Archivi categoria: Storia

Jacarepagua 1989: inizia una nuova era

La stagione 1988 del mondiale di Formula 1 mandò in pensione i motori sovralimentati protagonisti dell’ultimo decennio e, come preannunciato già dal 1986, tutte le scuderie si prepararono a competere utilizzando motori aspirati con cilindrata fino a 3500 cm³ e numero di cilindri massimo pari a 12, senza alcun limite di consumo. Il V12 fu adottato dalla Ferrari e dalla Lamborghini, che spinse le Lola Larrousse senza particolare fortuna, penalizzata dalla scarsa affidabilità e dai mezzi risicati del team; molte scuderie, tra cui la Benetton, scelsero un convenzionale propulsore Ford ad otto cilindri, soluzione su cui puntarono anche Judd, fornitrice per quattro scuderie, e Yamaha, partner della modesta Zakspeed, qualificatasi in due sole occasioni. Honda e Renault introdussero invece un inedito dieci cilindri nel tentativo di trovare una via di mezzo tra i vantaggi in termini di peso e dimensioni dei V8 e la maggiore potenza dei V12, considerando il minor spazio disponibile per il motore a causa dell’arretramento degli abitacoli indicato dal regolamento. Le grandi novità del nuovo mondiale non si esaurirono con i motori: dopo due stagioni di monopolio Goodyear tornò infatti in Formula 1 la Pirelli, scelta da Brabham, Coloni, Eurobrun, Dallara, Osella, Zakspeed e Minardi, e proprio grazie all’ottima tenuta degli pneumatici la scuderia faentina vide le proprie prestazioni incrementare notevolmente nel finale di stagione, al punto che Martini si trovò in testa all’Estoril, facendo capolino più volte nei quartieri alti durante le ultime gare. 


Il numero di team e piloti iscritti rese necessaria l’organizzazione delle prequalifiche, ovvero una sessione di un’ora da disputarsi il venerdì mattina dalle otto alle nove, dove tredici piloti sarebbero stati costretti a dare tutto per superare la tagliola ed approdare alle qualifiche ufficiali, durante le quali altri quattro sarebbero stati esclusi per portare in griglia i 26 piloti ammessi su un totale di 39; per i piccoli team si sarebbe rivelata un’impresa, per alcuni piloti un miraggio: Suzuki, Foitek, Larrauri, Bertaggia, Winkelhock e Dalmas limitarono la propria partecipazione al mondiale al solo turno del venerdi mattina. La stagione partì purtroppo con un dramma: durante una sessione di test a Jacarepagua in vista della prima gara, Philippe Streiff uscì di pista con la sua Ags e riportò gravi danni alla colonna vertebrale rimanendo paralizzato; dotato di una grande forza d’animo, ebbe modo di adoperarsi attivamente fino a diventare consigliere tecnico per i diritti delle persone diversamente abili sotto la supervisione del Ministero della Sanità francese. Proprio sul circuito brasiliano partì il campionato del mondo, con grande curiosità per un particolare introdotto dalla Ferrari, che portò in pista la rivoluzionaria 640 F1, soprannominata “papera” per la particolare forma del muso, dotata di un cambio semiautomatico sequenziale con innesti direttamente sul volante, soluzione al debutto assoluto in Formula 1. Per tentare di riportare in alto i colori del Cavallino era stato ingaggiato il tecnico John Barnard, il quale mostrò grande sicurezza nel nuovo progetto, al punto di disegnare l’abitacolo della vettura senza spazio per un eventuale ritorno alla leva manuale, anche se lo sviluppo del nuovo sistema si rivelò particolarmente laborioso, tanto che per lo studio sui motori venne utilizzata una vettura del 1987 modificata per l’esecuzione dei test. 


Le prove a Rio de Janeiro fecero le prime vittime illustri, tra i quali Johansson, alla guida di una Onyx ancora acerba, i nostri Caffi e Ghinzani, oltre ad Arnoux, al volante di una Ligier sempre più in crisi; la pole position venne invece conquistata dall’idolo di casa Ayrton Senna, capace di rifilare otto decimi a Patrese (in prima fila per la prima volta dal 1983) e oltre un secondo al compagno di squadra Prost, in terza fila con Mansell e preceduto dall’altra Ferrari di Berger e dalla Williams di Boutsen. Pronti, partenza, via: e subito la prima sorpresa! Patrese e Berger partirono benissimo affiancando Senna, ma solo la vettura dell’italiano passò indenne la prima curva, mentre per i due piloti di Ferrari e McLaren la corsa durò lo spazio del primo rettilineo, con l’austriaco subito fermo e il brasiliano costretto per lungo tempo ai box; Boutsen, uscito di scena dopo pochi giri per la rottura del motore, perse addirittura lo specchietto destro a causa di un pezzo schizzato dalla vettura di Senna. La situazione di gara a quel punto vedeva Mansell e Prost all’inseguimento dell’ottimo Patrese, successivamente “vittima” di una strategia non molto azzeccata della Williams, che attese troppo tempo per il primo cambio gomme, permettendo ai due contendenti, già fermatisi per la prima sosta, di raggiungere e superare il padovano, ormai sensibilmente più lento a causa degli pneumatici usurati. Mansell stava imprimendo un ritmo infernale alla corsa, ma iniziò a patire problemi con il nuovo cambio semi-automatico, arrivando addirittura alla sostituzione del volante con i relativi innesti durante la seconda sosta ai box, poi tornò in pista e si lanciò all’inseguimento di Prost, che superò dopo pochi giri, mentre il francese, consapevole che il suo principale antagonista era ormai fuori gioco, evitò rischi inutili ragionando come di consueto in ottica campionato. Alcune tornate prima si erano vissuti istanti di paura per Eddie Cheever, costretto a guidare una Arrows dall’abitacolo strettissimo (caso non troppo isolato all’epoca) e svenuto per il caldo e la stanchezza una volta uscito dalla vettura in seguito ad una collisione con Schneider; fortunatamente per “l’americano di Roma” nessuna conseguenza.


Riccardo Patrese, fino a quel momento grande protagonista, dopo uno spettacolare sorpasso su Gugelmin fu costretto a rallentare, accostando mestamente per noie all’alternatore e congelando di fatto le posizioni dei primi, con Mansell in vantaggio di alcuni secondi su un Prost sempre più tranquillo in seconda posizione, mentre ai box Ferrari la tensione era altissima per le incognite sull’affidabilità della nuova monoposto di Maranello; fortunatamente tutto funzionò perfettamente fino al traguardo, dove per primo transitò proprio Mansell, l’ultimo pilota scelto da Enzo Ferrari in persona, protagonista di un debutto memorabile sul Cavallino Rampante. Secondo fu Prost e terzo Gugelmin, profeta in Patria e a podio per l’unica volta in carriera, mentre a sorpresa si classificò quarto Johnny Herbert, giunto eroicamente al traguardo nonostante fosse ancora claudicante e in fase di recupero dal grave incidente avvenuto durante una gara di Formula 3000 nel corso della stagione precedente; quinta la Arrows di Warwick e sesta l’altra Benetton di Nannini, seguiti nell’ordine e fuori dalla zona punti da Palmer, Nakajima, Grouillard, Alboreto, Senna e Alliot. Fu la prima vittoria per una vettura dotata di cambio semi-automatico, sistema che aveva già stuzzicato la fantasia dei tecnici Ferrari molti anni addietro: pare che alla fine degli anni Settanta l’ing. Forghieri avesse tentato di applicare un’idea del Drake montando quel particolare cambio su una 312 T3, poi il progetto venne messo in stand by e, dopo un nuovo testo su una F186, riproposto in modo deciso con l’arrivo di John Barnard, partendo da lunghe sessioni di test con Roberto Moreno fino al debutto vincente di Rio De Janeiro. L’intuizione si dimostrò vincente: Ayrton Senna ad Adelaide nel 1991 siglò l’ultima pole position per il cambio ad H, che rimase in dotazione per pochi anni tra i piccoli team, prima di lasciare definitivamente spazio al semi-automatico, nel pieno di un’era in cui lo sviluppo tecnologico riuscì a coniugarsi perfettamente con lo spettacolo in pista, come dimostrato dallo splendido campionato del mondo di Formula 1 1989.

Mister Brown

APPROFONDIMENTI VIDEO

Sintesi ampia e fasi salienti della corsa

Un giro a bordo della Williams di Riccardo Patrese  Commento di Michele Alboreto

 

SINTESI DEL MONDIALE 1989, COMMENTO DI M.ALBORETO

 Parte 1 (Jacarepagua, Imola e Montecarlo)

Parte 2 (Mexico City, Phoenix, Montreal e Paul Ricard) 

Parte 3  (Silverstone, Hockenheim, Hungaroring, Spa e Monza)

Parte 4 (Estoril, Jerez, Suzuka e Adelaide)

SALUT, GILLES!

Gilles Joseph Henri Villeneuve was born in 1950, in Quebec and, after starting his competitive career in snowmobiles, rose to stardom after a couple of seasons in Formula Ford, and then winning both the US and Canadian Formula Atlantic championships in 1976. Villeneuve had beaten James Hunt and other GP drivers in a Canadian Formula Atlantic race and Hunt pointed him out to McLaren. Hunt told the McLaren management about them with the words “That kid is a genius! He can really drive!“. Even back in those days it was rare for a driver to point out the skills of an OTHER driver. Prompting Teddy Mayer to give Villeneuve a call, and arrange a meeting.

In the end it was decided to give Villeneuve a seat in an outdated M23 for the ’77 British GP, which would be their third car alongside the new M26’s driven by Hunt and Mass. On that Thursday Villeneuve drove an F1 for the very first time. During practice he changed nothing on the car, each time he came in to the pits he told the mechanics how great the car was and if he could have another go, to learn more.

In the meantime journalists and photographers would pop-in at the McLaren garage and tell them of the times the saw the new guy go off track or spin the car. Naming every corner on the Silverstone track! So when Villeneuve came back in to the pits Alastair Caldwell, who was McLaren’s team manager and head mechanic at the time, asked him if he had troubles with the car, since people told him he spun at every corner. To which Gilles replied: “I’m just finding out how fast I can go round the corners. You can’t tell how fast you’re going unless you lose control of the car.”

After a while he spun the car less and less, even ending up the pre-qualification session in p1. During the actual qualification session he ended up in ninth place, one place in front of Jochen Mass, the no.2 McLaren driver, in a newer M26. Eventually he would finish the race in 11th place, after a pit-stop for a faulty oil temperature gauge. Gilles Villeneuve was 29 when he was offered test driver role (and a five-race deal for the end of the ’78 season) with McLaren after the 1977 British GP. 

But right before that he was invited to Maranello where apparently Enzo was reminded of the great Tazio Nuvolari, and Gilles had received a similar offer, after a test session at Fiorano. He had been lapping the track in a 312T2 for half an hour, when he returned to the pits. In just 20 laps he had worn out a complete set of brake pads. Pads that should comfortably last a whole race… 

So when he told McLaren about it Mayer said that he should call Ferrari’s bluff and ask them for a full drive or nothing. Enzo promptly signed him up, from the last two races of 1977. Leaving Caldwell to be furious with Mayer, for not only throwing away a rough diamond but also negotiating his deal! Apart from that one-off McLaren drive Villeneuve only drove for Ferrari throughout his tragically shortened career.

Villeneuve, talking about those early snowmobile days said: “Every winter, you would reckon on three or four big spills, being thrown on to the ice at 100 miles per hour. Those things used to slide a lot, which taught me a great deal about control. And the visibility was terrible! Unless you were leading, you could see nothing, with all the snow blowing about. Good for the reactions — and it stopped me having any worries about racing in the rain.” Maybe he should have worried a little more, but he was certainly fearless.

John Blunsden wrote in The Times: “Anyone seeking a future World Champion need look no further than this quietly assured young man.”

Enzo Ferrai said: “When they presented me with this ‘piccolo Canadese’, this minuscule bundle of nerves, I immediately recognised in him the physique of Nuvolari and said to myself, let’s give him a try.”

Villeneuve replaced Niki Lauda, who left Ferrari two races before the end of the ’77 season after some disgruntlement (but not before winning his second title), but had a sad start to his career in the final event in Japan where he banged wheels with Ronnie Peterson’s Tyrrell, took off… and landed on a group of spectators, who were in a prohibited area. One spectator and a marshal were killed, and ten people were injured. An investigation decided not to apportion any blame. 

Villeneuve’s first full F1 season (1978) began with an eighth place in Argentina (plus fastest lap), followed by four retirements, the fourth at Long Beach, where Villeneuve had qualified second, and led for much of the race, until colliding with a back-marker and retiring. After that he would end up taking a fourth place at Monaco. After a string of further disappointments Villeneuve gained his first podium in Austria and then winning the final race in Canada – still the only Canadian to have won ‘at home’. However his teammate, Carlos Reutemann, won four times, to finish third in the Championship – there was more to come from Villeneuve.

At Monza the tifosi were overjoyed to see Villeneuve take his second front-row start of the year, and he also finished second in the race, but he and Andretti jumped the start and were penalised one minute, leaving them sixth and seventh. There were many incidents in the race, which was red-flagged as a result of Peterson’s crash, and it was about to be restarted, three hours late, when Jody Scheckter’s Wolf lost a lap on the formation lap, and flattened the guard-rail. A deputation of drivers examined the area, and asked for adjustments, and a much shortened race started at 6 PM, four hours late.

Mario Andretti: “I was on pole, and Gilles was next to me on the front row. He jumped the start and I reacted to it, so I jumped it too. We both knew early on we’d been penalised a minute, but still we fought the whole race like we were going for the win. I followed him until about six laps from the end. I could see him work really hard in that Ferrari. And I was waiting for the mistake, but the mistake never came… So I made my move at Ascari, just went in there full on the limit, and he gave me the room I needed. That showed he was thinking, and had a lot of respect. And I had great respect for him because of that.”

While Reutemann took the vacant seat at Lotus for the ’79 season, Villeneuve was joined by Scheckter. It was Ferrari’s year, at least until Alan Jones’ Williams came good in the second half and won four out of five races. The record shows Scheckter took the Championship with Villeneuve second, four points down: they each had three victories, and three second places. Villeneuve had an additional second place that had to be dropped, while Scheckter had four fourth places, two of which were dropped. [NB: at that time only the best 4 results from the first 7 races, and the best 4 results from the last 8 races counted towards the Drivers’ Championship] Both drivers had one pole position but Villeneuve was the only one to score fastest laps – six of them.

After the first five races Villeneuve led by 20:16 but he failed to score in the next two and Scheckter pulled ahead. At the half-way point Villeneuve trailed 20:30, and failed to regain the lead. It would be twenty-one years before another Ferrari driver would be Champion…

In the French GP there was the titanic battle between Villeneuve and Arnoux which Villeneuve won. He commented afterwards, “I tell you, that was really fun! I thought for sure we were going to get on our heads, you know, because when you start interlocking wheels it’s very easy for one car to climb over another.”

The Dutch GP provided another Villeneuve classic: a slow puncture collapsed his left rear tyre and put him off the track but he limped back to the pits on three wheels, losing the damaged wheel on the way. He completed the lap on just two wheels – one was gone, and the opposite one was in the air… Villeneuve insisted the team replace the missing wheel, and it apparently took a while to assure him the suspension damage was beyond repair. Reaction at the time was mixed: either an act of the ultimate competitor not wanting to give up… or an irresponsible, emotional decision.

In Italy Villeneuve could have gone on to win the Championship by beating Scheckter… but allegedly chose to finish second, less than a second behind, ending his own championship challenge. Although Scheckter was ahead in the Championship Villeneuve was still in contention. He qualified fifth to Scheckter’s third and ran right behind Scheckter’s gearbox throughout the race… Was he on team orders to let Scheckter win if Scheckter was ahead, was he being a gentleman, or was Scheckter simply the faster man on this occasion. At no time during the race was Villeneuve seen trying to pull alongside, or even pulling out of the slipstream to take a look.

His behaviour throughout was of the dutiful No.2 driver, reminiscent of Moss to Fangio, Peterson to Andretti, and many others… and yet Gilles Villeneuve was nobody’s stooge. Did he run so consistently close to demonstrate he could have taken the lead? Whatever, it was extremely uncharacteristic for a man who was never slow to put his car’s nose ahead… and keep it there… to apparently accept second best on this occasion. During the year, when they both finished without a problem, Villeneuve beat Scheckter 6:4.

I have no desire to denigrate Scheckter’s Championship – I just find Villeneuve’s behaviour unusual. Unless it was a Ferrari decision…

In his last ever interview Villeneuve would use this to explain his feud with Pironi, after the ’82 Imola GP: “When I was behind Scheckter, in South Africa in ’79, I only passed him when he was in the pits. When I was in Monza, and it was my last chance to win a race, and the Championship was at stake (’79), I stayed behind Jody without trying to pass him. When I was at Monaco, before the gearbox broke, Jody was in front of me, going slowly. Because he had a huge lead, and I never tried to pass him. That was the Ferrari rule!”

Funnily enough Scheckter would comment about that Monza win:“As much as I trusted Gilles – I was looking in my mirors more than usual. On the last lap I slowed right down in one section, then just went as fast as I could for insurance… I would have been surprised if he had tried anything but I always look out for surprises.”

In Canada Villeneuve qualified second, between the two all-conquering Williams cars, while Scheckter languished in ninth. Villeneuve jumped into the lead and held off Jones for fifty laps before having to give best to Williams, though he held on to second from a really hard-pushing Regazzoni.

Finally to Watkins Glen. The record book shows Villeneuve won, in wet conditions, but he was 48 seconds ahead of Arnoux… after Jones had crashed, from an ill-fitted wheel. But there’s a lot more to that story:

The rain was so heavy for the Friday practice session and only a few cars ventured forth. Villeneuve was fastest, 11(!) seconds ahead of Scheckter. Yes, you read that right. Eleven seconds! Scheckter would later recalled: “I scared myself rigid that day. I thought I had to be quickest. Then I saw Gilles’s time and — I still don’t really understand how it was possible. Eleven seconds!”

Twenty minutes before the race started it was raining again. Villeneuve jumped ahead and after two laps was five seconds ahead but, as the track began to dry, Jones closed in and went ahead on lap 31. Villeneuve pitted for slicks but, when Jones did the same, one wheel wasn’t properly fitted, and he was soon out of the race, leaving Villeneuve almost a full lap ahead of Scheckter, who later lost a tyre. Villeneuve cruised home, with fading oil- pressure, 48 secs. ahead of Arnoux.

1979 turned out to be Villeneuve’s best year – he would not even get close to winning a championship again.

Ferrari mechanic Scaramelli: “The Villeneuve era was wonderful, and it peaked in 1979. That year the T4 engine would only break if you dropped it off the back of the truck. And Gilles was fantastic. We were accustomed to Lauda and Reutemann, who respected the machinery. Gilles gave us a lot more work, but he also completely re-awakened our enthusiasm! After each race, if you worked his car, you could see that he thoroughly wrung his car’s neck. The limiter on his accelerator pedal would always be pushed a little further down…”

Now came a dreadful year for Ferrari, 1980 – not a single win, no pole position, no fastest lap, no podium even… and finishing 10th in the Constructors Championship with just eight points – how the mighty can fall. It wasn’t just the Williams cars who took over; Ligier, Brabham and Renault all won two or three races each. Even the Fittipaldi team scored two podium finishes, to place eighth with, sandwiched in the middle, the also once-mighty McLaren team, whose drivers, Watson and Prost, only amassed eleven points between them… In the Drivers Championship Villeneuve finished fourteenth, with defending champion Scheckter in nineteenth

With several very bad accidents to Regazzoni and Jean-Pierre Jabouille, and the loss of Patrick Depailler, 1980 was a dreadful year for more than just Ferrari.

Scheckter decided to call it a day in 1981 and Villeneuve was joined by newcomer; Pironi, to drive Ferrari’s first turbo car which had considerable power and straight-line speed, but turbo-lag and handling problems prevented a challenge for the Constructors Championship, eventually finishing fifth. Nevertheless Villeneuve scored an amazing victory at the slow Monaco circuit and, at Jarama, he held back five faster cars who were able to close up on the corners before Villeneuve roared away on the straights. He also took pole position and fastest lap at Imola.

In Monaco Villeneuve finished forty seconds ahead of Jones, who was fifty seconds ahead of Lafitte, the only other drivers on the lead lap but, in Spain, only 1.24 seconds covered 1st-5th places – the second closest finish in F1 history. It was also Villeneuve’s last victory, and is often held up as a tactical masterpiece. He only qualified seventh but at the start he jumped to third at the first corner, and was second at the end of the first lap…

Jones was in full control, until he spun off on lap 14, and Lafitte, Watson, Reutemann, and de Angelis closed up on Villeneuve, and all five were packed like a 215kph tin of sardines, to the line. [Some F1 purists childishly denigrate ovals but check the 2013 Indy Lights race at Indianapolis – a four-abreast finish, with 0.0026 secs. between them.]

Midseason Ferrari acquired the services of Harvey Postlethwaite to pen the 1982 car (with a young Adrian Newey in the drawing office), who said: “That car…had literally one quarter of the downforce than, say Williams or Brabham. It had a power advantage over the Cosworths for sure, but it also had massive throttle lag at that time. In terms of sheer ability I think Gilles was on a different plane to the other drivers. To win those races, the 1981 GPs at Monaco and Jarama — on tight circuits — was quite out of this world. I know how bad that car was.”

In the penultimate race at Ile Notre Dame, which would be renamed, Circuit Gilles Villeneuve, the following year, Gilles drove with a seriously damaged front wing for much of the race, probably obscuring much of his forward vision, and in heavy rain… But I expect he thought it was nothing compared to his snowmobile days. Nevertheless he should have been black-flagged but after several frightening laps the wing became disconnected, and Ferrari left him to decide. I say this because the wing could have easily caused a death if it had hit anyone when it let go, and even the debris could have had severe repercussions. As with the missing wheel in 1979, Villeneuve drove without apparent concern for what could have happened behind him.

Ferrari mechanic Corradini: “Another legendary race. Gilles was charging in the wet with his front wing bent upwards and compromising his visibility. But for him it made no difference. He was on his way to the podium. I was terrified that Forghieri was going to stop him. Call him in to change his nose. I was Pironi’s mechanic, but I was a fan of Gilles. So what I did, crazy as it may seem, was to grab the board with ‘Box’ written on it and hide it. At that point Forghieri could say what he wanted: the signal, the order for Gilles to surrender, couldn’t been shown by anyone!”

1982: Now came disaster, with which I have already dealt with in the Pironi article. I don’t enjoy writing of tragedies, and the loss of Villeneuve in a practice accident was, and still is, a tragedy. Many people have attempted to ‘explain’ the incident – most have a highly subjective opinion. All we know for certain is that Villeneuve came across another, slower- moving, car, both drivers took evasive action, but failed to avoid a collision, and the Ferrari took off. Villeneuve, still strapped to his seat, was thrown from the disintegrating vehicle and died in hospital that evening.

Gilles Villeneuve was especially noted for his exuberance, even devil-may-care approach to racing. Certainly he so often put his car where a lesser man (i.e. almost all other drivers) would not have dared, and his impeccable car control enabled him to pull it off. But.. in his final performance even Villeneuve’s skill proved insufficient to get himself out of trouble.

Niki Lauda said of him: “He was the craziest devil I ever came across in Formula 1… The fact that, for all this, he was a sensitive and lovable character rather than an out-and-out hell-raiser made him such a unique human being. Gilles was the perfect racing driver, I think. In any car he was quick. He didn’t drive for points, but to win races. I liked him even more than I admired him. He was the best -and the fastest- racing driver in the world!”

Professor Sid Watkins once said about Villeneuve that what an inch was for Gilles was like a yard for anyone else. He was that precise. 

Chris Amon: “People always talk about Senna, who obviously had brilliant races too. But Senna had the advantage of being in top rate equipment for some of those races. Gilles most exceptional races were driven in uncompetitive cars.”

Rene Arnoux: “At Watkins Glen one time, I asked him -the corner before the pits, I take a small lift there, do you? He said he also lifted a little there, but in final qualification he would try it flat out. So just before the end of the session I came to this corner and there was his car. Completely destroyed in the wall. But he was OK. So when I got back to the pits I asked him if this bend could be taken flat out? ‘No, Rene’ he said, ‘I tried, but it is not possible.’ But he had decided that it could be done so he tried it… And that was Gilles Villeneuve for me.”

In the end Villeneuve would only score six wins (from 67 starts), two pole positions and a further 13 podiums. Plus eight fastest laps. But he created this immortal legend. I’m a massive Villeneuve fan, and perhaps I romanticise his story a bit too much. If you ever go to an F1 race and you come across a guy with a massive Villeneuve tattoo on his right arm come say ‘Hi’ to me, hahaha.

Phil Bruznic

L’era del Turbo

16 luglio 1977, Silverstone: al via del Gran Premio d’Inghilterra l’attenzione del pubblico era focalizzata sull’avvincente lotta per il titolo, per la quale erano coinvolti ben quattro piloti raccolti in una manciata di punti, ovvero Lauda a quota 33, la coppia Andretti – Scheckter distaccata di un solo punto e l’altro ferrarista Reutemann a meno quattro. In un anonima ventunesima posizione in griglia si trovava Jean Pierre Jabouille, pilota dalle grandi doti di collaudatore e fresco vincitore del titolo nel prestigioso campionato europeo di Formula 2, al volante della Renault equipaggiata con un motore sovralimentato spinto da 600 Cv in 1492 cm³ e strutturato in 6 cilindri disposti a V di 90°, che nell’occasione costrinse il pilota al ritiro dopo soli sedici giri scatenando l’ironia dei “garagisti” inglesi, tra i quali Ken Tyrrell, che ribattezzò la vettura francese “Teiera gialla” a causa del fumo rilasciato in seguito al guasto, ponendo in evidenza lo scetticismo di un ambiente convinto che il Turbo sarebbe stato troppo penalizzato dal regolamento in quanto limitato ai 1500 cm³ contro i 3000 cm³ degli aspirati; nonostante il disinteresse dei competitor e numerosi problemi, soprattutto in merito all’affidabilità, la Renault proseguì la propria avventura e, dopo aver saltato due Gran Premi, si ripresentò a Zandvoort, Monza e Watkins Glen senza riuscire ad arrivare al traguardo, mentre in Canada mancò la qualificazione. La scelta non fu certo improvvisata: tutto nacque all’inizio degli anni settanta quando il giovane motorista Dudot montò un propulsore sovralimentato su una Alpine A110 che si impose subito al Rallye Critérium des Cévennes e spinse l’azienda a investire per un approfondimento sul tema svolto negli Usa dallo stesso Dudot; lo stesso successivamente sviluppò un motore Turbo destinato alle barchette Alpine impiegate nelle competizioni Endurance con Larrousse e Jabouille alla guida, avviando un progetto che trovò il proprio coronamento nella vittoria alla 24 di Le Mans del 1978 ottenuta da Pironi e Jassaud al volante della Alpine A442 Renault Turbo. Grazie all’appoggio della Elf e sotto la supervisione di Larrousse, con il solito Dudot a curare la progettazione del motore, venne creata una struttura destinata alla produzione di una monoposto che servì da laboratorio per il modello che debuttò nel campionato del mondo di Formula 1 del 1977 e sul quale l’azienda riponeva grande fiducia.


I continui test e interventi tesi ad ottimizzare le prestazioni non portarono particolari miglioramenti e nel 1978 Jabouille non riuscì mai a lottare per posizioni di rilievo, invertendo la rotta solamente nel finale di stagione con due terzi posti in griglia e un quarto posto al traguardo a Watkins Glen. Nella stagione successiva la Renault si mise invece da subito in evidenza in qualifica e Jabouille, ora affiancato da Arnoux, fresco campione europeo di F2, partì dalla pole in Sudafrica, ma la scarsa affidabilità del mezzo non consentì di raccogliere punti nella prima parte del campionato; la svolta avvenne con l’avvento della RS10 ad effetto suolo con la quale, dopo un paio di battute a vuoto, i due piloti furono protagonisti nel Gran Premio di casa, disputato a Digione: conquistata la pole position, Jabouille dominò e vinse la corsa, mentre Arnoux concluse al terzo posto al termine di uno storico duello con Villeneuve che finì per oscurare un successo dalla portata storica per una tecnologia che avrebbe condizionato tutto l’ambiente della Formula 1 negli anni a venire. Arnoux terminò la stagione con altri importanti piazzamenti quali un secondo posto a Silverstone, un sesto a Zeltweg e un altro secondo a Watkins Glen, poi visse un avvio trionfale nel campionato seguente, proiettato in testa alla classifica dopo i successi di Interlagos e Kyalami, salvo poi subire un calo nel resto della stagione dove colse tre pole position ma solamente altri undici punti, terminando al sesto posto in classifica generale, mentre Jabouille fu tormentato da costanti problemi tecnici e come l’anno precedente concluse a punti un solo Gran Premio, vincendolo, precisamente a Zeltweg. Quella del pilota francese fu una gioia purtroppo breve in quanto poche settimane più tardi, nel corso del 25esimo giro del Gran Premio del Canada, finì a muro causa un guasto alla sospensione: venne estratto dalla vettura solamente un’ora più tardi e con serissime ferite alle gambe che lo costrinsero ad un lungo stop, mettendo di fatto la parola “Fine” sulla sua avventura. Chiuse la carriera l’anno seguente dopo soli cinque Gran Premi disputati con la Ligier, prima di intraprendere una nuova avventura con la Peugeot come pilota Endurance e poi come dirigente; l’era del Turbo stava dunque entrando in una nuova fase senza il suo protagonista più rappresentativo, colui che aveva accettato con grande coraggio una sfida su cui nessuno avrebbe scommesso, lavorando intensamente senza alcuna possibilità di confronto con la concorrenza fino a portare la propria squadra e il suo rivoluzionario propulsore tra i protagonisti della scena.


Mentre la Renault scalava la classifica iridata, nel 1980 la Ferrari affrontò una stagione tra le più deludenti della propria storia, dove la 312 T5, erede della T4 con cui Scheckter e Villeneuve avevano dominato la stagione precedente, si rivelò antiquata sul piano tecnico e disastrosa riguardo l’affidabilità; la deficitaria situazione di classifica spinse lo staff di Maranello verso una rinnovo totale del progetto sulla nuova vettura, a partire dall’accantonamento del motore aspirato a 12 cilindri “piatto” in virtù di un nuovo propulsore sovralimentato da 1496 cm³ strutturato in 6 cilindri disposti a V di 120°, una soluzione che portò tra l’altro ad una riduzione degli ingombri ottimale per le esigenze aerodinamiche di una wing car. La rapidità dei tecnici Ferrari permise alla Scuderia di schierare la 126C già durante le prove del Gran Premio d’Italia 1980, dove Villeneuve dimostrò la bontà del progetto girando più veloce di Scheckter di oltre un secondo, anche se i dubbi sull’affidabilità spostarono il debutto ufficiale alla stagione seguente, durante la quale il canadese, ora affiancato dal francese Pironi, colse due importantissimi successi a Montecarlo e Jarama, piste particolarmente tortuose dove la potenza del Turbo e la scarsa maneggevolezza del mezzo avrebbero dovuto in teoria rappresentare un handicap. Al contempo la Renault continuò il proprio percorso di crescita e ingaggiò il promettente Alain Prost, il quale dopo un avvio difficile mise in mostra tutto il proprio talento e le proprie capacità nella messa a punto, affrontando una seconda parte di stagione da protagonista, forte di tre vittorie e due secondi posti che lo portarono in quinta posizione a soli sette punti dal campione del mondo Piquet.
Le quattro vetture Turbo schierate da Ferrari e Renault conquistarono dunque cinque successi su un totale di quindici Gran Premi a confronto con quasi trenta avversari, i quali dovettero “arrendersi” all’evidenza dei fatti avviando la ricerca di un nuovo partner per la fornitura di un motore sovralimentato, scelta che portò ad una vera e propria rivoluzione in un ambiente da anni abituato alla lotta tra la Ferrari e i costruttori inglesi, legati al tradizionale Ford Cosworth e ad un regolamento che permetteva di affrontare stagioni di successo contando sul proprio ingegno e costi relativamente contenuti. Oltre alla Toleman, scuderia che stava scontando lo scotto dell’inesperienza nel passaggio dalla Formula 2 insieme al proprio partner Brian Hart, artigiano impegnato nello sviluppo di un motore Turbo che potesse permettere al team di affrontare il salto di qualità, nel 1982 tentò la nuova strada anche la Brabham campione in carica, che montò un motore Bmw sulla Bt50 con cui Piquet vinse il Gran Premio del Canada, mentre l’altro pilota Riccardo Patrese vinse a Montecarlo con la Bt49 motorizzata Ford Cosworth ed utilizzata prevalentemente ad inizio stagione. In avvio di campionato Prost tentò la fuga con due vittorie nelle prime due gare, prima di essere ridimensionato da una lunga serie di ritiri che favorirono l’altra scuderia favorita, la Ferrari, purtroppo sconvolta nelle settimane successive dalla tragica scomparsa di Villeneuve e poi dal gravissimo incidente di Pironi, il quale concluse il mondiale al secondo posto a soli cinque punti dal campione del mondo Rosberg anche se fu costretto a saltare gli ultimi cinque Gran Premi, ennesima dimostrazione del grande potenziale della monoposto di Maranello, comunque Regina tra i costruttori grazie ai punti raccolti da Tambay e poi da Andretti, degni sostituti dei piloti titolari, privati della gioia di vivere una stagione trionfale a causa di un destino avverso.


Il campionato del mondo 1982 fu segnato da gravi tragedie e da un equilibrio visto raramente nel mondo della Formula 1, con ben nove vincitori differenti su sedici Gran Premi e Rosberg campione del mondo con soli 44 punti e una vittoria in carniere; fu il canto del cigno per l’aspirato Ford Cosworth, che nel 1983 si impose solamente a inizio stagione in circuiti cittadini, ovvero a Long Beach, dove Watson compì una rimonta da record vincendo dopo essere partito dalla 22esima posizione, poi a Montecarlo con Rosberg e infine con Alboreto a Detroit, 155esima e ultima affermazione per Cosworth in Formula 1. I successivi cinque Gran Premi furono appannaggio della Ferrari di Arnoux, che recuperò terreno dopo un inizio deludente, e della Renault di Prost, avviato verso la conquista di un titolo che sembrava ormai una formalità, dato che dopo l’appuntamento di Zandvoort, dove tra l’altro la Mclaren di Lauda fu spinta per la prima volta dal Tag-Porsche, la classifica vedeva il francese saldamente al comando con 51 punti, contro i 43 di Arnoux e i 37 di Tambay e Piquet, poi quest’ultimo vinse due gare consecutive e approfittò degli errori di Prost e della Renault, nel frattempo divenuta anche fornitrice della Lotus, per cogliere a Kyalami un terzo posto che fu sufficiente per concludere la rimonta e permettere alla Brabham di conquistare il primo titolo nell’era del turbo. In occasione del Gran Premio del Sudafrica tra l’altro la Williams scese in pista con il motore sovralimentato della Honda, che nel corso della stagione aveva debuttato grazie alla piccola scuderia Spirit, aggiungendosi al lotto delle vetture Turbo insieme all’Ats, che aveva stipulato un accordo con la Bmw, e l’Alfa Romeo, protagonista della propria migliore stagione dal rientro grazie ai risultati ottenuti da De Cesaris al volante della 183T equipaggiata dal turbo V8 tipo 890T. Già a campionato in corso erano sorte grandi polemiche in quanto era opinione di alcuni che la Brabham utilizzasse benzine irregolari, ma dopo un ammissione scritta di Ecclestone, che dichiarò di aver errato in buona fede, nessuno sporse reclamo e il titolo venne convalidato, opzione tesa ad accontentare tutti e nessuno, ma soprattutto a scatenare un dibattito eterno in merito alla regolarità del titolo conquistato in pista dal team britannico.
Superate le polemiche, la Formula 1 si apprestò ad affrontare nel 1984 il festival del Turbo: Williams, Lotus e Mclaren consolidarono la propria partnership e si apprestavano a sfidare Brabham, Renault e Ferrari, la Ligier passò al motore Renault, l’Osella ottenne i propulsori dall’Alfa Romeo, la Spirit ricevette il sostegno della Hart e la Arrows si accordò con la Bmw battendo sul tempo la Tyrrell, che tentò senza fortuna di trovare un accordo con la Porsche e dovette accontentarsi ancora dei tradizionali motori aspirati Cosworth, una vera e propria beffa considerando l’ironico soprannome coniato da Ken Tyrrell a Silverstone nel 1977 per la “teiera gialla” Renault e per il suo motore Turbo, ormai fondamentale per poter essere competitivi nel Circus. Il team del “Boscaiolo”, ormai lontano dai fasti dei primi anni settanta, nel corso della stagione subì l’onta della squalifica a causa dei pallini di piombo inseriti nel serbatoio del liquido refrigerante che secondo Tyrrell servivano per mantenere la vettura nei limiti di peso previsti del regolamento, mentre la federazione contestò la situazione in quanto le zavorre dovevano essere necessariamente ispezionabili, accusando la scuderia di frode. La diatriba proseguì trovando il proprio epilogo a Zeltweg, dove Johansson mancò la qualificazione e l’altra Tyrrell di Bellof venne squalificata risultando sottopeso di 3Kg: per la prima volta dal 1967 non vi fu nemmeno un Ford Cosworth al via di un Gran Premio di Formula 1, mentre il team britannico vide definitivamente cancellati i risultati della stagione, con la possibilità di iscriversi alle gare pur senza la facoltà di conquistare punti, perdendo l’appoggio degli sponsor e avviando un lungo declino culminato con la definitiva scomparsa sul finire degli anni novanta. La stagione dei Gran Premi proseguì con lo spettacolare duello tra Lauda e Prost, alfieri di una Mclaren destinata a recitare il ruolo di protagonista negli anni a venire, mentre la Renault si trovò ai margini e dovette accontentarsi di modesti piazzamenti, fino al mesto ritiro avvenuto alla fine del campionato 1985, pur confermando l’impegno come motorista.


Consolidata la presenza dei motori Turbo, che tra il 1985 e 1986 diventarono gli unici presenti in griglia e poi gli unici ammessi, i progettisti si trovarono a confronto con una nuova sfida: quella relativa ai consumi, in quanto nel tentativo di limitare le prestazioni, dal 1984 venne vietato il rifornimento e fissato il limite standard del serbatoio a 220 litri, capacità che l’anno seguente scese a 195; nonostante alcuni incidenti di percorso, gare interrotte anzitempo per mancanza di carburante e finali anomali come quello di Imola nel 1985, la velocità delle vetture continuò ad incrementare e i cavalieri del rischio nell’era del Turbo si trovarono al volante di mostri dalla scarsa maneggevolezza capaci di sprigionare potenze incredibili, superiori ai mille cavalli nelle configurazioni da qualifica, in un contesto dove la sicurezza non aveva ancora trovato spazio sufficiente, come dimostrato dal tragico incidente occorso a Elio De Angelis, decollato a causa del distacco dell’alettone posteriore avvenuto a piena velocità durante un test al Paul Ricard dove le misure adottate si rivelarono fatalmente inadeguate. La scomparsa del pilota italiano, l’idea che le monoposto stessero diventando ingestibili e il continuo incremento dei costi portarono la Federazione a stabilire un piano di progressiva eliminazione dei motori sovralimentati attraverso una serie di limitazioni tecniche che avrebbero guidato i team verso il ritorno agli aspirati a partire dal 1989.

Nel 1987, anno caratterizzato dall’avvincente battaglia in casa Williams, con successo di Piquet su Mansell, venne ulteriormente ridotta la capacità dei serbatoi, oltre alla pressione di sovralimentazione, mentre in griglia tornarono alcune vetture con motori aspirati, ai quali venne dedicata una classifica riservata intitolata a Jim Clark, trofeo conquistato dalla Tyrrell di Jonathan Palmer. Nel 1988 la pressione di sovralimentazione consentita scese a 2,5 bar, mentre la quantità di carburante venne ridotta a 150 litri, ma i cambiamenti regolamentari non impedirono alla Honda, nel frattempo passata dalla corte di Sir Frank Williams alla Mclaren di Ron Dennis, di confermare il proprio dominio, grazie a quindici successi su sedici Gran Premi, dei quali nove conquistati dall’astro nascente Ayrton Senna, ultimo campione del mondo “Turbo” nella storia della Formula 1. Il ritorno agli aspirati creò l’illusione di poter tornare a competere con costi contenuti, idea che fece incrementare il numero degli iscritti a trentanove unità, con venti team e sette motoristi a dare vita al nuovo corso della categoria regina del Motorsport, dove nei successivi lustri, con titoli conquistati come motorista e come scuderia, tra i protagonisti assoluti vi sarà proprio la Renault.

Mister Brown

 

 

KERPEN 03/01/1969

La data in cui nacque IL CAMPIONE!

Non voglio scrivere il solito articolo che narri la leggenda, fatto e strafatto di solite argomentazioni su Michael, o finire a mia volta a dar false speranze sulle condizioni del RE, quello lo lascio ai soliti che se ne ricordano di lui, quando la stampa parla della ricorrenza del suo incidente, o il giorno del suo compleanno, ma lui non si merita questo e sopratutto non lo vorrebbe.

Non l’ho sempre considerato un mito, vi son stati momenti alterni, legati a stupore e incredulità, o forse mero complottismo, ma ancora oggi ricordo quando lo vidi qualificarsi settimo a Spa, sulla F1 più bella che sia mai esistita (Jordan 191). Solo pochi giorni dopo, vederlo passare davanti a me, sulla Benetton B191 a Monza, facendomi notare quale sia la sua classe e livello, iniziando a credere che sia uno di quei fenomeni predestinati.

Lo ricordo vincere a Spa 1992, fra il fortunoso e la bravura, quel giusto mix che rende il campione capace di saper sfruttare a proprio vantaggio, anche i suoi stessi errori. Lo ricordo perchè seppe mettere in difficoltà campioni come Prost o Senna. Lo ricordo per essere riuscito a mettere molte persone contro di lui, iniziando a credere che dietro alle sue prestazioni, ci fossero degli imbrogli, ma riuscendo a vincere un titolo anche dopo mille penalizzazioni e squalifiche. Lo ricordo vincere anche con solo una o due marce a Barcellona, beh, li non ci credetti che fosse possibile, eppure lo fece.

Lo ricordo per le sue collisioni e i pareri contrastanti che esse creavano in me. Di stupore e fastidio, quando si prese dentro con Hill ad Adelaide 94, di sgomento e tristezza, quando firmò malamente la resa, cercando il contatto con Villeneuve a Jerez 97, o rabbia per quella con Coulthard a Spa 98.

Lo ricordo, odiato dai Ferraristi, che in un sol colpo lo amarono, quando vinse con la rossa, sopratutto in una incredibile corsa a Monza. Lo ricordo, quando gli dissero; “Michael, per vincere la corsa devi fare 20 giri di qualifica” e lui disse “Ok” facendoli.

Lo ricordo, quando seppe mettercela tutta per tornare alla guida della rossa, anche dopo aver rischiato la vita, quando seppe fare il gregario e lo ricordo quando mostrò il suo lato umano, scoppiando in un pianto, nella sala interviste di Monza 2000, quando ormai pareva che quel titolo a Maranello non ci fosse speranza di conquistarlo.

Lo ricordo, quando mi fece piangere, gioire e disfare il salotto, a Suzuka 2000, riuscendo a riportare l’iride a Maranello, iniziando l’era del RE.

Lo ricordo battere ogni rivale, più giovane o meno e non riservar gentilezza in pista, manco a fratello. Lo ricordo per essere uno che avrebbe asfaltato chiunque, per ottenere pole e vittoria.

Lo ricordo capace di correre, a Imola 2003, con la tristezza e il pensiero verso la madre che stava per abbandonarlo, capace di volare all’ospedale appena finite le prove e il giorno dopo, con il lutto nel cuore, correre e vincere la corsa.

Lo ricordo rientrare ai box, a Suzuka 2006, dopo l’esplosione del motore e le speranze iridate che volavano via, ed assistere a Michael che abbraccia ad uno a uno i suoi meccanici, forse più affranti di lui, per consolarli.

Lo ricordo, nella sua ultima corsa in rosso, in Brasile 2006, quando ormai era chiaro che i bonus di fortuna fossero esauriti e tutto iniziasse a girare storto, ma lui non si arrese e ci regalò una corsa incredibile, ad un ritmo indiavolato, sorpasso dopo sorpasso. Qualche giro in più e sarebbe stato forse capace pure di vincerla, perchè quel giorno era oltre a qualsiasi pilota.

Lo ricordo fare la “pole” a Monaco con la Mercedes, a 43 anni suonati.

Lo ricordo salutare tutti, per lasciare la F1…

Lo ricordo…

…lo ricordo perchè è stato IL PILOTA e anche L’UOMO, perchè era quello che poteva fare qualcosa di impossibile, perchè sembrava uno che niente lo scalfisse, mentre invece alle volte le cose lo scalfivano, rendendolo umano.

Potrei scrivere per delle ore su di lui…mentre forse vorrei solo potergli scrivere o dire qualcosa…

Grazie e Auguri CAMPIONE

Saluti

Davide_#keepfightingMichael_QV

F1 in Pillole – This is the end

This is the end, beautiful friend
This is the end, my only friend
The end of our elaborate plans
The end of everything that stands
The end

Nei precedenti capitoli delle “Pillole di Formula 1” abbiamo analizzato, con particolare attenzione per episodi e personaggi meno conosciuti, tanti aneddoti relativi alla storia di questo sport; per questo capitolo, che sarà l’ultimo, non è stato facile raccontare “pillole” particolarmente accattivanti in quanto mancava la materia prima. Come già analizzato nel precedente capitolo, il Circus della F1 ha orientato le proprie regole per tentare di ravvivare la scena in modo sempre più artificiale, con ovvie ripercussioni sull’epicità e l’interesse su situazioni reali, ma tutto questo può comunque stimolare una dibattito.

Da sempre riguardo l’ambiente della F1 discute di noia, sorpassi e confronti con le ere precedenti, sempre viste con ammirazione a discapito del momento in cui si dibatte di questi temi: “La Formula 1 era meglio prima, più coinvolgente, più divertente, più epica, più entusiasmante e chi più ne ha più ne metta”. Distacchiamoci da nostalgismi che hanno poca attinenza con la realtà e sfruttiamo il nostro percorso per analizzare le caratteristiche di ciò che amiamo.

Con l’istituzione del campionato del mondo di Formula 1 si è sostanzialmente deciso di organizzare una competizione che fosse in grado di attirare interesse su scala internazionale, coinvolgendo le auto e i piloti più competitivi della propria epoca e mettendoli a confronto in un’unica graduatoria, ma dal 1950 ad oggi i regolamenti sia tecnici che sportivi hanno subito ovviamente numerose modifiche, in ambito tecnico e sportivo. In questi infiniti passaggi vi sono state stagioni più o meno combattute, gare più o meno divertenti e scelte più o meno condivisibili, ma il Dna dei Gran Premi è rimasto costante, attraverso lo svolgimento di gare in grado di coniugare velocità e strategia, dove la capacità di gestire risorse e distacchi era importante quasi come la precisione nel mantenere un passo gara più rapido di quello degli avversari, senza disdegnare qualche corpo a corpo e, perché no, alcuni colpi proibiti, frutto dell’agonismo portato all’eccesso.

Il punto è qui: a prescindere dalla noia e dallo spettacolo, che sono soggettivi, oggi è difficile parlare di F1 perchè l’essenza stessa dello sport è snaturata. Il problema non è che non ci sono più sorpassi, grandi rimonte o gare incerte, ma che tutto questo sia spesso, se non sempre, frutto di orpelli regolamentari basati sulla necessità dello spettacolo ad ogni costo.

Ma andiamo a raccontare un pò di storie tra il 2005 e il 2010.

Prima fila tutta italiana
A Melbourne nel 2005 venne introdotto un cervellotico sistema per le qualifiche attraverso il quale si sommavano i tempi di due giri secchi, stravolto già nel corso dello stesso anno. Giancarlo Fisichella debuttò sulla Renault conquistando la pole position, accompagnato in prima fila dalla Toyota di Jarno Trulli; non accadeva dal 1984 che la prima fila fosse tutta italiana, quando Alboreto e De Angelis centrarono il primo e secondo tempo a Jacarepagua. In gara Fisichella riuscì a confermarsi vincendo autorevolmente il gran premio, mentre Trulli fu soltanto nono a causa di un’errata strategia del box Toyota.

La griglia più ridotta della storia
Ad Indianapolis nel corso della seconda sessione di prove libere Ralf Schumacher sbattè violentemente a causa di un problema alla gomma posteriore sinistra, pertanto venne messa in discussione l’affidabilità degli pneumatici Michelin. La casa francese e la Fia tentarono un compromesso e i piloti si schierarono, con Jarno Trulli in pole position, ma al termine del giro di ricognizione le vetture gommate Michelin imboccarono la corsia dei box ritirandosi,  lasciando in gara quindi solamente Ferrari, Jordan e Minardi, ovvero le vetture gommate Bridgestone. Le due Ferrari si involarono mentre gli altri puntarono soprattutto a finire la gara: Tiago Monteiro staccò subito il compagno Karthikeyan e conquistò agilmente la terza piazza, unico podio in carriera e ultimo nella storia della Jordan, già passata al gruppo Midland e scomparsa dalla F1 a fine stagione.

Qualifiche sempre più controverse
Dopo nove stagioni in Mclaren, nel 2005 David Coulthard accettò la sfida di portare al debutto la Red Bull e già durante la prima stagione andò regolarmente a punti, ottenendo come migliore risultato due quarti posti, nella gara di debutto a Melbourne e poi al Nurburgring. In occasione dell’appuntamento tedesco venne cancellato il sistema di qualifiche con somma di tempi e si tornò al giro secco con vetture già in assetto da gara, altra soluzione infelice accantonata per introdurre la divisione in sessioni a eliminazione, purtroppo ancora in vigore.

Minardi tutta olandese
Nel corso della stagione 2005 la Minardi appiedò Patrick Friesacher per motivi di sponsorizzazione e scelse per rimpiazzarlo il terzo pilota Jordan Robert Dornboos, che insieme al compagno di squadra Christijan Albers formò una line-up tutta olandese, episodio che si non si verificava dal Gp d’Olanda del 1962 quando Carel Godin de Beaufort e Ben Pon scesero in pista per l’Ecurie Maarsbergen. Dornboos debuttò ad Hockenheim dove si qualificò in 17esima posizione e chiuse la gara diciottesimo e ultimo, a quattro giri dal vincitore Alonso, poi le sue prestazioni migliorarono e riuscì a piazzarsi in più occasioni davanti al compagno di squadra; a fine stagione la Minardi cedette la struttura alla Red Bull (che formò la propria “gemella ” Toro Rosso partendo proprio da Faenza), con cui l’olandese corse tre Gp nel 2006 senza ottenere punti.

Patente e libretto
La Super Aguri debuttò in F1 acquistando i telai della Arrows A23 del 2002, con la necessità di adattare la vettura alle modifiche regolamentari e alla differenza di dimensioni del motore, in quanto dai 3000cc V10 si era passati ai 2400cc V8. L’allestimento fu lento e i due piloti ebbero poche occasioni di testare la SA05 prima del campionato, situazione che non aiutò Ide, schierato nelle prime quattro gare con seri problemi di adattamento alla categoria, tanto che dopo aver provocato un incidente con Albers a Imola venne inizialmente sostituito, poi il ritiro della superlicenza pose la parola fine sulla sua carriera in Formula 1. A partire dal Gran Premio d’Europa venne dunque schierato il pilota di riserva Montagny, il quale si avvicinò progressivamente alle prestazioni dell’esperto Sato: in occasione dell’ultimo Gp disputato riuscì a surclassare per la prima volta in prova il compagno di squadra, concludendo la gara al sedicesimo posto, prima di lasciare spazio al terzo pilota Yamamoto.

L’ultimo V10 in pista
Nel tentativo di limitare il continuo incremento di potenza, nel 2006 la cilindrata dei motori venne ridotta da 3.0 a 2.4 litri e i numeri dei cilindri da 10 a 8, anche se già ad inizio stagione i tempi sul giro non furono molto distanti da quelli dell’anno precedente. La Scuderia Toro Rosso, nata dalle ceneri della Minardi dopo l’acquisizione della Red Bull, continuò ad usare un motore a 10 cilindri e a 3 litri con un limitatore di giri per evitare maggiori spese ingegneristiche alle vetture nel breve periodo. Il team ingaggiò Liuzzi e l’americano Scott Speed, che ad Indianapolis venne accolto calorosamente dal pubblico di casa ma fu coinvolto in una carambola alla prima curva che coinvolse ben sette vetture.

Gli eredi della Jordan
La Midland entrò in Formula 1 rilevando lo storico team Jordan nel 2005, mantenendo sede nel Regno Unito e utilizzando licenza russa (primo caso in F1) per le origini del proprietario del gruppo che, scontento dell’investimento, cedette tutto alla Spyker già nel corso del 2006. Con la nuova livrea arancio Albers scese in pista sul difficile tracciato di Suzuka e per la quarta volta in stagione superò la prima eliminazione in qualifica, mettendosi alle spalle tra gli altri le due Red Bull, mentre in gara non fu altrettanto fortunato ritirandosi nel corso del ventesimo giro. Seppur senza punti disputò una buona stagione guadagnandosi la riconferma, ma il 2007 non si dimostrò altrettanto soddisfacente e venne quindi appiedato nel corso della stagione chiudendo la carriera in Formula 1 per dedicarsi poi al Dtm e alla 24 ore di Le Mans, dove vinse il premio “rookie of the year” nel 2009.

Super Takuma
Il giapponese Sato, campione britannico di F3, ha corso in Formula 1 con sole vetture motorizzate Honda: dopo i trascorsi con Jordan e Bar, nel 2006 ha fatto il proprio debutto la Super Aguri, una sorta di junior team della casa nipponica, utile in particolare come alleato in sede di discussioni regolamentari. Gli unici punti del team sono stati raccolti proprio da Sato, che nel 2007, oltre ad un ottavo posto in Spagna, ha ottenuto un brillante sesto a Montreal, prendendosi pure il lusso di battagliare con il campione del mondo Fernando Alonso.

Gli ultimi saranno i primi
Markus Winkelhock, figlio del pilota Manfred, detiene il record di giri al comando in relazione a quelli effettuati. Disputò il Gran Premio d’Europa 2007 al volante della Spyker: partito ultimo, sfruttò il caos creato dalla pioggia per portarsi in testa e condurre per cinque giri. La gara venne sospesa e ripartí in pole prima di scivolare indietro e ritirarsi nel corso del 13esimo giro.

Corsa a eliminazione
Il 2008 si aprì con una gara pazza: caos alla partenza e cinque ritiri, poi altri contatti e numerosi guasti con sole sei vetture all’arrivo, una rarità per i tempi moderni delle corse. Bourdais, quattro volte campione Champ Car e al debutto in Formula 1, venne tradito dal motore a tre giri dal termine ma, come Raikkonen, venne comunque classificato avendo coperto almeno il 90% del gran premio. Nel corso della stagione il pilota francese ottenne un altro settimo posto, a Spa, ma venne oscurato dall’astro nascente Vettel, che concluse il mondiale con ben 36 punti e una vittoria; Bourdais venne appiedato nel corso della stagione successiva, senza un’ulteriore possibilità di correre in Formula 1, optando per il ritorno negli Usa a partire dal 2011.

Nel nome del padre
C’è una sola coppia padre-figlio giapponese ad aver partecipato al mondiale di F1: a 16 anni dall’ultima presenza di Satoru Nakajima, nell’ultima gara del 2007 debuttò con la Williams il figlio Kazuki, Confermato anche per il 2008, nella sua prima stagione completa fu protagonista di buone prestazioni ed entrò alcune volte tra i primi otto, cogliendo a Singapore l’ultimo punto in carriera, mentre nel 2009 non riuscì ad ottenere piazzamenti validi per la classifica. Passato alle gare di durata, in equipaggio con Davidson e Buemi ha visto incredibilmente sfumare la vittoria alla 24 ore di Le Mans per un guasto nell’ultimo di 384 giri, vincendo poi l’edizione 2018 con Buemi e Fernando Alonso.

Il dramma di Felipe, il ritorno di Badoer
All’Hungaroring, una molla staccatasi dalla parte posteriore della vettura di Barrichello colpì il casco di Massa, che subì una lesione alla parte sinistra del cranio per cui fu necessaria un’operazione con conseguente stop per il resto della stagione. Dopo il rifiuto di Schumacher per problemi fisici, la Ferrari puntò sul fidato collaudatore Badoer, assente in gara da 10 anni: ultimo in prova e 17esimo al traguardo a Valencia, a Spa l’italiano mostrò alcuni miglioramenti, ma fu sostituito da Fisichella. L’anno successivo, dopo oltre 130000 Km percorsi, causa l’avanzare dell’età e l’assenza di test in F1, si chiuse definitivamente il rapporto tra Badoer e Maranello.

Dall’India con furore
La svolta stagionale per il 2008 della Force India arrivò a Spa,  quando in condizioni di pista difficili Fisichella fu protagonista di un giro straordinario cogliendo una storica pole position per il team indiano, poi in gara venne sorpassato da Raikkonen, con l’aiuto del Kers, ma resistette in seconda posizione davanti a piloti dotati di vetture più performanti, riuscendo a cogliere il primo podio e i primi punti per la Force India, prima di passare alla Ferrari, dove chiuse la carriera in F1. Nel 2007 l’imprenditore indiano Vijay Mallya e Michiel Mol avevano acquistato la Spyker per fondare la Force India, primo team indiano di Formula 1, la cui prima vettura fu presentata a Mumbai. A Giancarlo Fisichella era stato affiancato il tedesco Sutil, già pilota della Spyker, che nel primo anno colse un 13esimo posto come miglior risultato; l’anno seguente a Monza (subito dopo Spa) arrivarono i primi punti, in un fine settimana in cui il tedesco fu grande protagonista, con secondo tempo in prova e quarta posizione al traguardo, con tanto di giro piú veloce.

Mai dire Banzai!
Ingaggiato in sostituzione dell’infortunato Glock, Kobayashi impressionò già al debutto sfiorando la zona punti ad Interlagos, mentre nel Gran Premio successivo, quello conclusivo della stagione disputato ad Abu Dhabi, confermò le buone impressioni di tifosi e addetti ai lavori: partito dalla sesta fila, chiuse al sesto posto (davanti al compagno di squadra Trulli) riuscendo anche in uno spettacolare sorpasso sul campione del mondo Jenson Button. Furono gli ultimi punti in Formula 1 per la Toyota, che a seguito della crisi economica e dei risultati deludenti decise di abbandonare la categoria nonostante fosse già pronta la vettura per il 2010, termine di una storia iniziata nel 2002 e chiusa dopo 139 gran premi senza nessuna vittoria nonostante un notevole investimento di capitali.

Made in Faenza
La Toro Rosso per il 2010 schierò la STR5, prima vettura del team interamente concepita e costruita a Faenza da quando la Minardi è stata rilevata dalla Red Bull (fino al 2009 la vettura veniva infatti concepita dalla Red Bull Technology). Sempre spinta dal propulsore Ferrari, la STR5 venne progettata per accogliere in maniera più adeguata il doppio diffusore che nella vettura precedente era stato inserito a stagione in corso. Nelle prime 5 gare del campionato vennero raccolti 3 punti, tutti fatti segnare da Jaime Alguersuari, che a Sepang fu nono e colse il miglior risultato stagionale, poi ripetuto nell’ultima prova ad Abu Dhabi.

Avanti c’è posto
Dopo l’addio della Honda, alla fine del 2009 anche Toyota e Bmw salutarono la Formula 1, segnando un ulteriore passaggio di crisi per il Circus, in una fase di aperta polemica per l’introduzione del tetto di spesa, che portò l’interesse di alcuni nuovi team (ben quindici fecero richiesta), attirati dalla possibilità di confrontarsi con le scuderie storiche in virtù della limitazione del budget. Ad inizio stagione riuscirono ad entrare 1Malaysia, che rilevò i diritti Lotus, Campos, poi rinominata Hrt, e Manor, iscritta come Virgin, scuderie che incontrarono subito diverse difficoltà al primo appuntamento in Bahrain, dove girarono in prova con tempi superiori di oltre due secondi dall’ultimo del resto del gruppo. Per tutte e tre le scuderie hanno proseguito per alcuni anni con scarsa fortuna e nessun punto raccolto.

Ultimi punti italiani
La Formula 1 sbarcò per la prima volta in Corea del sud nel 2010, in un tracciato classico dello “stile” di Tilke, senza particolari punti di interesse. Liuzzi nel corso di un gran premio imprevedibile e condizionato dalla pioggia, con la solita deludente partenza dietro safety car, fu protagonista di un’ottima prestazione, chiudendo al sesto posto, miglior risultato in carriera e ultimi punti italiani in Formula 1.

La zampata finale di Vettel
Dopo aver trascorso un’ottima stagione, la Red Bull fece ulteriori passi in avanti e nel 2010 mise in pista una vettura molto competitiva, con la quale Mark Webber tentò la fuga in campionato, salvo poi essere raggiunto prima da Hamilton e poi da Alonso. Nel finale di stagione il team puntò su Sebastian Vettel, che appariva in grande forma anche se in vista dell’ultima gara ad Abu Dhabi si trovava a 7 punti da Webber e 15 da Alonso. I due rivali furono però autori di una strategia suicida (chiusero 7° e 8°) e il tedesco, che vinse la gara con autorità, conquistò il titolo mondiale diventando così il più giovane campione del mondo piloti nella storia della Formula 1, a 23 anni, 4 mesi e 11 giorni; tra l’altro vinse dopo essere stato in testa alla classifica solo all’ultima gara della stagione, come John Surtees nel 1964 e James Hunt nel 1976.

Con il 2010 finisce dunque il nostro, anzi il mio racconto, visto che parlo a titolo personale. Come mai il 2010? Non che il decennio precedente, salvo qualche episodio, sia stato entusiasmante. Risposta: giusto per tirare una riga, ovvero: la mia passione ha sopportato di tutto, pure il drs? Anche no!

Di chi è la colpa? di nessuno. L’ingresso degli sponsor, dei grandi costruttori e infine quello prepotente dei media, ha portato la Formula 1 nell’olimpo degli sport più seguiti, con un costante incremento di pubblico negli autodromi e di fronte agli schermi, di conseguenza chi tira le redini del Circus si è dovuto confrontare in modo sempre più diretto con ascolti e interesse generale riservato alla categoria in un periodo storico dove l’immediatezza delle immagini televisive sembra diventata una regola. A partire dal 1994, con l’utilizzo della safety car, si è assistito alle prime gare neutralizzate/compromesse, ma è con il dominio Ferrari degli anni 2000 che la Federazione ha stravolto progressivamente il regolamento dei Gran Premi in nome di un presunto spettacolo, di conseguenza ecco arrivare:
– Parco chiuso e nessuna possibilità di intervenire sulle vetture.
– Sistema di qualifiche basato sul giro secco, che nel 2003 è quasi costato il titolo a Schumacher, vittima della pioggia a fine turno, solo per fare un esempio. Poi ancora modifiche sulle qualifiche, fino al sistema dei turni a eliminazione che impedisce a tutte le vetture di avere a disposizione il medesimo tempo per piazzarsi.
– Penalità in griglia per la sostituzione di parti meccaniche, con annullamento del merito del pilota nel conquistare la posizione.
– Penalità e investigazioni per contatti anche involontari, riducendo ai minimi storici l’aggressività e i duelli in pista.
– Safety car sempre più invadente con tanti saluti ai distacchi guadagnati con fatica e alle strategie di gara, già limitate da obblighi del fornitore relativamente all’utilizzo degli pneumatici.
– Circuiti sempre meno selettivi e affascinanti, sia considerando quelli di nuova concezione, sia quelli classici stravolti e infarciti di vie di fuga in asfalto o curve a novanta gradi.
– Ala mobile per ravvivare la scena con una manciata di sorpassi artificiali

Nella speranza che lo sport più bello del mondo torni in sé, per rivivere un pò di storie di sana Formula 1 vi invitiamo a leggere i capitoli precedenti a questi link:
Pillole di F1 cap. 1 – Anni ’50 e ‘60
Pillole di F1 cap. 2 – Anni ’70 (1)
Pillole di F1 cap. 3 – Anni ’70 (2)
Pillole di F1 cap. 4 – Anni ’70 (3)
Pillole di F1 cap. 5 – Arrivano gli anni ’80
Pillole di F1 cap. 6 – L’era del turbo (1)
Pillole di F1 cap. 7 – L’era del turbo (2)
Pillole di F1 cap. 8 – Speciale 1989
Pillole di F1 cap. 9 – Campionati 1990 e 1991
Pillole di F1 cap. 10 – F1 nel caos (1)
Pillole di F1 cap. 11 – F1 nel caos (2)
Pillole di F1 cap. 12 – Verso il nuovo millennio
Pillole di F1 cap. 13 – The end is near

Mister Brown