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Hamilton alle stelle, Vettel alle stalle

Che non sarebbe stato un gran week-end per Vettel si era già capito ieri. Ma non tanto (e non solo) per il terzo posto in griglia, dietro al compagno di squadra, quanto per un certo nervosismo, emerso nelle dichiarazioni post-gara. Forse si era reso conto che questo week-end sarebbe stato durissimo tenere il passo di Hamilton, come mai era successo prima nella stagione.
In più, Lewis sembrava più forte perfino del regolamento, con una penalità che ci poteva stare e che non gli è stata comminata. Il re non si tocca, in casa sua.

Fatto sta che tutto è andato come doveva andare. Lewis doveva dominare e ha dominato (quarta vittoria di fila a Silverstone). La Mercedes doveva essere imbattibile sul circuito di casa e ha fatto doppietta. La Ferrari doveva limitare i danni, e purtroppo è andato quasi tutto storto, con due gomme anteriori sinistre gialle saltate contemporaneamente al penultimo giro, che sono costate una sola posizione a Raikkonen, e ben 4 a Vettel, che vede drasticamente ridursi la leadership del mondiale ad un misero punticino.

Ma questo non sarebbe neanche un gran problema, se non fosse che, andando a vedere il conteggio totale delle vittorie fra Mercedes e Ferrari nella prima metà del mondiale, appare nettissima la superiorità della prima con un numero di primi posti esattamente doppio. E con ben 3 risultati compromessi da altrettanti problemi di affidabilità. Il trend non appare positivo per la squadra di Maranello, se è vero che Vettel ha conosciuto in Inghilterra il primo week-end sottotono dell’intera stagione. Precedentemente era capitato a Lewis di non capirci nulla con gli assetti, in 3 occasioni (Sochi, Montecarlo e Austria). Questa volta è toccato a Seb, mai in grado di impensierire nemmeno il compagno di squadra, che a Silverstone ha fatto una gara magnifica e poteva arrivare secondo senza il problema nel finale. Probabilmente la gara di Seb si è rovinata con una pessima partenza, quando ha perso, causa freni surriscaldati, la terza posizione su Verstappen, al quale non è più riuscito a riprenderla, nonostante un bellissimo duello all’arma bianca, e innescando così la necessità di allungare il secondo stint dovendo poi ulteriormente sforzare le gomme per resistere al ritorno di Bottas.

Va detto che i problemi con le gomme gialle hanno colpito pure Verstappen, al quale il box ha imposto un cambio in extremis. E c’è quindi da chiedersi se qualcuno non si sia fidato un po’ troppo della maggiore durata che le Pirelli 2017 hanno dimostrato fino ad ora, con Mario Isola che, intervistato a metà gara, affermava che sulle super soft non si era manifestato un consumo eccessivo, ed era quindi fiducioso che con le soft si sarebbe potuto finire la gara. Probabilmente, come ha affermato Toto Wolff dopo la gara,  la Ferrari non ha trovato il giusto compromesso per far lavorare le gomme in una situazione di curve veloci, alta deportanza e temperatura non altissima.

Sarebbe ingeneroso non sottolineare l’ottima gara delle due “seconde guide”. Di Kimi abbiamo già parlato, ed è opportuno aggiungere che sarebbe bello vederlo sempre così in palla, ma la storia ci dice che è un’utopia. Fantastica invece la gara di Bottas, che si sta dimostrando pilota sempre più solido. Capace di girare fortissimo nel primo stint con le gomme gialle, anche dopo 25 giri, e ancor più forte nel secondo stint con le gomme super soft, issandosi fino al terzo posto, poi diventato secondo con il problema di Kimi. Grazie a lui, il titolo costruttori 2017 andrà certamente a Brackley, non ci sono discussioni su questo.

Da segnalare infine, la gara fantastica di Ricciardo (tanto per cambiare, spettacolare il suo “who’s next” dopo i 3 sorpassi consecutivi a Ocon, Perez e Magnussen), quella pessima di Stroll, tornato nei ranghi dopo 3 gare a punti, e lo scontro fra i due Toro Rosso, che probabilmente meritano di perdere il posto a fine stagione. Niente invece da segnalare per le due Force India, sempre a punti, e per Alonso, sempre ritirato.

Ora c’è l’Hungaroring, sulla carta una pista nettamente favorevole alla Ferrari, che deve immediatamente recuperare la battuta d’arresto. Il rischio è che Hamilton e la Mercedes scappino via, e a quel punto sarà veramente difficilissimo andarli a prendere. Ma soprattutto, che si inneschi una spirale di negatività che Vettel ha già dimostrato di non essere in grado di sopportare, e che potrebbe dare il colpo di grazia al rapporto fra il tedesco e la squadra di Maranello, oltre a far sfumare qualsiasi possibilità di riportare a casa il titolo dopo 10 anni esatti.

 

FORMULA 1 GROSSER PREIS VON ÖSTERREICH 2017

E così, finalmente, la F1 fa tappa sulle alpi, su un circuito carico di storia, che una volta si chiamava Zeltweg ma ora lo chiamano Spielberg. Forse, per distinguerlo dal suo predecessore, un bel po’ più lungo, spettacolare e da pelo, specialmente con le macchine degli anni ’70 e ’80.

Le colline sulle quali si sviluppa il circuito hanno visto episodi storici: l’unica vittoria di Brambilla nel 1975, l’ultima vittoria di Peterson nel 1978, la zuccata monumentale data da Nigel Mansell contro la pensilina del podio nel 1987.

Ma ora tutto è diverso, il circuito è solo bello da vedere, ma di pelo sullo stomaco ne serve molto meno, specialmente con le auto moderne. Nonostante questo, domenica lo spettacolo è assicurato, perchè ci sono tanti dubbi che dovranno trovare risposta dopo la pazza domenica di Baku. Andiamo a vedere quali, in ordine sparso.

Dubbio n. 1: Vettel è veramente pentito?
La domanda sorge spontanea, dopo le scuse che ha formulato a seguito dell’incontro con il comandante supremo. Il povero Seb dovrà darsi da fare a spiegare ai piloti in erba delle formule minori che certe cose in pista non si devono fare. Nemmeno se si è lì grazie ai soldi di papà, aggiungo io. Di sicuro la cosa gli interessa poco, perchè alla fine della fiera Baku ha detto bene a lui e non al rivale. Ma è sperabile che abbia imparato la lezione, perchè quando si cade nei trappoloni non va sempre così bene, e dal GP azero poteva uscire con le ossa rotte, se non fosse stato per un poggiatesta ballerino.

Dubbio n. 2: Lewis è veramente un pilota corretto?
Anche questa domanda sorge spontanea, vedendo con quale sprint è uscito dalla curva a 90° prima del lunghissimo rettilineo di Baku, con le conseguenze che sappiamo. A norma di regolamento non ha fatto nulla di male, sempre se consideriamo che portare una F1 a 50 km/h non sia male. Sembra proprio che non lo sia, visto che nessuno gli ha detto niente. E, assodato questo, è a maggior ragione il caso che Seb si adegui, anzichè volere farsi giustizia da solo. Può sempre prendere lezioni dal giovane pensionato residente a Montecarlo, di sicuro gliele darà gratuitamente.

Dubbio n. 3: Cosa si saranno detti al debriefing quelli dalla Force India?
I casini fra gli aspiranti al titolo hanno messo in secondo piano il clamoroso botto fra i due della Force India, che hanno buttato via un risultato potenzialmente eccezionale. Il giovane Ocon sta mostrando un rendimento incredibile, e anche a Baku, nonostante l’incidente, ha continuato a portare a casa tanti punti. Ma anche lui deve forse farsi un po’ più furbo, spingere contro il muro il compagno di squadra non è mai cosa buona, e non è sempre detto che un comportamento del genere venga perdonato. Ma forse alla futura Force One sono contenti di avere questo tipo di problemi.

Dubbio n. 4: La nuova specifica Honda farà fare un salto di qualità alla McLaren?
I giapponesi sono estremamente gasati da questa nuova versione, tanto da mostrarsi molto fiduciosi. Forse rinvigoriti dal fatto di avere scoperto la causa del guasto che ha lasciato a piedi Nando negli ultimi giri della Indy 500. Contenti loro… ma, qualunque sia il miglioramento (non scommetterei su una McLaren nelle prime file) il matrimonio con la casa di Woking è giunto al termine, e qualsiasi gioia sarà effimera e avrà pure il sapore di una beffa.

Dubbio n. 5: Stroll riuscirà a confermarsi su buoni livelli?
Dopo essere stato eccessivamente incensato per i primi punti raccolti in Canada, grazie anche ai ritiri altrui, e dopo la effettivamente straordinaria prestazione di Baku, dove non ha mai messo le ruote fuori posto quando altri colleghi imparavano a memoria le vie di fuga o la forma dei muretti, l’Austria ci dirà se siamo veramente di fronte ad un danaroso di talento (come in tanti si sono affrettati a dire) o semplicemente ad una meteora molto ricca.

Il dubbio dei dubbi: pioverà o non pioverà?
A Zeltweg, pardon, Spielberg, quando piove piove sul serio. Con un tempo come quello del 1975, queste F1 non escono nemmeno dai box. Ergo, se deve piovere, speriamo che lo faccia ad intermittenza, così ci divertiamo un po’…

Ricciardo vince il GP Indycar di Azerbaijan

La proprietà della F1 ora è americana, e il livello di competizione si adegua. In un circuito in tipico stile USA (tranne che per l’asfalto), abbiamo assistito ad una delle gare più pazze della storia della F1, simile a quelle che ogni tanto si vedono nel campionato Indycar, e che più spesso si vedevano una ventina d’anni fa nel campionato CART, quando Zanardi (di cui chi scrive è orgogliosamente concittadino), lo dominava.

Safety car a ripetizione, contatti, piloti finiti nelle retrovie che arrivano a podio, e, soprattutto, la giustizia che viene fatta in pista direttamente dai piloti, diventati emuli del mitico Paul Tracy.

E iniziamo proprio da questo. E’ da sperare che alla fine del campionato Vettel non debba rimpiangere il gesto di oggi. La reazione non è ammessa in nessuno sport, chiedere a Zidane. Rifilare una ruotata solo per affermare di avere ragione è sbagliatissimo ed è giusto che abbia pagato. Ma c’è un “ma”. Hamilton-Materazzi aveva provocato. Frenare in uscita da una curva, a 3 km dal traguardo, portando la velocità della macchina a 50 km/h, è pericoloso, non necessario e antisportivo. Forse non sarà sanzionabile a livello di regolamento (le luci della SC erano già spente), ma di sicuro un discorsino gli andrebbe fatto. Anche perchè è recidivo (Fuji 2007, anche in quel caso a farne le spese fu Vettel).

Detto questo, il caso ha voluto che Hamilton venisse comunque punito da un incredibile inconveniente tecnico, e la pista alla fine ci dice, comunque, che Seb ha aumentato il suo vantaggio nella classifica piloti rispetto a Lewis, in una gara dove, stando ai risultato delle qualifiche di ieri, era lecito aspettarsi una doppietta Mercedes, tale era il distacco rifilato alle Ferrari.

Ma doppietta non è stata, pur se al secondo posto è ugualmente arrivato Bottas, dopo essere finito doppiato a causa del danno riportato nell’incidente con il totalmente incolpevole Kimi in curva 2. Peccato perchè il finlandese per una volta era sul pezzo, con una partenza ottima e un attacco estremamente aggressivo al connazionale, che ha aperto la strada al compagno di squadra, sacrificando di fatto la sua gara.

Fra i due litiganti il terzo gode, e oggi a godere è stato (meritatamente) Ricciardo, che dopo l’errore in qualifica ha condotto una gara solida, rimontando dalle ultime posizioni dopo un pitstop anticipato per ripulire le prese d’aria dei freni dai tanti detriti presenti sulla pista. E’ un peccato che un pilota così abbia a disposizione per il quarto anno consecutivo una macchina che gli permette di vincere solo quando gli altri sono in difficoltà. E la stessa cosa si può dire del suo compagno di squadra, il quale ancora una volta è stato vittima della pessima affidabilità della power unit Renault.

L’altra stella di giornata è stato Stroll, incredibile terzo, bruciato da Bottas sulla linea del traguardo quando sembrava avviato ad una ancora più incredibile seconda posizione. Gliene abbiamo dette di tutti i colori, è stato criticato pesantemente dalla stampa, poi arriva sul circuito che non perdona errori, e in 3 giorni non mette mai le ruote fuori posto, e in una gara dove tanti colleghi hanno perso la bussola, lui è capace di ottenere un grandissimo risultato (è il più giovane pilota ad arrivare podio nella storia della F1). I prossimi GP ci diranno se si è trattato di un caso, ma da quello che si è visto oggi probabilmente non lo è. Indipendentemente dal fatto che sia arrivato dove si trova grazie ai tanti soldi di papà (prima di questo GP se ne era andato ad Austin a provare una monoposto del 2014, per una spesa che probabilmente si avvicina, o anche supera, la milionata di euro).

Dietro ai primi, da segnalare gli ottimi risultati di Ocon, Sainz e Wehrlein, tutti e 3 arrivati ai ferri corti coi rispettivi compagni di squadra. In particolare il francese, che ha spedito a muro Perez quando entrambi navigavano in zona podio, e, per sua fortuna, ad avere la peggio è stato il compagno. Al prossimo briefing dovrà essere presente l’ispettore Clouseau, per mettere un po’ di tranquillità.

E infine arriviamo a quella che è la vera impresa di giornata. Due motori Honda sono riusciti a finire il GP corso sulla pista dove il motore viene spremuto di più, portando addirittura Alonso nei punti. Ovviamente verso la fine qualche problemino c’è stato, altrimenti il risultato poteva essere anche migliore, se è vero che il povero Nando ad un certo punto era vicinissimo al podio, e, parole sue, avrebbe pure potuto vincere questa gara. Non è improbabile che a fine gara i motori siano da buttare, e che anche in Austria si prendano decine di posizioni di penalità, ma intanto la classifica si è mossa, e non è poco.

La Ferrari riparte da Baku con la consapevolezza che anche quando le qualifiche la vedono in difficoltà, in gara può dire la sua. Ma come si è visto a Montreal, e pure oggi, non essere in pole significa avere altissime probabilità di finire dietro (o molto indietro) in gara (ma anche esserlo e non fare una buona partenza, ovviamente non è bene). E questo potrebbe fare la differenza alla fine dell’anno, come sa bene Alonso. Con la consapevolezza di questo, buttare dei punti preziosi cedendo all’istinto è, come detto all’inizio, un errore imperdonabile, ed è bene che Seb rifletta (e venga fatto riflettere) su questo, con tutto il rispetto che si deve ad un grande campione.

Coppie asimmetriche: quando la gerarchia è necessaria

La faccia di Kimi domenica scorsa sul podio di Montecarlo era tutta un programma. Probabilmente pensava di essere stato penalizzato dalle strategie, sospetto condiviso da tutti i suoi tifosi e smentito seccamente dalla squadra, che continua ad insistere sul fatto che non c’è una gerarchia stabilita a priori ma è la pista a decidere il risultato.

Concetto che abbiamo sentito espresso più volte negli ultimi quarant’anni di Formula 1, anche quando l’evidenza diceva esattamente il contrario. E’ un fatto che in una categoria dai costi sempre in crescita (come è, appunto, avvenuto negli ultimi 40 anni), una squadra non si possa permettere di perdere un mondiale perchè i propri piloti si tolgono i punti a vicenda. Ed è di conseguenza naturale che la scelta che si è vista più spesso sia quella che prevede una gerarchia stabilita a priori: la prima guida sulla quale puntare per il titolo e un secondo pilota a fargli da scudiero, pronto a togliere punti agli avversari ma a lasciare passare il caposquadra, in modo più o meno plateale, anche quando non ce n’è bisogno: “for the championship”, come diceva quello.

La storia passata ci racconta che i piloti possono essere lasciati liberi di battagliare alla pari solo quando la macchina è nettamente superiore. Situazione che si è vista poche volte, e precisamente nel 1984 (McLaren, Lauda-Prost), 1988-89 (McLaren, Prost-Senna), 2014-2015-2016 (Mercedes, Hamilton-Rosberg). Perchè se la vettura non è una spanna sopra alla concorrenza, ma c’è anche solo un avversario in grado di giocarsela, il mondiale è più facile perderlo, come è accaduto alla Williams nel 1981 (Jones-Reutemann, a favore di Piquet) e nel 1986 (Piquet-Mansell, a favore di Prost), alla Ferrari nel 1990 (Prost-Mansell, a favore di Senna) e alla McLaren nel 2007 (Hamilton-Alonso, a favore di Raikkonen).

La madre di tutte le coppie “asimmetriche” è sicuramente quella Andretti-Peterson, del 1978. Il povero Ronnie era stato messo sotto contratto con il chiaro ruolo di seconda guida, e potè imporsi solo quando la Lotus 79, clamorosamente superiore alla concorrenza, lasciava a piedi il compagno Mario. Non fu mai realmente in lotta per il mondiale, e conobbe un tragico destino a Monza, anche a causa del suo status, non potendo utilizzare il muletto destinato ad Andretti e dovendo partire con la vecchia 78, inaffidabile e forse anche meno sicura.

La sopra citata coppia Jones-Reutemann, fu invece la prima oggetto di una vera e propria ribellione da parte dello scudiero. Se nel 1980 il buon Carlos aveva sopportato lo stesso trattamento di sfavore riservato dalla Williams a Regazzoni l’anno precedente (che non gli impedì però di ottenere la prima vittoria per la scuderia a Silverstone, con somma insoddisfazione di patron Frank e di Patrick Head), nel 1981 a Rio finse di non vedere il cartello che gli intimava di cedere la posizione a Jones e andò a vincere il GP. Rimase al comando del campionato tutto l’anno, complici anche una serie di sventure capitate all’australiano, ma senza il supporto della squadra arrivò a perdere il titolo all’ultima gara a Las Vegas in favore di Piquet. Ironia della sorte, quel GP fu dominato proprio da Jones.

A Piquet il buon Ecclestone in quegli anni aveva riservato come compagni di squadra due piloti paganti dalle capacità che definire dubbie è un eufemismo, quali Hector Rebaque e Ricardo Zunino. Con loro due Nelson era certo di non avere fastidi particolari. La cosa non cambiò di molto negli anni successivi, quando il motorista BMW portò soldi al team e pretese anche un secondo pilota di un certo livello. Bernie si orientò su Riccardo Patrese, al quale però il 4 cilindri turbo andava spesso in fumo e non fu mai in lotta per il titolo, che invece il compagno vinse nel 1983. La stessa situazione la visse 10 anni dopo in Williams, con Mansell come compagno di squadra, raccogliendo solo le briciole mentre Nigel, indubbiamente preferito dal team, vinceva gare e mondiale.

Sempre in quegli anni vi è da segnalare un’altra coppia problematica, quella composta da Prost e Arnoux nel 1982. Quest’ultimo si rifiutò di fare passare il compagno di squadra nel GP di Francia, che vinse, e alla fine dell’anno emigrò alla Ferrari. A Prost venne affiancato un pilota innocuo come Eddie Cheever, ma riuscì a perdere ugualmente il mondiale. Curiosamente, negli anni successivi in McLaren il francese dovette fare i conti con compagni di squadra fortissimi, Lauda prima e Senna poi, e a causa loro perdette due titoli, nel 1984 e nel 1988, che altrimenti avrebbe vinto in carrozza. Ma il presuntuoso Ron Dennis ha sempre voluto perseguire la strada dei due galli nel pollaio. Buon per lui che quando li aveva anche la macchina era talmente superiore che poteva permettersi di farli scannare.

Fa eccezione il già citato 2007, che di fatto sancì la fine della gloriosa carriera di Ron in F1, avendo gestito malissimo una coppia, quella Alonso-Hamilton, che avrebbe potuto vincere diversi titoli. Ma se era riuscito benissimo a tenere a bada due come Prost e Senna, la stessa cosa non gli è successa con lo spagnolo e l’inglese, protagonisti di scenette ridicole come quella in Ungheria. La spy story ha poi fatto il resto.

Tornando agli anni 80, da segnalare le coppie Lotus del 1986 e 1987, con Senna che, dopo l’esperienza con De Angelis nel 1985, resosi conto che il team riusciva a malapena a gestire la sua macchina, pretese di avere al fianco comparse come Dumfries e Nakajima. Dopodichè pure per lui, come per Prost, la musica cambiò dovendo fare i conti con il francese, fino a quando Dennis non decise di avere meno problemi e gli mise di fianco l’innocuo Berger, che per Ayrton fu non solo un compagno ma anche un caro amico.

Perchè nella storia della Formula 1 ci sono anche rari esempi di grande amicizia e collaborazione fra compagni di squadra. Una è proprio quella fra Senna e Berger, con il secondo adattatosi consapevolmente al ruolo di scudiero, e un’altra è quella fra Scheckter e Villeneuve, che contribuì non poco a portare il titolo alla Ferrari nel 1979.

Come purtroppo ben sappiamo, Villeneuve non fu ricompensato, e, anzi, la coppia Villeneuve-Pironi del 1982 rappresenta forse l’esempio più tragico di rivalità fra compagni di squadra. Anche in quel caso decisiva fu la volontà di Enzo Ferrari di non avere gerarchie in squadra. A vincere doveva essere la macchina, non importava chi la guidasse. E per questo non dette ragione a Gilles dopo il torto subito ad Imola.

Dopo la morte del Drake, Cesare Fiorio decise di portare avanti la stessa filosofia, mettendo Mansell e Prost in squadra assieme nel 1990 e non gestendone la rivalità, col risultato di perdere il mondiale anche a causa del disturbo arrecato da Nigel al compagno francese. Da lì in poi, a Maranello ha sempre prevalso la logica della prima guida e dello scudiero. Quando l’auto è stata competitiva, le gerarchie erano ben definite e, anzi, stabilite a tavolino prima dell’inizio della stagione, anche se la squadra si è sempre rifiutata di confermarlo. Con l’unica eccezione della coppia Raikkonen-Massa del 2007-2008, anche se c’è chi sostiene che, almeno nel 2008, sia stato fatto di tutto per favorire il brasiliano.

Con Schumacher, Alonso e Vettel in squadra, la scelta è sempre stata per compagni facili da gestire, e non in grado, per capacità, di impensierirli più di tanto, tale era il loro talento e la dedizione al lavoro. E’ difficile stabilire quanto fosse la squadra a favorirli non supportando a dovere il team-mate, e quanto invece fosse la loro superiorità a creare una distanza tale da non dovere rendere nemmeno necessari gli ordini di scuderia, se non in casi sporadici, come a Zeltweg nel 2002 o ad Hockenheim nel 2010.

In conclusione, se ci si dovesse esclusivamente basare sulla storia passata, la scelta di avere un pilota di punta e uno scudiero è sicuramente quella che offre più probabilità di ottenere il bersaglio grosso. A patto che lo scudiero si piazzi regolarmente subito alle spalle del caposquadra, senza ambizioni di stargli davanti. Per questo motivo, soprattutto, non abbiamo visto Alonso fare coppia con Hamilton quest’anno in Mercedes, e non lo vedremo fare coppia con Vettel l’anno prossimo in Ferrari. E, sempre per questo motivo, la coppia attuale della Ferrari è quella ideale, a patto che Kimi si comporti sempre come domenica scorsa, piazzandosi subito alle spalle di Seb, e non quarto alle spalle anche delle due Mercedes, come accaduto nelle prime gare.

Hamilton torna Hamilton e vince in Spagna

Si dice che se una macchina va bene a Barcellona, va bene dappertutto. E a Barcellona ha vinto una Mercedes. Niente di nuovo sotto il sole, quindi.
Non proprio, perchè il GP di oggi, nonostante un risultato scontatissimo alla vigilia (della stagione) ci ha raccontato diverse cose interessanti, oltre a farci saltare sul divano per due terzi di gara.

La prima cosa interessante è che la Ferrari in questo momento ha a disposizione il miglior Vettel di sempre. Veloce, aggressivo nei sorpassi, deciso a portare a casa sempre il massimo. La stagione scorsa qualche dubbio l’aveva fatto venire, ora si può essere fiduciosi che dal punto di vista della prima guida a Maranello non hanno nulla da invidiare ai tedeschi.

La seconda cosa interessante è che per potere far vincere un Hamilton ritornato in forma smagliante, anche in Mercedes hanno dovuto utilizzare il secondo pilota in modalità “zerbino”, come ha fatto la Ferrari in questi ultimi decenni, anche quando non ce n’era bisogno. Bottas oggi è stato inesistente da un punto di vista della prestazione, mentre non lo è stato dal punto di vista del fastidio dato agli avversari, facendone fuori due in un colpo solo alla prima curva (pur con la complicità di un Raikkonen un po’ troppo confidente nello stringere la curva) e facendo perdere a Vettel 5 secondi determinanti nell’economia del risultato finale.

La terza cosa interessante è che forse, e sottolineo forse, in Ferrari devono avere più fiducia nella loro vettura e nel loro pilota. Il primo stop di Vettel è stato molto anticipato, col risultato di farlo rimanere dietro a Ricciardo facendogli perdere almeno un secondo, che si aggiunge a quello perso nel cambio gomme per un problema alla gomma anteriore sinistra (come a Sochi). E anche la scelta di fargli fare l’ultimo stint con le gomme medie è sembrata essere un po’ troppo sulla difensiva. Come se volessero cercare di stare in testa il più possibile, sapendo che prima o poi la Mercedes li avrebbe comunque superati. Cosa che è in effetti successa, ma solo perchè approfittando della VSC con uno stop molto tempestivo, Lewis si è ritrovato nella coda di Seb, e non gli ci è voluto molto a sverniciarlo dopo qualche giro di stordimento per essere stato gentilmente accompagnato all’esterno di curva 2 (lo scorso anno per un comportamento del genere Vettel sarebbe stato messo dietro la lavagna).

Per chiudere il discorso relativo al campionato di Formula 1-A, si riparte da Barcellona con la certezza che quest’anno la lotta non sarà più fra due macchine grigie, ma fra una grigia e una rossa. E su questo, nonostante lo spumeggiante avvio di campionato della Ferrari, qualche dubbio ancora c’era.

Veniamo ora al campionato di Formula 1-B, quello che ha visto vincitore di tappa Ricciardo, arrivato a quasi un giro di distacco. Gli aggiornamenti installati sulla RB13 non hanno funzionato. Punto. E non vale la pena commentare oltre.

Vale invece la pena spendere qualche parola su due quasi debuttanti, Ocon e Werlhein, il primo splendido quinto alle spalle del compagno di squadra, il secondo ottavo e autore di una prestazione incredibile considerando quanto poco si era dimostrata competitiva fino ad ora la Sauber dotata del motore Ferrari del 2016. Senza i 3 ritiri di Bottas, Raikkonen e Verstappen sarebbe comunque arrivato decimo (risparmiandogli la penalità).

Bene questi due giovani, malissimo gli altri due debuttanti, Stroll e Vandoorne. Il rendimento del secondo è una sorpresa, quello del primo no. Ovviamente per entrambi il riferimento è a ciò che fanno i compagni di squadra (perchè le auto che guidano non li potrebbero in nessun caso mettere in condizione di fare grandi cose). A dimostrazione del fatto che queste nuove macchine permettono di distinguere un po’ meglio i campioni dai buoni piloti e da quelli che farebbero meglio a darsi ad altre categorie.

Ora si va a Montecarlo. Oggi di sorpassi se ne sono visti e anche di bellissimi, nonostante ciò che si temeva dopo le prime 4 gare. Fra le stradine del principato sicuramente sarà più difficile vederne, considerando anche le macchine larghe 2 metri. E forse sarà un po’ più dura per la Mercedes modello limousine, la Ferrari ha l’opportunità di chiudere un digiuno che dura dal 2001 (!) quando alla guida c’era un pilota tedesco. Ci sarà da divertirsi, in un pomeriggio che come sempre affiancherà le due gare per monoposto più prestigiose, quella più lenta e quella più veloce, dove quest’anno ci sarà da seguire l’emigrante in cerca di successo, Fernando Alonso, che oggi a quanto pare ha già sperimentato l’assetto scarico per Indy.