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“QUEL GIORNO CHE…” TROY BAYLISS – EROE DEI DUE MONDI – VALENCIA 2006

Era sempre rossa, era una Ducati ma aveva il numero al contrario. Aveva molti più cavalli di quella normalmente utilizzata da lui. Era nata dalle sue mani e da quelle di Vittoriano Guareschi nel lontano 2002 ma lui se n’è sentito sempre il papà di quella moto.

Aveva dominato il Campionato Mondiale SBK del 2006, dopo anni di assenza ed aveva regolato tutti gli avversari.

Il 20 ottobre le agenzie di stampa battono il comunicato ufficiale: “Troy Bayliss sostituirà l’infortunato Sete Gibernau nell’ultimo GP di Valencia”.

Il Campione del Mondo della SBK venne catapultato nel giro di una settimana a competere nuovamente con dei prototipi. Alcune settimane prima aveva vinto, in sella alla Ducati 999 F06, l’ultima manche SBK sul circuito di Magny Cours.

Passare dalla 999 alla Desmosedici GP6 non è una passeggiata ma Troy Bayliss risponde alla grande. Chiude le FP1 in 8^ posizione col tempo di 1:33.699 a poco più di 2 decimi dal compagno di team Capirossi, le FP2 in 10^ col tempo di  1:33.433 e le FP3 in 6^ col tempo di 1:32.557 a soli 7 decimi Campione del Mondo MotoGP in carica, Valentino Rossi.

Tutti nel paddock avevano capito che sarebbe stata una qualifica “diversa” ed infatti poco dopo Troy stupì Team, paddock ed appassionati 👇

Ditemi una gara in cui i Campioni in Carica dei Mondiali velocità partono appaiati dalla prima fila. Valencia 2006 entrò nella storia anche per quello.

Ma Troy non era sazio. Troy voleva di più, voleva dimostrare al Mondo che “quelli” della SBK non avevano nulla in meno alla MotoGP. Ancora si respirava una intensa rivalità tra i due Mondi.

In gara partì a bomba, chiuse il primo giro (partenza da fermo) in 1:38.865 dando 8 decimi a Daniel Pedrosa ed addirittura più di 1 secondo a Valentino Rossi nel solo primo giro. Martelló tutti i 30 giri sul 33″alto con eccezione dei giri 20, 25 e 27 (34″ basso) mantenendo sempre un distacco di almeno mezzo secondo su Loris Capirossi che gli stava incollato da 22 giri. Ma Valencia è una pista particolare in cui è difficilissimo sorpassare e se in testa mantieni mezzo secondo è quasi impossibile prenderti, diventa stremante per chi ti insegue.

Quel giorno Troy Bayliss vinse una gara strabiliante condotta dal primo all’ultimo giro, vincendo in MotoGP da Campione del Mondo SBK. Il resto è storia.

Buon Compleanno Troy, il Blog del Ring vuole omaggiarti così.

 

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 9 – JOHN SURTEES E IL MONDIALE IN FERRARI

Per Enzo Ferrari inizia un periodo molto parco di soddisfazioni in Formula 1. Ci saranno davvero pochi acuti sino al 1975 fra cui il mondiale vinto, nel 1964, dalla leggenda John Surtees, ex campione mondiale di motociclismo.

John Surtess nato a Tatsfiel l’11 febbraio del 1934, è stato un pilota davvero incredibile, fortissimo sia sulle due ruote che sulle monoposto.  Surtees non era semplicemente un buon pilota, era senza dubbio un grande pilota, con una sensibilità incredibile e una conoscenza della meccanica fuori dal comune.

A detta di chi l’ha conosciuto John risultava un personaggio un po’ criptico ed enigmatico, per il semplice fatto che spesso e volentieri non era facile capire cosa stesse pensando. Durante l’attività agonistica preferiva lasciar parlare i suoi risultati, risultati a dir poco fantastici, soprattutto quelli legati alle due ruote.

John crebbe in una famiglia profondamente coinvolta nel business delle motociclette. Suo padre, Jack Surtees, come lavoro faceva proprio il rivenditore di motociclette di successo, ed è stato proprio lui a incoraggiare John ad interessarsi a questo sport. Surtess si allenò con una Vincent Gray Flash con cui oltretutto ottenne la sua prima vittoria sul circuito di Brands Hatch nel 1951 quando aveva appena 18 anni.

 

 

John decise di comprare una Manx Norton e, successivamente, raccolse l’invito del team ufficiale di unirsi a loro nel 1955. La squadra non voleva farselo sfuggire, era troppo forte, un astro nascente assolutamente talentuoso. Del 1955 è da ricordare la magnifica vittoria conquistata contro la Gilera di Geoff Duke a Silverstone, proprio sul finale della stagione. Nel 1956 passò alla squadra italiana MV Agusta, con cui ha sbaragliato la concorrenza e dove presto si guadagnò il soprannome di “Figlio del Vento”.

 

Sono molti i record che John Surtees ha accumulato sulle due ruote: partiamo da quello ottenuto per aver vinto tutti i gran premi delle 350 e delle 500 del motomondiale 1959, davvero incredibile, per poi arrivare a quello di aver fatto suoi tre titoli consecutivi della 500, dal 1958 al 1960, a questi vanno sommati anche quelli della 350 nel 1958 e nel 1959.  Questi due vennero conquistati anche con  il massimo punteggio teorico possibile: durante questi anni venivano considerati per la classifica finale i migliori 4 risultati ottenuti durante la stagione e Surtees aveva riportato almeno 4 successi.

Il suo palmarès nel motociclismo conta sette titoli mondiali: dal 1958 al 1960 vinse nella classe 350 mentre nella classe 500 si impose nel 1956 e in seguito dal1958 al 1960.

 

 

Mentre continuava la carriera motociclista, nel 1960, fece il suo debutto anche nel mondo delle quattro ruote.

Già l’anno prima, precisamente alla fine del 1959, Surtees fu invitato a provare un’Aston Martin DBR1 a Goodwood da Reg Parnell, antecedentemente aveva anche ricevuto molte spinte sia da Mike Hawthorn che dal capo di Vanwall Tony Vandervell.

 

Nel 1960, all’età di 26 anni, Surtees approdò nel mondo a quattro ruote che lo assorbì totalmente e fece il suo debutto in Formula 1 nello stesso anno in occasione del dodicesimo BRDC International Trophy a Silverstone per il Team Lotus. Ha subito collezionato ottimi piazzamenti, arrivando secondo nella sua seconda gara del Campionato del Mondo di Formula Uno, al Gran Premio di Gran Bretagna del 1960, e ottenendo una pole position al suo terzo, il Gran Premio del Portogallo del 1960.

Dopo aver trascorso la stagione 1961 con lo Yeoman Credit Racing Team alla guida di una Cooper T53 “Lowline” gestita da Reg Parnell e la stagione 1962 con il Bowmaker Racing Team, sempre gestito da Reg Parnell ma ora su V8 ​​Lola Mk4, arrivò in Ferrari nel 1963 con cui vinse il Campionato del Mondo nel 1964.

Come sempre ad accorgersi del suo immenso talento fu Enzo Ferrari che lo notò da subito tanto che propose a John di far parte della squadra sin dal 1962 ma Surtees allora non accettò la proposta del Drake in quanto non si riteneva ancora all’altezza del nome del Cavallino Rampante.

 

Ecco come Surtees racconta il primo incontro con Enzo Ferrari

Avvenne alla fine del 1960. Avevo appena iniziato a correre in auto, ma allo stesso tempo continuavo a correre in moto. Alternavo i miei impegni: un domenica con la Formula 1e la successiva con le moto. Alla fine del 1961, che era stata la mia prima stagione con le quattro ruote, andai a Moderna. Parlai con il Commendatore, come veniva chiamato all’epoca. Lui non era a Maranello ma al “centro assistenza clienti” di Modena. Ricordo che nel suo ufficio c’era la foto di suo figlio Dino. Durante l’incontro mi parlò del suo programma e mi invitò a prendere contatti con l’ingegnere Carlo Chiti. In quell’occasione c’erano pure Valerio Stradi e Franco Gozzi e insieme a loro andammo a Maranello dove incontrai Chiti che mi parlò dei suoi progetti mentre visitavamo la fabbrica. Riflettendo sulla loro proposta , pensai che era troppo articolata poiché comprendeva molte gare in campionati diversi con l’utilizzo di troppi piloti. Così rifiutai.(John Surtess) 

Molti dicono che il rapporto fra Surtees e Ferrari fu difficile ma John che cosa ne pensava a riguardo?

“A quell’epoca direi proprio di no. Lavorare con Ferrari non era molto diverso dal lavorare con il Conte Agusta, quando correvo in moto. Erano uomini molto simili. Entrambi ti coinvolgevano costantemente. Ti dicevano che c’erano molti soldi, ti parlavano di tutto quello che volevano realizzare, anche se poi non tutto andava a buon fine. Ma non importa. Quando decisi, fui molto felice di tornare in Italia. Era la nascita di una squadra e per fortuna c’erano ancora dei vecchi ingegneri e alcuni meccanici esperti.” (John Surtess)

 

 

“Sono note le mie simpatie per gli ex motociclisti, che hanno esperienza, conoscenza meccanica, pratica di velocità, senso agonistico e, non ultima, operosità di umile lavoro. John Surtees era uno di questi e compendiava tutte le caratteristiche che ho elencato”.(Enzo Ferrari)

 

Ma quale è la cosa particolare del 1964? Nello specifico la cosa più incredibile è che Surtees non non occupò mai la posizione più alta in classifica sino all’ultimo Gran Premio che si rivelò decisivo per decretare il vincitore, Gran Premio che si disputò a Città del Messico. La Ferrari si presentò a questa gara con tre vetture: oltre a Surtees con la 158 a 8 cilindri nella griglia di partenza c’era anche Lorenzo Bandini con la 12 cilindri e il pilota messicano Pedro Rodriguez con la 6 cilindri.

Un’ulteriore curiosità è che le tre Ferrari non erano Rosse ma rivestivano una livrea bianca e blu, colori della Nart di Luigi Chinetti.

Ma perchè questo colore?

La Ferrari non era impegnata solo in Formula 1 ma gareggiava anche nel Mondiale Marche e nel campionato marche Gran Turismo.

Nel campionato marche Gran Turismo le Ferrari dominavano con la 250 LM, macchina non prodotta nei cento esemplari che erano necessari per l’omologazione in quella precisa categoria, allora avvenne la squalifica della Rossa di Maranello. A vincere fu la Porsche.

Enzo ovviamente andò su tutte le furie e come segno di protesta ritirò la licenza di competitore italiano. Gesto che avvenne poco prima dei due Gran Premi conclusivi che vedeva Surtees in lotta per il titolo con la 158.

Enzo aveva pensato comunque ad una soluzione: dopo aver contattato l’amico Chinetti, l’importatore negli Usa delle Rosse, chiese lui di  poter disporre della  sua licenza di concorrente americano!E fu proprio questo il motivo per cui le 158 vestirono la livrea bianca e blu della Nart, North America Racing Team. 

 

Il Gran Premio del Messico 1964 fu l’ultima gara della stagione 1964 del Campionato mondiale di Formula 1, e vide come palcoscenico il circuito Autodromo Hermanos Rodríguez.

Vinse la corsa Dan Gurney a bordo della sua Brabham-Climax, imponendosi davanti a  John Surtees e Lorenzo Bandini, entrambi su Ferrari.

Surtess, piazzandosi secondo, si laureò Campione del Mondo, strappando il titoli ai due connazionali Hill e Clark. Anche la Ferrari si aggiudicò il titolo costruttori primeggiando su BRM e Lotus-Climax.

La gara in Messico fu l’ultimo gran premio in carriera per Phil Hill, Campione del Mondo del 1961.

“Il Messico aveva sempre rappresentato un problema per noi. Sapevamo benissimo che avremmo avuto delle difficoltà ad ottenere la giusta miscela di carburante. A quelle altitudini e con quelle curve che creavano un sacco di forze G, i motori erano soggetti a dei problemi di circolazione dell’olio e ad un’impennata nei consumi di carburante. Così, cercammo di rendere la miscela più magra e in pratica questo fece saltare in aria il motore. Discutemmo della possibilità di passare al 12 cilindri (che in quel momento veniva utilizzato da Bandini), ma eravamo preoccupati per l’affidabilità. Montammo un propulsore nuovo per la gara, ma all’inizio non andavo da nessuna parte perché il motore non girava a otto cilindri. Ho finito il primo giro in tredicesima posizione (era quarto sulla griglia) e stavo scivolando sempre più indietro mentre il propulsore diventava bollente. Ma, quando divenne caldo e puzzolente, iniziò a funzionare a otto cilindri. Era così magro che ha cominciato a lavorare solo a quella temperatura”.(John Surtees)

Ma vediamo insieme lo svolgimento della gara.

Clark, che si era aggiudicato la pole position il giorno prima, era scattato davvero bene alla partenza e aveva cominciato nelle prime fasi di gara una cavalcata in solitaria. Bandini, ottimo uomo squadra, tentava di frenare Graham Hill, considerando che Surtees era parecchio distaccato. Graham tentò un sorpasso all’esterno del tornatino, iniziativa che risultò azzardata, infatti la ruota posteriore della BRM urtò l’anteriore sinistra delle Ferrari. Hill sbandò e urtò il rail con il retrotreno, incrinando gli scarichi.

Graham fu costretto ad una sosta ai box, ma anche se riprese la gara, oramai era fuori dalla lotta al titolo. Bandini cercò di favorire la rimonta di Surtees. A due giri oramai la vittoria di Clark era quasi sicura ma il motore della sua Climax  ebbe un calo di pressione e fu costretto a rallentare. 

Il Gran Premio del Messico venne vinto da Dan Gurney, pilota Brabham, al secondo posto ci sarà Surtees, posizione regalata dal compagno Bandini. Con questi due piazzamenti la Ferrari acquisiva entrambe le corone mondiali.

Enzo Ferrari aveva brillato contro gli inglesi che avevano presentato una monoposto davvero innovativa come la Lotus 25.

Surtees con grandissima lucidità sapeva che doveva ringraziare Bandini per aver ottenuto la massima consacrazione. John aveva saputo concretizzare e massimizzare qualsiasi risultato durante il mondiale ed era stato capace di far uscire fuori il potenziale della sua Ferrari 158 che si era mostrata davvero forte durante la seconda parte della stagione.

“Prendere le corse nel modo giusto e il resto viene da sé. Questo è sempre stato il mio atteggiamento anche nella vita. In Messico o durante la gara non me ne resi conto. Furono altri che sottolinearono il fatto che sarei potuto diventare il primo uomo a vincere la doppia corona ed è stato solo dopo la corsa, quando vidi i volti raggianti degli uomini della mia squadra, che capii il senso di ciò che avevo fatto.  Sì, guardandomi indietro è soddisfacente, ma la cosa più importante – quella fondamentale –  era che stavo facendo ciò che amavo fare”. (John Surtees)

 

 

Laura Luthien Piras

1986- LANCIA DELTA S4-LA REGINA SENZA CORONA

Non penso di andare troppo distante se affermo che gli “eighties” siano stati gli anni della formazione motoristica della maggior parte degli “inquilini” di questo blog. Di sicuro sono stati i miei.

Ed è in quella decade che i torinesi del Lancia Martini Racing scrissero una pagina importante della storia del Motorsport.

La maggior parte della gente li ricorda per i successi nel mondiale Rally. Eppure tutto cominciò altrove, ovvero nel mondiale Endurance dove il torinese Cesare Fiorio dette a vita a quel progetto che portò alla ribalta piloti del calibro di Patrese, Alboreto, Nannini, Ghinzani, Martini, Teo Fabi per citarne alcuni e scusandomi con quelli che ho dimenticato. La Beta Montecarlo, la LC1 e la LC2 permisero loro di avere quel palcoscenico planetario che li aiutò non poco ad apparire in pianta stabile nel campionato di Formula Uno.

Immagine tratta da F1 sport

(immagine tratta dal sito ufficiale di Riccardo Patrese)

Ma non divaghiamo e torniamo a lei, la Regina senza Corona. Faceva paura. Spaventava lo squadrone Peugeot guidato da Todt che aveva cominciato l’avventura Gruppo B 4 ruote motrici prima dei piemontesi e con grande successo. Il mondiale Marche e quello piloti 1985 sono vinti dai transalpini con la 205 Turbo 16 guidata dal finlandese con gli occhiali più grossi della faccia Timo Salonen.

(Immagine tratta da rallyssimo)

La Delta S4 era qualcosa di decisamente superiore ad ogni altra auto. Così superiore che il solo Henri riusciva a estrarne tutto il potenziale, SEMPRE.

Ma il 1986 fu l’Annus Horribilis per la Casa Torinese, per Henri e per tutto il mondiale Rally.

Morti, polemiche sportive e regolamentari, veleni riuscirono a guastare una stagione che sarebbe stata epica, soprattutto per Henri e la Lancia.

(Immagine tratta da pinterest)

L’incidente mortale di Toivonen e Sergio Cresto fece aprire gli occhi a tutti: oltre 500cv su un auto da rally dell’epoca scaricati su strade comuni erano troppi per chiunque.

Il proseguo della stagione dopo il 2 maggio si sviluppa in una lotta all’ultimo secondo tra i transalpini ed i piemontesi.

Kankkunen vince l’Acropolis ed il Nuova Zelanda con distacchi esigui rispettivamente sul nostro Miki Biasion e su Markku Alen. La gara successiva è in Argentina dove KKK si ritira per la rottura della sospensione.

Alen è davanti a Miki in campionato e l’ordine di scuderia sarebbe scontato. Eppure Cesare non se la sente. Privare della prima vittoria iridata il giovane bassanese sarebbe stato troppo e Biasion vince davanti al suo compagno di squadra.

(Immagine tratta da Catawiki)

La gara successiva si corre al Sanremo dove gli italiani sono favoriti. Ma le cose non vanno come devono.

I transalpini portano una novità sulla T16, delle bandelle sottoporta che somigliano a quelle minigonne vietate per regolamento e che in Peugeot ritengono ripari per il serbatoio all’atterraggio dai salti.

(immagine tratta da forum modellismo)

Durante lo svolgimento della gara si scatenano le polemiche con Fiorio che fa di tutto fino a convincere i commissari di gara a squalificare le Peugeot che si fermano escluse dalla competizione.

Con i “se” ed i “ma” non si fa la storia……

Col senno di poi sono bravi tutti….

Vero ma, mai come in questo caso, la veemenza sportiva del Cesarone nazionale avrebbe dovuto essere frenata. perchè gli si ritorse contro.

Quel rally lo si poteva vincere lo stesso vista la forza della S4 e lo spessore dei piloti Lancia. Per avere più chance, il Jolly Club schiera un’altra S4 per lo specialista Dario Cerrato che non delude.

Dopo l’estromissione dalla gara delle 205 T16 il rally va ad Alen “pilotato” in testa dal team che completa una tripletta precedendo Biasion e Cerrato.

(Immagine tratta da rallyssimo)

Come prevedibile i francesi di Jean Todt non ci stanno e presentano ricorso. Dopo mesi di battaglie legali e politiche (il presidentissimo della FIA è Jean Marie Balestre) il team Peugeot riesce a dimostrare che quelle bandelle erano delle protezioni per il serbatoio e non delle minigonne. Il Rally viene invalidato ed i punteggi azzerati mesi dopo.

La Lancia ed Alen NON sono campioni del Mondo.

Tra tutte le auto che avrebbero meritato un iride nessuna più della S4. Ma la vita è strana e quegli “eighties” ci hanno mostrato che non è sufficiente essere i più forti di tutti per poter trionfare, perchè il destino ti aspetta dietro ogni angolo, ogni curva, ogni sorpasso. Nei Rally come in F1 o nel mondiale di durata.

Sarebbe stato uno di quei mondiali con un sapore tutto speciale che invece svanì tra polemiche e carte bollate.

Cesare se l’attaccò al dito ed a partire dall’anno successivo costruì quello squadrone in grado di sopravvivere al suo saluto per raggiungere la Ferrari. Una corazzata vincente in grado di esaltare il nome dell’Italia e di Torino in ogni angolo del mondo.

…..ma la regina delle auto da rally, quella che l’avrebbe meritata più di tutte, restò senza corona.

Immagine in evidenza tratta da infomotori

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 8- ANNI DURI: DAL 1957 AL 1961

Dino Ferrari è appena deceduto, il cuore di Enzo è spezzato e il Drake medita l’addio alle corse ma, fortunatamente, questo non avverrà mai.

Siamo nel 1957, anno che rappresenterà l’ennesimo travaglio per Ferrari. Oltre i tormenti del Drake, ci sarà l’addio alle corse di Pietro Taruffi, chiamato da tutti “la volpe argentata”, nomea dovuta ai suoi capelli bianchi.

Pietro fu pilota Ferrari durante i mondiali di Formula 1 del 1951, 1952, 1954 e 1955, e raggiunse il terzo posto nel mondiale, suo migliore piazzamento di sempre, nel 1952.

“Altra volpe argentata – come lo chiamava la folla per i capelli grigi degli ultimi anni e per il temperamento – era l’ingegner Pietro Taruffi, che debuttò proprio con un’Alfa della Scuderia Ferrari nel 1931 al circuito di Bolsena. Debuttò e vinse.”(Enzo Ferrari)

Sarà proprio Pietro Taruffi a vincere, per la Ferrari, l’ultima edizione della Mille Miglia del 1957.

Pietro ha già corso per tredici volte la Mille Miglia ma senza mai vincerla, ha 51 anni e prima della corsa fece una promessa alla moglie: quella sarebbe stata l’ultima corsa della sua vita se riuscirà a trionfare. Enzo è al corrente di questa promessa e decise di aiutare Pietro in questa impresa.

E’ il 12 maggio, giorno della competizione, Taruffi è in seconda posizione, arriva al rifornimento fisicamente distrutto, ad attenderlo c’è Ferrari che cerca di rincuorarlo e gli annuncia che Peter Collins, avanti a lui, ha problemi tecnici, mentre dietro di lui Wolfgang Von Trips di certo non proverà l’attacco poichè sarà avvertito da Ferrari di non farlo. Peter e Wolfgang erano suoi compagni di squadra.

Ferrari a quel punto abbandona e torna a Modena, Collins si ritira e Von Trips, da perfetto uomo di squadra, accompagnò Taruffi al traguardo che vincendo, mantenne la parola alla moglie.

Purtroppo questa grande gioia per la squadra di Maranello è macchiata da un doloroso incidente, accaduto proprio nelle battute finali.

Poco vicino Mantova, la ruota della Ferrari 335 S di Alfonso De Portago scoppia, la vettura va fuori strada e nell’incidente moriranno sia il pilota che il suo copilota. Purtroppo non solo i piloti saranno vittime dell’incidente ma anche nove spettatori, quattro dei quali erano solo dei bambini. Un vera tragedia. Gli organizzatori decideranno di cancellare la corsa al fine di non ripetere più questi infausti avvenimenti.

Ovviamente dalla tragedia di Guidizzolo, comune del mantovano dove avvenne l’incidente, derivarono polemiche davvero molto aspre e dure nei confronti di Enzo Ferrari che verrà additato come responsabile dell’accaduto.

Enzo sarà, successivamente, chiamato dalla magistratura che lo processerà per omicidio colposo: secondo l’accusa la colpa era quella di aver dotato la vettura incriminata di pneumatici non adatti alle prestazioni della stessa.

Dopo quattro anni, caratterizzati da aspre battaglie giudiziarie,  Ferrari viene assolto. A seguito di molte e scrupolose perizie trovarono che lo scoppio del pneumatico è da imputare ad uno degli “occhi di gatto” installati a bordo strada. Decisione fu che verranno vietati su tutto il territorio nazionale.

Il 1957 era iniziato sotto una cattiva stella per la Ferrari, anzi era cominciato con molta afflizione, visto il quinto posto ottenuto dal Cavallino Rampante nel Gran Premio di Argentina, il 13 gennaio, mentre per la Maserati sarà un dominio assoluto.

Lo squadrone rosso per quell’annata poteva disporre di pezzi da novanta del motosport mondiale. Piloti del calibro di Luigi Musso, Peter Collins, Wolfang Von Trips, Alfonso De Portago, Mike Hawthorn ed Eugenio Castellotti avevano abbracciato il progetto della casa modenese.

La Ferrari comunque non è una squadra che non lotta, anzi continua a combattere con tutte le sue forze per risollevare la china.

Subito dopo il Gran Premio di Argentina la Scuderia Ferrari si rifa nella 1000 km di Buenos Aires dove Musso, Castellotti e Gregory vincono con la 290 MM.

Di lì a poco , però, ci sarà l’ennesima tragedia per il Drake: la morte, durante un collaudo sul circuito di Modena, di Castellotti.

Ma chi era Eugenio Castellotti?

Eugenio Castellotti era definito dal Drake un giovane signore di campagna. Proveniente da Lodi, arrivò nel mondo delle competizioni pagando tutto di tasca propria.

“Non si può dire che sia stato un pilota di classe eccelsa e di stile perfetto, ma si deve dire che è stato un giovane dal cuore enormemente grande, un atleta di straordinaria generosità”(Enzo Ferrari)

Di Eugenio si ricorda molto probabilmente la prova superba della Mille Miglia del 1956, ottenuta sotto una pioggia torrenziale. E’ proprio in questa cornice plumbea che Eugenio da prova di tutto il suo coraggio.

Enzo lo ricorda anche come un grande improvvisatore.

Ricordo che nel Giro di Sicilia del 1957 Eugenio era in testa, a quattro quinti di gara, con oltre 7 minuti di vantaggio. Appiedato per un banale incidente a Fiumefreddo, nascose la vettura spingendola in una strada laterale, lasciò passare il suo inseguitore, Taruffi su Maserati, e riuscì a segnalare al compagno Collins la situazione creatasi. Così Collins recuperò il ritardo di 8 minuti e vinse con 53 secondi di distacco il suo Giro di Sicilia” (Enzo Ferrari)

Un ragazzo davvero generoso, che certamente avrebbe voluto la vittoria per sé ma che si prodigò tantissimo alla causa della squadra. Forse è anche per questo che Enzo lo amò tantissimo non tanto per il suo talento e per la sua velocità quanto per il suo forte spirito di gruppo. Ma ci lasciò davvero prematuramente.

Arriviamo al mese di marzo del 1957, precisamente al 14, quando Eugenio venne chiamato da Enzo per eseguire delle prove sulla pista di Modena. Castellotti doveva anche battere il record del circuito che apparteneva a Jean Behra. Ma una semplice prova si trasformò in un disastro. Mentre il pilota stava per affrontare una curva nelle vicinanze del rettilineo delle Tribunette, perse totalmente il controllo della vettura e si andò a schiantare a circa 200 km all’ora. Per Eugenio non ci fu niente da fare, morì sul colpo.

Furono configurate varie ipotesi riguardo l’incidente, tra le quali compaiono anche le condizioni psicofisiche del pilota. Si dice che Eugenio fosse molto stanco visto che poco prima del test si trovava a Firenze per seguire la fidanzata Delia Scala, attrice, che stava partecipando ad una piece teatrale. Si indagò anche sul panorama tecnico in cui versava la macchina, si ipotizzava infatti un repentino cedimento dell’albero della trasmissione della monoposto. I funerali si tennero il 16 marzo dove si ebbe una sentita partecipazione di tutti i suoi colleghi.

Purtroppo non solo il 1957 fu un anno avaro di gioie ma ricco di patimenti per la Ferrari ma anche il 1958 continuò sulla falsa riga dell’anno precedente. Avevamo salutato Castellotti, De Portago e il suo copilota e alcuni civili e il mondo dell’automobilismo ancora non sapeva che sarebbero morto, il 6 luglio, un altro personaggio davvero caro al Drake, il pilota Luigi Musso, scomparso in un incidente a Reims.

Luigi Musso, nato a Roma, il 28 luglio 1924, da una famiglia benestante, si appassionò sin da giovane alle macchine e cominciò a gareggiare solo verso gli anni ’50 ma si mostrò subito molto forte e deciso, tanto che nel 1953 si laureò campione italiano di sport prototipo nella categoria per motori a 2 litri.

Fece il suo ingresso in Formula 1 sempre nel 1953 guidando una Maserati nel Gran Premio di Italia. Continuò il suo cammino in Maserati fino al 1955 per poi fare il passaggio in Ferrari. E sarà proprio il Cavallino Rampante a regalare a Musso la sua prima vittoria, in occasione del Gran Premio di Argentina.

L’anno successivo Luigi, ottenendo il terzo posto nella classifica piloti, raggiunse il suo miglior risultato in carriera. Nel 1958 decise di rimanere legato ancora alla Rossa, con la quale guadagnò due secondi posti nelle prime due gare della stagione, addirittura grazie a questi due piazzamenti Luigi prese il vertice della classifica.

Purtroppo la carriera di Luigi si arrestò durante il Gran Premio di Francia, complice un incidente alla curva Gueux, chiamata anche Curva del Calvaire. Era il decimo giro, Musso inseguiva Hawthorn ma purtroppo terminò la sua corsa nel fossato presente all’esterno della curva, la vettura si capovolse. Inutili furono i soccorsi e il trasporto in ospedale Musso versava in condizioni davvero disperate e critiche. Morì qualche ora più tardi a causa di ferite molto gravi riportare alla testa.

“Luigi Musso è stato l’ultimo pilota italiano di classe internazionale, direi l’ultimo esempio di una scuola di guidatori di stile perfetto, che prese l’avvio da Nazzaro e da Varzi. Aveva cominciato anche lui con vetture Sport acquistate con i suoi soldi, e lo chiamavano Luigino, poi fu il Luigi campione d’Italia professionista sportivo. E restò un signore. Scomparve nel 1958 a Reims. Su quell’incidente con Mike Hawthorn, pochissimo si è scritto e abbastanza si è detto, ma i più non conosceranno mai compiutamente la verità o le verità. Resta un fatto: quando l’ansia della vittoria pervade un pilota generoso, è facile che egli affronti rischi non calcolabili, soprattutto quando l’antagonista diretto è animato dalla medesima ostinata volontà di successo.”(Enzo Ferrari)

A vincere la gara fu il compagno di squadra Mike Hawthorn che, grazie a questa unica vittoria, conquistò il titolo mondiale. Ma l’incidente di Musso lasciò profonde cicatrici nel cuore di Mike che decise comunque di ritirarsi.

Sei settimane dopo l’annuncio del suo ritiro Mike morì per un incidente accaduto, nei pressi del Guildford Bypass, con la sua macchina da turismo, una Jaguar Mk1 3.4 . Furono pochi i testimoni oculari dell’evento, uno dei quali fu Rob Walker, proprietario di una scuderia privata di Formula 1, che affermò che Hawthorn avesse bevuto un po’ troppo. Finendo contro un albero, terminò la sua vita.

Che destino per Luigi e Mike. Morti lo stesso anno, per la stessa causa in due occasioni diverse, uno durante una corsa e l’altro in circostanze davvero stupide. Chissà forse era destino per entrambi finire i loro giorni così, guidando, facendo ciò che a loro piaceva di più.

Hawthorn primo pilota inglese a vincere un mondiale, fu vittorioso non solo il Formula 1 ma bensì anche nella famosa edizione della Le Mans del 1955, gara che spesso viene ricordata per l’infausto incidente dove persero la vita ben 83 persone e il pilota di Pierre Levegh.

Viene ricordato anche per la vittoria del Gran Premio di Francia del 1953, durante il quale fu capace di tenere testa alla leggenda del momento, Juan Manuel Fangio.

“Hawthorn è stato un pilota sconcertante per le sue possibilità e per la sua discontinuità. Un giovane capace di affrontare e risolvere qualunque situazione con un coraggio freddo e calcolato, con una prontezza eccezionale, ma incline anche a cadere vittima di paurosi cedimenti. Tutto sommato, era comunque un pilota che nelle giornate in cui era in vena non temeva rivali e seppe dimostrarlo in numerosi occasioni”(Enzo Ferrari)

Lo stesso anno il mondo delle corse perse anche Peter Collins al Nurburgring, precisamente il 3 agosto.

Peter Collins, nato a Kidderminster, il 6 novembre 1931, vinse in tutto tre gran premi. Fece il suo debutto in Formula 1 con la HW Motors e arrivò in Ferrari nel 1956.

Peter è un bel ragazzo e come lo descrive Enzo Ferrari  non tanto alto, robusto e con la faccia schietta.

La particolarità di Peter non era solo il suo talento nel correre ma anche la profonda competenza meccanica, derivata da un contesto famigliare molto particolare dedito alle costruzioni meccaniche e di grandi imprese di trasporti.

“Peter era l’uomo che montava su una macchina e al primo giro di percorso sapeva individuare l’esatto regime di coppia massima del motore, il regime massimo al quale conveniva sfruttarlo e cambiare le marce per ottenere il miglior rendimento, e così via. Era un pilota, in una parola, che assimilava la macchina.”(Enzo Ferrari)

Collins verrà ricordato anche per un gesto di estrema generosità fatto nei confronti di Juan Manuel Fangio, infatti il pilota inglese decise di concedere la sua vettura all’avversario diretto per la vittoria del mondiale.

L’evento avvenne al Gran Premio di Italia a Monza, del 1956, quando il capitano della Lancia-Ferrari Juan Manuel Fangio decise di ritirarsi a causa di un problema meccanico. Rinunciando a correre, Fangio avrebbe consegnato la leadership al rivale della Maserati Stirling Moss. Collins, che in quel periodo era il compagno di squadra di Fangio, optò per cedere la vettura al suo caposquadra, il quale non solo ottenne il secondo posto in gara ma anche il titolo mondiale, il quarto per l’esattezza. Ovviamente la pratica era concessa dal regolamento sportivo.

“Non ho mai pensato che un giovane di venticinque anni come me, possa assumersi una responsabilità tanto grande. Io ho molto tempo davanti a me: Fangio deve restare ancora per quest’anno campione del mondo perchè lo merita, e io sarò sempre pronto a dargli la macchina ogni volta che questo potrà agevolarlo”(Peter Collins) 

Ma il tempo e il destino con lui furono avari e crudeli, infatti perì due anni dopo senza mai aver vinto il titolo mondiale. L’ appuntamento con il fato avvenne sul circuito del Nürburgring: la sua vettura, una Ferrari 246 F1, purtroppo uscì di strada alla curva Pflanzgarten e finendo in un fosso si cappottò più volte. Morì durante il tragitto verso l’ospedale di Bonn per le fratture che aveva riportato al cranio.

L’ennesimo lutto importante, in casa Ferrari, avvenne nel 1961 nell’Autodromo di Monza il 10 settembre, precisamente alla Parabolica. Protagonisti dell’incidente furono Wolfgang Von Trips e Jim Clark.

“Un giovane di grande nobiltà d’animo”(Enzo Ferrari)

Wolfgang Alexander Albert Eduard Maximilian Reichsgraf Berghe von Trips, nato a Colonia il 4 maggio del 1928, ha all’attivo due vittorie in Formula 1.

Nonostante soffrisse di una forma di diabete, Wolfgang riuscì comunque ad intraprendere la carriera da pilota.

“Amava tutti gli sport, ma in particolare l’automobilismo ed era un signore nella guida come lo era nella vita. Pilota velocissimo, era capace di qualsiasi ardimento senza che quel sorriso costantemente atteggiato a una leggera mestizia abbandonasse il suo volto fine e nobile.”(Enzo Ferrari)

In Formula 1 venne soprannominato Taffy, e fu ingaggiato dalla Ferrari nel 1957 e proprio durante l’anno della sua dipartita vincerà le sue prime due e ultime gare, esattamente in Olanda e in Gran Bretagna.

Ma dietro l’angolo, anche per lui, si nasconde la maschera della morte con la sua grande falce, pronta a prenderlo con sé.

Il trapasso avvenne appena nelle prime tornate del Gran Premio quando il pilota tedesco entrò in collisione con Jim Clark alla Parabolica. La Ferrari di Wolfgang, uscendo di pista, si schiantò contro le protezioni, dietro le quali c’erano un gruppetto numeroso di spettatori. Oltre a Von Trips perirono 15 persone.

L’incidente ebbe molti contraccolpi anche all’interno della squadra. Infatti si dimisero 8 fra dirigenti e tecnici fra i quali Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini. Insomma proprio una rivoluzione. Ferrari a questo punto decise di nominare come direttore tecnico un giovanissimo Mauro Forghieri.

Laura Luthien Piras

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 7-ENZO FERRARI E JUAN MANUEL FANGIO

E’ il 1956, Alberto Ascari era appena morto, il Drake aveva perso il suo caro amato Dino e alla Ferrari era approdato il campione dei campioni: Juan Manuel Fangio.

E’ decisamente un periodo particolare per Enzo, forse il periodo più tragico che sta vivendo dalla nascita, aveva già perso la madre, il fratello e il padre, gli ultimi due in circostanze molto critiche e dure, ma un figlio che se ne va ti lascia un vuoto dentro, che molto probabilmente non riesci a colmare, nonostante una vita ricca di eventi e di emozioni.

Ferrari è talmente tanto avvolto dal dolore che medita anche di ritirarsi ma, fortunatamente per noi, non lo farà mai.

Tornando alle corse, chi era Juan Manuel Fangio?

Juan Manuel Fangio, nato a Balcarce, in Argentina e di origine abruzzesi, il 24 giugno 1911, può essere considerato a tutti gli effetti come il più grande campione che la Formula 1 ha avuto nel suo passato più remoto.

Fangio iniziò la sua carriera come meccanico, preparando le vetture che poi partecipavano alle “Carreteras”, vere e proprie maratone stradali. Queste competizioni mettevano a dura prova il fisico dei piloti, erano gare molto ostiche che potevano forgiare davvero al meglio l’animo dei campioni. Anche Fangio vi partecipò e, proprio in occasione di queste prove, mosse i suoi primi passi nel mondo del motosport.

Nonostante la morte di un suo amico e copilota, Daniel Urritia, Fangio, come un martello pneumatico macinò km e km e cominciò ad accumulare vittorie su vittorie, le prime consacrazioni europee avvennero nel 1949, fra le quali spicca la vittoria sul circuito di Monza.

Fu proprio nel 1949 sul circuito di Modena che Fangio e Ferrari incrociarono le proprie strade.

 

“Lo osservai per un paio di giri, finii per tenergli gli occhi addosso. Aveva uno stile insolito: era forse l’unico a uscire dalle curve senza sbarbare le balle di paglia all’esterno. Questo argentino, mi dissi, è bravo sul serio: esce sparato e resta nel bel mezzo della pista. Più tardi venne da me in scuderia. Era accompagnato da un funzionario dell’Automobile Club argentino e la conversazione fu abbastanza lunga: non proprio con lui, per la verità, giacché non disse più di dieci parole. A un certo punto, infatti, cominciai a guardarlo incuriosito: era un timido, un mediocre, un furbo? Non capii. Sfuggiva il mio sguardo, rispondeva a monosillabi con una strana voce d’alluminio e lasciava subito che gli altri interloquissero per lui, mentre un constante, indefinibile sorrisetto strabico gli rendeva il volto impenetrabile” (Enzo Ferrari su Fangio)

Fu un incontro di poche parole e molti sguardi, di certo un inizio non all’insegna della sintonia e dell’empatia fra i due ma come vedremo Enzo e Juan Manuel, a loro modo, vivranno insieme un amore sportivo unico, anche se molto travagliato.

Enzo aveva capito che il pilota argentino era un asso e che avrebbe fatto cose meravigliose, sicuramente non sapeva decifrarne il carattere ma sapeva tradurre in pensieri lucidissimi quello che aveva visto in pista di quel corridore.

Ferrari aveva ipotizzato, anche, che il campione argentino sarebbe stato il primo pilota a vincere il titolo mondiale di Formula 1, nel 1950, ma si sbagliò, di pochi anni e la sua previsione non coincise con l’esatta realizzazione dei fatti in pista.

Del personaggio Enzo capì poco, ma del pilota, come detto poc’anzi il Drake carpì la vera essenza: Fangio aveva una visione della gara superiore rispetto ai suoi competitori, possedeva inoltre una sicurezza invidiabile e a, differenza di molti, era un pilota molto equilibrato.

Nel giugno del 1949 Fangio partecipò con una Ferrari al Gran Premio di Monza. Il pilota argentino impose da subito la sua andatura e stava provando ad accumulare un discreto vantaggio dai suoi rivali, veramente agguerriti. Fangio si stava scontrando con piloti del calibro di Ascari, Villoresi, Bonetti e Cortesi.

Verso la fine della corsa improvvisamente rallentò la sua andatura, il gap che aveva, con tanta maestria, posto fra lui e il resto del gruppo stava, man mano, diminuendo. Il suo meccanico di pista Amedeo Bignami prese una ruota con la mazzuola di piombo e gli fece segno di fermarsi ai box.

Ferrari fu testimone oculare della competizione, in quanto ancora viveva con profondo spirito attivo la pista e si sa, al Drake nulla sfuggiva.

Non sfuggì il segno di Bignami e allo stesso tempo si accorse anche dell’atteggiamento di Fangio in macchina, infatti l’argentino avevo lo sguardo fisso sul cruscotto. A quanto pare la temperatura dell’olio si era impennata e il pilota era visibilmente preoccupato di un possibile crollo dell’affidabilità .

A quel punto Ferrari fece segno all’ingegnere di rimettersi al proprio posto e di aspettare gli sviluppi della gara. Forse il Drake aveva avuto una visione profetica o un’ottima intuizione, fatto sta che Fangio riprese il ritmo e vinse.

Fu solo nel 1956 che Juan Manuel approdò in Ferrari, nella squadra ufficiale. Non arrivò da neofita, ma da triplice campione del mondo.

Il primo titolo mondiale Fangio lo vinse nel 1951 ottenendo tre vittorie in Svizzera, Francia e Spagna e arrivando secondo due volte a Silverstone e al Nurburgring.

Il secondo invece arrivò nel 1954 , dopo due anni davvero molto duri.

Nel 1952 l’Alfa Romeo decise di abbandonare la Formula 1 e di Fangio si ricorda soprattutto il bruttissimo incidente avvenuto sul circuito monzese.

Si narra che Fangio si trovava a Belfast per una gara e non raggiunse la coincidenza per arrivare sul circuito di Monza in tempo. Voleva assolutamente partecipare a quella gara e si mise in viaggio, guidando tutta la notte da Parigi.  Arrivò per il rotto della cuffia e credo profondamente stanco. Fangio partì dal fondo e cercando di tentarle tutte per rimontare, non fece altro che perdere il controllo della sua Maserati precisamente alla prima curva di Lesmo. Il pilota sbalzò fuori dall’abitacolo e si ritrovò su un cumulo di terra.

La vita di Fangio ebbe una battuta d’arresto, infatti il pilota argentino, fortunatamente, uscì da questo avvenimento solo con una frattura alla vertebra cervicale e molti ematomi su tutto il corpo. Traumi che costrinsero Fangio ad una pausa dal mondo delle corse. Ci vollero parecchi mesi per il pilota per recuperare la forma perduta.

L’anno dopo, il 1953, avvenne la firma del contratto con la Maserati. L’inizio del mondiale non fu dei più facili.  Alla guida della A6GCM, nelle prime gare Fangio collezionò tre ritiri di fila. Qualche buon piazzamento invece arrivò in occasione della Mille Miglia e della Targa Florio dove conquistò l’ennesimo podio.

La svolta si realizzò in terra francese dove Fangio cominciò ad ingranare la marcia ottenendo un secondo posto,  gradino del podio che occupò anche in Inghilterra e Germania. Dopo un anno dal suo terribile incidente Juan Manuel ebbe anche il riscatto a Monza vincendo il Gran Premio di Italia. Alla fine dell’anno arrivò in classifica secondo alle spalle di Alberto Ascari.

Per la stagione del 1954  Fangio decise di appoggiare il progetto della Mercedes, lo squadrone tedesco in realtà non era ancora  pronta per prendere parte alle competizioni. Il pilota sudamericano riuscì, grazie ad una clausola, a correre con la Maserati con cui vinse in Argentina e in Belgio.

La Mercedes, finalmente pronta ad affrontare il mondiale, fece  il tanto sospirato debutto con la W196 nel terzo gran premio dell’anno e Fangio  riuscì ad iniziare questa nuova avventura con un team diverso. Nuova macchina ma vecchio risultato. Fangio dominò il mondiale e raggiunse un altro volta il tetto più alto del mondo. 

Nel 1955 replicò i risultati dell’anno precedente, il suo rivale fu Alberto Ascari che per quell’anno era al volante della Lancia, squadra che si rivelò avversario ufficiale del team tedesco. Ascari però morì e Fangio si ritrovò da solo sulla rotta del terzo titolo mondiale. 

Lo stesso anno arrivò secondo alla Mille Miglia, vinse al Nurburgring e si salvò per miracolo dal disastro di Le Mans dove persero la vita 84 persone.

Juan Manuel quindi arrivò in Ferrari nel 1956. Disputando quindici gare, vincendone 6, arrivando quattro volte secondo, due volte quarto e collezionando tre ritiri il pilota argentino ottenne il suo quarto titolo mondiale. 

Ma fu un anno complicato, tinto anche da sfumature gialle noir.

Fu, secondo Juan Manuel, un’annata ricca di presunti tradimenti, boicottaggi ed inganni, tutto attuato solo per metterlo in cattiva luce.

“L’autore di tante perfide manovre? Enzo Ferrari: cioè proprio chi lo aveva ingaggiato”(Enzo Ferrari)

Furono molte le lamentele di Fangio durante tutto lo svolgimento del mondiale, inoltre con il suo compagno di squadra non si era mai instaurato un rapporto davvero idilliaco, anzi con Peter Collins mai erano nate una profonda simbiosi ed un’intensa alchimia.

Gli episodi di scontri fra Fangio e la Ferrari furono molti. Vi riporto, direttamente dalle parole del Drake, il racconto di una vicenda molto particolare e singolare.

“Alla Mille Miglia Fangio arriva quarto. Con i lettori del suo libro (Fangio scrisse un libro) si giustifica così: ho fatto la corsa con l’abitacolo della Ferrari mezzo allagato per gli spruzzi di pioggia che entravano attraverso due speciali fori praticati per il raffreddamento dei freni. E insinua: i tecnici della Ferrari avevano studiato apposta questi fori, non già per raffreddare i freni, ma per giocarmi un tiro malvagio. Ovvero: i tecnici della Ferrari avevano saputo che il giorno della gara sarebbe piovuto e avevano così predisposto la trappola, accuratamente studiando e provando, con pompe e getti d’acqua artificiali, l’esatto ingresso di acqua al posto di guida. Manca infine un particolare: quegli stessi diabolici fori non avevano impedito a Castellotti di trionfare!” (Enzo Ferrari)

Il secondo capitolo di questa non troppo elegante faida interna avvenne in Belgio. Fangio si ritira mentre dominava la gara. Ai box si scopre che il differenziale ha avuto un surriscaldamento eccessivo. Per Fangio causa di questo cedimento è l’ennesimo sabotaggio: non mi hanno messo l’olio.

Enzo Ferrari commentò così questa affermazione:

“C’è da aggiungere che gli avevamo inviato da Maranello una monoposto nuova tutta per lui. Ma lui, nel suo delirio di sospetti, non si era fidato e aveva preteso, dopo averla provata, quella vecchia di Collins. E Collins, sulla vettura destinata a Fangio e da lui rifiutata, vinse il Gran Premio” 

All’ennesima accusa, rivolta da Fangio alla Ferrari, durante il weekend di Reims, il pilota argentino decise di farsi visitare da un neurologo che trovò in Juan Manuel  una neurosi attiva dovuta probabilmente ad uno stato di ansia veramente acuto.

Per Enzo Ferrari quelle accuse venivano dalla convinzione nata nella mente del pilota argentino che il Cavallino Rampante avrebbe preferito far vincere il pilota inglese per una questione puramente economica, infatti il mercato del Regno Unito era più alla portata dell’azienda modenese invece quello argentino era chiuso alle importazioni.

Il rovescio della medaglia in realtà è vedere le cose da un’altra prospettiva. Secondo il punto di vista di Fangio, durante quell’annata, ci fu un piano segreto per rovinare la sua reputazione. Invece se si analizzano i fatti, lasciando da una parte le sue dietrologie, capiamo che invece la Ferrari lo ha aiutato più di quanto effettivamente ritenesse lui stesso.

In Argentina vince perchè Musso gli cede la sua vettura, a Monaco corre con la Ferrari di Collins e arriva secondo, la stessa dinamica si ripete a Monza e conquista il titolo. A dispetto della sua opinione, i due compagni di squadra si sono sacrificati per lui e per non infangare il nome della scuderia di Maranello.

Senza il sacrificio di Musso e di Collins, soprattutto di Collins, Fangiò non sarebbe mai riuscito ad ottenere la sua quarta stella nel firmamento della Formula 1. 

“Fangio è stato un grandissimo pilota afflitto da una curiosa mania di persecuzione. Non è infatti soltanto a mio riguardo che ha nutrito ogni sorta di sospetti: lui stesso racconta che in una corsa Villoresi derapò volontariamente per farsi investire dalla sua macchina, per favorire l’amico Ascari; un’altra volta accusa i meccanici dell’Alfa di non avergli fatto il pieno di carburante, apposta per far vincere Farina: altre volte ancora giustifica i suoi insuccessi con il non aver ottenuto un’Alfa conveniente” (Enzo Ferrari)

A fine 1956 il faticoso, enigmatico e complicato matrimonio fra il campione argentino e la Ferrari si interruppe. 

L’anno dopo si legò di nuovo alla Maserati dove vinse il suo quinto e ultimo titolo mondiale. Nel 1958 a 47 anni Fangio  decise di ritirarsi per rivolgere le sue forze alle attività imprenditoriali.

 

“Uno strano personaggio. D’ altra parte tutto ciò non mi fa ombra nel giudizio sull’uomo in macchina, sull’uomo in corsa. Credo infatti che difficilmente potremo riavere un asso capace di tanta continuità nel successo. Fangio non ha mai sposato nessuna casa: conscio delle sue capacità, ha rincorso tutte le possibilità di pilotare sempre la vettura migliore del momento, e ci è riuscito, anteponendo il suo egoismo – legittimo e naturale – all’affetto che ha legato invece altri grandi piloti alla vita di una marca, nella buona e nella cattiva sorte. Però ha sempre lottato non solo per il primo posto, ma anche per le classifiche di coda, pur di portare la macchina al traguardo” ( Enzo Ferrari)

I rapporti fra Enzo e Fangio non furono mai tinti di nuances rosacee ma sicuramente maturarono in un legame più equilibrato con il tempo.

Enzo racconta che Fangio non tagliò i ponti con il Cavallino Rampante ma nel 1968 addirittura tornò nell’orbita del Drake, non come pilota, ovviamente, ma come organizzatore della nuova Temporada argentina. Fangio si recò da Ferrari anche per fargli provare la Torino, una macchina costruita in terra argentina, chiamata così per onorare Pininfarina che ne aveva disegnato la linea.

Fu proprio da questo periodo che nacque un nuovo legame fra i due, forse un’amicizia disinteressata priva di rabbia, tensione e ansie.

“Dopo un’amichevole colazione, mi prese da parte: “Non sono più sposato” disse ” Ora le cose mi appaiono sotto un’altra luce, molto diversa da tanti anni fa” Anche questo è il coraggio di Fangio. Ed è un tratto di nobiltà che sono lieto di riconoscergli, oltre alla ritrovata amicizia”( Enzo Ferrari) 

Grand Prix i Kristianstad. NÅ nr. 33, 1955

 

Laura Luthien Piras