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Ed il DTM va in letargo. Arrivederci al 2017

L’ultima gara del DTM è terminata da poco e già mi è preso il magone.  Qual’è la cosa singolare? Che questo succedeva… tanti anni fa per la Formula 1. Non ricordo neanche quanti, probabilmente da fine anni ’80. Una tragedia l’attesa invernale. Ed invece da qualche anno a questa pare me ne frega meno di zero. E comunque, parlando di cose buone. Grandissimo fine settimana del DTM, con Wittmann e Mortara a giocarsi il titolo. Fino alla linea del traguardo il titolo era di Wittmann, poi di Mortara, poi ancora di Wittmann, questa volta definitivamente.

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Turisti (quasi) per caso: il circuito di Hockenheim

A volte, chissà perché, l’itinerario delle vacanze porta proprio laddove la passione vorrebbe andare. In Germania, ai confini fra i land Renania-Palatinato e Baden-Württemberg, lungo il corso del fiume Reno (quello tedesco, s’intende) esiste un luogo il cui nome evoca sempre grandi ricordi, belli e brutti, nella mente degli appassionati di auto da corsa. Forse non tanto quanto il luogo che dà il nome a questo blog, ma poco ci manca. Perché in Germania la passione per il motorsport è sempre stata forte, come in Italia, e i luoghi storici per la Formula 1 sono anche in questo caso due.
Stiamo ovviamente parlando del circuito di Hockenheim, che si trova nella Germania centro-occidentale, non lontano dalla città di Spira, in una zona forse non molto conosciuta da noi italiani, ma dove sono presenti luoghi molto interessanti da un punto di vista turistico.
E fu così che dopo avere organizzato un soggiorno vacanziero in quel di Spira, ci si accorse (quasi) per caso che lì vicino c’era una delle piste che ci faceva sognare fin da bambini, e corse l’obbligo di farci tappa.

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Piloti per un giorno

“La libidine è qui” diceva Guido Nicheli, indimenticabile caratterista italiano, “sole, Whisky… e sei in pole position”

Il sole c’è, il Whisky lo teniamo per dopo, aggiungiamo una monoposto e l’asfalto dell’autodromo di San Martino del Lago (Cr) e siamo in pole position pure noi, comunque vada la giornata, anche se ovviamente più andiamo forte e meglio è. La monoposto è una Formula Junior, categoria tra le grandi classiche dell’automobilismo, guidata negli anni d’oro da piloti del calibro di Clark, Hulme, Surtees e Bandini: linea old-style come piace a noi, rossa fiammante, niente ali (da regolamento), ruote scoperte, telaio tubolare pannellato in alluminio, gruppo motore/cambio/differenziale posteriore, motore Fiat Fire 4 da 1200cm3 con 4 cilindri in linea e 90 cv di potenza su soli 350 Kg di peso, divertimento assicurato!

Ci mette a disposizione il mezzo la Rubini Corse, nome noto per gli amanti del Motorsport: il team piacentino mosse i primi passi in un’officina di provincia grazie al fondatore Armando, il figlio Duilio proseguì poi nell’attività e corse ad alti livelli arrivando alla fine dei ’70 alla vittoria nel campionato italiano turismo, cui presero parte piloti del calibro di Nannini, Pirro e Alboreto, oltre a partecipazioni e successi in Mg Metro Challenge, Formula Italia e Formula Fiat Abarth, spesso vetrina per le gare di Formula 1 a Imola e Monza. Terminata la carriera da pilota, Rubini divenne preparatore ufficiale Mg Metro e capo meccanico PiemmeMotors in Formula 3, categoria in cui vinse il campionato italiano nel 1992. Oggi ci accompagna Davide, l’ultimo della “Dinastia”, già pilota di Formula 3, Seat Ibiza, Seat Leon e Mazda Mx5, pilota “titolare” della Junior, anche se ritirato da qualche anno.

Casco giallo creato come tributo per ricordare la livrea in versione italianizzata dell’elmetto del mio eroe purtroppo scomparso, tuta biancorossa con un solo sponsor e la toppa nostalgica “Sex breakfast of champions”, tutto è pronto per le procedure di partenza: due parole con il meccanico in merito ai settaggi dell’auto, cinture strette da togliere il fiato, volante inserito, motore acceso e sono brividi. C’è un altro ragazzo che si alternerà alla guida, non c’è nulla da vincere, ma lo spirito è quello: vedere i tempi al muretto ad ogni giro e puntare ad abbassare quello del rivale/amico è già una motivazione in più. Dentro ad un abitacolo angusto e caldo mi viene da pensare che in fondo siamo tutti uguali: dai cavalieri del rischio del passato ai piloti moderni, così vincolati a regolamenti che probabilmente non piacciono nemmeno a loro, passando per chi ci ha provato e non è riuscito, chi corre a livelli amatoriali, fino a noi che riusciamo a ritagliarci qualche giornata di libertà, tutti uniti dalla stessa passione, dalla voglia di competere contro sé stessi e gli altri, di sentire il rombo dei motori e l’odore della benzina.

Si parte, esco dai box e posso destreggiarmi tre la curve di una pista di quelle che ti fanno “rizzare il pelo”: un misto iniziale con doppia a sinistra e doppia a destra dove l’asfalto è leggermente sconnesso e in staccata tende a far scivolare l’auto (lo so bene, lo scorso anno ho insabbiato un’altra monoposto in quel punto), poi terza/quarta e si affronta un breve rettilineo interrotto da una curva in pendenza verso destra, alzando leggermente il piede si arriva ad un tornante “da seconda”, accelerazione in uscita e via verso il punto più bello della pista: curva verso destra in accelerazione, tieni giù il piede e senti l’auto che va verso l’esterno, c’è solo da fidarsi del mezzo e tenere premuto l’acceleratore fino alla staccata di un altro tornante sinistro che immette in un lunghissimo rettilineo, giù tutta e arriviamo a circa 200 chilometri orari, non è certo la velocità di una Formula 1 ma seduti per terra con il motore “a tutta” e le vibrazioni sembra di volare! A 150mt staccata violenta e si entra nell’ultimo misto, abbastanza lento e tecnico: sinistra, destra, sinistra e ritorno al rettilineo del traguardo, breve con staccata a 50mt a sinistra all’interno del misto iniziale.

Primo turno dedicato in gran parte a scaldare le gomme con un paio di rientri per controllo temperature e regolazione frenata, poi tocca all’altro “collega” scaldarsi e imparare la pista, fortunatamente non troppo trafficata  anche se popolata da mezzi decisamente performanti, quali un prototipo 2000cc, due Formula 3 e una Formula 4 del team Antonelli, mentre nei turni a ruote coperte girano un Audi Dtm, due Leon da trofeo e due Porsche, insomma anche nei momenti di attesa c’è da divertirsi e la colonna sonora è di quelle che preferiamo, ovvero motori assordanti, staccate al limite e accelerazioni violente.

Ritento con un secondo turno ma non riesco ad ottenere granché in quanto un Formula 3 si insabbia dopo pochi giri ed è bandiera rossa, rientro ai box e approfittiamo per controllare la vettura in attesa che la Gru riporti l’altro mezzo ai box, ritorno in pista e purtroppo c’è un problema con il cambio (chi è più aggiornato di me sulle vicende dei gran premi mi fa notare che i problemi al cambio per le auto rosse sono la normalità), si rientra ai box, così possiamo verificare anche l’abilità del team che ci ha offerto questa giornata: mentre noi “piloti” ci fermiamo per il pranzo confrontandoci su pista e vettura, i meccanici provvedono rapidamente alla riparazione e dopo la pausa il mezzo è di nuovo pronto, ma ora tocca al collega.

Nel primo turno sembrava timido ma deve aver preso confidenza, ad ogni passaggio migliora, dal muretto gli mostriamo i tempi ed evidentemente lo motiviamo perché chiude la sessione con un crono ottimo, secondo le richieste di Rubini che ci aveva invitato a scendere sotto il muro dei “40. Missione compiuta, almeno per lui, ma ora tocca a me! Entro in macchina e dico sorridendo al collega che non si va a casa finché non ho battuto il suo tempo.

Scendo in pista per l’ultimo turno… dopo il riscaldamento, le regolazioni e le noie al cambio è ora di fare sul serio: un paio di giri e con gomme “calde” si inizia a tirare, avendo già girato su questa pista con una vettura completamente diversa devo prendere i riferimenti guidando al limite, inizio con qualche crono un pò alto, il tempo del collega è ancora lontano, è ora di prendere qualche rischio, staccare più avanti, accelerare prima in uscita, fidarsi del mezzo anche quando sembra “partire”. Il cambio nuovo funziona a meraviglia, la monoposto tiene ed è sincera nel comportamento, una vera auto da corsa, passo davanti al muretto e ad ogni tornata i tempi scendono, finalmente ci siamo, il best lap è mio, altri due giri per migliorare ancora ed è bandiera a scacchi, sto rientrando ai box e già sale un pò di malinconia.

Arriva dunque la parte meno felice della giornata: andiamo a saldare il conto alla pista mentre i meccanici provvedono a pulire e caricare il mezzo, spostando le attrezzature dai box al furgone, poi siamo pronti per rimettere gli abiti civili confrontandoci un’ultima volta sui tempi, staccate e traiettorie, c’è ancora tempo prima di tornare a case e pensare a clienti, fatturati e conti vari, oggi il nostro “lavoro” è quello del pilota e ce lo godiamo fino in fondo. Si ritorna a casa, ma mentalmente ci stiamo già preparando per il prossimo appuntamento, probabilmente a Varano dè Melegari, nel circuito intitolato a Riccardo Paletti, con il pensiero di migliorare e prepararsi per tentare in futuro anche qualche partecipazione in gara.

Si, decisamente questa passione è sana, ci unisce e offre sempre grandi stimoli, non siamo di certo Hamilton e Alonso alla guida di una Formula 1, ma per un giorno ci siamo sentiti proprio come loro.

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1° Historic Minardi Day

Non avrà vinto quanto la McLaren e non sarà nei cuori dei tifosi italiani come la Ferrari, ma la Minardi merita un posto d’onore nella storia di questo sport. A dieci anni dall’ultima gara del team faentino sul circuito di Imola si è svolto il primo Historic Minardi Day. Fan ed appassionati hanno avuto la possibilità di rivivere le emozioni della Formula 1 di qualche decina di anni fa.

Tra questi, due Ringers d’eccezione.

A loro va il ringraziamento della Redazione per aver scelto Il Blog del Ring come “luogo” dove condividere il racconto di una giornata speciale.

 

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Gary Hartstein, Julian Chamberlayne e le verità indicibili

Il nome di Gary Hartstein a molti potrà non dire molto.
Ma di fatto oggi è uno dei pochi personaggi in grado di far saltare i nervi agli inquilini di Place de la Concorde. Tanto da fargli recapitare lettere minatorie in cui lo si minaccia di intraprendere contro di lui azioni legali o cercare di isolarlo facendo pressioni sul suo attuale ruolo lavorativo.
Gary Hartstein è stato assistente di Sid Watkins dal 1997 al 2004 e delegato medico FIA dal 2008 al 2012.
Attualmente lavora all’ospedale universitario nella città belga di Liegi.
E occasionalmente tiene un blog da cui non risparmia critiche a come l’attuale vertice della commissione medica della FIA, il delegato Jean-Charles Piette e il capo della commissione medica FIA, l’amico personale di Jean Todt, Gerard Saillant, gestiscono la sicurezza dei piloti in Formula 1.
Gary Hartstein è anche legato ad un altro nome che potrebbe non dire molto ai non interessati ai lavori dietro le quinte della Formula 1.
L’altro nome interessante di cui parliamo oggi è Julian Chamberlayne, partner dello studio legale britannico Stewarts Law.
Il quale, con l’efficacia tipica di chi per mestiere piega le parole per assecondare ad esse la legge, spiega come sia quantomeno posticcio parlare del recente miglioramento nella sicurezza dei piloti senza accompagnare a queste parole una disamina delle mancanze e/o degli errori pregressi.
Stewarts Law è lo studio a cui Philippe Bianchi ha affidato l’azione legale avviata nei confronti della FIA, della FOM e della attualmente (e forse opportunamente) fallita Marussia, a seguito della morte del figlio Jules.
I Bianchi in tutta la vicenda che ha coinvolto la tragica scomparsa del pilota Marussia, hanno tenuto un decoro e una dignità esemplari; hanno, stando alle stesse parole di Philippe, più volte cercato di potersi sedere ad un tavolo per avere chiarimenti sulle 396 pagine che la commissione di inchiesta ha pilatescamente prodotto per assolvere tutti i convolti.
Tutti tranne Jules.
L’unico che in quanto morto, non ha potuto dire la sua sull’intera vicenda.
I Bianchi, dalle loro stesse parole, hanno accettato la fatalità; hanno dignitosamente accettato le giustificazioni per le condizioni di sicurezza sul tracciato di Suzuka o la mancanza del supporto dell’elicottero di emergenza medico.
Ma sentirsi dire che il loro figlio è morto perché, come hanno sempre fatto tutti, non ha rispettato le doppie gialle; sentirsi dire che il loro figlio è morto per la sua sola ed unica negligenza.
No, questo probabilmente era davvero troppo.
Sono anni che la Formula 1 vive nella ambigua situazione di far convivere piloti, la cui unica ragione di vita è arrivare davanti ad ogni avversario, con i dettami della sicurezza.
Chiedere ad un pilota di “andare piano” è un ossimoro, credo sia palese per tutti.
Quello che forse è un po’ meno chiaro è che, insieme alle pretestuose norme sulle dichiarazioni in conferenza stampa, insieme alle norme stringenti sulla livrea con cui possono ornare il loro casco e alle interessantissime digressioni sul loro stile di vita, mai nessuno abbia preso in considerazione seria norme che punissero i comportamenti rischiosi dati dall’ignorare le indicazioni sui limiti di percorrenza nei tratti di pista pericolosi.
Comportamenti loro e dei loro datori di lavoro.
Sono anni che i team e i piloti ignorano le indicazioni di sicurezza e men che meno le “doppie gialle” che secondo il regolamento dovrebbero far procedere il pilota ad una velocità tale da “potersi fermare in ogni momento“.
Sono anni che la FIA non analizza il comportamento indisciplinato sotto doppia gialla né tantomeno commina sanzioni per il suo mancato rispetto.
La commissione appura che Bianchi, nel tratto in cui pochi minuti prima la monoposto di Sutil era andata in acquaplaning, passa a soli 5 kmph meno che al suo giro precedente.
Bianchi non ha rispettato le indicazioni della direzione corse; di Charlie Whiting, quindi.
Inoltre la commissione appura che negli ultimi 2,3 secondi prima che la Marussia numero 17 impatti fatalmente contro il mezzo di soccorso, Jules sta premendo contemporaneamente freno e acceleratore. Che cosa abbia portato il pilota a premere entrambi i pedali non lo sapremo mai ma la commissione non può fare altro che ammettere che il sistema antistall-bbw (Brake By Wire) della Marussia non è “compliant” con il sistema “Failsafe” di tutte le altre scuderie che in situazioni simili tagliano completamente la coppia al motore e danno priorità al freno effettuando la frenata.
Ma FIA, se non può nascondere il “glitch” del BBW Marussia (già sotto indagine e critica nella vicenda De Villota), si affretta immediatamente ad aggiungere che l’entità del mancato taglio alla potenza non è quantificabile e probabilmente ininfluente.
Rimane soltanto l’indicazione ignorata da Bianchi.
Quando al giro 43 la Force India di Sutil esce alla Dunlop Curve il Race Engineer di Adrian, Marco Schupbach, si mette immediatamente in contatto con il pilota.
Possibile che Paul Davison, la controparte di Jules, non decida opportuno segnalare che un mezzo pesante di soccorso è in piena traiettoria alla Dunlop?
O che in quella zona ci siano doppie gialle?
Nulla.
Rimane solo la colpevole mancanza di Bianchi alle indicazioni di Whiting.
Era necessaria la Safety Car?
La commissione stabilisce che siccome nei 384 incidenti verificatisi negli 8 anni precedenti (sì, viene citato questo numero) la sola esposizione delle doppie gialle è stata sufficiente, allora, doveva essere sufficiente anche stavolta.
Poco importa che nei “384 incidenti verificatisi negli 8 anni precedenti“, nessuno in direzione corse abbia minimamente verificato il rispetto di quella norma (le doppie gialle) che secondo la commissione è stata, fino a quel momento,  condizione necessaria e sufficiente per garantire la sicurezza dei piloti.
Nelle 396 pagine, rimane sempre e solo il comportamento indisciplinato di Bianchi.
Nulla di più.
Quanto questa autoassoluzione abbia significato lo lasciamo decidere ai lettori.
E poi arriviamo a Gary Hartstein che dal suo blog mette sotto pesante accusa la decisione di non far intervenire la Safety Car in condizioni meteo che impediscono l’utilizzo dell’elicottero di emergenza per l’ospedalizzazione di un eventuale traumatizzato.
Secondo Hartstein pensare che la differenza fra i 20 minuti di intervento via elicottero e i 45 e passa, dati dal trasporto via viabilità ordinaria attraverso l’ambulanza, sia stata ininfluente sul decorso fatale di Jules, è “roba che farebbe piegare dalle risate qualsiasi neurochirurgo“.
E soprattutto decidere che, in condizioni di mancato supporto dell’elisoccorso per scarsa visibilità e meteo, non debbano essere prese ulteriori e più restrittive decisioni sulla pericolosità della manovra alla postazione 12 è degna di dilettanti prestati alle competizioni motoristiche.
Ancora una volta FIA alle critiche reagisce come un cane ferito: attaccando.
E qua arriviamo al punto nodale dell’intervento de La Redazione.
Perché che piaccia o meno oggi non ci sono i Lauda che se ritengono che le condizioni che lo show itinerante impone per la garanzia dello spettacolo non sono condizioni sensate, scende dall’abitacolo e ha spalle abbastanza larghe per sopportarne le conseguenze.
Oggi non ci sono gli Alboreto che per conto proprio decidono che la percorrenza “sicura” per la Pit Lane è limitata agli 80 kmph e passano l’intero weekend di gara testardamente a procedere per la loro strada.
Oggi c’è una schiera di piloti in balia dei loro sponsor senza nessuna capacità di trattativa; spesso in bilico fra il sedile della monoposto e la porta d’uscita.
Non preme sapere se Hartstein abbia ragione o se la tremenda decelerazione che ha subìto la massa cerebrale di Bianchi (in ultima analisi ciò che gli ha causato il tremendo danno assonale) avrebbe permesso al giovane pilota di sopravvivere o di subire un danno minore.
Non interessano dibattiti su presunte strutture chiuse a protezione della testa perché l’impatto del casco contro il mezzo di soccorso ha provocato una decelerazione pari a 254 g; una forza devastante che nessuna struttura avrebbe contenuto o anche se lo avesse fatto, la stessa decelerazione si sarebbe sfogata comunque sul corpo del pilota provocandone comunque la morte o un danno fatale.
E non interessa nemmeno disquisire sulla opportunità di correre in orario pericolosamente vicino al crepuscolo e in condizioni meteo proibitive.
O in una nazione nota, in quel particolare periodo dell’anno per i suoi temporali violentissimi.
Né tantomeno chiedersi come mai da anni sotto regime di doppia gialla (o anche solo sotto Safety Car ma con il distacco da recuperare dal gruppo da cui sdoppiarsi) i piloti corrano esattamente come in piena gara.
Ciò che interessa è chiedersi quale autorità possa avere un ente il cui unico scopo pare la legittimazione di sé stesso e la demolizione di ogni voce fuori dal coro greco che ne tesse le lodi.
Ciò che interessa è sapere se, dato per scontato che “Motorsport is dangerous” e sappiamo che lo è!, sia stato fatto di tutto perché non sia più “dangerous” di quanto già non sia di suo.
Interessa sapere se verrà un giorno in cui FIA ammetterà i propri errori; ammissione che in passato hanno portato agli enormi progressi in fatto di sicurezza.
O se semplicemente accetterà di sedersi al tavolo con i Bianchi e trovare un motivo migliore per la morte del loro figlio che non la semplice mancanza di attenzione alle norme imposta dal regolamento sportivo.
E se per avere questo serve una famiglia che semplicemente non vuole vedere il proprio figlio additato come irresponsabile, e unico responsabile della propria morte ed un ostinato ex medico della F1 che scrive atti d’accusa contro Place de la Concorde (e che deve fare crowdfounding per sostenere le spese legali contro i colossi legulei che assolda la FIA); bhè, ben vengano.

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