorse che Stefan stava facendo esattamente l’opposto rispetto al cartello “slow” che gli era stato esposto dal muretto: Stefan era sotto il suo tempo del giorno prima…aveva ragione lui…
Se è vero che capisco qualcosa della testa dei piloti quel giorno lui avrebbe voluto abbattere il muro dei sei minuti, l’ho sempre pensato. Ma il Ring è tutto un insidia, tutto un imprevisto che si ribella nel momento stesso in cui non si sente rispettato… E il biondino tedesco lo stava dominando ancora una volta. Il dosso della Sprunghugel era in agguato per farlo volare e atterrare malamente sbriciolando la sua 956 tra le lame dei suoi guard-rail. Gara buttata e vittoria regalata nelle mani di Ickx e Mass. La leggenda narra che tornò ai box a piedi da solo chiuso nei suoi pensieri attraverso il bosco. Ma ormai il Ring era conquistato e lui era già diventato il RINGMEISTER. Nonostante la gara vinta, Ickx comprese che lo scettro gli era stato strappato dalle mani da un ragazzino irriverente dotato di una classe sopraffina e di un coraggio fuori dal comune, da un ragazzino che nel box ascoltava in silenzio i consigli degli ingegneri salvo poi salire in macchina facendo l’unica cosa che sapeva fare, ovvero dare del gas meglio di chiunque altro..

immagine tratta dal sito motorsport.com

Linee della vita che si incrociano.
3 giugno 1984 Gran Premio Di Monaco di Formula Uno.
Jackie Ickx (pilota Porsche) è il direttore di corsa della famosa gara fermata al trentunesimo giro..Vince Prost su McLaren Tag-Porsche davanti ad un Senna che si sente derubato della vittoria e che segna l’inizio di una delle più celebri rivalità della storia della Formula Uno. E questo lo sanno anche i muri…ma solo gli appassionati sanno che dietro a questi due un tale tedeschino biondo stava rimontando ad un ritmo ancora migliore rispetto a quello di Senna. Il cronologico dei tempi mostrava che Stefan avrebbe potuto raggiungere il brasiliano entro fine gara se la stessa non fosse stata fermata. Ce l’avrebbe fatta a sorpassare Ayrton? Una domanda alla quale non avremo risposta mai perché Ickx decise di fermare la corsa ed anche quella rimonta privandoci dello spettacolo che sull’acqua stava mandando in mondovisione il tedeschino terribile. Poco importa la polemica sull’irregolarità della Tyrrell. Quei pochi chilogrammi in meno erano del tutto inifluenti su una corsa bagnata e soprattutto alla luce della differenza che Stefan aveva messo in mostra rispetto a chiunque altro…. Ickx e Bellof…ancora una volta un incrocio di linee….

immagine tratta dal sito motorsportretro.com

Arriviamo al 1 settembre 1985 sul circuito di Spa-Francorchamps. Altro circuito non banale, dove le linee e le traiettorie diventano poesia, dove i boschi circondano il circuito come al Ring, dove un pilota è in grado di mostrare tutto il suo talento e la sua classe.

immagine tratta dal sito f1sport.com

Stefan non è più nel team ufficiale Porsche nonostante abbia vinto il mondiale 1984. Corre per Brun che mette in pista sempre una Porsche ma dell’anno precedente confronto alla nuova 962 ufficiale su cui siede sempre lui….Jackie Ickx…
Il belga è in testa alla gara ma Stefan da dietro risale fregandosene altamente di essere alla guida di un mezzo inferiore: Il belga è un pilota navigato, con oltre vent’anni di carriera alle spalle e sa benissimo che non potrà mai contenere quella furia della natura che presto o tardi si scatenerà su di lui tentando il sorpasso…gli resta solo da capire dove e quando quel sorpasso avverrà, perché è palesemente inevitabile e lui nulla potrà. Infatti Stefan agguanta la 962 di Ickx al tornantino della Source, gli si butta in scia e prima dell’Eau Rouge ne esce affiancando il belga che non ci sta e non gli lascia ne lo SPAZIO e ne il TEMPO lanciando Stefan contro le protezioni ad oltre 200 all’ora per il suo ultimo respiro……..
Finisce il film della vita del biondino che era già entrato nei cuori della gente per il suo modo di guidare e di essere, lasciandoci orfani di un Campione che avrebbe deliziato gli occhi di tutto il mondo, lasciandoci nel cuore il pensiero di ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato. Le linee delle curve e della vita di Stefan e di Ickx si incrociarono per l’ultima volta ed ancora una volta fu Stefan a pagare il conto.
Ickx-Mass … Su quella Porsche viaggiavano entrambi i piloti le cui linee sull’asfalto incrociarono quelle dei miei eroi giovanili Gilles e Stefan nell’ultimo istante delle loro esistenze, quando i due non avevano ancora finito di tracciare quelle della propria vita sportiva e non.

Oggi sono 34 anni da quel giorno caro Stefan, ma il ricordo dei tuoi tifosi è ancora vivo, perché la linea della tua vita ha incrociato le nostre, perché il tuo TEMPO resterà per sempre nella storia di questo sport spesso crudele e perchè il tuo SPAZIO resterà solo tuo nel cuore dei tuoi tifosi.
Ciao Stefan, ovunque tu sia…

Immagine in evidenza tratta dal dal sito theracemode.com

Salvatore Valerioti

HENRI

A Torino l’autunno era spesso nebbioso in quegli anni. Ero un adolescente già contagiato dalla malattia del controsterzo, della velocità. C’erano mattine in cui io e Giovanni ci trovavamo davanti all’ingresso del Liceo senza la voglia di entrarci. Uno sguardo e ci capivamo al volo… Pedata sulla leva d’avviamento dei Malaguti Fifty e via, direzione La Mandria.
Per andarci facevamo il giro da Corso Marche, passando davanti all’Abarth, con la speranza di vedere uscire i furgoni Fiat 242 con i colori Martini che ogni tanto incrociavamo direzione Venaria.
Quella mattina niente, non c’erano. Ma noi sapevamo che andavano a provare. Stavano svezzando la Delta S4, l’arma totale Gruppo B che ancora non aveva esordito nel Mondiale. La stavano preparando per il debutto al RAC 1985. Macinarono tanti di quei chilometri nel parco…era una bestia complicata, dannatamente veloce ma complicata.
Semaforo rosso. Salto la fila delle auto fin sotto lo stesso semaforo… Mi affianco ad una Thema grigio scuro e per caso butto l’occhio dentro……C’era lui. Henri Toivonen al volante. Mi agito, lui si gira, sorride e capisce che l’ho riconosciuto……Toglie la mano dal volante e mi fa un cenno di saluto sorridendo del mio entusiasmo…. Scatta il verde, accelera e se ne va…..
Avevo visto il mio idolo per pochi secondi da vicino, senza barriere, senza aspettarmelo….ero felice….
Andavamo spesso ad infilarci in mezzo ai boschi del parco della Mandria per vederli girare. Di straforo, ben attenti a non farci beccare in quella che era una zona off-limits del Gruppo Fiat. La dentro ci provavano di tutto, ma a noi interessava la Lancia dei rally. Non ci hanno mai visti, ma non potevamo non correre il rischio. Ammirare Henri e company ne valeva la pena.
La Delta era qualcosa di indescrivibile vista dal vivo: era impressionante vederla accelerare dalle basse velocità. Era devastante vederla arrivare a ridosso di una curva e poi vedergliela fare come nessun altra.
La guidavano anche Marku e Miki…..ma quando stava arrivando Henri lo capivi dal rumore, da quanto stava col gas aperto. La S4 era un mostro che solo lui riusciva a domare davvero, a non esserne mai passeggero come capitava ogni tanto agli altri e per loro stessa ammissione.
Se guardarlo guidare la 037 era fantastico, diventava poesia sulla Delta… era eccezionale vederlo a che fare con oltre 500cv di traverso, senza accenno di correzioni venuto fuori dal controsterzo…il muso sempre puntato verso l’uscita della curva, l’auto raddrizzata più velocemente di chiunque altro.
Dal giorno in cui salì sulla sua S4 nessuno mai più riuscì a stargli davanti in gara.
Fine 1985, debutto al Rac e vittoria a mani basse senza se e senza ma. Gennaio 1986 altra vittoria splendida al Monte senza avversari veri (ed io li a vederlo nel freddo del Turini). Venne il rally di Svezia dominato fino a quando la sua Delta decise che non voleva finire la gara.
E ancora il Portogallo, sospeso per il famoso incidente di Santos quando lui era davanti a tutti. Lui e la Delta erano in simbiosi, quasi che l’auto fosse una continuazione del suo corpo. Non c’era storia, era supremazia.
Tutto sembrava scritto: un Mondiale dominato dal miglior pilota sublimato dalla miglior auto da rally mai concepita.
E poi a maggio arrivò il Tour de Corse…….. Andava forte Henri, anche quando non serviva perché la gara era ormai ampiamente sotto il suo controllo. Aveva quasi tre minuti di vantaggio e poteva passeggiare. Invece andava sempre forte Henri, esattamente come faceva Gilles….anche quando non ce ne era bisogno.
In un attimo finì tutto. La stessa gara che l’anno prima s’era portato via il suo amico Attilio Bettega si portò via anche lui ed insieme Sergio Cresto. Stessa corsa…stesso numero 4.
All’epoca le immagini erano quasi rubate, non c’erano le coperture e la diffusione di oggi.. E le brutte notizie di quegli anni arrivavano da Sport Sera in onda alle 18.50 su Rai 2.
Anche quel 2 maggio 1986.
La colonna di fumo, le voci via radio concitate, il messaggio che ordinava al team di tornare ad Ajaccio, le immagini dei furgoni Martini che lasciavano il punto assistenza. E negli occhi ancora quell’ammasso di tubi tirato fuori dal burrone in cui erano caduti Henri e Sergio. Ciò che rimase della Delta era così poco che mai si riuscì a capire la causa di quella tragedia.
Queste poche righe non vogliono essere un elenco di numeri, di imprese, di aneddoti già raccontati. Non vogliono essere un omaggio alla carriera perché chi scrive non è all’altezza di trovare le parole adatte.
Chi scrive vuole solo ricordare chi è stato il suo Gilles dei rally. Le loro carriere si somigliano.. Poche gare, pochi anni, poche vittorie ma tanto spettacolo ed un segno indelebile lasciato nel Motorsport. E, proprio come Gilles, anche Henri morì guidando l’auto che avrebbe definitivamente consacrato la sua grandezza.
Ci sono campioni che non si possono descrivere con i successi, perché nessun numero può rendere la dimensione delle emozioni suscitate. Ci sono leggende che resteranno tali a prescindere dai palmares: Henri è una di quelle….
Sono passati 33 anni ma a me sembra ieri..
Un bambino nato quel giorno oggi è già un uomo. Eppure quando penso a quell’epoca la vedo più vicina di quanto in realtà non sia.
Vasco recita in un suo testo “e intanto i giorni passano, ed i ricordi sbiadiscono, e le abitudini cambiano”.
Non è vero……alcuni ricordi non sbiadiscono mai. Grazie Henri.

Salvatore V

*immagine in evidenza di proprietà di MOTORSPORT WEEK*

*immagini in calce di proprietà del profilo Facebook di SAVE LANCIA*

FORMULA ONE SEASON REVIEW: 1999

A me spiace per tutti quelli che nel 1999 si identificavano con Irvine ma tant’è: meno male che quel Mondiale l’ha vinto Mika e non uno che quell’anno vinse le uniche quattro gare della sua vita nel seguente modo: la prima grazie ad un’ecatombe collettiva che fa fuori all’unisono le due Mecca ed il suo Team-mate, la seconda perchè quel fulminato di DC la pianta nella fiancata di Mika alla seconda curva del primo giro, la terza perchè al tuo nuovo Team-mate arrivato la gara prima ordinano di farti passare e la quarta perchè il tuo vecchio Team-mate, tornato per l’occasione, fa altrettanto. Siamo seri: quel simpatico puttaniere di Eddie sarebbe stato il WDC più indegno della Storia della F1. Roba che in confronto i titoli 1996 e 1997 li avevano vinti i genitori di quei due che li vinsero per davvero eh. Peraltro fu un’annata proprio strana: son 21 anni che la vulgata racconta che “senza l’incidente di Silverstone il Kaiser quel Mondiale lo vinceva a mani basse” quando io la vedo parecchio diversa: innanzitutto prima della gara in oggetto il nostro era dietro a Mika coi punti. In secundis son ragionevolmente certo che, con lui in zona, lo stesso Mika sarebbe stato più a fuoco rispetto alle flessioni di rendimento che ha dimostrato qua e là nel corso della prosecuzione del Mondiale. Quasi dimenticavo: son sempre 21 anni che ci fanno due palle così con la gomma mancante di Irvine al Ring. Stava faticosamente lottando per un ingresso nei punti, mica come HHF la cui Jordan si piantò uscita dall’ultimo pit quando stava andando a vincere la terza gara dell’anno e portarsi a 2 punti da Mika con sole due gare da disputare. Peraltro il Kaiser non fu esente da pecche prima del famigerato incidente: butta via la vittoria in Canada sbranandola contro il muro dei Campioni e finisce anonimamente quinto in Francia in un GP bagnatissimo corso nelle “sue” condizioni in preda ad imprecisati problemi di assetto. Contando che la vittoria di Imola gliela regalò Mika tuonandola all’uscita della Variante Bassa di fatto solo Monaco fu vittoria limpida e dominante. Un pò poco per giustificare la già citata vulgata del “avrebbe vinto il Mondiale a mani basse”. Peraltro, come accennato in una review precedente, a Silverstone ci mise del suo: aveva il sangue agli occhi per esser stato sopravanzato al via da Irvine al che sull’Hangar Straight è riuscito prima ad ignorare il TR che lo informava che era stata data Bandiera Rossa e poi il buon senso che gli diceva di non tentare una staccata all’OK Corrall su Eddie per riprendersi la posizione. Salvo scoprire che i freni avevano un malfunzionamento e finire contro le protezioni. Anni dopo Irvine “confessò” che nell’occasione tirò la staccata al Kaiser. Visto che in confronto a lui DC era Jim Clark temo sia stata una delle tante cazzate raccontate dall’irlandese in vita sua. Detta come va detta se Ferrari prendeva quello giusto dalla Jordan già nel 1996 probabilmente il WDC sarebbe arrivato prima del nuovo millennio. E lo dico senza essere un particolare estimatore di Barrichello, che quando lo incontravi al Montana pareva che i 7WDC li avesse vinti lui e non il Kaiser. In ogni caso, andiamo col resoconto delle gare

THE 1999 AUSTRALIAN GRAND PRIX: MELBOURNE, MAR. THE 7TH

(FOTO DA F1 RACE)

Come accennato nell’introduzione Irvine vince battendo in volata HHF e Ralf dopo che una gara ad eliminazione fa fuori sia le due Mecca che il Kaiser

THE 1999 BRAZILIAN GRAND PRIX: INTERLAGOS, APRIL THE 11TH

Interlagos, Sao Paulo, Brazil. 9th – 11th April 1999.
Mika Hakkinen (McLaren MP4/14-Mercedes), 1st position, leads at the start, action.
World Copyright: LAT Photographic.
Ref: 99 BRA 08.

Mika si rimette in carreggiata vincendo davanti al Kaiser ed HHF che segna il secondo podio in due gare di quello che sarà il miglior Mondiale della sua carriera

THE 1999 SAN MARINO GRAND PRIX: IMOLA, MAY THE 2ND

(FOTO DA F1 RACE)

Il Kaiser capitalizza un errore di Mika alla Variante Bassa e va a vincere davanti a DC e Barrichello. E’ il suo primo successo in Terra Santa il cui sapore è pertanto speciale

THE 1999 MONACO GRAND PRIX: MONTECARLO, MAY THE 16TH

(FOTO DA F1 RACE)

Epica doppietta Rossa col Kaiser che precede Irvine al traguardo dopo che al via sopravanza il poleman Mika il quale chiuderà soltanto terzo. Il nostro si issa così in testa al Mondiale ove resterà solo per la gara successiva salvo venir superato da Mika già in Canada

THE 1999 SPANISH GRAND PRIX: BARCELONA, MAY THE 30TH

Mika torna alla vittoria e la Mecca fa doppietta col Kaiser terzo ed Irvine a seguire in un GP nel quale la superiorità del mezzo di Woking è stata netta dall’inizio alla fine

THE 1999 CANADIAN GRAND PRIX: MONTREAL, JUNE THE 13TH

(FOTO DA F1 GRAND PRIX)

Coglionata mondiale del Kaiser in Mondovisione il quale la tuona sul muro dei Campioni come un Damon Hill qualsiasi. Mika ringrazia e va a vincere riprendendosi la testa del Mondiale. Fisico si piazza secondo ed Irvine terzo

THE 1999 FRENCH GRAND PRIX: MAGNY COURS, JUNE THE 27TH

(FOTO DA F1 PICS)

Fantastica vittoria di HHF che si impone di forza su Mika e Barrichello. Il Kaiser va stranamente in crisi sul bagnato ed al traguardo è sopravanzato pure da Ralf sulla non irresistibile Williams

THE 1999 BRITISH GRAND PRIX: SILVERSTONE, JULY THE 11TH

Formula One Championship 1999 – GP F1 Silverstone – Michael lSchumacher (ger) iFerrari F399 iTeam Ferrari is shielded by Marshals as he is removed form his Ferrari, after htiing the tyre wall at over 100mph. Shumacher broke his leg in two places in the accident.

Il commento più intelligente del weekend è quello dell’Avvocato Agnelli il quale alla domanda “come farà ora la Ferrari nel Mondiale senza Schumacher?” risponde:”non mi sembra che Irvine sia messo male in classifica, anzi”. Dopo il famigerato incidente del Kaiser e la ripartenza Eddie chiude infatti secondo dietro a DC e davanti a Ralf con Mika ritirato portandosi a soli sette punti da quest’ultimo

THE 1999 AUSTRIAN GRAND PRIX: ZELTWEG, JULY THE 25TH

25 Jul 1999: McLaren Mercedes” David Coulthard takes out team mate Mika Hakkinen on the second corner of the Formula One Austrian Grand Prix at the A1 Ring in Spielberg, Austria. Mandatory Credit: Michael Cooper /Allsport

Fu la volta in cui Mika andò pericolosamente vicino a picchiare DC. In conferenza stampa dopo il GP aveva gli occhi iniettati di sangue, e non per i postumi del botto di Adelaide 4 anni prima. Ripensandoci bella figura di emme quella di Testa  d’Uovo ai tempi il quale, dopo aver avuto assieme in squadra Lauda e Prost prima e Prost e Senna poi, non riesce ad impedire allo scozzese di non tuonarla addosso al suo WDC in carica al primo giro del GP. Irvine ringrazia e va a vincere resistendo nel finale al ritorno di DC che aveva passato grazie ai pit

THE 1999 GERMAN GRAND PRIX: HOCKENHEIM, AUGUST THE 1ST

(FOTO DA FORMULAPASSION)

Altra botta di sfiga per Mika che quasi si ammazza alla staccata d’ingresso del Motodrom per una gomma dechappata all’improvviso. Irvine da sfoggio della sua classe innata costringendo il box Ferrari ad ordinare a Salo, alla seconda gara in Rosso, di farlo passare per la ragion di Stato. Ma tant’è, l’occasione per la seconda vittoria di fila a metà Mondiale era naturalmente troppo ghiotta per non essere sfruttata

THE 1999 HUNGARIAN GRAND PRIX: BUDAPEST, AUGUST THE 15TH

Doppietta Mecca con Irvine a seguire in una gara nella quale la F399 mostra largamente la corda nei confronti della più “completa” Mp4/14. Brutta gara di Salo che si qualifica male e finisce appena fuori dai punti

THE 1999 BELGIAN GRAND PRIX: SPA, AUGUST THE 29TH

(FOTO DA FORMULAPASSION)

Nel weekend in cui Scemo e più Scemo in BAR scommettono uno contro l’altro su chi farà l’Eau Rouge in pieno in Qualifica, finendo entrambi con la monoposto sbriciolata contro le barriere, il buon (sic) DC vince la gara più prestigiosa della sua carriera precedendo Mika senza che Testa d’Uovo gli ordini di dargli strada. Il che ci stava pure eh, già che teoricamente anche lo scozzese era in lizza per questo strano Mondiale ma tant’è. Irvine finisce appena giù dal podio

THE 1999 ITALIAN GRAND PRIX: MONZA, SEPTEMBER THE 12TH

Vittoria di forza di HHF che capitalizza l’erroraccio di Mika alla prima variante. Dopo la vittoria a Magny Cours HHF zitto zitto aveva messo a segno tutti piazzamenti a punti (due terzi posti e tre quarti posti) ed ora questa vittoria lo catapulta dritto in mezzo alla lotta per il Mondiale essendo a 50 punti contro i 60 del duo Mika/Irvine. Già, Irvine: finisce sesto mentre Salo va a podio ma soprattutto il giorno in cui Mika si ritira. Raccapricciante

THE 1999 EUROPEAN GRAND PRIX: NURBURGRING, SEP. THE 26TH

HHF viene tradito dalla sua Jordan quando è in testa dopo l’ultimo pit. La vittoria lo avrebbe portato ad un solo punto da Mika ed a pari punti di Irvine. Peccato davvero, ma i budgets non son certo opinioni e la Jordan non ci va nemmeno vicino ad averne uno anche solo paragonabile a quello Mecca o Ferrari. La gara è a dir poco rocambolesca e pare non voglia vincerla nessuno: DC e Fisico la piantano nelle protezioni e quando poi è il turno di Ralf ad essere in testa una foratura lo estromette dalla possibilità di vincere. La gara va così a Johnny-boy Herbert che segna la terza ed ultima vittoria in carriera precedendo Trulli e Barrichello. Tremenda delusione per Badoer la cui Minardi esala l’ultimo respiro mentre era in un’incredibile quarta posizione nelle fasi finali della gara

THE 1999 MALESIAN GRAND PRIX: SEPANG, OCTOBER THE 17TH

(FOTO DA TWITTER)

Allora, le cose sono andate più o meno così: il Kaiser non ne aveva per i marroni di tornare a correre prima del 2000 peraltro per aiutare quella tristezza ambulante di compagno di squadra a vincere un WDC in Rosso prima di lui. Sì, verso fine estate aveva fatto un test al Mugello ed aveva fatto il record della pista ma zoppicava vistosamente fuori dall’auto quindi non era cosa. La leggenda narra che un mesetto dopo fu però sgamato che giocava allegramente a calcetto nel parco della sua villa in Svizzera e pertanto rimandato di corsa in macchina a forza di bestemmie da Montezemolo in persona. Domina in lungo ed in largo il weekend malese che segna l’esordio nel Mondiale della prima pista al 100% made by Tilke ed ovviamente regala il successo ad Irvine dopo aver piegato le due Mecca in pista. Nel dopogara le due Ferrari vengono squalificate per le dimensioni irregolari dei deflettori dietro le ruote anteriori ma Ross Brawn farà volatilizzare la squalifica all’istante grazie al portentoso ausilio di….un righello. La classifica del GP è quindi confermata come da ordine di arrivo in pista quindi nel Mondiale si va a Suzuka con Irvine a 70 punti e Mika a 66

THE 1999 JAPANESE GRAND PRIX: SUZUKA, OCTOBER THE 31ST

A qualcuno dopo 21 anni non è ancora entrata in testa una cosa semplice semplice: se Irvine finiva davanti a Mika in gara, fuori o dentro ai punti, il Mondiale era suo. Game, set, match e fine dei discorsi. Ed invece? Invece il nostro era talmente triste che la strategia divenne “Michael vince, io arrivo appena dietro a Mika comunque si classifichi e vinco il Mondiale”. Già. Sei così triste da non poterlo vincere in pista facendo affidamento solo sulle tue forze ed allora deve fartelo vincere uno che piuttosto di vederti diventare WDC in Rosso si romperebbe la gamba rimasta illesa a Silverstone. Il Kaiser, ovviamente, dopo aver fatto la pole al via fa il delitto perfetto facendosi buggerare da Mika e non riprendendolo più se non ai box la sera dopo la gara quando viene sgamato (aridaje) a tracannar Champagne al box Mclaren. Festeggia il primo WCC Ferrari dopo 16 anni lo stesso giorno in cui l’ha scampata bella col pericolo che il suo poco blasonato ed ancora meno forte Team-Mate vincesse il maledetto WDC in Rosso prima di lui. Personalmente 21 anni fa non avevo dubbio alcuno su come sarebbe andata a finire e, ripeto nuovamente, ai cuori infranti di allora ripeterò fino allo sfinimento che se Irvine batteva Mika in pista il Mondiale era suo a prescindere dal risultato del Kaiser. Una volta tanto le cose sono andate come dovevano ed il WDC lo vinse il più forte (e nemmeno di poco) dei due. Il Mondiale finisce assieme al decennio, Irvine si è accordato con la Jaguar la quale ha rilevato integralmente la Stewart. In Rosso sta per arrivare Rubens Barrichello ad affiancare il Kaiser per il suo quinto anno in Rosso. Quello che faranno assieme in pista con Todt/Brawn/Byrne ai box e Badoer a percorrere decine di migliaia di km tra Fiorano ed il Mugello entrerà di diritto nella Leggenda della F1. Ma questa è un’altra storia

(IMMAGINE IN EVIDENZA DA F1 RACE)