Buon Natale, Bring

Questo è il nostro terzo Natale assieme. Lo sproloquio ricco di argute circonlocuzioni verbali (e metafore) ve lo siete già sorbito per il secondo compleanno del Bring ergo a questo giro vi risparmio un sermone che farebbe impallidire il potentissimo Professor Guidobaldo Maria Riccardelli. Buon Natale a tutti, l’immagine in evidenza è il mio personalissimo messaggio verso tutti coloro che si sono impelagati nell’inutile polemica sulle grid-girls. Senza produrmi in un epiteto misogino o, peggio ancora, sessista lunga vita al binomio donne&motori che da sempre è stato l’ispirazione di ogni appassionato degno di tal nome. Speriamo di non svegliarci un giorno e doverci scusare di essere dei profondi estimatori della femmina della specie, so che suona paradossale ma se mi guardo intorno non mi sembra poi così improbabile come ipotesi. Mi sbaglierò come al solito, perlomeno a questo giro lo spero di cuore.

 

AUGURI A TUTTI

F1 IN PILLOLE – CAPITOLO 8

Come già annunciato poco più di due anni prima, dal 1989 i propulsori turbo furono banditi con conseguente ritorno agli aspirati di cilindrata massima fissata in 3500 cm³  e cilindri fino a 12; in un’era di grande innovazione caratterizzata dall’epico scontro tra Senna e Prost, che finì per catalizzare l’attenzione del grande pubblico, tornò tra i piccoli team l’idea che con la nuova rivoluzione motoristica potesse permettere a Davide di sfidare Golia, così l’elenco delle scuderie salì a 20, con 39 piloti al via, sette motoristi e due fornitori di pneumatici, nessun limite di consumo e una competizione spietata dall’ora di prequalifiche alla bandiera a scacchi. Il 1989 non fu solo Prost e Senna, grandi protagonisti di un duello destinato ad entrare nella storia: per raccontare tutto servirebbe un’enciclopedia, ma partiamo dalle nostre modeste pillole per analizzare una stagione indimenticabile.

Dia de alegria para Gugelmin

Tra le sue 80 presenza in Formula 1, Mauricio Gugelmin è salito una sola volta sul podio, togliendosi la soddisfazione di riuscirci nel gran premio di casa, sul circuito di Jacarepagua, prova inaugurale del mondiale 1989. Partito in sesta fila, fu autore di una gara accorta e bravo a sfruttare alcune disavventure dei big, arrivando al traguardo terzo a soli nove secondi dalla Ferrari di Mansell, che nell’occasione portò al successo la prima vettura con cambio semi-automatico; fu l’unica soddisfazione di un’annata sfortunata (con tanto di spettacolare incidente al via al Paul Ricard), con la March ben distante dalle prestazioni dell’anno precedente; terminata l’esperienza con il team anglo-nipponico, il brasiliano corse nel 1992 una stagione in Jordan e passò in seguito alla Cart, dove ottenne una vittoria, a Vancouver, nel 1997, ritirandosi definitivamente nel 2001.

Zakspeed, fine dei giochi

Con il ritorno agli aspirati fece il suo ingresso la Yamaha, che produsse il modello OX88, un 8 cilindri realizzato con collaborazione Cosworth per spingere la Zakspeed, che fino a quel momento aveva realizzato i motori in proprio. Al debutto Schneider si qualificò in 25esima posizione a 5,5 sec. da Senna mentre in gara fu costretto al ritiro per una collisione con Eddie Cheever; seguirono poi gare deludenti e il pilota tedesco riuscì a qualificarsi solo a Suzuka dove la sua gara durò un solo giro, mentre il suo compagno di Aguri Suzuki invece non superò mai le prequalifiche. I risultati disastrosi fecero perdere alla Zakspeed l’appoggio della West e portarono all’abbandono dalla Formula 1 (la casa è ancora attiva in altre categorie) mentre Schneider, dopo una breve e infelice esperienza alla Arrows passò alle ruote coperte vincendo 5 titoli DTM, 1 ITC e 1 FIA GT.

Ritorna la Brabham

L’interesse calante di Ecclestone, la perdita dello sponsor Olivetti e l’abbandono della BMW senza un accordo con un fornitore competitivo, portarono la Brabham a saltare una stagione, il 1988, durante la quale la squadra venne venduta prima all’Alfa Romeo e poi allo svizzero Joachim Luhti. Nel 1989 il team si ripresentò ai nastri di partenza con la BT58 spinta dal V8 Judd, con alla guida Martin Brundle e Stefano Modena, che a Montecarlo ottenne uno straordinario terzo posto, miglior risultato stagionale della Brabham, che affrontò poi una nuova parabola discendente fino alla definitiva chiusura avvenuta nel 1992.

Prima e ultima per Raphanel

Campione francese di kart e formula 3, Raphanel corse in Formula 1 tra il 1988 e il 1989 con Larrousse, Coloni e Rial, tentando in 17 occasioni e riuscendo a prendere il via una sola volta, nell’ostico circuito di Montecarlo, dove nel 1989 si qualificò con un ottimo diciottesimo tempo a più quattro secondi dal poleman Senna, ritirandosi in gara per la rottura del cambio.

L’ultimo podio di Mandingo

A Montreal nel 1989 Andrea De Cesaris salì l’ultima volta sul podio: partito in quinta fila con la sua Dallara Scuderia Italia, guidò come sempre con grinta, sfruttando al meglio il maltempo per rimontare, giungendo terzo alle spalle delle due Williams di Boutsen e Patrese. Il pilota romano corse fino al 1994 con Dallara, Jordan, Tyrrell e Sauber, collezionando altri punti e belle prestazioni, senza però riuscire a salire nuovamente sul podio.

Impresa sfiorata per Warwick e Larini

L’inglese Derek Warwick, alla guida della Arrows, durante il gran premio del Canada partì dodicesimo e si trovò in testa alla corsa grazie ad una buona condotta di gara e al valzer delle soste dovuto all’arrivo della pioggia, ma l’illusione svanì al quarantesimo giro per la rottura del motore Ford. Nella stessa gara anche l’Osella accarezzò il sogno di un incredibile piazzamento tra i primi grazie all’ottima prova di Larini: il pilota italiano superò le pre-qualifiche e centrò il quindicesimo tempo in prova a meno di tre secondi dalla pole di Prost. La gara partì in condizioni di bagnato, poi la pista iniziò ad asciugarsi ed alcuni rientrarono per il cambio gomme, beffati pochi giri dopo da un ulteriore scroscio di pioggia che favorì il nuovo leader Patrese, Warwick e il sorprendente Larini, risalito fino alla terza piazza, ma costretto purtroppo al ritiro per problemi all’impianto elettrico.

Ligier, segni di ripresa?

Delusa dalla sperimentale e deludente JS31, la Ligier schierò per il 1989 la più convenzionale JS33, spinta dal classico otto cilindri Cosworth, e la situazione migliorò lievemente: Arnoux arrivò quinto a Montreal, mentre Grouillard, debuttante ingaggiato al posto di Johansson, colse il suo unico punto in carriera nel Gran Premio di casa, corso al Paul Ricard. ​​

Il sogno americano della Rial

La Rial andò a punti due volte in Formula 1, curiosamente sempre nel gran premio degli Usa e con il medesimo risultato: A Phoenix nel 1989 infatti, Danner replicò il quarto posto ottenuto da De Cesaris l’anno precedente a Detroit. Pur ottenendo un piazzamento determinante per evitare le pre-qualifiche nella seconda parte di stagione, dopo un ottavo posto a Montreal il tedesco non riuscì più a qualificarsi, con la Rial spesso agli ultimi due posti in graduatoria; deluso dai risultati abbandonò la Formula 1, rimpiazzato prima da Foitek e poi da Gachot, che al pari di Raphanel e Weidler, altri piloti schierati durante l’anno, non riuscirono mai a prendere il via, uno dei motivi per cui il team alla fine del campionato chiuse i battenti.

Ultimo punto per l’Ags

All’Hermanos Rodriguez l’Ags colse il suo secondo ed ultimo punto in Formula 1 grazie a Tarquini, che nella prima parte di stagione si qualificò con costanza, arrivò sesto in Messico e si piazzò altre due volte vicino alla zona punti. Da metà stagione il pilota italiano fu costretto a disputare le prequalifiche, dove tra ben 13 iscritti solo 4 avevano accesso alle qualifiche ufficiali, e al pari del compagno di team Dalmas non fu più in grado di superare l’ostacolo, anche per la presenza di scuderie più competitive come Larrousse e Onyx.

Girandola di piloti a Le Castellet

Al Paul Ricard andò in scena una girandola di piloti: Pirro rimpiazzò Herbert alla Benetton, la Larrousse sostituì Dalmas con Bernard, mentre la Tyrrell fu costretta ad appiedare Alboreto per motivi di sponsorizzazione, mettendo al volante Alesi, alla prima gara in Formula 1. Martin Donnelly debuttò invece sulla Arrows, prendendo momentaneamente il posto di Warwick, infortunatosi in una gara di Kart: partito in settima fila, l’inglese fu dodicesimo al traguardo, poi l’anno seguente passò alla Lotus (ritrovando Warwick), ma la sua carriera si interruppe a causa di un terribile incidente, dal quale riuscì fortunatamente a ristabilirsi dopo sei settimane di coma.

Minardi in vetta!

Silverstone fu un appuntamento decisivo in quanto al termine della gara sarebbero state riorganizzate le pre-qualifiche fino al termine della stagione secondo i piazzamenti della prima parte: la Minardi, che fino a quel momento non aveva ancora tagliato il traguardo, rischiava seriamente. Luis Perez-Sala partì in ottava fila e grazie ad una prova di grande costanza e intensità arrivò sesto al traguardo alle spalle di Martini, permettendo al team di accedere direttamente alle qualifiche fino alla fine del campionato, nel corso del quale Martini raccolse poi altri tre punti. Fu l’unica gara a griglia completa con due Minardi contemporaneamente in zona punti, mentre nel 2005 vi riuscirono anche Albers e Friesacher a Indianapolis, ma con sole sei vetture al via. Dal Gp del Messico aveva debuttato la nuova Minardi M189 progettata da Aldo Costa con l’aiuto di Nigel Cowperthwaite e dopo qualche iniziale problema di affidabilità la vettura, aiutata dai nuovi pneumatici Pirelli, particolarmente performanti, portò alla scuderia grandi soddisfazioni. Oltre ai punti di Silverstone, nel finale di stagione Martini riuscì spesso a qualificarsi nelle prime file, lottando costantemente in zona punti; all’Estoril il pilota italiano riuscì anche a guidare la corsa per un giro, evento unico nella storia della Minardi, poi chiuse la gara con un soddisfacente quinto posto. La stagione si chiuse con un sesto posto ad Adelaide al termine di una gara “Full wet”, con un piccolo rimpianto per Martini, che sull’asciutto durante il warm up aveva segnato tempi vicinissimi a quelli dei primi.

Piquet a Spa come spettatore

Ennesima pagina amara della deludente avventura di Piquet in Lotus: a Spa il campione brasiliamo fece segnare il 28esimo tempo in prova a 6,9 sec dalla pole di Senna, mancando la qualificazione. Nella sua grandissima carriera capitò solo in un’altra occasione, a Detroit nel 1982.

Bertaggia, il debutto non s’ha da fare

Forte delle prestigione vittorie dell’anno precedente a Monaco e Macau in F3, Bertaggia ebbe l’occasione di sostituire Raphanel alla Coloni, con dieci soli giri di test sulla vettura di Moreno prima del debutto di Spa, dove nelle prequalifiche si fermò dopo due tornate causa un problema elettrico, mentre nei successivi appuntamenti andò meglio e il pilota italiano si avvicinò al gruppo pur non riuscendo mai a staccarsi dall’ultima posizione del turno. Tre anni più tardi l’Andrea Moda rilevò il materiale della Coloni per debuttare e chiamò Bertaggia, oltre a Caffi, per comporre la line-up, ma dopo due gare a vuoto in cui le vetture non scesero nemmeno in pista le tensioni portarono all’allontanamento di entrambi i piloti, sostituiti da McCarthy e da Moreno.

Johansson porta la Onyx sul podio

All’Estoril la Onyx colse l’unico podio della propria breve storia grazie all’esperto Johansson, che aveva giá conquistato un quinto posto al Paul Ricard. Sfortunatamente nei tre gran premi successivi lo svedese non riuscí più a passare le prequalifiche (i due punti in Francia non furono sufficienti per evitare la tagliola nella seconda metà di campionato). La scuderia si ritirò definitivamente nel corso dell’anno successivo dopo un inutile tentativo di rivoluzione ai vertici.

Larrousse tra luci ed ombre

Nel 1989 la Larrousse avviò un rapporto con la Lamborghini per la fornitura di motori ma i risultati furono al di sotto delle aspettative, tanto che dalla seconda parte di stagione il team fu costretto a disputare le Prequalifiche. Philippe Alliot, che due anni prima aveva portato il team al debutto e ai primi punti, in Ungheria non superò l’ostacolo, mentre in Spagna colse il miglior risultato stagionale centrando un incredibile quinto tempo in prova davanti alla Williams di Patrese e completando l’opera in gara, terminando al sesto posto per l’unico punto stagionale. Dopo un anno alla Ligier e due nel mondiale sport prototipi, Alliot tornò alla Larrousse tra il 1993 e 1994, ottenendo un quinto posto come migliore risultato.

Quasi 50 piloti in un anno!

A Suzuka la Minardi sostituì l’infortunato Martini con Paolo Barilla, il quale aveva già svolto alcuni test per la scuderia faentina; fu uno dei tanti piloti schierati durante la stagione 1989 per un totale di ben 47 piloti iscritti almeno ad almeno una gara, anche se sei di questi non riuscirono mai a qualificarsi. Barilla segnò il 19esimo tempo in prova ma fu subito messo fuori gioco dalla frizione, poi venne confermato per l’anno seguente, dove si qualificò in otto occasioni con un undicesimo posto come migliore risultato, prima di essere sostituito da Morbidelli.

Addio infelice per “Ghinza”

La carriera di Ghinzani ebbe uno sfortunato epilogo: al termine di una stagione difficile, in occasione della gara d’addio riuscì per la terza volta a superare lo scoglio delle pre-qualifiche con la sua Osella (insieme al compagno di squadra Larini), qualificandosi poi con il ventunesimo tempo in prova. La gara iniziò in condizioni proibitive e venne interrotta dopo poche curve a causa di diversi incidenti e il neo-campione del mondo Alain Prost decise di non rischiare abbandonando, mentre il gruppo ripartì tra mille difficoltà. Al diciottesimo giro, mentre proseguiva con una gara attenta e regolare, Ghinzani venne tamponato violentemente da Piquet, che nell’occasione rischiò tantissimo essendo stato sfiorato al volto dallo pneumatico posteriore dell’Osella; la corsa si concluse poi con la vittoria di Boutsen e con quattro italiani a punti: Nannini e Patrese a podio, Pirro e Martini rispettivamente quinto e sesto.

Verso il 1990…

I fatti di Suzuka, che qui non abbiano raccontato perché diamo per scontato che li conosciate bene se non benissimo, crearono una situazione estremamente tesa, al punto che Ayrton Senna annunciò la possibilità di ritirarsi dopo una diatriba accesissima con il Patron Balestre, minaccia poi fortunatamente rientrata. L’inverno della Formula 1 viaggiò verso il 1990, con il passaggio di Prost alla Ferrari, i programmi di crescita della Williams e la comparsa di nuovi protagonisti nel firmamento dei Gran Premi, ma vi raccontiamo tutto nella prossima puntata.

Mister Brown

 

Per fare un salto indietro nel tempo leggere qui:

Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (prima parte)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (seconda parte)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (terza parte)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (inizio)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (fine)

ENDURANCE: LA FINE DI UN’ERA

Con l’ultima gara in Bahrain si è chiuso un ciclo importante per la nascita e lo sviluppo del nuovo Mondiale Endurance.                              Dal 2012 il WEC ha portato una concreta innovazione tecnologica nel mondo delle corse, preludendo il sempre crescente interesse per l’ibrido.

All’alba del primo campionato dovevano essere già 3 i costruttori in pista, ma ancor prima di iniziare la Peugeot  decise di tagliare il programma Motorsport  piuttosto che lasciare a casa gli operai delle fabbriche; scelta molto tardiva, tant’è che la 908 HDI-Fap Hybrid era già stata sviluppata e costruita, pronta per iniziare i test…ma non correrà mai. Per fortuna subentrò la Toyota che vedeva nell’ibrido, di cui è sempre stata all’avanguardia nel mondo, l’arma giusta per tentare di raggiungere la tanto agognata vittoria a Le Mans dai tempi della GT One (una delle sports car più belle mai costruite).

ACO e i costruttori avevano lanciato una grande sfida quasi mai vista prima nel Motorsport: integrare massicciamente la propulsione elettrica con quella termica tradizionale. Con ciò si intende far funzionare di concerto un complesso sistema di apparati elettrici (motogeneratori, dispositivi di recupero, storage) e il motore alternativo tradizionale. In precedenza in F1 era stato introdotto il KERS, ma di fatto era solo un’aggiunta, un surplus rispetto alla vettura…infatti i motori sostanzialmente rimanevano identici.

Le Mans vide la prima vettura ibrida alla fine degli anni ’90 quando la Panoz presentò nei test una Esperante Hybrid, purtroppo con scarso successo per via del peso esagerato delle batterie e ben presto il progetto fu’ abbandonato.

Dunque il WEC ha portato a vedere il Motorsport da un lato diverso, nuovo..                                                                                                                                  Ora si tiene da conto anche l’ecologia, ma con l’obiettivo di mantenere se non incrementare le prestazioni.

Nel 2012 le Audi R18 E-tron furono 2 contro una sola Toyota            TS-030, ma data la poca esperienza di questa nuova tecnologia ibrida per Le Mans gli sforzi sono stati raddoppiati con Audi che portò le 2 vetture aggiuntive senza sistema ibrido, nella speranza che nel peggiore dei casi almeno loro avrebbero terminato la gara. Alla fine trionfò una delle R18 E-tron e segnò una svolta nella storia della 24 Ore, la prima vittoria di una vettura ibrida.

La crescita del campionato nel corso delle prime stagioni è stata molto consistente, tanto da riportare nel 2014 nella classe regina la Porsche,  simbolo per eccellenza della 24 Ore di Le Mans e marchio più vincente in assoluto nella storia del Motorsport.                      Questo ovviamente ha dato un grande boost di fan e appassionati che a quel punto vedevano sfidarsi 3 case (anche se Audi e Porsche dello stesso gruppo). Inoltre grazie al regolamento molto libero in fatto di propulsione termica ed elettrica, nel 2015 la Nissan entrò nella sola 24 Ore con tre inediti e anticonvenzionali prototipi a motore anteriore e trazione prevalentemente anteriore…                    un progetto contro le leggi delle auto da competizione.                    Infatti le performance furono fallimentari con quasi 20 secondi al giro di deficit dalle altre LMP1 e affidabilità molto precaria.            Dopo quella la gara il programma è stato chiuso, sancendo l’ammissione di aver prodotto una vettura più per marketing che per reali aspirazioni di vittoria.

La LMP1 vive dei 3 costruttori fino alla fine del 2016, quando l’Audi decide di uscire dall’ endurance dopo quasi vent’ anni e tantissime vittorie nei prototipi. Probabilmente la causa principale è lo scandalo Diesel Gate avvenuto l’anno precedente, in quanto oltre al programma WEC il gruppo chiude anche il ciclo vittorioso della Volkswagen nel WRC.

E’ un addio che fa male dopo così tanti anni ma ancor peggio è l’uscita della Porsche alla fine di quest’anno, lasciando di fatto la sola Toyota con l’ibrido nel 2018.                                                                                    Un fattore determinante in queste decisioni è soprattutto la crescita esponenziale della Formula E, che anticipa il cambiamento del mercato automotive. Effettivamente la Formula E conta una numero elevato di costruttori sia già impegnati sia pronti ad entrare prossimamente…fra cui proprio Audi e Porsche in forma ufficiale.

I prototipi ibridi oramai non sono  la connessione più conveniente e diretta fra competizione e futuro delle strade, perciò sono divenuti un gioco che non vale la candela.

Ebbene dall’ anno prossimo si tornerà al passato….al 2006 e anni precedenti, quando c’era lo squadrone Audi contro piccoli team privati più o meno organizzati, come la Pescarolo che comunque  in fatto di velocità era lì con Audi se non meglio.

Le Mans è una storia che continua dal 1923 e ha visto tantissimi momenti peggiori di questo, come a metà degli anni ’90 quando il WSC (WEC di allora) addirittura scomparve vista l’assenza d’interesse dei costruttori. Tutto ciò permise d’altro canto di assistere a storie che alimentano il mito della 24 Ore di Le Mans…come la vittoria nel 1995 della McLaren F1 GTR LM contro i prototipi più veloci dei garagisti; di fatto l’unica Le Mans d’epoca moderna vinta da un’auto con base realmente stradale.

Negli anni successivi ci furono le prime bellissime GT1/GTP: Porsche, Mercedes, Toyota, Nissan…..che sono diventate icone del Motorsport.

Tornando al presente, ci sono già alcune conferme di nuove auto LMP1 non ibride per il 2018, fra cui la BR-Dallara e la Ginetta LMP1 per 5-6 vetture probabili per la prossima “superstagione”.                    Poi  starà alla FIA e ACO di trovare dei metodi per rendere quantomeno non troppo irraggiungibili le Toyota rispetto alle altre LMP1 normali.

Di sicuro alla Toyota si presenta un’occasione in cui non può fallire, e molto probabilmente Alonso avrà una grande chance di vincere alla prima partecipazione….wait and see.

Quindi il 2018/19 segnerà l’inizio di un periodo di transizione in attesa di nuove sfide tecnologiche per i costruttori che comunque ritorneranno. Nel frattempo possono rispuntare belle storie di piccoli assemblatori e team privati che hanno modo di sognare l’impresa di una vita.

 

P.S. per la prossima stagione cercheremo di essere più attivi nel mondo dell’Endurance a 4 ruote…non solo con il WEC, ma anche per quanto riguarda il campionato americano IMSA  e le grandi classiche del panorama GT.

Aury

Venti anni passati invano: l’inesorabile tramonto della Williams

Correva l’anno 1979. In quel di Silverstone il grande Clay Regazzoni coglieva la sua ultima vittoria nonchè la prima per una scuderia destinata a diventare una delle più vincenti della storia della Formula 1. La vettura era la fantastica FW07 progettata da Patrick Head. Il Team era ovviamente la Williams, di cui il geniale ingegnere era socio assieme al buon Frank, ex squattrinato che aveva risollevato la propria carriera di proprietario di team grazie alla felicissima intuizione di rivolgersi al medio oriente per procurarsi il denaro.

Da quel fatidico giorno, i trofei in bacheca sono stati tanti, frutto anche di anni di dominio incontrastato e di monoposto degne eredi della suddetta FW07, come la FW14B del 1992, che è l’esatto opposto da un punto di vista dei contenuti tecnologici,  così come quella che l’ha seguita, la FW15 del 1993, talmente sofisticata e piena di elettronica da provocare una vera e propria rivoluzione regolamentare con la quasi totale abolizione dei dispositivi controllati dal computer, e con le nefaste conseguenze che purtroppo ben conosciamo. Dal 1979 al 1997 la Williams ha totalizzato 9 titoli costruttori, 7 piloti, 103 vittorie. E poi…

E poi è successo qualcosa, e precisamente l’abbandono del costruttore che le aveva consentito un lungo dominio fra il 1991 e il 1997, contrastato solo dalla tragedia del 1994 e da Michael Schumacher. Nel 1998 la Williams campione del mondo si trova senza più l’appoggio ufficiale della Renault, e da lì in poi i trofei conquistati saranno molti, ma molti meno. Negli ultimi 20 anni le vittorie sono state solo 11, di cui 10 ottenute con un motore BMW, nel periodo fra il 2001 e il 2004, quando sembrava dovessero ritornare i bei tempi, ma di mezzo c’era ancora Michael Schumacher questa volta con una Ferrari imbattibile. E, perso l’appoggio della BMW nel 2006, con i motori clienti è arrivata una sola, strana, vittoria, nel 2012 a Barcellona.

E oggi vediamo una squadra che appare allo sbando, come dimostra l’assurda manfrina per trovare il sostituto di Massa nonchè compagno del giovane Stroll, il cui padre ha di fatto preso in affitto la squadra buttando soldi freschi, sicuramente molto graditi, ma avendo poi ovviamente voce in capitolo relativamente alla scelta del secondo pilota. Nelle settimane successive all’ultimo GP di Abu Dhabi è stato raccontato che i candidati all’ormai unico sedile rimasto libero erano Di Resta, Kubica, Sirotkin e Kvyat. Era girata pure la voce di un ritorno in auge di Massa (un secondo finto ritiro sarebbe veramente troppo), nonchè di un contatto con Rowland, peraltro subito smentito dalla squadra.

Da queste candidature appare evidente che la Williams, pur avendo le potenzialità tecniche per puntare in alto, abbia obiettivi diversi da quello di vincere i gran premi. A meno di non pensare che Stroll e il suo futuro compagno, scelto nella suddetta rosa, non si trasformino improvvisamente in GP winners, se dotati della macchina giusta. Ma la macchina giusta si fa anche grazie al contributo dei piloti, e francamente da uno che fatica a tenere dritto il volante in rettilineo, e da un debuttante (se è vero, come sembra, che sarà Sirotkin il prescelto) di contributo ne arriva sicuramente poco.

In questo senso, forse la scelta più logica sarebbe stata quella di Kubica, che pare avere impressionato il team da un punto di vista della professionalità, o di Kvyat, che di esperienza ne ha e che, secondo quanto dichiarato in questi giorni dal suo ex datore di lavoro Franz Tost, ha solo bisogno di una registrata per potere esprimere il proprio grande potenziale. Ma evidentemente per Stroll ci vuole un compagno non troppo scomodo, e alla Williams servono i 15 M€ di provenienza russa.

Sono passati 20 anni dall’ultimo mondiale, e di questo passo almeno altrettanti ne passeranno prima del prossimo. Ma per il gruppo Williams potrebbe non essere un gran problema, visto che accanto alla squadra di F1 esiste un’azienda che lavora nell’ambito delle tecnologie avanzate, e che negli ultimi anni ha conosciuto un buon successo in termini di fatturato. Le competizioni della massima formula non sono più il core business, e forse ciò spiega questo lento ed inesorabile declino.

P.S. il DT della Williams di nome fa Paddy e di cognome Lowe. Un anno esatto fa era al muretto della Mercedes a redarguire minacciosamente Lewis Hamilton reo di rallentare un po’ troppo vistosamente mettendo in difficoltà il compagno di squadra destinato a portare a casa il mondiale. Evidentemente pago di successi, ha deciso di raccogliere una nuova sfida alla Williams. C’è da chiedersi se uno come lui, abituato negli ultimi anni a dominare avendo a che fare con staff e piloti di altissimo livello, sia davvero convinto di potere tornare a vincere con il materiale che ha a disposizione ora.

Un matrimonio che non s’ha da fare

Tutti hanno sentito parlare di Stirling Moss, grande campione inglese che pur non avendo mai vinto un campionato del mondo di formula uno è un personaggio che non ha nulla da invidiare ai campioni della sua epoca, i vari Fangio, Ascari, Hill etc.. .

Ha vinto 16 Gp valevoli per il mondiale, la Mille Miglia (con record assoluto), la Targa Florio, il Tourist Trophy, la 12 ore di Sebring ed è arrivato secondo alla 24 ore di Le Mans e nel Rally di Montecarlo giusto per citare i risultati più importanti; questo però senza mai correre con la Ferrari del Commendatore, certo Stirling ha corso e vinto con delle auto Ferrari ma non ha mai corso per il “Grande Vecchio”.

Sono quì oggi per raccontare quelle piccole vicissitudini (qualcuno le chiama, con il termine inglese, sliding doors), casi della vita, per cui Sir Stirling Moss non ha mai corso per Enzo Ferrari, per colui che era un simbolo dell’automobilismo mondiale, per quel signore, che quando ti chiama fai anche 2000 km in macchina per poter pilotare una delle sue automobili.

Il primo incontro

Stirling partecipa al Gran Premio di Bari del 1950, gara non valevole per il mondiale, con un HWM motorizzata Alta dove riesce a piazzarsi terzo a due giri dietro la coppia Alfa Farina-Fangio. Si fece notare in questa corsa per essersi trovato davanti alle due Alfa che lo stavano doppiando, dopo che Farina riuscì a passarlo riprese il suo ritmo gara allungando la staccata alla curva successiva facendo così che Moss potesse sdoppiarsi avendo trovato lo spiraglio per un sorpasso.

Nel ’51 Ferrari offre a Stirling di guidare le sue auto per il Gp di Rouen e per il Gp di Gran Bretagna a Silverstone (che ironicamente sarà il primo GP vinto dalla Ferrari) , lui si vede costretto a rifiutare di guidare a Rouen perchè avrebbe corso con la HWM, però era libero per Silverstone. Naturalmente per Ferrari c’era il tutto o nulla, quindi al rifiuto di Moss per Rouen segui il rifiuto del Vecchio per Silverstone. Subito dopo il GP di Rouen Ferrari richiamò Stirling a Modena per offrigli di guidare a Bari e a Monza per il GP d’Italia. ed a seconda dei risultati questo avrebbe portato Moss ad andare in Sud America per la Temporada durante l’inverno, ed avere una Formula 1 per il 1952.

Ben contento di poter correre per la scuderia, al pari dell’Alfa, ritenuta il top, Stirling partì per Bari dove lo troverà una brutta sorpresa, mentre provava l’abitacolo della Ferrari 500 un meccanico gli chiese cosa stesse facendo, di uscire che quell’auto era per Taruffi. Senza dire niente il Commendatore aveva cambiato idea, e per Stirling, che si sentì preso in giro, fu facile pensare che Ferrari non era un gentleman e decise che non avrebbe mai corso per lui.

Il ritorno

Fino al 1961, per i dieci anni che durò la carriera di Moss in Formula 1, la Ferrari riuscirà a vincere 5 mondiali piloti ed in due di essi Stirling finirà secondo a pochi punti (addirittura nel ’58, quando arivò ad un punto da Hawthorn, fu lui a fargli togliere la squalifica in Portogallo ed a consegnarli praticamente il mondiale).

Moss disse, in un intervista anni dopo, che in quei giorni aveva sempre trovato una sorta di rivincita a battere le Ferrari, come a Monza nel ’56 sopra una Maserati, e saranno proprio le uniche due sconfitte subite dalla Ferrari nel ’61 ad opera di Moss (a Monaco e al ‘Ring) a far sì che Ferrari lo richiamasse per guidare le sue auto.

Arrivato a Maranello Ferrari salutò Moss come un vecchi amico, come se per lui cosa accadde a Bari non fosse mai successo. Il Commendatore fece la sua offerta :”Ho bisogno di te. Dimmi che tipo di auto vuoi e te la costruisco in sei mesi. Metti su carta le tue idee, se guidi per me tu mi dirai al lunedì cosa non ti è piaciuto dell’auto la domenica, ed al venerdì sarà cambiata a tuo gradimento” Ferrari voleva il pilota che riteneva più forte.

Moss e Rob Walker (il propietario del team per cui correva all’epoca) riuscirono ad avere una Ferrari Formula 1 ufficiale da dipingere con i colori del Rob Walker Team ed una 250 GTO da dipingere con i colori BRP (venduta un paio di anni fa per 35 milioni).

Sfortunatamente prima dell’inizio del mondiale 1962 Moss ebbe l’incidente che chiuse la sua carriera, a Goodwood su di una Lotus, Stirling in un intervista dichiarò che se avesse corso sulla Ferrari (che non era ancora pronta per la consegna) forse non avrebbe mai avuto l’incidente visto la maggiore affidabilità rispetto alle altre.

Ecco le parole di Stirling:

“Yes, I must say my biggest regret is never driving for Ferrari. If you go through Ferrari’s history I can’t think of one accident – with the possible exception of Alberto Ascari in which we don’t really know what happened – where the car was the cause of the guy’s death.”

Dall’altra parte il Grande Vecchio ancora nel ’87 alla domanda di chi fosse il più grande pilota rispondeva “Di sempre Nuvolari, ancora in vita Stirling Moss”.

Un matrimonio mai avvenuto che per il caso non è avvenuto nel ’62 e per la cocciutaggine di entrambe le parti, non prima. Sempre Ferrari disse che il fatto di non aver ingaggiato Moss per la sua scuderia anni prima gli sia costato molte vittorie, ed io credo, a Stirling almeno il mondiale che si meritava.

Landerio

Life is racing, all the rest is waiting