WINNING THE WILD WEST EP.02 – C’ERA DUE VOLTE NIGEL MANSELL

Nella storiografia classica della F1 a fine 1992, si racconta che Nigel Mansell, dopo aver stravinto con la Williams, entra in un tira e molla con il patron Frank per il rinnovo contrattuale e alla fine decide di lasciare la F1 con un biglietto di solo andata per l’America, dove vince il campionato al primo tentativo. Nel racconto del 1993, qualcuno si ricorda di aggiungere che per una fortunata finestra temporale l’inglese si trovò ad essere in contemporanea campione in carica sia della F1 che della Indy Car. Quello che nessuno dice invece è che la lotta per il titolo Indy fu di altissimo livello e che in generale che la PPG Indy Car (e iterazioni successive) degli anni Novanta fu delle competizioni più entusiasmanti da guardare, anche, e per certi versi soprattutto a distanza di trent’anni. Il mio obiettivo di oggi come delle puntate future è di raccontare tutti questi aspetti attraverso il punto di vista dei piloti che in quegli anni hanno costruito una mitologia su entrambe le sponde dell’Atlantico.

In sintesi…

La stagione 1993 apre quella da molti vista come la “golden era” della IndyCar. Mansell non è l’ennesimo pilota di F1 che cerca successo oltreoceano, ma ci arriva da campione del mondo in carica, all’apice della popolarità se non della carriera. Il suo arrivo assicura un’esposizione mediatica senza precedenti e il riconoscimento di serie di livello mondiale. Va specificato però che non è la presenza di Mansell a nobilitare una serie altrimenti trascurabile, bensì fu il suo arrivo a costituire una testimonianza tanto del valore quanto della rilevanza che la serie stava assumendo nel panorama internazionale.

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Sportivamente il campionato verte sul duello tra l’inglese, accasatosi presso Newman-Haas, e i piloti Penske, Emerson Fittipaldi [ma guarda chi si rivede!] e il quasi rookie Paul Tracy, che in alcune occasioni raggiunge vette straordinarie di competizione e spettacolo. Merito anche dell’equilibrio tra i rispettivi pacchetti tecnici, Penske-Chevrolet e Lola-Ford. Se la Ilmor appare ancora in leggero ritardo rispetto a un Cosworth XB ora affidabile, la nuova PC22 è invece superiore alla Lola su stradali e cittadini, grazie a un grip meccanico e una motricità inarrivabili per il telaio inglese. Sugli ovali invece lo scontro si dimostra equilibrato ed è la potenza del Ford ad alti regimi che spesso garantì uno spunto in più a favore della squadra Newman-Haas. Ne scaturisce un campionato avvincente, in cui la maestria di Mansell, soprattutto in qualifica, e una maggiore affidabilità del pacchetto compensarono spesso le pecche della Lola su stradali e cittadini. Il campione del mondo porterà a casa 5 successi, ma solo uno di questi arriva nei circuiti misti. La facilità con cui Mansell si adatta agli ovali e l’opera di contenimento nelle altre corse gli consegnano a Nazareth un titolo strameritato, soprattutto considerando le difficili condizioni fisiche con cui ha affrontato le corse all’indomani dell’infortunio patito nelle prove libere del secondo GP a Phoenix.

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Il brasiliano, forte di un’esperienza decennale nella serie impreziosita dalla vittoria nel campionato 1989, è sempre consistente e contende il titolo all’inglese fino alla penultima gara del campionato, ma in pista il vero avversario di Mansell è il giovane Tracy, che pur portando a casa cinque successi getta al vento almeno due vittorie certe nel traffico, con altre due affermazioni perse per banali problemi tecnici. In classifica il canadese tuttavia rimarrà sempre ben distanziato da Mansell, colpa di un primo terzo di campionato in cui faticò a raggiungere la bandiera a scacchi. Per rendere l’idea, malgrado sia stato un contendente per la vittoria in due terzi delle gare, il canadese conquistò la terza posizione in campionato solo all’ultima gara.

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Emerson Fittipaldi invece corre bene e l’unico vero errore, peraltro condiviso con la squadra, lo compie a Phoenix dove non si fermò malgrado un sospetto di foratura. Se lo zelo e la gestione gara sono quelli del consumato campione qual era, come la vittoria a Indianapolis dimostra, a livello di velocità il più delle volte ha sofferto il confronto col più arrembante e giovane compagno di squadra. Del resto non dobbiamo dimenticarci che Tracy, 23enne all’epoca, aveva letteralmente metà degli anni di Fittipaldi, 46.

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Ma se c’è un pilota capace di far sembrare dei ragazzini tutti i suoi avversari, egli è Mario Andretti, 53 anni ma ancora tanta voglia di correre come dimostra la pole ai 377 di media (!!) ottenuta a Michigan o la gara tenace di Indianapolis, condotta in testa fino all’inizio dell’ultimo stint. Non è stato in grado di tener testa con costanza ai diretti rivali, ma la vittoria a Phoenix, l’ultima in carriera, dimostra comunque che come velocità e visione di gara può ancora dire la sua.

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In questo scontro fra titani agli altri rimangono le briciole. Raul Boesel e il suo team Dick Simon Racing si propongono come alternativa al trio di stelle, soprattutto a inizio stagione e sugli ovali corti, ma ancora una volta il brasiliano non riesce a portare a casa il tanto agognato primo successo (la vittoria di Boesel fu negli anni Novanta un meme come il podio di Hulkenberg). Una stagione sempre nei punti con l’unica eccezione dell’incidente in New Hampshire gli garantisce comunque il quinto posto nella classifica finale, il terzo perso solo all’ultima gara, comunque il miglior risultato in carriera.

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Gli altri big sono della partita solo saltuariamente. Il campione in carica Bobby Rahal perde la prima parte di stagione nel tentativo di rendere competitivo il telaio Hogan/ex Truesports per poi tornare al Lola dopo aver fallito la qualificazione per Indy. Gli ex campioni Al Unser jr e Danny Sullivan, entrambi accasati alla Galles Racing (Lola-Chevrolet), colgono un successo a testa, gli unici lasciati per strada da Penske e Newman-Haas, ma risultano del tutto inconsistenti nell’arco dell’intera stagione.

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Disputa la prima stagione completa un pilota dal talento cristallino ma che si dimostrò incapace di raffinarlo, Robby Gordon. Malgrado abbia iniziato il 1993 con appena sette gare in monoposto (!!!) si dimostra subito capace di battagliare con i migliori della serie. Spiego un attimo il suo background: Gordon fu uno degli ultimissimi piloti che arrivarono in Indy seguendo il vecchio cursus honorem, cioé sullo sterrato con le midget prima e le sprint car poi. Dopo diverse buone prestazioni e tanti incidenti evitabili, sembra raggiungere la maturità a fine anno per poi invischiarsi con i team sbagliati dal 1996 in poi, dopo un 1995 in cui aveva lottato per il campionato. Avrà una carriera di maggior successo nella Nascar, del resto più indicata data la sua formazione.

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Menzioni d’onore per un altro paio di volti della F1 passata e futura. Stefan Johansson, rookie of the year del 1992, è veloce ma spesso vittima di un team con troppe poche risorse per gestire un telaio impegnativo come il PC22 – unici oltre alla casa madre a gestire un telaio Penske. Andrea Montermini corse solo per 4 gare in  un team di Serie C (sponsorizzata Andrea Moda!!!) ma si distinse sia per le ottime qualifiche che il quarto posto a Detroit, la sua seconda gara PPG Indy Car in assoluto. L’ultimo nome è quello di Jimmy Vasser, ora al suo primo anno completo nella serie, che otterrà la gloria con Chip Ganassi negli anni di Zanardi.

Nel 1993 inoltre si assiste al ritiro di due leggende dello sport americano, Rick Mears e AJ Foyt (forse il più grande di tutti): 96 vittorie in due tra cui 8 Indy 500, e una carriera iniziata nel lontano 1958. Il primo annunciò il ritiro a fine 1992, liberando in Penske il posto per Paul Tracy, mentre Foyt si ritirerà alla vigilia di quella che avrebbe dovuta essere l’ultima 500 Miglia di Indianapolis.

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In una specie di scambio culturale, Michael Andretti, campione Indy nel 1991 e uno dei migliori piloti dell’epoca (42 vittorie nella serie!), fece il duale di Mansell e attraversò l’Atlantico in direzione della F1, dove venne accolto in McLaren come compagno di squadra di Senna ma con risultati al più mediocri. Il momento più noto della sua avventura fu l’incidente spettacolare in Brasile, e ottenne solo un podio prima di essere scaricato per Mika Hakkinen.

La serie è organizzata su 16 gare, si aprì il 20 Marzo col gran prix di Surfers Paradise in Australia (era tradizione anche oltreoceano) e si chiuse il 2 Ottobre sul noto tracciato di Laguna Seca.

 

 

1. Surfers Paradise, Australia – cittadino

L’avventura di Mansell in IndyCar inizia col botto a Surfers Paradise.

L’inglese mette subito le cose in chiaro piazzando la sua Lola in pole position con 3 decimi di vantaggio su Fittipaldi. Al via il campione del mondo è però subito sorpreso dalle Penske, lasciando campo libero anche al sorprendente Gordon. Se la corsa di Tracy è presto compromessa da un problema alle sospensioni, una volta prese le misure Mansell si lancia all’attacco di Fittipaldi, riprendendo in breve il comando. La manovra tuttavia avviene in una zona presidiata da bandiere gialle e Mansell viene punito da uno stop&go, che però riesce a scontare in occasione della sua prima sosta senza quindi esserne danneggiato più di tanto.

Sarà più problematico un contatto con le barriere che obbliga l’inglese ad anticipare la seconda e ultima sosta e quindi a procedere a passo ridotto per risparmiare benzina. L’inglese riesce comunque a chiudere vittorioso davanti a Fittipaldi, che recupera uno svantaggio di mezzo minuto non chiudendolo per cinque secondi. Anche il brasiliano a fine gara era a risparmio ma nel suo caso si scoprirà essere per un errore della strumentazione. Una prova volitiva vede Robby Gordon concludere  in scia al brasiliano e conquistare il primo podio in carriera, dopo una gara condotta tutta nelle prime posizioni malgrado la pochissima esperienza e la vettura dell’anno prima – Lola T92/00 anziché T93/00.

Angolo mazzoniano delle statistiche: primo pilota in assoluto a fare pole e vittoria al debutto, e primo pilota a vincere all’esordio dopo Graham Hill (!) nel 1966.

2. Valvoline 200, Phoenix – short oval

Stavolta il botto non è metaforico.

Nella conferenza stampa Mansell racconta che ha molto da imparare sugli ovali, ma la prima sessione di libere sembra raccontare un’altra storia: a fine sessione è primo con 20.760s, già due decimi sotto il record della pista (!). FP2, primo giro: 20.804s, siamo ripartiti laddove ci eravamo lasciati – e ancora sotto il record malgrado le gomme fredde. FP2, secondo giro: DNF.

In tutta onestà non ricordo molto del peggiore incidente della mia carriera. […] Ho approcciato curva 1 ai 300 all’ora, più veloce in maniera marginale del giro prima, e in un istante la macchina si è girata in testacoda, che è la cosa peggiore che può capitarti in un ovale. […] L’incidente è stato causato da una combinazione di fattori. Quel che so è che ho pagato il prezzo più alto possibile quando la macchina ha colpito il muro a quella velocità. Non c’era alcuna possibilità di evitarlo. Ero solo un passeggero – mi sono accucciato e ho cercato di non pensarci“.

La scatola del cambio ai tempi non era ancora deformabile e ha trasmesso sulla già martoriata schiena di Mansell tutta la forza di un impatto già di per sé notevole (tanto che lasciò un buco sul muro in cemento). I medici trovano l’inglese svenuto e soprattutto con una ferita impressionante sulla schiena, “una cosa che non avevano mai visto su persone vive, solamente sulle vittime di incidenti aerei“. Il weekend di Phoenix per Mansell finisce qui, anche se nessuno avvicinerà il suo tempo delle prove.

Il breve fine settimana di Mansell aveva comunque mostrato la competitività della Newman-Haas, confermata in qualifica da Mario Andretti che si piazza alle spalle di Scott Goodyear (prima pole sia per il canadese che per Derrick Walker Racing). Per meno di un decimo il vecchio campione manca quella che sarebbe stata la nona (!!) pole position a Phoenix. Le Penske sono subito dietro, Fittipaldi terzo e Tracy quinto

In gara le Penske si liberano rapidamente dei piloti che li precedono. In particolare è Tracy a mettersi in luce con un doppio sorpasso con cui si libera di Andretti e un doppiato. Il canadese va come un treno e quando a metà gara Goodyear si ritira con la trasmissione in panne, può contare su due giri di vantaggio (!!) sul compagno di squadra, a sua volta con un giro in meno dell’inseguitore più vicino.

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Roger Penske era in procinto di festeggiare un trionfo ma bastano cinque minuti per rovesciarlo. Dopo una gara trascorsa nel dominio totale, Tracy va a muro in un maldestro doppiaggio di Jimmy Vasser. Fittipaldi passa sui detriti del compagno di squadra e lamenta una foratura ma per non perdere il vantaggio su Andretti gli strateghi Penske preferiscono non fermare il loro pilota.

Come dovevasi dimostrare, al primo giro di bandiera verde Fittipaldi finisce a muro proprio per la gomma forata. Via l’altra Penske, nel frattempo erano stati eliminati da incidenti anche Robby Gordon (altrimenti una grandissima rimonta) e Roberto Guerrero e di conseguenza Mario Andretti si ritrova in testa senza minacce.

Non succede altro e a 53 anni Piedone va a conquistare la 100a vittoria della sua carriera, 52a e ultima in IndyCar, quella precedente datata addirittura 1988. Everyone liked that. Raul Boesel e il già citato Jimmy Vasser completano il podio.

 

 

3. Toyota Grand Prix of Long Beach –  cittadino

Nelle condizioni in cui la maggior parte di noi passerebbe la giornata a letto a lamentarsi, Mansell prima la mette in pole e poi conclude a podio, ma la prima vittoria di Tracy gli ruba la scena.

A dispetto di una schiena resa praticamente insensibile dagli antidolorifici (e che ha richiesto il drenaggio dei liquidi poco prima di schierarsi in griglia), il rientrante Mansell piazza la sua Lola in pole davanti a Tracy, anch’egli malconcio per un incidente in go-kart.

La leadership per Mansell anche stavolta dura lo spazio di un secondo, tutto il tempo necessario per Tracy per soffiargli la testa della corsa dopo l’esposizione della bandiera verde. Dopo una bandiera gialla per un contatto in partenza in cui Andretti spedisce Johansson contro il muro, Tracy domina le prime fasi, fino a quando una foratura per detriti non lo costringe ad anticipare la prima sosta.

Un po’ come Mansell a Surfers Paradise, non è la prima sosta a causare molti problemi, da cui riemerge ancora in testa, ma la seconda, che deve anticipare di una dozzina di giri a causa di una seconda foratura rimediata doppiando Sullivan.

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Per sua fortuna i rivali sono stati eliminati uno a uno. Goodyear è rallentato da due stop&go per speeding e da due (!) contatti con Gordon, Mansell sopravvive a un ottimistico attacco di Al Unser jr., che si sbrega la sospensione anteriore nel processo, ma nel finale deve rallentare per problemi al cambio e alla schiena. Andretti vede sfumare il secondo posto per problemi al motore, Boesel è eliminato da problemi elettrici, Goodyear finisce definitivamente contro il muro, sorte condivisa con Gordon che a fine gara verrà squalificato per guida pericolosa.

Indisturbato nel finale, dopo tante occasioni sfumate Tracy conquista la prima vittoria in carriera davanti a un redivivo Rahal (primo e unico podio per il telaio Rahal/Hogan-001) e Mansell, che beneficia dei problemi di Guerrero, in zona podio fino agli ultimi giri.

Anche l’altro contendente al titolo, Fittipaldi, ha una gara movimentata. Gravato da problemi con la pressione di sovralimentazione nella prima fase di gara viene doppiato dopo appena 17 giri (!) prima di fermarsi ai box a riparare il guasto. La sosta risolve i problemi, ma a quel punto era già sprofondato in fondo all’oceano e malgrado tutti i ritiri la sua rimonta si conclude in 13a posizione, appena fuori dai punti.

In campionato Mansell (36) consolida la leadership su Mario Andretti (32). Terzo è Teo Fabi a 26 punti (non chiedete), mentre Tracy è quinto con 22 e Fittipaldi ottavo a 17.

 

4. Indy 500 (Indianapolis) – Superspeedway

La 500 Miglia di Indianapolis è una gara che costituisce un universo a sé stante. Coprirla con un decente grado di dettaglio richiederebbe da sola un articolo intero, per cui ne racconterò una sintesi molto sintetica, a partire dalle qualifiche.

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Mansell si presenta in circuito con più punti sulla schiena di quelli che un pilota di metà classifica raccoglie in una stagione (per coloro che si collocano all’intersezione tra gli amanti dell’horror e gli appassionati di statistiche, erano 148). “La mia schiena mi stava uccidendo; i punti, i fluidi e il dolore alle volte erano insostenibili, ma non avevo scelta. Sentivo di avere la possibilità di vincere il titolo e stare a casa a rimettermi non mi avrebbe dato i punti di cui avevo bisogno“.

La brutta esperienza di Phoenix ha reso Mansell più consapevole dei pericoli degli ovali, ma non per questo più lento. Tuttavia, dopo delle libere promettenti, una ventata di sottosterzo nel giro chiave in qualifica lo conduce solo in ottava posizione, in terza fila a metà tra le due Penske, anch’esse attardate. Fittipaldi all’ultimo dovette salire a bordo della macchina di riserva, assettata per Tracy, ed è solo nono. Il migliore dei contendenti per il titolo è un po’ a sorpresa Raul Boesel, terzo e in prima fila accanto a due eccellenze di Indy.

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La prima è Mario Andretti, alle prese con l’ennesimo tentativo di spezzare la maledizione. Per la prima volta in dieci anni è in una buona posizione per ottenere la vittoria che gli manca dal 1969 ma almeno in qualifica si deve inchinare all'”Olandese Volante” Arie Luyendyk, specialista dei super speedway, che conquista la prima pole a Indy alla velocità media di 226.182 mph (364 km/h).

You have to be patient… 500 miles is a long race” – Emerson Fittipaldi

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La 500 Miglia è una gara di durata fatta ai 350 all’ora. I primi tre quarti di gara servono a selezionare il gruppo di testa ed è allora, negli ultimi 50 giri, che inizia la vera lotta per la vittoria.

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Al giro 152 il gruppo di testa si è ristretto a Mario Andretti, che ha condotto con autorevolezza dopo le prime soste, Luyendyk, Fittipaldi e Mansell, che senza fretta hanno rimontato dalla terza fila. Raul Boesel è stato messo fuori dai giochi da una penalità piuttosto questionabile ed ha un giro di distacco (l’ennesimo what if della sua carriera) mentre Tracy è andato a muro dopo essere stato chiuso da Scott Brayton mentre era in lotta per la quinta posizione.

Al giro 174, in una ripartenza in mezzo al traffico, Mansell compie la manovra della gara e sorpassa all’esterno di curva 1 sia Andretti che Fittipaldi. Il giro di Mario è infelice e in curva 3 viene passato anche da Luyendyk e perde il contatto con i primi. Mansell è al debutto sugli ovali ma ha già la possibilità di vincere la Indy 500!

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L’evento chiave della gara arriva al giro 184: Lyn St. James si ferma a bordo pista ed entra la safety car (Mansell obietterà sempre che non volevano che un rookie inglese vincesse la gara). Alla ripartenza Mansell ha un’esitazione, forse l’unico errore da principiante di tutta la stagione, e permette sia a Fittipaldi che a Luyendyk di passarlo. L’inesperienza sugli ovali si è fatta sentire nel momento peggiore. L’inglese cerca di rimediare, tira come un forsennato fino al punto di firmare con la gomma uno dei muri, ma nessuno dei due battistrada che lo precedono cede, e dopo duecento giri Fittipaldi conquista la sua seconda vittoria a Indianapolis.

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Nei festeggiamenti Emerson rifiuta il latte che da tradizione disseta i vincitori di Indy in favore del succo di arance delle sue piantagioni, e questa cosa gli americani se la segneranno al dito. Quando l’anno dopo -spoiler!- andrà a sbattere a meno di venti giri dalla fine con un giro di vantaggio sul secondo, tutto il catino festeggerà.

[COURTESY OF INDYCAR.COM]

Con la vittoria Fittipaldi si rimette in carreggiata per il titolo. I primi sono ancoa Mansell e Andretti rispettivamente a 50 e 43 punti, ma terzo ora è il brasiliano a 37 punti.

 

5. Miller Genuine Draft 200 (Milwaukee) – short oval

Mansell è un bravo studente e memore delle esperienze recenti sugli ovali ottiene una vittoria da manuale sul ‘Milwaukee Mile’

[Scusate ma non sono riuscito a trovare nessuna immagine decente]

In pole c’è Raul Boesel, che conferma l’ottimo momento di Dick Simon, seguito da Fittipaldi, Scott Goodyear e Tracy. Mansell è solo settimo e sarà costretto a una corsa all’inseguimento.

La gara è articolata e vede ben cinque piloti protagonisti della lotta per la vittoria. La prima fase vede una corsa di gruppo per i primi sette, che viaggiano compatti senza che però nessuno riesca a scalzare Boesel. Almeno fino alla seconda caution della gara, alla cui ripartenza Goodyear finalmente sorpassa il brasiliano, che scenderà in classifica. La situazione si ribalta alla sosta successiva, dopo che al canadese viene montato un treno di gomme poco performanti; viene passato da Tracy ed è il suo turno di uscire dalla lotta per la vittoria.

Anche la leadership del secondo canadese è messa alla prova dagli eventi. Prima subisce una caution dal timing sfortunato che lo manda dietro a Gordon e Mansell, salvo poi riprendersela di forza al primo giro di bandiere verdi. Ma poi, come a Phoenix e a Indianapolis, anche qui finisce bruscamente, sebbene stavolta sia stato del tutto incolpevole: Adrian Fernandez va a muro, Luyendyk si butta a sinistra per evitarlo ma incoccia Tracy, che passava di lì. Ritiro per tutti e tre e pace car in pista. Gordon era in lotta per la vittoria ma rovina tutto andando in testacoda in ingresso box.

Dopo tutto questo attrito, del gruppo iniziale restano solo Mansell, Fittipaldi e Boesel. Quest’ultimo rientra in lizza per la vittoria giocando la carta della sosta in meno. Mansell lo raggiunge e per un po’ attende alle sue spalle, ma dopo che capiscono che l’alfiere della Dick Simon andrà fino in fondo sfrutta il vantaggio di gomme e di benzina e lo sorpassa quando di giri ne mancavano una decina.

Una ultima caution blocca la fuga di Mansell e consente a Boesel la possibilità di replica, ma alla fine l’inglese scappa senza problemi. Dopo 200 giri Mansell vince davanti a Boesel e Fittipaldi, anonimo in gara dopo l’ottima qualifica, comunque a podio a differenza del suo più arrembante compagno di squadra.

6. ITV Automotive Detroit Grand Prix – cittadino

Il gran premio più caotico dell’anno lascia la lotta per la vittoria nelle mani del duo Gallers, Danny Sullivan vs Al Unser jr. Chi la spunterà?

La IndyCar fa tappa a Detroit, non più sul cittadino usato dalla F1 ma sul nuovo tracciato di Belle Isle, ricavato nel parco dell’omonima isola. La cornice ricorda il Gilles villeneuve, un circuito che si articola tra muretti, alberi e il fiume, mentre il layout è più tecnico e fluido del tipico cittadino. Questi elementi generarono una certa popolarità presso il pubblico, malgrado alla Domenica il numero di sorpassi si potesse paragonare a quelli di Montecarlo per via della sede stradale stretta e dell’assenza di staccate ben definite.

In qualifica Mansell si conferma essere l’unico capace di opporsi allo strapotere delle PC22/Chevrolet e conquista la sua terza pole (su tre circuiti cittadini). Fittipaldi e Tracy inseguono, con quest’ultimo che rompe la sospensione posteriore nell’ultimo tentativo. Mario Andretti ebbe problemi con la pompa della benzina e fu solo nono, davanti a Danny Sullivan (segnatevi questo nome).

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L’inizio sembra convenzionale: Mansell perde l’attimo e la posizione a favore del duo Penske, Fittipaldi davanti a Tracy. Ma dai replay si vede una storia diversa: Fittipaldi ha sorpassato Mansell prima della bandiera verde e al momento dell’inizio ufficiale (dato peraltro prima che i piloti attraversassero la linea del traguardo) lo precedeva di una macchina e mezza. Mansell aveva notato l’irregolarità e segnalò a gesti al direttore di far ripetere la procedura di partenza, ma questi lo ignorò e per la distrazione l’inglese perse la posizione anche su Tracy. Il direttore di gara tuttavia gli diede ragione e impartì uno stop&go per il brasiliano. Seguiranno polemiche a non finire, tanto che il direttore di gara all’uscita dell’autodromo dovette essere scortato. Personalmente mi schiero con Mansell a favore della penalità perché mi sembra assurdo che il poleman possa perdere la posizione prima ancora che la gara inizi nella sua valenza agonistica.

Bizantinismi a parte, le due Penske scappano e Mansell è più impegnato a controllare Johansson che a inseguire chi lo precede. Fittipaldi dopo lo stop&go ritorna in gara sesto; in testa ora c’è  Paul Tracy, mentre la pressione di Johansson su Mansell diventa feroce, cui l’inglese risponde con manovre di difesa altrettanto aggressive – che innescheranno altre polemiche.

Non è il giorno di Fittipaldi: prima ai box passa sopra una ruota e perde altro tempo, poi in un attacco improbabile su Arie Luyendyk per la decima posizione finisce contro le barriere di protezione e si deve ritirare. Full Course Yellow e il disastro Penske continua: Tracy eccede il limite di velocità in corsia box e anche a lui verrà impartito uno stop&go, che dovrà scontare dopo la safety car.

Alla ripartenza arriva l’ennesimo colpo di scena tra i primi: Johansson cerca l’affondo su Mansell in una curva in cui è esposta bandiera gialla per la presenza della vettura incidentata di Teo Fabi (!), pizzica la posteriore sx dell’inglese e scivola a bordo pista, dove colpisce la monoposto incidentata (!!) che a sua volta travolge due commissari al lavoro (!!!). Nessuno si fa male, ma è follia pura. Oltre a Johansson, la macchina di Teo Fabi e i due commissari, l’altra vittima dell’azione è Mansell, che ha forato e deve fermarsi per le riparazioni.

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Dopo i suicidi sportivi di Fittipaldi, Tracy, Mansell e Johansson, ed escludendo Rahal che si deve ancora fermare, in testa ora ci sono le due Gallers di Sullivan e Unser! Seguono Gordon, Boesel e Andretti. Tracy sconta la penalità ed è nono con scarse prospettive data la natura del tracciato. La gara tuttavia non è finita: il motore di Sullivan perde potenza e “Little al” negli specchietti si fa sempre più minaccioso, mentre dai box danno istruzione di combattere liberamente (“Gli unici ordini che darò sarà domani quando dovremo partire per Albuquerque” – il loro TP non chiedetemi come si chiama).

Il duello si consumerà per tutto l’ultimo terzo di gara e si svolgerà in condizioni surreali per la nostra sensibilità: all’esterno della traiettoria si accumulano marbles che annullano il grip e detriti che rischiano di forare le gomme. Poco oltre si trovano macchine ritirate lasciate a bordo pista, che all’occorrenza Sullivan utilizza per difendersi. Nemmeno fossimo su MarioKart, spesso i camioncini dei commissari entrano in pista (!!) sia nei tratti sotto bandiere gialle ma talvolta anche sotto bandiera verde. Sullivan utilizzerà anche questi allo scopo, andando vicino a scontrarvici in un paio di occasioni (!!!). A tal proposito, proprio per evitare uno di questi Mansell si allarga, finisce sullo sporco e scivola contro il muro, ritirandosi a cinque giri dalla fine.

Back in the lead, la sfida si risolve quando “little Al” pizzica un cono dopo essere stato spinto da Sullivan in una sezione proibita del tracciato. La norma è chiara: per evitare che un pilota tragga vantaggio uscendo dai limiti di pista, chi tocca un cono subisce uno stop&go (in F1 c’erano regole simili all’epoca, vedi Hockenheim 1990). Meno condivisibile è l’applicazione: Al Unser jr non lo ha fatto per guadagnare tempo ma perché stretto dal suo avversario dopo che era riuscito ad affiancarlo.

Sia come sia, Unser viene punito con un DT e diventa l’ennesimo pilota del gruppo di testa che viene ricacciato nella pancia del gruppo. La maledizione non finisce qui: ora è Robby Gordon a mettere Sullivan nel mirino, ma all’alfiere Foyt esplode una gomma proprio all’ultimo giro. Una gara stregata come ne ho viste poche.

Alla fine vince Danny Sullivan davanti a Raul Boesel e Mario Andretti, che hanno entrambi badato a portare la macchina a casa e poco più. Festeggia anche il nostro Andrea Montermini: alla seconda gara e per un team di serie C (Euromotorsport racing), fa sesto in qualifica e quarto in gara nonostante in una sosta si fosse fermato alla piazzola sbagliata (!!). Per gli amanti delle statistiche, ultima vittoria in carriera per Danny Sullivan.

Per la lotta iridata Detroit si risolve in un pareggio, solo Tracy mette a segno i pochi punti della nona posizione, insufficienti per schiodarlo dalla decima posizione.

7. Budweiser/G.I. Joes’ 200 (Portland) – stradale

La sfida tra Newman-Haas e Penske si rinnova al Portland International Raceway, e solo lo sforzo titanico dell’inglese in qualifica e uno scroscio di pioggia in gara complicano i piani della compagine bianco-rossa.

Quarta pole in quattro circuiti stradali per Mansell, ma già dal Sabato si vede che le Penske vanno sui binari e che sarà difficile resistergli. Fittipaldi forse non sfrutta al meglio le gomme fresche nell’ultimo run ma è comunque secondo a un decimo dall’inglese, mentre Tracy non riesce a scendere sotto il mezzo secondo di distacco. Si qualificherà quarto, battuto anche dalla Bettenhausen di Johnasson, alla guida di un omologo telaio PC22.

Dopo le polemiche di Detroit, stavolta la partenza è regolare. Mansell fa numeri da qualifica per mantenersi in testa ma non riesce a scrollarsi di dosso Fittipaldi, Johansson e Tracy. Il quartetto procede compatto fino al 25° giro, quando prima Tracy supera Johansson nel traffico e poi, al 27°, Mansell va al bloccaggio e finisce nella via di fuga nella prima variante. L’inglese ritorna in pista quarto ma ha toccato un cono e deve scontare uno stop&go. Ora bisogna rimontare – impresa subito facilitata  dal ritiro di Johansson per guasto alla trasmissione.

A questo punto il meteo inizia a dettare legge. Poco dopo la conclusione delle prime soste compaiono le prime gocce di pioggia: Tracy rientra subito a montare le intermedie, Fittipaldi lo imita un paio di giri dopo, Mansell invece aspetta. La scelta dell’inglese sembra pagare nei primi giri ma quando inizia a diluviare imbocca come gli altri la via dei box senza essere riuscito a guadagnare nulla.

La pioggia si interrompe intorno al 73° giro, poco prima dell’ultimo round di soste. Anche stavolta Tracy è il primo a fermarsi ma monta ancora intermedie perché ritiene la pista troppo scivolosa per le slick. Mansell è di parere diverso e due giri dopo sceglie le coperture da asciutto. Questa è la scelta corretta: l’inglese prima sorpassa Tracy, poi si sdoppia da Fittipaldi e quando il giro dopo esce una FCY può sognare il sorpasso alla ripartenza. Questo in teoria; in pratica ci sono nove doppiati (!) tra di loro. Tracy finalmente si ferma per le slick ed è quinto, mentre Andretti tenta l’azzardo di restare con le rain.

Nello sprint finale Mansell dà il cento per cento, infilando ben quattro macchine (!) nella prima variante, ma alla fine non riesce a liberarsi dei doppiati in tempo per organizzare un attacco su Fittipaldi. Ricordo che non esistono le bandiere blu in america e quindi si perde molto più tempo. Anche Tracy completa la sua mini-rimonta e conclude terzo.

8. Budweiser Grand Prix of Cleveland – stradale

Il duello tra Mansell e le Penske continua in uno dei circuiti più iconici del periodo, il tracciato del Burke Lakefront Airport a Cleveland, Ohio.

Il circuito collega diverse piste di decollo e atterraggio del locale aeroporto; come conseguenza la sede stradale è larghissima, le curve sono dolci e non spezzano mai il flusso se non per un tornante largo comunque come un’autostrada a otto corsie. Lo assocerei al Silverstone dei primi anni per caratteristiche e concezione. Data la amplissima scelta di traiettorie, i duelli spesso vedono le macchine lontane per poi incrociarsi nei punti in cui le diverse traiettorie si intersecano, più simile a un dogfight tra aerei da caccia (per restare in tema…) che non alla usuale lotta in pista. Aggiungiamoci l’assenza di punti di riferimento facilmente visibili dalla pista, le alte velocità medie e una sovrabbondanza di buche e dossi che aggiunge incertezza a ogni staccata e si ottiene una combinazione unica nel suo genere. Mi piace raccontarlo come l’equivalente di un ovale per i circuiti stradali.

Le Penske si presentano più dominanti del solito e per la prima volta al Sabato su un circuito cittadino Mansell deve abdicare. La pole va a Tracy, ma l’inglese riesce comunque a inserirsi tra le due Penske. Johansson, quarto, conferma il buon momento delle PC22 sugli stradali.

[Non è del 1993 la foto; dovrebbe essere del 1995]

Al via Tracy perde la tanto sudata pole per l’attivazione della valvola pop off in partenza. Mansell ringrazia e dopo curva uno si ripropone la stessa situazione di Portland, con l’inglese davanti alle due Penske ufficiali e Johansson sempre su telaio Penske. Alle loro spalle l’imbuto di curva 1 produce un ingorgo, una tradizione di Cleveland, che stavolta ha come vittime diversi comprimari di lusso come Boesel e Unser jr.

Tracy studia Mansell per i primi 15 giri, poi infila l’inglese con una manova perfetta in uscita da curva 1. Fittipaldi non appare da subito come una minaccia ma emerge dopo l’ultima sosta quando si incolla al posteriore di Mansell. Lo stint finale della gara vivrà tutto sul duello tra i due, che si scambiano le posizioni per otto giri finché Fittipaldi non consolida il sorpasso al giro 73. La gara si conclude con la prima doppietta stagionale per la Penske davanti a Mansell. Alle loro spalle Johansson batte Andretti malgrado uno stop&go per speeding.

Grazie alle ultime prestazioni il duo Penske si è rilanciato in classifica. Mansell guida ancora con 102 punti ma Fittipaldi ora è secondo con 88; Tracy è quinto con 62, ora ha nel mirino Andretti a 75.

9. Molson Indy Toronto – cittadino

More of the same in quel di Toronto: terza vittoria e seconda doppietta consecutiva per Penske, stavolta senza il contraddittorio di Mansell. La combinazione PC22/V8 Chevrolet-C sembra inarrestabile.

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Fittipaldi conquista la sua prima pole dell’anno e nega al pubblico la gioia di celebrare la pole di Tracy, che, prima di Villeneuve jr e Greg Moore, ne è l’idolo locale.

In gara i rapporti di forza si invertono. Tracy infila Fittipaldi al termine del Lakeshore Boulevard al terzo giro ma il brasiliano si riporta in testa dopo un pasticcio della crew di Tracy alla prima sosta. Il ritmo di Fittipaldi è meno elevato degli inseguitori e alle sue spalle si raccolgono sia Tracy che le due Gallers di Sullivan e Unser. L’esperto brasiliano è in controllo ma al 73° giro pizzica il muro in curva 3 per doppiare Matsushita; nel dubbio anticipa il cambio gomme e lascia aria libera a Tracy.

Il canadese spinge al massimo per tre giri e dopo il pit ritorna in pista con 3 secondi di vantaggio su Fittipaldi, che sconta anche problemi nella selezione delle marce. Il brasiliano penserà per il resto della gara più a difendersi da Sullivan, Rahal e Gordon e a fine corsa Tracy può festeggiare la prima vittoria davanti al pubblico di casa.

Tanto trionfale il weekend per le Penske quanto misero per le Newman-Haas: Mansell sbatte due volte nelle libere, si qualifica nono, in gara non rimonta e dopo 55 giri si deve ritirare per un guasto alla valvola wastegate. “L’unica buona notizia è che il primo ritiro per guasto della stagione è coinciso con un weekend pessimo (…) Così vanno le corse“. Andretti ha più fortuna ma non maggiore velocità e conclude ottavo. Questo fu il punto più basso della compagine Newman-Haas. Fittipaldi ora guida con 105 punti su Mansell, 102. Boesel resiste a 85 ma Tracy è a 83.

 

10. Marlboro 500 (Michigan) – Speedway

Redemption!

Mario Andretti ha sempre avuto un’affinità innata col Michigan International Speedway e con la zampata da leone conquista la pole alla velocità media di 377 km/h (!). Mansell, che al contrario non si era preso bene con le velocità folli e le buche dello speedway, è secondo a un decimo di distacco. Arie Luyendyk si conferma l’uomo giusto da chiamare per gli speedway ed è terzo.

La supremazia dei motori Ford, di cui le Newman-Haas beneficiano di un ulteriore upgrade di 40 cavalli, è palese; per trovare il primo Chevrolet, quello di Tracy, bisogna scendere in quinta posizione a quasi un secondo di distanza. Fittipaldi è in una malinconica 15a posizione.

Lo strapotere delle Newman-Haas in qualifica si riflette anche in gara. Mansell tanto per cambiare viene passato da Luyendyk in curva 1 ma si riprende la piazza d’onore al terzo giro; nel frattempo Andretti si era costruito un vantaggio di cinque secondi. Il distacco resta costante finché non iniziano i doppiaggi, e qui Mansell recupera. Dopo un 28° giro percorso ruota a ruota l’inglese prende il comando delle operazioni e non lo mollerà più, malgrado una caution a nove giri dalla fine che sembra rimettere in gioco Mario Andretti.

Vittoria facile? Mica tanto: “Questo tracciato è massacrante per la macchina e per il pilota ed è stata un’esperienza nuova  in ogni suo aspetto. […] E’ stata una delle vittorie più grandi della mia carriera!”. Per far capire meglio le condizioni dentro l’abitacolo, per contrastare i dolori alla testa e al polso Mansell si fa sciogliere un’aspirina nella borraccia (!).

Se Carl Haas festeggia la prima doppietta dell’anno, Roger Penske e i suoi si devono leccare le ferite. Tracy si ritira a metà gara col motore rotto, Fittipaldi è protagonista di un buon recupero ma poi si presentano problemi di guidabilità e piomba in 13a posizione a ben 13 (!!!) giri di svantaggio.

La risposta di Mansell e della Newman-Haas in questa e nelle gare successive chiuderà il discorso mondiale.

 

11. New England 200 (New Hampshire) – short oval

Mi hanno raccontato che la mia vittoria in New Hampshire – in occasione del mio 40° compleanno – è considerata una delle più belle gare IndyCar di tutti i tempi

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Mansell aggiunge anche gli ovali alla sua collezione di pole, stavolta per appena 6 millesimi su un sorprendente Raul Boesel. La seconda fila è tutta canadese, Scott Goodyear davanti a Paul Tracy. La fatica delle Penske sugli ovali è di nuovo testimoniata da Fittipaldi, 13°, stavolta danneggiato anche dalla perdita di pressione del turbo.

La prima fase di gara segue il copione opposto delle altre gare su ovali: Mansell è davanti mentre i suoi rivali prima si disfano dei piloti più lenti e poi si lanciano al suo inseguimento. Al 18° giro per la prima volta sia Mansell che Tracy sono a pista libera; tutti e due incrementano il ritmo ma Tracy poco a poco, metro dopo metro, erode la leadership. Al 40° giro è in scia a Mansell, il giro dopo sfrutta il traffico e passa in testa.

Ma alle loro spalle l’ordine cambia in fretta: se fino al trentesimo giro Fittipaldi aveva gravitato fuori dalla top ten, al punto tale che il doppiaggio sembrava imminente, di colpo la sua gara prende vita. Sesto al 43° giro, quarto al 57° e alla fine dopo 64 giri supera Roberto Guerrero; solo Tracy e Mansell gli sono davanti. Il resto della gara sarà affare del terzetto.

Il brasiliano ha subito occasione di agganciare i rivali: al 66° c’è la prima FCY della gara. Mansell rientra subito ai box, mentre la crew di Tracy non è ancora pronta. Il canadese rientra il giro dopo e ciò gli fa perdere la posizione sull’inglese.

In questa fase di gara è Fittipaldi il pilota più veloce in pista. All’85° giro con una manovra da manuale -scia e sorpasso in curva 1- si mette alle spalle il compagno di squadra e punta Mansell, anche se non riesce a togliersi Tracy dalla scia. Anche stavolta il traffico è l’occasione per compattare il gruppo di testa, e il giro 94 si rivela cruciale: Fittipaldi attacca Mansell, che lo respinge sfruttando dei doppiati. Entrambi perdono slancio, Tracy no e nell’arco di una curva e un rettilineo li sorpassa entrambi e passa a condurre.

I tre viaggiano separati da meno di un secondo per i restanti trenta giri. Malgrado continui ruota a ruota e uno slalom infernale tra i doppiati, l’equilibrio regge fino al giro 120, quando Boesel va a muro proprio mentre stava venendo doppiato da Tracy (primo e unico ritiro in stagione per il brasiliano). Di nuovo FCY e i tre leader vanno ai box; stavolta è Mansell a subire una sosta lenta e perde la seconda posizione su Fittipaldi. Ma l’inglese non è fatto per accontentarsi.

Si arriva all’ultima fase di bandiera verde della gara. Mansell con una combinazione da veterano degli ovali supera Fittipaldi e inquadra Tracy. In generale il vantaggio di Mansell sugli ovali è l’aggressività con cui si libera dei doppiati, che in questa fase di gara paga particolarmente. D dieci giri dalla fine è in scia a Tracy; Mansell fa la sua mossa in curva 1 ma Tracy lo anticipa e gliela restituisce all’esterno di curva 3.

Adesso mancano tre giri alla fine. Tracy ha un’esitazione per una frazione di secondo e Mansell con una manovra di pura spavalderia lo passa all’esterno di curva 1, sfiorandone le gomme. Mai nessuno aveva sorpassato in quel punto in quel modo. Tracy cerca di nuovo il controsorpasso in curva 3, ma ha meno slancio di prima e giunge solo a sfiorargli le gomme: Mansell resta in testa e quaranta secondi dopo vince la New England 200. Fittipaldi nel finale aveva una monoposto sbilanciata e non poteva permettersi una guida aggressiva come i due davanti quindi si accontenta della terza posizione davanti a Roberto Guerrero, Robby Gordone Scott Brayton.

Una gara assolutamente spettacolare che tutti e tre i protagonisti hanno corso col coltello tra i denti. Ognuno ha avuto la sua possibilità di vincere la gara, alla fine ha vinto quello che ha giocato al meglio le sue chances. La New England 200 fu il culmine del duello tra Mansell e Penske; il resto del campionato purtroppo sarà meno spettacolare.

Con queste due vittorie Mansell si è riportato in testa con 25 punti di vantaggio su Fittipaldi, 144 a 119. Tracy resta indietro a 100 punti.

 

12. Texaco/Havoline 200 (Road America) – stradale

La Spa-Francorchamps degli Stati Uniti.

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Il circuito è splendido e la cornice di boschi ancor di più ma la gara in sé riserva poche emozioni. Paul la mette in pole al Sabato e in gara domina al ritmo di un secondo al giro sugli avversari. Mansell alle sue spalle è nella terra di nessuno mente il terzo gradino del podio è occupato da Mario Andretti finché il motore, per l’ennesima volta, non pone fine alla sua gara. Questo permette a Rahal, autore di una gara intelligente, di ritornare sul podio per la prima volta dopo il secondo posto di Long Beach, stavolta su un più tradizionale telaio Lola. Fittipaldi quinto era e quinto arriva, colpa anche di un motore spompato che ne frustra la rimonta.

 

13. Molson Indy Vancouver – cittadino

Un pareggio che vale quanto una vittoria.

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Il weekend è all’insegna degli outsider. In una sessione di qualifica caratterizzata dall’equivalenza tra i vari pacchetti tecnici Scott Goodyear, forte di alcuni aggiustamenti meccanici e aerodinamici, si prende la pole davanti a Bobby Rahal. I duellanti mondiali Nigel Mansell e Paul Tracy sono in seconda fila, Fittipaldi è più attardato.

In gara, dopo le immancabili bandiere gialle a causa di un insieme di incidenti tra loro slegati (ne fa le spese anche Montermini, che aveva portato di nuovo l'”Andrea Moda” tra i primi), Tracy inizia la rimonta. Prima approfitta di un errore di Rahal, che va al bloccaggio al tornantino, e poi sempre nello stesso punto si butta dentro a Goodyear, che a sua volta va lungo e perde la posizione anche su Rahal. Altri due giri e Goodyear incassa il sorpasso anche di Al Unser jr.

La leadership di Tracy è di breve durata, perché pure lui finisce lungo all’hairpin. Rahal ringrazia e in accelerazione si riprende la testa della corsa. Le residuali speranze di vittoria per Tracy evaporano al giro 23 quando, sempre in uscita dal solito tornante, il motore gli si spegne all’improvviso. Alternatore andato; l’ennesima vittoria buttata per una sciocchezza.

Unser pressa Rahal, ma nessuno dei due cede. C’è da aspettare le soste; Rahal entra al giro 65, Unser aspetta due giri e, grazie anche a un lavoro eccellente della crew, quando rientra in pista ha il margine per mantenere la testa della corsa. Alle loro spalle Goodyear ha noie al cambio e si allontana, per poi perdere il podio all’ultimo giro a favore di Stefan Johansson.

Mansell e Fittipaldi partono indietro ma non rimontano. Un buon lavoro di stategia da parte della Newman-Haas permette a Andretti e Mansell di uscire quinto e sesto dopo l’ultima sosta, davanti a Fittipaldi e Teo Fabi.

 

14. Pioneer Electronics 200 (Mid Ohio) – stradale

Fittipaldi dimostra che la pazienza è una delle virtù del campione.

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Mansell strappa la pole all’ultimo con un giro pazzesco davanti al solito duo Tracy-Fittipaldi. In gara l’inglese è aggressivo in partenza ma Tracy lo è di più in frenata. I due si sfiorano in uscita; Tracy ne esce indenne, Mansell no. Still, could be worse.

Mentre cerca di domare l’auto danneggiata, due curve dopo Mansell si scontra di nuovo, stavolta con Luyendyk, che stavolta gli sradica l’ala. Sosta ai box obbligata ma c’è di peggio: al rientro in pista, per evitare il doppiaggio, l’inglese sorpassa la pace car assicurandosi uno stop&go da parte della direzione gara.

Con la gara di Mansell disintegrata dalla catena degli eventi del primo giro si prospetta un facile 1-2 per la Penske. Tracy al 20° giro ha 15 secondi su Fittipaldi; due giri dopo è parcheggiato nella sabbia di curva 11 accanto a una barriera di gomme. Aveva frenato troppo in profondità e per evitare delle macchine si è buttato fuori pista. Per la seconda gara di fila perde una vittoria “facile” ma stavolta può incolpare solo l’inesperienza e la propria impazienza. A Fittipaldi basta tenere a bada Goodyear e Unser alla ripartenza per vincere.

Alle sue spalle, Robby Gordon disputa la gara più matura della sua carriera e conclude secondo, dopo aver passato uno Scott Goodyear in crisi con la trazione ma comunque in grado di respingere gli attacchi di Raul Boesel. Il 21 a 0 di Fittipaldi su Mansell sembra riaprire i giochi iridati, visto che i due ora sono separati da solo 14 punti a due gare dalla fine. Boesel invece si è ripreso la terza posizione su Tracy.

 

15. Bosch Spark Plug Grand Prix (Nazareth) – short oval

Un sontuoso Mansell vince il mondiale.

E sì che all’inizio la corsa era si era messa male. “I primi 10 o 20 giri sono stati un incubo, [gli avversari] scomparivano all’orizzonte. Mi chiedevo cosa stesse accadendo”.  Tra partenza e primi giri infatti Mansell aveva ceduto la posizione sia alle Penske che a Raul Boesel, sempre forte sugli short oval. Ma una volta capito come gestire i problemi di guidabilità della sua Lola, Mansell ritorna ad essere l’uomo più veloce in pista e nell’arco di venti giri riconquista tutte le posizioni perse.

A questo punto è il turno delle Penske di soffrire di problemi di sovrasterzo. Tracy e Fittipaldi scelgono due tattiche opposte: il primo si ferma subito ai box per cambiare le gomme e aggiustare il setup mentre il brasiliano continua con il set problematico fino alla sosta programmata per evitare di farne una in più.

La debacle delle due Penske lascia a Scott Goodyear l’onore di essere il primo sfidante di Mansell. Il canadese di riserva recupera fino ad arrivare a distanza di tiro dopodiché anche lui inizia a soffrire degli stessi problemi che avevano plagato le gare dei colleghi.

Per le due Penske, la scelta di Tracy si rivela essere quella migliore e si palesa nel finale, dove recupera prima su Luyendyk (l’ennesimo pilota a soffrire di sovrasterzo patologico) e poi a tre giri dalla fine infila Robby Gordon in curva 3. O meglio, tre giri dalla fine per loro, in realtà l’ultimo giro della corsa perché nel frattempo Mansell e Goodyear hanno scavato un distacco di due giri (!!) nei confronti del terzo.

Fittipaldi invece non riesce a rimontare e conclude quinto; in combinazione con la vittoria di Mansell, significa solo una cosa: Nigel Mansell conquista il titolo PPG Indy Car World Series!

Alla fine non mi sono serviti tre anni per imparare come si corre sugli ovali – ne ho vinti quattro al primo anno […]. Nessuno si era mai adattato bene quanto me: non avevo mai corso su un tracciato ovale in vita mia e al primo tentativo ho vinto uno dei trofei più impegnativi e pericolosi. […] Il reverendo Jim McGee [che stava nella IndyCar dagli anni Sessanta] era il mio team manager e disse che si è trattato di “un’impresa che non verrà mai più ripetuta“. La vittoria del titolo “Pilota dell’anno“, votato come tale dal pubblico americano, coronò un anno incredibile

 

16. Makita 300/Toyota Monterey Grand Prix (Laguna Seca) –  stradale

Paul Tracy e Penske concludono trionfalmente la stagione.

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Mansell, forse con la testa già in vacanza, si autoelimina dopo ben due scontri con i doppiati, prima Scott Sharp e poi quello definitivo con Mark Smith. Non sarà l’unica storia di questo tipo.

Fittipaldi insegue Tracy per due terzi di gara, si avvicina grazie al traffico e a un suo problema con le cinture di sicurezza ma per evitare di scontrarsi con “King Hiro” Matsushita al suo doppiaggio si gira e finisce nella ghiaia. Sopravvive all’escursione nella via di fuga ma nel frattempo Tracy si è involato verso la vittoria. Il brasiliano  a questo punto si accontenta della seconda posizione e completa la terza doppietta per Penske – dopodiché regalerà uno specchietto retrovisore a Matsushita.

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E per stavolta è tutto. Ci rivediamo con il 1994 e il racconto della “Belva”

Tutte le immagini sono tratte dall’archivio di Getty Images per scopi non commerciali, salvo dove diversamente indicato. L’immagine di copertina è tratta da Autosport.com

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya