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FORMULA ONE SEASON REVIEW: 2001

Eccoci arrivati alla Stagione 2001 la quale, come prevedibile, catalizzò un interesse inferiore alla precedente, nella quale la Ferrari finalmente tornò all’iride Piloti.

Non è comunque un anno che tralascerei: a parere di chi scrive, il Campionato del Mondo di Formula 1 2001 rappresenta l’ultimo anno di competizione in continuità con la tradizione sportiva, tecnica e “giuridica”. A partire da quest’anno infatti si intravede all’orizzonte un mutamento nella mentalità della F1, che nel medio termine portò lo sport ad assumere la forma attuale.

Per esempio, la stagione 2001 avviò il processo di “de-deregulation”. Detto in termini umani, nell’ottica di ridurre le prestazioni la FIA iniziò la pratica di porre vincoli sempre più stringenti sulla tecnica delle vettura, pratica legislativa che ha toccato l’apice nel triennio 2014-2016. A titolo d’esempio, introdusse un limite sugli elementi dei profili alari dell’ala posteriore (tre per la parte superiore e uno per la parte inferiore) quando fino all’anno prima non ve n’era alcuno. L’innalzamento di 5 cm dell’ala anteriore causò una serie infinita di grattacapi ai team, tanto da poter essere considerata una neanche-tanto-piccola rivoluzione (secondo alcuni anche più importante della restrizione della carreggiata del ’98).

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Sul versante della sicurezza, la FIA diede un giro di vita sui telai (scocche più lunghe, misure interne maggiorate, nuove protezioni) e introdusse crash test più severi. Il risultato fu un aumento del peso di 10/15 kg, esasperando la ricerca dei team in tutti gli altri settori nel tentativo di ridurre il peso totale delle monoposto. Insomma, si avvia anche l’incremento annuale del peso delle vetture, una costante dei nostri tempi.

Fu anche la stagione della liberalizzazione dell’elettronica (sotto forma di TC e di launch control) per porre termine alle infinite polemiche che si scatenavano ogniqualvolta una monoposto sembrava erogare la potenza meglio delle altre. A conti fatti fu una ammissione di impotenza dei commissari tecnici della FIA, incapace di scovare le infrazioni in questo complesso settore.

Ad ogni modo il campionato non venne ancora viziato da quel largo e preponderante utilizzo dell’elettronica che avrebbe invece caratterizzato gli anni a venire, in particolare dal 2003 in poi (2003 che spezzerà  per sempre la F1 intesa in modo tradizionale, come avremo modo di vedere tra qualche settimana).

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Il 2001 sarà l’ultimo anno di una F1 tradizionale, senza regolamenti idioti, regole “ad personam” e interferenze di giudici e direttori di gara alla costante ricerca dello spettacolo.

Non prendetemi per nostalgico – per dire, approvo il DRS. Non voglio sminuire la F1 attuale e neanche ignorare i difetti dell’epoca (che tutto sommato sono i problemi “tradizionali” della F1). La politica continuò a giocare un ruolo importante nella vita dei team, e Williams e McLaren in varie occasioni furono frustrate dalle decisioni dei responsabili tecnici. Del resto in un mondo dove andavano concentrandosi sempre più case costruttrici diverse sarebbe stato impensabile il contrario. A parte poche eccezioni le gare erano povere di sorpassi in pista – se la F1, in termine di pura azione in pista, proponesse oggi lo stesso spettacolo di allora si scatenerebbero lamentele sulla “formula noia” ad ogni gara – e ricche di sorpassi ai box. Meno male che hanno abolito i rifornimenti.

Il concetto però è che erano corse dove nessuno, tra piloti, team e progettisti, si risparmiava per ottenere quanta più prestazione possibile, senza limiti che non la distanza di gara e quelli imposti dalla sicurezza. Al di là della distanza temporale, che abbellisce quasi ogni periodo passato, questo è il motivo per cui oggi si guarda con rimpianto alla F1 dell’epoca.

Team e piloti

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Riguardo ai team, è stato l’anno del dominio netto della Ferrari, che si riconferma in entrambi i campionati. La F2001, un concentrato di potenza, eleganza e affidabilità, è una logica evoluzione dell’illustre predecessore. Unica tra i top team a mantenere una continuità dopo il cambio di regolamenti, la monoposto si è rivelata subito competitiva e capace di esprimersi ad ottimo livello in tutte le piste, a differenza dei rivali. Nei singoli elementi (telaio, aerodinamica, motore, sospensioni, gomme, elettronica) concedeva qualcosina agli avversari ma nella globalità si rivelava imbattibile. L’affidabilità costituì il principale punto di forza: 90% di arrivi, contro il 75% e 69% di McLaren e Williams, e nessuna defaillance nei momenti chiave.

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Anche sul lato piloti la Ferrari si è mostrata ai vertici. Il Kaiser si conferma campione con quattro gare di anticipo sulla chiusura del Mondiale dopo averne vinte 7 su 13 a fronte del paio vinte da Coulthard e Ralf e dell’unica vinta da Mika nello stesso lasso di tempo. Al contrario, era e resta un mistero come fece Barrichello a non portarsi a casa nemmeno un Gran Premio per tutta la stagione. Specie alla luce del fatto che l’anno prima corse un’ottima stagione di esordio, culminata nella vittoria di Hockenheim, che lasciò erroneamente presagire spiragli di qualcuno che poteva essere destinato a qualcosa di meglio dell’essere un gregario.

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La McLaren Mercedes MP4/16 sarà la vera delusa del campionato, 102 punti contro i 170 della rossa. La scarsa affidabilità della vettura inglese, frutto di un progetto estremo e del Mercedes-Benz che ha pagato il ban del berillio più della concorrenza, frustreranno le sue altrimenti ottime prestazioni velocistiche. Insomma, come il 2000 ma peggio.

La Stagione 2001 fu anche l’ultima di Mika in F1. Fu sottotono, vinse il primo GP stagionale solo a Silverstone bissando poi ad Indianapolis nel weekend in cui annunciò il ritiro prima di picchiare molto duro nel warm-up rischiando la buccia (da Adelaide 1995 correva sapendo che con un altro trauma cranico importante sarebbe passato a miglior vita). Si ritirò un Signore della Formula 1, uno dei pochissimi (se non l’unico) del quale è impossibile ricordare anche solo la minima scorrettezza.

A David Coulthard invece non bastò disputare la migliore stagione nella massima serie per sfidare Schumacher. Per quanto in grado di infastidirlo all’inizio, sul lungo periodo si dimostrò incapace di reggere il peso della lotta mondiale.

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Dopo anni opachi, la Williams tornò alla ribalta come terzo incomodo. Terza nel Costruttori come nel 2000, il punteggio stavolta è molto più importante: 80 punti contro 36, quattro vittorie (le prime dal ’97) contro tre podi. In più di un’occasione si è rivelata essere l’avversaria principale della Casa di Maranello. Il merito principale è da ascriversi al 10 cilindri BMW, al secondo anno nella serie ma già il più potente propulsore del lotto. Un’altra componente chiave del ritorno ai vertici è stato l’utilizzo di coperture Michelin, al ritorno nel circus dopo 16 stagioni di assenza ma competitive fin da subito e fondamentali in almeno due vittorie.

Quando penso al 2001 le prime due cose che mi vengono in mente sono il Kaiser che si conferma Campione a Budapest e Juan Pablo Montoya. Complice l’eclissi progressiva di Mika, il debuttante della Williams fece subito pensare a lui come il nuovo rivale del Kaiser. La Storia dimostrerà che sarà Alonso a detronizzarlo nel 2005 ma quello che mancò a JPM dal 2001 al 2004 fu una Williams all’altezza della Ferrari, non il manico né gli attributi. Al massimo una maggior freddezza.

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La Sauber Petronas C20 fu, tra i team, la rivelazione dell’anno, considerando il pessimo 2000. Con Nick Heidfeld (a podio in Brasile) e il debuttante Kimi Raikkonen (… sapete la storia) si aggiudicò la quarta piazza nel Costruttori. Un contributo importante venne fornito anche dal V10 Ferrari dell’anno prima, potente e affidabile. Da un punto di vista tecnico si distinse anche per uno sviluppo intenso e per diverse soluzioni in anticipo sulla concorrenza.

Raikkonen fu presto strappato alla Sauber a peso d’oro dalla Mclaren. Peter Sauber ancora ride ripensando alla Galleria del Vento che si costruì grazie ai soldi di Woking.

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Il team di Eddie Jordan, nonostante discrete ed interessanti prestazioni velocistiche, pagò a caro prezzo l’inaffidabilità di una EJ11 forse troppo estrema, un Trulli veloce ma a volte dispersivo (e sempre sfortunato) e le polemiche interne con un Frentzen in fase calante. Il tedesco venne licenziato prima del tempo, con Alesi a rilevarne il posto nelle ultime gare. Però aveva la livrea di gran lunga più figa dello schieramento.

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La BAR Honda 003 al contrario pagò un progetto eccessivamente conservativo. La vettura, una banale evoluzione della buona 02, non mostrò mai grandi doti velocistiche. Un’ottima affidabilità permise comunque a Jacques Villeneuve di sfruttare le defaillances dei top team per ottenere i podi in Spagna e in Germania. I primi per la BAR, gli ultimi per il canadese (le cui prestazioni saranno influenzate dalla vertebra schiacciata procuratosi in Australia).

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I risultati della Benetton-Renault B201, settima nel Costruttori con una vettura lenta e poco affidabile, farebbero pensare a una delusione. In realtà della Benetton era presente il nome, il team altro non era che la Renault sotto pseudonimo, Per la scuderia fu pertanto un anno di transizione, utile per rafforzare e sviluppare la squadra e per provare nuove soluzioni (tra cui l’innovativo motore con angolo di banking di 111°).

Con tale vettura laboratorio si esaltò Fisichella, che a Spa regala l’ultimo podio alla scuderia. Davvero in ombra fu la stagione di Jenson Button, al suo secondo anno di F1 ma quasi mai pervenuto. Non venne mai definito “paracarro” da Briatore (bufala targata 2009) mentre posso confermare l’appellativo di “pigro playboy”.  In generale quei due non si presero mai, e Button presto farà le valigie.

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Semplicemente scarsa fu la Jaguar R2 Cosworth, monoposto alquanto convenzionale e meno che mediocre. Nonostante un bel podio di Eddie Irvine a Montecarlo, tradì le aspettative della Ford, che dopo due anni di pessime prestazione cominciò a spazientirsi.

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Il 2001 fu un anno drammatico per il team Prost, che dopo la disastrosa stagione 2000 si vide fin dall’inizio privo dei maggiori sponsor oltre che del supporto ufficiale della Peugeot. Nonostante  il patron Alain Prost si fosse assicurato tutto il retrotreno della Ferrari (motore, cambio e sospensioni), la Prost-Acer AP04 era nata sbagliata e tale rimase. A differenza dell’anno prima riuscì almeno a conquistare qualche punto, tutti con l’ancora competitivo Jean Alesi. Non abbastanza per salvare l’equipe blu, che fallirà durante l’inverno. Prova che essere stato un pilota molto acuto non è garanzia di essere tale anche come proprietario di team. Si può dire che con il ritorno della Renault il supporto della Francia si spostò altrove, ma la verità è che Prost come team owner non ha fatto che accumulare errori strategici.

[COURTESY OF REDDIT.COM]

Il penultimo posto in classifica non rende merito alla Arrows Asiatech A22. La vettura era competitiva e controcorrente per molti aspetti (come il passo ridotto e i serbatoi piccoli). Come nel 2000 l’ostacolo principale fu la scarsa affidabilità, un budget non all’altezza delle sfide tecniche e il motore (il Peugeot dell’anno prima, lento e poco affidabile). Jos Verstappen tirò fuori delle ottime prestazioni, come in Malesia e in Austria. In sordina invece il debutto di Enrique Bernoldi (curiosamente Helmut Marko, che sponsorizzava la scuderia, lo aveva preferito a Raikkonen), che si ricorda solo per aver bloccato Coulthard a Montecarlo.

[COURTESY OF REDDIT.COM]

In fondo come sempre l’European Minardi PS01. Nonostante gli zero punti finali, la piastrella di Faenza ebbe un anno dignitoso. Buona parte dei problemi tecnici e di budget furono una conseguenza dell’estrema sofisticazione del nuovo cambio.

Rispetto a Raikkonen e Montoya, l’esordio di Alonso con la Minardi fu più in sordina. Agli addetti ai lavori non sfuggì che razza di talento fosse tant’è che Todt gli offrì un contratto come collaudatore per il 2002 (ma senza garanzie per il 2003) che lui rifiutò a favore del contratto offertogli da Briatore in Renault. Il quale gli offrì anch’egli un contratto come collaudatore per l’anno successivo ma con la garanzia di essere titolare nel 2003. Todt la prese malissimo coniando il celebre “con  me mai Alonso in Ferrari” 5 anni prima del famigerato weekend di Monza 2006. Complice la pochezza della Minardi Alonso si piazzò quint’ultimo in Classifica Mondiale (fun fact: alle spalle del teammate Tarso Marques) ma nella gara finale a Suzuka arrivò 11mo dopo aver lottato con Bar e Benetton, malgrado 150cv in meno. Era nata una stella ma se ne accorsero davvero in pochi.

 

Australia

Un triste successo.

[COURTESY OF P300.IT]

La tradizionale fanfara di inizio campionato è intonata in tono minore. Al quinto giro di gara Jacques Villeneuve decolla sulla vettura di Ralf Schumacher e si schianta sulle barriere. Dei detriti si infilano nello spiraglio della griglia pensato per i fotografi: il commissario di pista Graham Beveridge viene colpito da una ruota e muore da lì a poco. La seconda morte di un commissario in sei mesi per mano di una gomma vagante spingerà la FIA a trovare modi per evitare che le ruote schizzino via dopo un impatto.

La gara in sé è stata movimentata. La Ferrari è la monoposto più in forma e Schumacher sr non ha problemi a partire dalla pole e a vincere la gara (malgrado aver distrutto la monoposto il venerdì con un doppio cappottamento). Barrichello invece perde la seconda posizione nelle fasi finali per un’incomprensione col doppiato Alonso, che permette a Coulthard di sopravanzarlo. La sua vettura era stata già compromessa dallo scontro con Frentzen nel secondo giro. Hakkinen era secondo prima che il cedimento di una sospensione lo mandasse contro le barriere nel punto più veloce della pista. Fu questo incidente a fargli accarezzare l’idea di dire addio alla F1.

Il “primo degli altri” Panis venne penalizzato per sorpasso sotto bandiere gialle. Ciò promuove Heidfeld (4°), Frentzen (senza il testacoda indotto da Barrichello poteva finire sul podio) e Raikkonen, a punti alla prima gara in carriera dopo una gara condotta già ad alti livelli. Non si può dire lo stesso per Montoya, che fa a sportellate con mezzo schieramento prima di ritirarsi per rottura del motore. Ottimo anche l’esordio di Alonso, che riesce a tenersi alle spalle le (pessime) Benetton.

 

Malesia

A vent’anni esatti, continuano a essere ben poche le gare più surreali di Malesia 2001 e ancora non ve n’è stata un tasso di colpi di scena/giro maggiore del primo terzo di questa corsa.

KUALA LUMPUR, MALAYSIA – MARCH 18: GP VON MALAYSIA 2001, Kuala Lumpur; STARTABBRUCH wegen Giancarlo FISICHELLA/BENETTON RENAULT (Photo by Andreas Rentz/Bongarts/Getty Images)

Si parte alla grande con Fisichella che sbaglia postazione in griglia, innesta la retromarcia per riguadagnare furtivo la casella corretta ma gli si spegne il motore esattamente a metà. Una delle scene più imbarazzanti che ricordi.

Venti minuti dopo si parte sul serio, con Montoya che si avvia dai box col muletto per problemi al motore. Ralf e Barrichello si toccano alla prima curva, il tedesco si gira a metà di curva 1 e ciò causa il caos nel gruppo: buona parte dei piloti vanno all’esterno, qualche coraggioso si butta al suo interno e guadagna una quantità di posizioni a due cifre. Coulthard e Jos Verstappen sono tra questi e si ritrovano alle spalle del duo Ferrari, dopo essere partiti rispettivamente dall’ottava e dalla diciottesima (!) posizione.

[COURTESY OF FOM]

Dopo tre giri inizia a cadere una leggera pioggerellina e esplode il motore di Panis inondando di olio un punto veloce. L’interazione tra i due liquidi coglie impreparate le due Ferrari, comodamente in testa, ed escono di pista una dopo l’altra, come in un film di Ridolini. Schivano miracolosamente le barriere e riemergono intorno alla decima posizione, Barrichello davanti a Schumacher. Conduce Trulli.

Un minuto dopo si scatena un fortunale, che coglie i piloti ancora con le coperture da asciutto.  Ne escono cinque in un solo giro, è il caos. Piove così forte che anche i piloti con le gomme da bagnato faticano a stare in pista. Entra la SC per la troppa acqua.

Le Ferrari rientrano ai box al momento giusto ma, ennesimo colpo di scena surreale, i meccanici non trovano una gomma di Barrichello. Il brasiliano resta fermo su tre ruote per UN MINUTO E DIECI (!!!), mentre Schumacher resta bloccato alle spalle come un automobilista al casello. Basta quest’episodio per sconfessare chi sostiene la teoria del complotto ai danni di Irvine nel 1999 usando il Nurburgring come prova. Peraltro era successa una scena simile anche nel 2000 in Canada, seppur senza conseguente.

I meccanici evocano la gomma mancante poco prima che il trenino della SC arrivi e i due riescono a evitare la doppiatura per un pelo. Possono accodarsi al resto del gruppo nello stesso giro del leader, ma restano ultimi.

SEPANG, MALAYSIA: Formula One six-time world champion Ferrari’s Michael Schumacher, of Germany, follows in a thick cloud of rain kicked up by teammate Rubens Barrichello, of Brazil, 18 March 2001 during Malaysia’s Sepang Formula One Grand Prix. Schumacher took the checkered, followed by Barrichelo and McLaren’s David Coulthard, of Britian, third. AFP PHOTO/Stephen SHAVER (Photo credit should read STEPHEN SHAVER/AFP via Getty Images)

Le Ferrari però hanno l’asso nella manica: contrariamente a tutti gli altri (meno Verstappen), i Rossi montano le Intermedie, anziché le Heavy Rain. Lì per lì sembra un’assurdità, ma alla ripartenza si scopre che la pista è meno bagnata del previsto. I due danno staccano tempi di 5 secondi inferiore al resto del gruppo e tempo cinque giri e Schumacher torna in testa (aveva liquidato Barrichello nel mentre). Forse a questo pensava Todt, in quel di Fuji nel 2007…

I restanti due terzi di gara sono di gestione della doppietta. Coulthard riesce a seguire Barrichello a qualche secondo e conclude terzo, mentre Hakkinen arranca nelle ultime posizioni della zona punti e conclude sesto dopo aver perso praticamente tutti i corpo a corpo. Spiace anche per Verstappen: una volta finita la pioggia, l’incantesimo svanisce e si ritrova con la consueta zucca di sempre. Malgrado lotti con tutte le sue forze scivola fuori dalla zona punti, quando sul bagnato aveva anche condotto la gara. Sad.

 

Brasile

Montoya si presenta con un sorpasso.

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Schumacher conquista l’ottava pole consecutiva (record teorico, dato che sono state conquistate a cavallo degli anni). Alla partenza mantiene la leadership, mentre Hakkinen, terzo, resta in panne. Lo schivano tutti, ma per permetterne la rimozione (si era portato il volante con sé) entra in pista la SC. Alle spalle di Schumacher c’è ora Montoya.

Montoya applica tutta la sua esperienza accumulata in anni di Champ Car (più adusa alle SC della F1 di quegli anni) per infilare Schumacher alla ripartenza. Dopo due gare un po’ insipide, Montoya finalmente mostra di cosa è capace: stacca una macchina dopo, si appoggia alla monoposto del tedesco e lo spinge “gentilmente” all’esterno per comprometterne l’uscita. Il tutto senza essere una “dive bomb”. Uno dei migliori sorpassi degli anni Duemila. Più indietro Ralf tampona Barrichello. Gara compromessa per il tedesco e finita per il brasiliano, mai fortunato a Interlagos.

Schumacher resta a portata di tiro del colombiano ma è su una strategia a due soste e presto deve rientrare ai box. Montoya risponde alla sosta segnando tempi record su gomme usate, ai quali Schumacher non riesce a rispondere. Il destino sembra essere quello di vincere in F1 alla terza gara. Solo Baghetti avrebbe fatto meglio di lui…

…Se durante il 39° giro Jos Verstappen non avesse sbagliato sciaguratamente il punto di frenata durante il doppiaggio. La Arrows decolla sulla Williams, ritiro per entrambi. 17 anni dopo, giustizia sarà fatta.

AUTóDROMO JOSé CARLOS PACE, BRAZIL – APRIL 01: David Coulthard, McLaren MP4-16 Mercedes, celebrates victory during the Brazilian GP at Autódromo José Carlos Pace on April 01, 2001 in Autódromo José Carlos Pace, Brazil. (Photo by LAT Images)

Al termine del primo giro di soste Schumacher è finito dietro anche a Coulthard, ma inizia a piovere e il muretto azzecca il timing per il passaggio alle Intermedie. Torna in testa, ma né Schumacher né la Ferrari sono in giornata. Prima si gira, poi esce sull’erba e al 50° subisce il sorpasso di Coulthard. Manovra tanto splendida quanto dimenticata: fu Spa 2000, ma sul bagnato e in curva. Il tedesco non ne ha per rispondere e alla fine lo scozzese vince la gara con 16s di distacco, interrompendo la serie positiva della Ferrari e riaprendo il mondiale [AHAHAH].

Più indietro Heidfeld conquista il primo podio per la Sauber da Spa 1998. Non è stata la performance più scintillante, ma almeno è riuscito a sopravvivere. Le Jordan sono rimaste vittime di problemi tecnici (sovrasterzo per Trulli, motore per Frentzen), le Jaguar dell’acqua (testacoda per Irvine, perdita idraulica per Burti) e le BAR dai box (cinque minuti di sosta totali, tra Villeneuve e Panis). Tutto ciò ha permesso anche a Fisichella di ottenere un punto insperato alla vigilia (partiva 18°).

San Marino

Comunque vada, vince sempre Schumacher.

2001 San Marino Grand Prix – Race
Imola, Italy. 15th April 2001.
Race winner Ralf Schumacher, BMW Williams pulls away from 2nd place David Coulthard, West McLaren Mercedes – action.
World Copyright: Steve Etherington/LAT Photographic
ref: 17.5 mb digital image.

Gli Schumacher scrivono la storia: con l’affermazione di Ralf, diventano la prima coppia di fratelli a vincere entrambi un Gran Premio dai tempi di Emilio e Luigi Villoresi.

Dopo aver sfruttato le indecisioni al via del duo McLaren, che aveva monopolizzato la prima fila, sfrutta la costanza delle Michelin per staccare Coulthard in prossimità della prima sosta. Dopo appena quattro gare la casa francese è già pronta per vincere. Minor fortuna per Montoya, che si ritira per guasto alla frizione dopo una gara nel gruppo. Hakkinen rimane vittima del “Trulli train” (l’italiano era stato ottimo in qualifica ma il ritmo gara era ben inferiore ai top team) e concluse ai piedi del podio alle spalle di Barrichello.

Per le Ferrari è stato il peggiore weekend dell’anno. Per la prima volta dopo nove gare, Schumacher non è in pole. Solo quarti e sesti in qualifica, la partenza è anche peggiore e girano 7 e 8 dopo il primo giro. Schumacher perderà altre due posizioni per un glitch del cambio durante il terzo giro. La rimonta del tedesco verrà poi frustrata da una foratura e terminata per motivi precauzionali dopo aver scoperto che il cerchione era danneggiato. La causa dei problemi verrà identificata in un componente della ruota montato male.

Con il secondo posto Coulthard raggiunge Michael Schumacher a quota 26 punti. Dopo di loro c’è Barrichello a 14 punti e Ralf Schumacher a 12.

Prima di arrivare in Spagna, la F1 piange Michele Alboreto. Stava provando la sua Audi R8 per la 24h di Le Mans quando, per l’afflosciamento di uno pneumatico, la barchetta è decollata andando a schiantarsi a bordo pista. Per l’ex ferrarista, che avrebbe compiuto 45 anni a Dicembre, non ci fu scampo.

 

Spagna

To finish first, first you have to finish” (cit.)

[COURTESY OF FORMULA1.COM]

Era la giornata di Mika Hakkinen. Era in testa per la prima volta da Spa dell’anno prima. La McLaren aveva battuto in strategia la Ferrari. Era lì, a due kilometri dalla fine, con quaranta secondi di vantaggio su Schumacher. Poi la frizione sceglie di abbandonarlo. Schumacher per vincere non deve far altro che sorpassare una vettura ferma a bordo pista. L’altra McLaren di Coulthard aveva avuto dei problemi con l’elettronica al via ed era ben lontana. Con quei dieci punti Hakkinen sarebbe rientrato in gioco, avrebbe dato un senso a una stagione che assomiglia sempre più al 1985 di Lauda. Invece no.

[COURTESY OF MOTORSPORT.COM]

Sul podio sale per la prima volta assoluta Montoya (abile a rimontare dalla 11a posizione in qualifica) e per la prima volta dopo due ani Villeneuve. Coulthard è solo quinto, dopo esser partito dai box a causa delle bizze del launch control. Avversari di Schumacher sì, ma solo a parole.

Austria

Stavolta Hakkinen non parte neppure…

[COURTESY OF REDDIT.COM]

In testa alla corsa le Williams schizzano via allo spegnersi dei semafori rossi, sopravanzando Schumacher, alle prese con una partenza non proprio da manuale. Quando Schumacher il Piccolo si ritira all’11° giro per problemi ai freni, Montoya diventa l’oggetto della caccia di Schumacher il Grande. In questa fase le Bridgestone sono più performanti delle Michelin, ma Montoya non si fa intimorire.

Al 16° giro il colombiano usa le maniere forti sbagliando grossolanamente. Ritarda la frentata al tornantino in modo inverosimile, blocca le posteriori, va nella ghiaia e trascina con sé Schumacher. Rientreranno sesti e settimi a una decina di secondi dal leader. All’epoca non mi pare di ricordare grandi apprezzamenti per la manovra di Montoya, che venne anzi piuttosto criticata. Come cambia la sensibilità…

L’incidente permette a Barrichello di andare in testa, con Coulthard a inseguirlo. Lo scozzese passerà poi in testa dopo le soste e andrà a vincere. Un’importante iniezione di morale dopo le peggiori qualifiche dell’anno (lui e Hakkinen si erano qualificati 7 e 8).

La rimonta di Schumacher prosegue fino al terzo posto. Si assiste a un assaggio di quello che accadrà 12 mesi dopo: tra il secondo e il terzo posto ci sono due punti di differenza; troppi, in un anno dalla lotta così tirata e sofferta [lol]. Arriva implacabile l’ordine di scuderia: “Rubens, lascia passare Michael“. Sulle prime Barrichello fa finta di non aver sentito, ma il contratto lo obbliga e alla fine cede la posizione all’ultimo momento utile.

Divertente la posizione del brasiliano: “E se alla fine perdo il mondiale per due punti?” Sì, certo, come no (fermo restando che in Ferrari potevano risparmiarsela). Per zittire le voci di litigi in famiglia la Ferrari annuncia il prolungamento dei contratti di Schumacher e Barrichello.

 

Monaco

Fuori dalle piste Coulthard di solito è descritto come una persona mite e gentile. Eppure si racconta che nella notte dopo la gara si intrufolò nel retrobox McLaren e distrusse a calci una decina di computer. Reazione perfettamente comprensibile.

[COURTESY OF FORMULAPASSION.COM]

Al Sabato aveva rischiato rischiato l’osso del collo per qualificare la sua McLaren in pole position davanti a Schumacher. Partire dalla pole a Montecarlo significa avere tre quarti di vittoria in mano.  Vincendo avrebbe sicuramente raggiunto Schumacher in testa alla classifica mondiale e magari, con un po’ di fortuna, lo avrebbe superato.

La macchina gli si pianta al via del giro di ricognizione. Anche stavolta è il launch control (il tallone d’Achille della McLaren a inizio campionato). Resta immobile mentre tutti quanti lo sfilano. Deve partire ultimo.

Grazie ai tanti ritiri (e nonostante il tappo di Bernoldi nei primi 34 giri) riesce comunque a concludere in quinta posizione. Due punti di consolazione, ma nel frattempo Schumacher vince ed estende il vantaggio in classifica a 12 punti. Il campionato a conti fatti finisce qui, e anche la carriera di Coulthard non andrà molto più avanti. Tra i ritirati anche il duo Williams. Con 11 ritiri su 7 gare la scuderia di Grove non è ancora pronta per lanciare l’attacco al Mondiale.

Il pilota più contento al termine della giornata fu probabilmente Eddie Irvine, che dopo un’ottima sesta posizione in qualifica sfrutta i guai di Williams e McLaren per concludere a podio. All’epoca venne raccontata come l’inizio dell’era Jaguar/Ford (non ridete). Assimilabile a una vittoria è anche il sesto posto di Alesi, che riporta la Prost a punti dopo un anno e mezzo di digiuno.

 

Canada

Per fortuna gli Schumacher sono soltanto due” (cit. Mika Hakkinen)

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Le Michelin mostrano un comportamento caratteristico. Partono forte, poi hanno un momento di assestamento che dura 7/8 giri in cui perdono prestazione dopodiché si “riaccendono” e sul lungo periodo battono le Bridgestone. La gara canadese prova perfettamente questa teoria.

All’inizio la gara sembrava un delle classiche gare del periodo – Schumacher parte primo, si invola e gli altri lo rivedono in occasione delle soste e al traguardo. Ma dopo una dozzina di giri Ralf Schumacher inizia a recuperare qualche decimo al giro, fino a entrargli in scia. Ralf è attaccato al fratello ma di sorpasso non se ne parla.

Michael rientra per primo ai box (la F2001 aveva serbatoi non troppo capienti) così che Ralf si ritrova con l’aria libera. Le Michelin, ancora performanti, fanno il resto. Dopo la sosta emerge con cinque secondi sul fratellone ed estende ulteriormente la leadership fino alla fine.

Michael conclude secondo ma ha motivi per essere soddisfatto. Coulthard si ritira con il motore rotto a tredici giri dalla fine e così allunga in classifica. Hakkinen ottiene il primo podio dell’anno, sebbene con una prestazione scialba. Assolutamente lodevole la quarta posizione finale di Raikkonen – poteva addirittura finire il podio, se non fosse stato tamponato da Zonta mentre era in lotta con il connazionale. Quinto Jean Alesi con la Prost dopo una delle migliori gare in carriera. De La Rosa salva la gara della Jaguar con la sesta posizione. Ottime anche le gare di Panis, Trulli e Verstappen, tutte conclusesi anzitempo per problemi tecnici.

 

Europa

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Il momento più duro per Schumacher è stato prima del via. Durante il giro di schieramento la Ferrari lo lascia a piedi nel posto più lontano possibile dai box. Poteva usare il muletto – ma prima doveva raggiungere i box, e farlo alla svelta. Dopo un paio di minuti di apparente panico, scovò e requisì un motorino BMW e con questo raggiunse i box. Tutta pubblicità per i rivali…

NUERBURG, GERMANY – JUNE 24: GP von EUROPA 2001, Nuerburgring; Michael SCHUMACHER/GER – FERRARI – vor Ralf SCHUMACHER/GER – BMW WILLIAMS -, Juan Pablo MONTOYA/COL – BMW WILLIAMS – und Rubens BARRICHELLO/BRA – FERRARI – (Photo by Andreas Rentz/Bongarts/Getty Images)

Come in Canada, continua la lotta “in famiglia” tra Michael e Ralf Schumacher. Dopo un duro confronto alla partenza, anche stavolta Ralf resta appollaiato alle spalle del fratello maggiore per tutto il primo stint, in attesa di sfruttare la maggior efficacia delle gomme Michelin in prossimità delle soste. La differenza con due settimane prima è che i due rientrano ai box nello stesso momento.

La crew Ferrari regola quella della Williams (traditions) e Michael mantiene la posizione.  All’uscita dai box Coulthard, che ancora doveva fermarsi, si inserisce tra i due belligeranti. Ralf, nel tentativo di stargli davanti, tocca la linea bianca all’uscita dai box. I conseguenti 10 secondi di stop&go chiudono la lotta per la vittoria.

Scontata la penalità Ralf conclude quarto, mentre Montoya ha una gara singolarmente priva di emozioni ma ricca di sostanza ed è secondo. Una strategia sbagliata consegna un mediocre quinto posto a Barrichello. Le McLaren vanno in crisi con le gomme – le Bridgestone si adattavano meglio alla Ferrari che alla loro monoposto. Se Coulthard in qualche modo resiste e arriva a podio, Hakkinen avrebbe concluso addirittura fuori dai punti se il motore di Trulli non fosse esploso.

 

Francia

Continuo a non capacitarmi dell’esistenza di fan di Magny Cours.

[COURTESY OF REDDIT.COM]

Anche stavolta il duello è tutto in casa Schumacher: Ralf in pole, Michael secondo a dieci millesimi. Ralf controlla il primo stint ma una sosta problematica permette a Michael di sopravanzarlo. Nel secondo stint Ralf ha problemi con le gomme e non può ricucire il distacco. Montoya, su strategia alternativa, poteva essere una minaccia ma perde una dozzina di secondi dietro il compagno di scuderia prima che in Williams escogitino un team order. Comunque inutile, dato che da lì a poco il BMW del colombiano rese l’anima al creatore.

Barrichello arriva terzo dopo una pessima qualifica grazie anche a una strategia aggressiva. Quarto Coulthard, la cui gara è stata rovinata da uno stop&go per eccesso di velocità in pitlane. A Hakkinen viene montata male la trasmissione e si ritira prima ancora di partire.

Non c’è altro da raccontare, è Magny Cours. Anche la classifica ammette poche storie: Michael Schumacher 78, Coulthard  41, Ralf Schumacher 31.

Gran Bretagna

Certe volte si vince anche in due.

[COURTESY OF CRASH.NET]

Dopo un inizio di campionato troppo brutto per essere vero (9 punti in 10 gare) Hakkinen torna alla vittoria. Dopo un’ottima qualifica, conclusasi a 80 millesimi dal tempo di Michael Schumacher, il finlandese sorpassa il tedesco al quinto giro e stravince con mezzo minuto di vantaggio. Hakkinen beneficia anche di una delle rare strategie sbagliate di Ross Brawn: una sosta sola per Schumacher, quando da previsioni (poi concretizzatesi) quella su due soste era più veloce di 20 secondi.

Schumacher ritrova in rivale (per poco) ma ne perde un altro: alla partenza Coulthard si scontra con Trulli (ottimo quarto in qualifica) e si deve ritirare dopo il conseguente danno alla sospensione. Il distacco sale a 37 punti.

Barrichello finisce terzo, di una decina di secondi davanti a Montoya, che non riesce a concludere a podio (ragioni di strategia, ma anche stavolta rallentato da Ralf nel momento clou della gara) però si permette il lusso di sorpassare Schumacher in pista. Schumacher il Piccolo si ritira col motore in panne a metà gara.

 

Germania

Ultima gara della storia della F1 sul vecchio tracciato di Hockenheim. Per quanto il nuovo layout mi piaccia (permette gare divertenti) riconosco al vecchio Hockenheim una sua specificità che si riscontra sempre meno nei nuovi circuiti. Anche la sua scomparsa è insieme metafora e segno del trapasso della F1 “tradizionale”.

Il layout è favorevole alle Williams, che, complice un upgrade del BMW, in qualifica monopolizzano la prima fila con Montoya davanti a Ralf.

[COURTESY OF REDDIT.COM]

Al via lo scatto è regolare. Ma al momento di passare in seconda, Michael Schumacher non riesce a inserire la marcia e resta bloccato agli ottanta all’ora mentre tutti gli sfrecciano a pochi centimetri. Burti aveva la visuale coperta da Panis e non poté schivarlo. Lo scontro è brutale, la Prost si impenna e ricadd sulla Arrows di Bernoldi, mentre per poco Verstappen non viene decapitato da una ruota vagante (e ci si lamenta dell’Halo…). Macchine distrutte ma piloti illesi. La bandiera rossa cala doverosa.

La seconda partenza è normale. Come da tradizione nel vecchio Hockenheimring la corsa è una gara a eliminazione. Prima Hakkinen, poi Juancho (che aveva un minuto di vantaggio su Ralf) e Michael Schumacher, infine Coulthard. Vince Ralf con 45s di vantaggio sull’altro superstite, Barrichello -penalizzato da una strategia a due soste ma autore di bellissimi duelli con le McLaren- anche se l’espressione sul podio era quella di uno che era appena stato sculacciato, non di chi aveva vinto la gara

Sull’ultimo gradino del podio sale Villeneuve, con grandissima sorpresa di tutti – sua per prima. Altrettanto inatteso fu il doppio arrivo a punti delle Benetton, con Fisichella di poco davanti a Button. Completa la zona punti delle meraviglie Alesi, che regala alla Prost l’ultimo punto della sua storia.

In classifica è stato uno zero a zero. Con 37 punti di vantaggio e cinque gare alla conclusione, il Kaiser ha il mondiale a portata di mano.

 

Ungheria

Il giorno del trionfo.

[COURTESY OF MAXF1.NET]

In barba allo sforzo dei legislatori per rallentare le vetture, Schumacher migliora di 3 secondi la pole rispetto all’anno prima e distrugge il record di Prost, che resisteva dal 1993. Coulthard e Barrichello stanno a guardare a 8 decimi di distanza.

Anche in gara non c’è storia (per quanto abbia rischiato di rovinare la macchina con un fuoripista nel giro di formazione). Mentre Barrichello e Coulthard lottano tramite strategie, Schumacher si invola a vincere per la settima volta in stagione. Barrichello fa il suo dovere e priva Coulthard di un vitale secondo posto.

[COURTESY OF SCUDERIAFANS.COM]

In questo modo Schumacher vince il quarto titolo mondiale con quattro gare d’anticipo, eguagliando, oltre che il numero di mondiali, anche il numero di vittorie di Prost.

Per il resto non c’è molto altro da dire. Tre manovre di sorpasso, di cui due di Button su Minardi e solo una “vera” (Alesi su De La Rosa) ci ricordano di quanto il DRS sia un male necessario, almeno in certe piste.

 

Belgio

Ricordo Spa 2001 principalmente per tre cose: la 52a vittoria di Schumacher, che all’epoca gli fruttò il record per il maggior numero di vittorie in carriera, la seconda partenza con Ralf Schumacher ancora sui cavalletti, e il pauroso incidente di Burti al terzo giro.

Per la prima, non c’è molto da dire. La prima fila è monopolizzata dalla Williams, ma prima Montoya stalla e deve partire dal fondo, poi accadono il secondo e il terzo episodio.

[COURTESY OF FOM]

Burti attacca Irvine a Blanchimont. L’irlandese non lo vede e chiude la porta. La Prost tampona la Jaguar e perde l’ala anteriore. La macchina senza più direzionalità si schianta ai 300 all’ora e si infila sotto le protezioni. La scena è terribile: la macchina è avvolta dalle gomme, il pilota ha impattato contro le barriere e il caso è sfondato. L’impatto è stato talmente violento che le paratie laterali alla testa del pilota si sono rotte. La visiera, come se non bastasse, si è rotta sfregiando il viso del pilota e si teme anche il “colpo di frusta” (il collare Hans non era ancora usato dalla F1).

[COURTESY OF CIRCUSF.COM]

Malgrado lo scenario apocalittico, il pilota sta bene. Le verifiche mediche scoprono solo un trauma cranico di lieve entità e delle contusioni sul volto. Lo spettro di Imola 1994 si allontana.

Mandatory Credit: Photo by Olivier Hoslet/EPA/Shutterstock (8273651a)
Francorchamps Belgium : German Bmw-williams Formula One Driver Ralf Schumacher (front R) Remains at His Starting Position While Still Hanging in the Air at the Start of the Formation Lap Sunday 02 September 2001 During the Belgian Formula One Grand Prix in Spa/francorchamps the Two Williams Bmw Faced Problems at the Two Formation Laps the Belgian Grand Prix was Halted Here on Sunday After a Spectacular Crash Involving Brazils Luciano Burti the Prost Acer Driver Ploughed Into a Tyre Wall After His Car Appeared to Clip the Jaguar of Eddie Irvine Sending the Ulsterman Flying Off the Track with the South American the Safety Car Immediately Came Onto the Track Following the Crash with the Red Flag Halting the Race
Auto-f1-francorchamps-start – Sep 2001

La gara riprende. I meccanici Williams stavano cambiando l’ala posteriore della Williams di Ralf, ma non fanno in tempo a completare la procedura. Onde evitare il ritiro, lasciano la Williams sui cavalletti. La macchina viene sfilata da tutti quanti, ma almeno può essere riportata ai box. I meccanici completano le riparazioni e il tedesco può partire insieme agli altri, per quanto in ultima posizione.

Con le due Williams evaporate, Michael Schumacher deve solo amministrare la macchina. Il compito del tedesco è agevolato da Fisichella, che, con il guizzo delle Renault degli anni 2000, passa dalla sesta alla seconda posizione, e tiene a bada tutto il resto del gruppo.

Le battaglie si sprecano, ma tempo che Coulthard riesce a sopravanzare il romano che Schumacher ha già accumulato 15s di svantaggio. L’italiano della Benetton riuscirà a conservare il suo posto sul podio, 102o e ultimo della storia della compagine italo-britannica.

Nei giri finali si conuma una bella lotta tra Barrichello, Ralf e Alesi per la quinta posizione. La spunta il brasiliano, mentre il francese, ora in forza alla Jordan, difende con gli artigli l’ultimo punto in carriera.

Da segnalare anche la triste storia di Frentzen e della Prost: il tedesco conquista una miracolosa quarta piazza in qualifica con una macchina migliore solo della Minardi – tuttora una delle qualifiche più sorprendenti che mi viene in mente. Alla prima partenza gli si spegne il motore e deve scattare dai box. Sad.

 

Italia

Doveva essere il giorno della grande festa di casa, ma il weekend si disputa in un clima molto pesante. Prima gli attentati delle Torri Gemelle, poi, tra venerdì e Sabato, la notizia dell’agghiacciante incidente di Alex Zanard in una gara di formula Cart.

[COURTESY OF RACEFANS.NET]

Anche il cinico mondo della F1 resta scosso (forse più da Zanardi). Gli Schumacher non volevano proprio correre ma si dovettero arrendere. Michael promosse un accordo per non attaccarsi nelle prime curve; come di consueto per la F1, il gruppo si divide, infinite discussioni tra piloti, TP, manager, pubblicità e Ecclestone, ma alla fine la gara si disputa normalmente. Tempo tre secondi e Button tampona Trulli.

Con Michael e Ralf a correre controvoglia (il ferrarista si sforzò per non andare a podio) e le McLaren in fase calante, il compito di dar spettacolo viene delegato a Montoya e a Barrichello. Il duo si alterna in testa grazie a strategie diverse (una sosta per il colombiano, due per il brasiliano) ma alla fine la spunta Juancho, che conquista la tanto agognata vittoria in F1.

Ad amareggiare ulteriormente l’ambiente, Hakkinen annunciò il preconizzato ritiro dalle corse.

 

Stati Uniti

Hakkinen chiude trionfalmente la sua carriera.

INDIANAPOLIS MOTOR SPEEDWAY, UNITED STATES OF AMERICA – SEPTEMBER 30: Rubens Barrichello, Ferrari F2001, leads Juan Pablo Montoya, Williams FW23 BMW, Ralf Schumacher, Williams FW23 BMW, and Mika Häkkinen, McLaren MP4-16 Mercedes during the United States GP at Indianapolis Motor Speedway on September 30, 2001 in Indianapolis Motor Speedway, United States of America. (Photo by LAT Images)

Nel warm up Hakkinen si schianta violentemente. Per un pilota normale sarebbe stato un incidente seccante, ma per Hakkinen rischiò di essere molto di più. Dopo l’incidente di Adelaide 1995, per Hakkinen un qualsiasi altro trauma cranico sarebbe stato fatale. Quella mattina ci andò molto vicino.

In gara, il finlandese parte quarto (dopo aver perso il secondo posto per una penalità) e al via perde un’ulteriore posizione, ma nei restanti 72 sfrutta tutte le occasioni.

Ralf scompare per l’incapacità di far funzionare la strategia a due soste (e poi si ritirerà per testacoda in lotta con le Sauber). Montoya stava per portarsela a casa, aiutato dalla strategia giusta e da un sorpasso su Michael Schumacher, ma si pianta per un problema idraulico. Ritarda la sosta quel che basta per emergere dai box davanti a Schumacher (rientrato presto per via di problemi di gomme), mentre la rimonta di Barrichello viene fermata dall’unico guasto al V10 Ferrari di tutta la stagione.

Per il finlandese è il suggello di una carriera eccezionale, coronata da due titoli mondiali. Insieme a Villeneuve fu uno dei pochi a reggere l’onda d’urto generata da Schumacher. Il duello con il tedesco fu di altissimo livello ma sempre caratterizzato da una rara correttezza e sportività. Mai una scorrettezza o un gesto fuori posto. Ancora oggi è uno dei rivali evocato con più nostalgia dai ferraristi.

 

Giappone

Il Kaiser chiude trionfalmente la stagione.

[COURTESY OF MOTORSPORT.COM]

Schumacher distribuisce le ultime mazzate. Dopo l’undicesima pole della stagione (record dell’epoca), conquistata con 7 decimi di vantaggio sul secondo, al via utilizza le sue Bridgestone al meglio per costruirsi un vantaggio di 8 secondi nei primi tre giri – a parità di strategia (!). In teoria doveva “fare lo scudiero” per aiutare Barrichello a sopravanzare Coulthard nel WDC, ma il brasiliano non si disfa delle Williams e il tedesco fu lasciato libere di vincere (lol). L’unico del gruppo che riesce a restargli vicino è Montoya, ma le Michelin pagano troppo a inizio stint per costituirsi come minaccia credibile.

Barrichello ha diverse avventure (e regala almeno tre bei sorpassi ai danni delle Williams) ma alla fine non riesce a fare meglio della quinta posizione. Hakkinen si toglie lo sfizio di battagliare con Schumacher come ai vecchi tempi – anche se è solo per ragioni di strategia. Nel finale commuove tutti cedendo a Coulthard quello che sarebbe stato il suo ultimo podio per bloccare la rimonta di Barrichello e assicurargli il secondo posto nel WDC. Un signore.

[COURTESY OF FOM]

Alesi al contrario conclude la sua carriera col botto: Raikkonen ha un cedimento improvviso e va in testacoda in un tratto ad alta velocità, lui che lo seguiva non può evitarlo e il tutto si conclude con un ragù di carbonio.

L’ultimo giovane, Alonso, mostra tutto il suo campionario di trucchi portando la sua modestissima Minardi a lottare con Fisichella e le due BAR. Dopo 53 giri di qualifica conclude 11°, ma questa gara gli varrà le attenzioni di buona parte del paddock.

Non so in quanti se ne stessero accorgendo, ma si stava per schiudere una nuova era.

[COURTESY OF P300.IT]

 

La Redazione

Immagine di copertina tratta da Formulapassion.com

LA STORIA DELLA FERRARI 312B: 1970 (PRIMA PARTE)

La partenza di Chris Amon consente alla Ferrari di ingaggiare un nuovo pilota. In realtà si tratta del ritorno di Jacky Ickx, il 25enne belga già campione europeo di F2 1967 con la Matra di Ken Tyrrell che nello stesso anno aveva lasciato tutti a bocca aperta qualificandosi col terzo tempo nientemeno che al Nürburgring (con una F2 in mezzo alle F1) dietro a Jim Clark e al campione del mondo Denny Hulme e davanti a Jackie Stewart. Ferrari lo aveva già preso in F1 nel 1968 (perchè costava meno di Stewart) e lui aveva conquistato la prima vittoria, una pole (al Nürburgring), tre terzi posti e il quarto posto finale in campionato, quasi triplicando il punteggio di Amon. Il suo carattere ribelle (è soprannominato Pierino) lo porta a scontrarsi con Forghieri (che adora il neozelandese) e a lasciare la Scuderia per passare alla Brabham nel 1969. Ickx dimostra le sue doti anche con il team di Chessington conquistando pole e vittoria al Nürburgring (ancora!) e a Mosport Park, chiudendo il Mondiale da vice-campione alle spalle di Stewart. La convivenza con Jack Brabham si dimostra però molto difficile in quanto il vecchio Black Jack non accetta di avere in squadra un ragazzino che lo batte regolarmente e così durante l’estate 1969, grazie alla mediazione di Gianni Agnelli, il belga firma di nuovo con la scuderia di Maranello accettando di correre anche il prestigioso Mondiale Sport Prototipi. Una mossa non da poco considerando che ha appena vinto la 24 Ore di Le Mans al volante dell’odiata Ford GT40, battendo la Porsche 908 LH di Hans Herrmann per soli 120 metri.

A conferma dell’interesse per il Mondiale Prototipi, Agnelli rispetta l’impegno preso e permette a Ferrari di produrre le 25 unità 512S necessarie per l’omologazione e partecipare al primo appuntamento stagionale, la 24 Ore di Daytona. La Spa Ferrari SEFAC schiera 3 biposto per Nino Vaccarella e Ignazio Giunti, Jacky Ickx e Peter Schetty e per Mario Andretti e Arturo Merzario. Le 512S sono le più veloci ma soffrono problemi di gomme e rotture di telaio per cui solo la terza vettura conclude la corsa al terzo posto dietro alle Porsche 917 di John Wyer. Dopo il ritiro di Ickx, il DS Franco Gozzi decide di sostituire Merzario con il belga che conclude la gara in coppia con Andretti. Il fantino comasco non la prende benissimo.

La F1 ricomincia un mese dopo a Kyalami. Nelle settimane precedenti il GP tutte le squadre scendono in Sudafrica per provare le nuove monoposto tra le quali ci sono parecchie novità. La Matra campione del mondo rientra in maniera ufficiale con una vettura nuova dotata del motore V12 che è stato rifiutato da Ken Tyrrell.

Per questo motivo Mr. Chopper ha deciso di cambiare telaio pur di mantenere il Cosworth DFV, acquistando due telai della neonata March, una società costituita dagli ex piloti Max Mosley e Alan Rees e dai progettisti Graham Coaker e Robin Herd, quest’ultimo proveniente dalla McLaren. La March schiera ben 5 vetture: 2 ufficiali per Chris Amon e Jo Siffert, una per il team di Andy Granatelli pilotata da Mario Andretti e 2 per il campione del mondo Jackie Stewart e per il francese Johnny Servoz-Gavin. Tutte motorizzate Cosworth.

Dopo la terza vittoria consecutiva nella serie Can-Am e il primo posto di Hulme nell’ultimo GP del 1969, la McLaren porta una nuova monoposto, la M14A, dotata di un volante che verrà poi rivalutato qualche decennio più tardi.

La Lotus continua con la terza evoluzione della 49 in attesa della nuova 72 che promette di essere una F1 rivoluzionaria. Perso Graham Hill, ancora zoppicante dopo il terribile incidente subito al Glen, Colin Chapman affianca a John Miles il talentuoso Jochen Rindt,

La Ferrari è l’unica squadra ad avere una sola monoposto, ovviamente per Ickx. Il nuovo motore piatto è accreditato di ben 450 cavalli.

Jacky Ickx (BEL) Ferrari 312B retired on lap 61 with engine trouble.
South African Grand Prix, Kyalami, South Africa, 7 March 1970.
BEST IMAGE

Il primo GP stagionale è caratterizzato dall’alta temperatura dell’altipiano sudafricano che condiziona il rendimento delle gomme. Vince il 43enne Jack Brabham al volante della nuova BT33 (prima monoscocca costruita da Ron Tauranac) che precede la McLaren di Denny Hulme (entrambe gommate Goodyear) e la March di Stewart, costretto a cedere la prima posizione a causa del degrado delle sue Dunlop. Ickx e la 312B sono costretti al ritiro a tre quarti di gara per un eccessivo consumo d’olio che ha fatto rompere il V12. Il belga era partito bene ma le sue Firestone hanno ben presto perso di prestazionalità soprattutto all’anteriore, facendolo retrocedere al sesto posto. I tecnici americani attribuiscono il problema alla geometria delle sospensioni e al sistema di sterzo della Ferrari.

Due settimane più tardi si disputa la seconda gara del Mondiale Prototipi a Sebring, in Florida, dove la Ferrari ottiene la prima vittoria del nuovo corso grazie alla determinante foratura della Porsche di Rodriguez a pochi minuti dal termine e alla prodigiosa rimonta di Andretti, salito sulla 512S di Giunti e Vaccarella nell’ultimo turno di guida. Ickx è costretto al ritiro per la rottura del motore poco dopo metà gara, quando si trova in seconda posizione.

Mario Andretti, Nino Vaccarella, Ignazio Giunti, 12 Hours of Sebring, Sebring, 21 March 1970. An ecstatic Mario Andretti after his stupendous win in the 1970 12 Hours of Sebring (the greatest of his racing career, by his own admission), here win teammates Nino Vaccarella and Ignacio Giunti. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

Il secondo GP stagionale si corre in Spagna a Jarama dove debutta la nuova Lotus 72A. Si tratta di una monoposto progettata da Maurice Philippe che vuole ottimizzare la resa aerodinamica della vettura. Per ridurre la sezione frontale e ottenere il profilo a cuneo, Philippe (ex dipendente della De Havilland) toglie il classico radiatore frontale dell’acqua sdoppiandolo ai lati della vettura, davanti alle ruote posteriori. L’ala posteriore è dotata di 3 piccoli profili regolabili che assicurano il carico sull’asse posteriore senza aumentare troppo il trascinamento in rettilineo. Le sospensioni sono prive di molle, sostituite da barre di torsione collegate agli ammortizzatori mentre i freni sono tutti entrobordo, con quelli anteriori che sono collegati alle ruote tramite semiassi.

Lotus 72 inboard-mounted front disc brakes connected to front wheels by drive shafts. One of these shafts breaking believed to be cause of Rindt’s fatal crash in practice for Italian GP that September. Spanish GP, Jarama, Spain 19 April 1970. (Photo by: GP Library/Universal Images Group via Getty Images)

Nel frattempo a Maranello Franco Rocchi costruisce un banco di prova basculante per riprodurre lo spostamento dell’olio motore in curva e cercare di risolvere il problema di consumo abnorme che ha causato il ritiro di Ickx a Kyalami. In Spagna vengono montati dischi freno Lockheed in sostituzione dei Girling.

Durante le prove entrambe le 312B a disposizione di Ickx (come da contratto) hanno problemi elettrici e di alimentazione e il belga non va oltre il settimo tempo, a 8 decimi dalla pole di Brabham. Il pilota della Ferrari guadagna due posizioni in partenza ma a metà del primo giro viene travolto fuori pista dalla BRM di Jackie Oliver alla quale si è rotta una sospensione. Il muso della BRM sfonda il serbatoio laterale sinistro della Ferrari e la benzina si incendia immediatamente. I piloti riescono a uscire in pochi secondi, Oliver è illeso mentre Ickx se la cava con ustioni di primo grado alla schiena e alle braccia. La 312B/002 è da buttare ma verrà ricostruita con lo stesso numero di telaio.

At the start of the race Ickx’s Ferrari caught fire and was destroyed after a collision with Jack Oliver’s BRM, now being returned to the paddock

Il lavoro necessario per rifare la vettura di Ickx ferma la costruzione del terzo telaio che si sarebbe dovuto preparare per Monaco. Ferrari vuole schierare una seconda vettura e ha già parlato con Andretti e Granatelli, parecchio scontenti della March, ma a Jarama l’italo-americano ha conquistato il suo primo podio in F1 concludendo al terzo posto, anche se doppiato da Stewart che ha vinto il GP proprio con la March. La trattativa resta quindi in sospeso anche perché Andretti non sarà a Monaco in quanto impegnato a cercare di bissare la vittoria ottenuta a Indy l’anno prima.

Peter Schetty viene incaricato di fare una simulazione di GP con la 312B/0001 sull’Aeroautodromo di Modena per verificare l’affidabilità del motore e delle modifiche apportate alle sospensioni sia anteriori (compresi i portamozzi) che posteriori, con lo spostamento dei punti d’attacco. Tutto sembra filare liscio.

La vettura ricostruita arriva a Monaco solo il sabato per cui può servire solo come auto di scorta. Le modifiche provate da Schetty sembrano valide e Ickx si qualifica col quinto tempo ma nel corso del 12° giro si rompe il giunto cardanico che collega il semiasse destro nella salita verso Massenet, il tutto sotto gli occhi di Gianni Agnelli. Dopo 3 GP la Ferrari non ha ancora conquistato un solo punto.

La gara è vinta da Jochen Rindt al volante della vecchia Lotus 49C (la 72A ha bisogno di molta messa a punto) grazie a un clamoroso errore di Jack Brabham all’ultima curva.

Ickx intanto ricomincia a fare il Pierino. Alla 1000 km del Nürburgring si presenta con 5 ore di ritardo e un polso fasciato, dicendo di essere caduto per le scale di casa. Dopo un giro di prova con la 512S rientra ai box dicendo che non riesce a guidare e il DS Franco Gozzi gli chiede se volesse saltare anche il GP del Belgio della settimana successiva ma il pilota di Bruxelles lo rassicura che per la gara di Spa-Francorchamps sarà in perfetta forma.

La vigilia del GP del Belgio è segnata dalle polemiche. Jackie Stewart denuncia da tempo l’elevata pericolosità del velocissimo tracciato stradale (alla 1000 km Rodriguez ha girato a 258 kmh con la Porsche 917) soprattutto in condizioni di bagnato. Gli organizzatori corrono ai ripari inserendo una chicane nella discesa verso Masta, il punto più veloce del circuito ma le polemiche non si placano. Stewart e Rindt chiedono che non si corra in caso di pioggia mentre Ickx e Rodriguez dicono di essere pagati per correre e rischiare.

Intanto Johnny Servoz-Gavin ha deciso di ritirarsi dalle competizioni. In una lettera indirizzata a Ken Tyrrell e alla Matra ammette candidamente di non avere più fiducia nelle proprie qualità di pilota e di doversi arrendere alla paura. Tra le motivazioni della sua decisione c’è probabilmente un problema alla vista conseguente un incidente di rally avuto durante l’inverno quando è stato colpito a un occhio da un ramo.

L’altra assenza importante è quella di Bruce McLaren. Il pilota costruttore neozelandese è morto a Goodwood durante un test al volante della M8D, la biposto per la serie Can-Am, uscendo di pista per il distacco dell’ala posteriore. Lo schianto contro il gabbiotto dei commissari di percorso non gli ha lasciato scampo. Aveva 32 anni.

Racing driver and engineer Bruce McLaren (1937 – 1970) at New Zealand House in London, 9th January 1970. (Photo by Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

La Ferrari porta finalmente in gara un secondo pilota, cosa che non succedeva da luglio 1969 (Silverstone con Amon e Rodriguez). Ignazio Giunti è erede di una famiglia della nobiltà napoletana, i baroni Giunti, si è messo in luce nelle gare a ruote coperte e nel 1968 ha vinto la categoria Prototipi 2000 alla 24 Ore di Le Mans con l’Alfa Romeo T33B/2, giungendo quarto assoluto in equipaggio con Nanni Galli. Per il suo esordio in F1 indossa il suo primo casco integrale di colore verde scuro, decorato con un’aquila asburgica stilizzata che sormonta una M, l’iniziale del nome della sua fidanzata, la modella Mara Lodirio.

Giunti guida il telaio 002 ricostruito mentre Ickx porta in gara la 003 nuova di zecca. La scelta del pilota romano è dovuta anche al fatto che conosce bene il tracciato belga, avendoci appena disputato la 1000 km con la 512S.

Nonostante le polemiche e le perplessità Stewart conquista la terza pole su 4 davanti a Rindt (ancora con la vetusta 49C), Ickx è quarto e Giunti ottimo ottavo.

Rodriguez e il V12 BRM prendono in breve il comando della corsa, con il solo Amon che cerca di mantenere il contatto. Alle loro spalle prima Rindt, poi Stewart e infine Brabham sono costretti al ritiro per aver chiesto troppo ai loro DFV, lasciando il terzo posto a Ickx, anche se distaccato di oltre 50 secondi. Quando il podio sembra poter diventare realtà, una perdita dalla pompa della benzina cola nell’abitacolo inzuppando la tuta del belga che, memore di Jarama, si ferma ai box. Mentre i meccanici cercano di riparare la perdita, Ickx cambia la tuta e riparte in ultima posizione. Giunti con una gara regolare recupera posizioni nonostante una sosta ai box imposta dai commissari per un’inesistente perdita d’olio e alla fine conquista un ottimo quarto posto. Non male per un debuttante. Finalmente entrambe le 312B concludono un GP e conquistano i primi 3 punti mondiali.

Ignazio Giunti (IT), Scuderia Ferrari SpA SEFAC. 1970.
Ignazio Giunti in a Ferrari 312B at La Source Hairpin, Belgian GP, Spa Francorchamps, 7 June 1970. (Photo by GPLibrary/Universal Images Group via Getty Images)

La settimana successiva si disputa la 24 Ore di Le Mans e per la Ferrari è un fallimento totale. Le quattro 512S ufficiali sono ritirate prima di metà gara. Le uniche due al traguardo sono quelle private della scuderia NART e dell’Ecurie Francorchamps. La vittima sacrificale è il DS Franco Gozzi che viene demansionato a capo ufficio stampa e propaganda della Scuderia. Mauro Forghieri diventa responsabile unico della squadra corse Ferrari.

Per il GP d’Olanda la seconda 312B sarà affidata al 30enne ticinese Gian Claudio Regazzoni, chiamato Clay da tutti tranne sua madre.

Figlio di un carrozziere di Mendrisio dal quale impara il mestiere, comincia con le corse in salita per poi correre in F3 nel 1965 con una De Tomaso F3 del Martinelli-Sonvico Racing Team, in squadra con l’amico Silvio Moser. Dopo alti e bassi, nel 1968 viene messo sotto contratto dalla bolognese Tecno per correre in F3 e F2. Le sue prestazioni sono tanto veloci quanto discutibili. Nel corso della stagione rischia di morire al GP di Monaco di F3 infilandosi sotto al guardrail del porto e uscendo miracolosamente illeso.

Swiss racing driver Clay Regazzoni crashing his car, during a the Monte Carlo Grand Prix, Monaco, 24th May 1968. (Photo by Victor Blackman/Express/Getty Images)

A Zandvoort, in F2, tenta di superare Chris Lambert all’interno della velocissima curva Tunnel Oost, le ruote si toccano, la Brabham dell’inglese schizza verso l’esterno e si schianta distruggendosi. La Tecno di Regazzoni si ribalta più volte ma il ticinese ne esce ancora illeso mentre Lambert muore sul colpo. Nonostante gli incidenti la Ferrari lo ingaggia per correre in F2 e nei prototipi nel 1969 ma la Dino 166 V6 è deludente, così Clay chiede ed ottiene di poter tornare alla Tecno che gli stende il tappeto rosso. Il 1970 sembra l’anno buono per l’Euro F2: Regazzoni vince a Hockenheim e giunge secondo a Crystal Palace dietro a Stewart, per cui la Ferrari lo chiama per debuttare in F1.

Dutch GP 1970
Clay Regazzoni, Ferrari 312B

Regazzoni si qualifica con uno splendido sesto miglior tempo, non lontano da Ickx che è terzo e finalmente in prima fila, ma la pole è di Rindt. Alla Lotus hanno lavorato tantissimo per risolvere i problemi della nuova 72, giunta alla evoluzione C, e i risultati lo confermano ambiamente. Rindt ha girato in tempi da pole position anche col pieno di benzina, mettendo una seria ipoteca sulla vittoria del GP.

Durante il weekend si svolgono le riprese del film “Le Mans – Scorciatoia per l’inferno” che vede tra i protagonisti la 21enne Edwige Fenech.

All’abbassarsi della bandiera Ickx sorprende tutti e si presenta in testa alla prima curva tallonato da Rindt. All’inizio del terzo giro l’austriaco prende la scia della 312B e la supera in scioltezza alla  Tarzanbocht senza nemmeno dover forzare la frenata. Da quel momento non lo vedrà più nessuno.

Regazzoni, dopo una partenza cauta, viaggia in sesta posizione davanti alla De Tomaso di Piers Courage. Al 23° giro il pilota britannico perde il controllo della sua vettura nel velocissimo curvone  Tunnel Oost schiantandosi contro il terrapieno all’esterno. Si scatena immediatamente un violento incendio nel quale il pilota e amico fraterno di Frank Williams perde la vita.

La corsa continua nonostante l’ingresso in pista dell’auto medica e del camion dei pompieri, con Regazzoni che sale al quarto posto grazie ai problemi tecnici delle BRM di Oliver e Rodriguez. Al 51° giro Ickx rientra lentamente ai box con una ruota posteriore forata. La sostituzione va per le lunghe e Regazzoni sale in terza posizione ma sette giri dopo il debuttante svizzero lascia passare il suo caposquadra senza creargli alcun problema.

Jochen Rindt vince il suo secondo GP stagionale, il primo per la Lotus 72, con 30 secondi di vantaggio su Stewart. Ickx e Regazzoni chiudono al terzo e quarto posto, entrambi doppiati, ma la 312B continua a migliorare.

Niente champagne e niente festeggiamenti sul podio in segno di rispetto verso Piers Courage,

Il Circus si sposta in Francia sul circuito di Charade a Clermont-Ferrand, un piccolo Nürburgring lungo 8 km nella regione dell’Auvergne. Il weekend della Ferrari comincia malissimo; la notte tra giovedì e venerdì il camion della Scuderia arriva troppo tardi alla frontiera francese (per la rottura del radiatore) quando il personale addetto alla dogana ha terminato il turno da dieci minuti per cui nessuna Rossa riesce a scendere in pista il venerdì. Questo però non impedisce a Jacky Ickx di conquistare la prima pole stagionale abbattendo il muro dei 3 minuti e staccando la Matra V12 di Beltoise di mezzo secondo. I V8 Cosworth di Amon e Stewart sono staccati di un secondo mentre Rindt è solo sesto, con un secondo e mezzo di ritardo. L’austriaco soffre di ulcera e non ne vuole sapere di smettere di fumare per cui la tortuosità del circuito di montagna non fa altro che acuire ancora di più i suoi problemi di stomaco, tanto che l’anno precedente si è ritirato prima di metà gara a causa della nausea. Ignazio Giunti torna sulla seconda Ferrari per l’alternanza voluta proprio dal Drake ma il romano non ha mai girato sul tracciato stradale francese per cui non va oltre l’undicesimo tempo.

Durante il warm-up un sassolino entra nel V12 di Ickx da una presa d’aspirazione danneggiando una valvola per cui il belga deve prendere il via col muletto tra le vane proteste della concorrenza che vorrebbe farlo partire in fondo allo schieramento. Ickx e Beltoise prendono subito il largo aumentando costantemente il vantaggio su Stewart che si deve fermare lungamente ai box per un problema di accensione. All’undicesimo giro si ferma ai box per la rottura del pedale dell’acceleratore e la riparazione gli fa perdere 3 giri. Quattro giri più tardi Beltoise supera Ickx il cui motore comincia a perdere colpi fino a quando rientra ai box con una valvola rotta. Poco dopo metà gara Beltoise comincia a perdere terreno per una foratura lenta causata da un chiodo e viene raggiunto e superato da Rindt che sembra non patire di problemi allo stomaco. L’austriaco della Lotus conquista così una vittoria insperata che lo lancia in testa alla classifica con 27 punti, 8 in più di Brabham e Stewart. Ickx rimane fermo all’undicesimo posto con 4 punti.

Jochen Rindt, Henri Pescarolo, Lotus-Ford 49B, Matra MS120, Grand Prix of France, Circuit de Charade, Clermont-Ferrand, 05 July 1970. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

Negli anni pari il GP di Gran Bretagna si corre sui saliscendi di Brands Hatch. Regazzoni torna sulla seconda Ferrari mentre Colin Chapman fa debuttare un suo giovanissimo pupillo, il 23enne brasiliano Emerson Fittipaldi che ha vinto il campionato britannico di F3 1969 con la Lotus ufficiale e sta ottenendo ottimi risultati nell’Euro F2. Per l’esordio deve accontentarsi della vecchia 49C.

Emerson Fittipaldi of Brazil drives the #28 Gold Leaf Team Lotus Lotus 49C Ford V8 during the British Grand Prix 18th July 1970 at the Brands Hatch Circuit, Longfield, United Kingdom. (Photo by Grand Prix Photo/Getty Images)

Rindt e Brabham fanno segnare il miglior tempo a pari merito ma la pole viene assegnata al pilota della Lotus perchè è al comando della classifica generale. Ickx è terzo e parte per la terza volta consecutiva dalla prima fila, a dimostrazione dei progressi della 312B. Regazzoni è ottimo sesto mentre le March sono in piena crisi, con Stewart che non fa altro che lamentarsi del pessimo telaio della Casa di Bicester. La Lotus ha ulteriormente sviluppato la 72C spostando il radiatore dell’olio e trovando lo spazio per installare due prese d’aria dinamiche laterali ai lati del casco.

Brabham scatta meglio di tutti alla partenza ma Ickx si infila all’interno alla frenata della Druids. Black Jack tenta di chiudere alla sua maniera ma Pierino non si lascia intimorire, tiene duro, assesta una ruotata all’australiano che è costretto ad allargare e ad accodarsi. Il pilota della Ferrari approfitta della situazione e prende decisamente il comando davanti a Brabham e Rindt.

All’inizio del settimo giro Ickx rallenta improvvisamente all’ingresso della Paddock Hill. Brabham ha un attimo di esitazione, Rindt si butta all’interno, gli assesta una ruotata e passa a condurre la corsa mentre Ickx si ritira per il blocco del differenziale. A dimostrazione del fatto che quella di Brabham è stata una distrazione, Rindt non riesce a scrollarsi di dosso il vecchio campione che sembra giocare come il gatto con il topo fino al 69° degli 80 giri previsti, quando Rindt comincia ad andare in crisi con le gomme posteriori e Black Jack lo supera alla Hawthorn Bend. Il due volte campione del mondo australiano accumula in poco tempo 15 secondi di vantaggio ma all’ultimo giro, all’uscita della penultima curva, la sua Brabham rallenta improvvisamente e prima di imboccare la Clearways viene superata da Rindt che va a vincere il terzo GP consecutivo. Il tratto in discesa consente a Brabham di tagliare il traguardo in seconda posizione a motore spento, inseguito a piedi dal suo capomeccanico Ron Dennis che sa cos’è successo.

Il warm-up si è disputato con temperatura fresca e aria umida mentre la gara si è corsa in un clima estivo. Il meccanico addetto si è dimenticato di modificare la carburazione per il GP facendo aumentare il consumo di carburante che si è esaurito a meno di un km dalla linea del traguardo.

Jack Brabham, Ron Dennis, Grand Prix of Great Britain, Brands Hatch, 18 July 1970. (Photo by Bernard Cahier/Getty Images)

Clay Regazzoni conclude di nuovo al quarto posto, in scia a Denny Hulme, a soli 4 decimi dal podio e supera Ickx nella classifica piloti (6 punti contro 4). A metà campionato Rindt ha 36 punti davanti a Brabham con 25 e Stewart con 19.

La settimana successiva al GP di Gran Bretagna la Ferrari svolge due giorni di prove private a Monza, con Ickx e Giunti, in collaborazione con la Firestone che porta nuove gomme e con la Magneti Marelli che ha progettato un limitatore di giri che indica al pilota quando passare alla marcia successiva senza rischiare il fuorigiri.

Giovanni Talli

LE F1 INVISIBILI – DEAN STONEMAN

La storia è opaca: noi vediamo chi ce l’ha fatta e ignoriamo chi ha fallito. Nel corso della storia della F1 è esistito un insieme di personaggi che potevano essere campioni, ma che hanno mancato l’appuntamento col Destino. Questa serie di articoli ambisce a dar corpo, sia pure per un attimo, a questa F1 invisibile.

Dean Stoneman avrà anche mancato la sua occasione di farsi un nome ai piani alti del motorsport, tuttavia la sua carriera costituisce un faro di tenacia e determinazione.

Nato a Londra nel 1990, Stoneman si fa un nome nel karting (vince il campionato britannico) prima di debuttare nella Formula Renault BARC alla fine del 2006. Nel 2007 disputò la stagione completa e con tre vittorie, nove podi e undici top-4 in 12 gare conclude secondo ad appena un punto dal vincitore. Nelle due stagioni successive passò alla Formula Renault 2.0 UK: al primo anno conclude quarto e miglior rookie, mentre nel 2009 non va oltre il quarto posto.

Nel 2010 Stoneman decide di debuttare in F2.

Race 1 winner Dean Stoneman (GBR).
FIA Formula Two Championship, Rd8, Oschersleben, Germany. Saturday 4 September 2010.

Digressione necessaria: questa serie a parte il nome non condivide quasi nulla con la attuale F2. Per iniziare, era slegata dal campionato di F1 e le macchine erano costruite e gestite dalla Williams F1. Rispetto alla Gp3 (ora F3) le vetture erano più veloci, si passava più tempo in pista ed era molto più economica. L’attrattiva principale della serie tuttavia era il test con la vettura di F1 che che la Williams offriva in premio al vincitore.

2010 Formula Two Champion Dean Stoneman (GBR) crosses the line.
FIA Formula Two Championship, Rd9, Valencia, Spain. Saturday 18 September 2010.

Malgrado Stoneman non partisse da favorito da favorito (non fosse altro per l’assenza di esperienza con vetture così veloci), il fatto che tutte le macchine fossero gestite dalla Williams riduceva lo svantaggio di correre per un team di secondo piano. Nella prima gara concluse al secondo posto dietro Jolyon Palmer, il favorito per il titolo. Stoneman si affermò per la prima volta al round successivo e dopo una lotta durata un anno conquistò il campionato con 42 punti di vantaggio sul più conosciuto connazionale.

Come da contratto, il 16 Novembre 2010 Dean Stoneman disputò per la Williams gli “Young driver test” di Abu Dhabi. Concluse la due giorni di test al quinto posto, dietro a Daniel Ricciardo (Red Bull), Oliver Turvey (McLaren), Antonio Felix Da Costa (Force India) e Esteban Gutierrez (Sauber). Tutti loro erano più esperti o avevano guidato macchine migliori. Se consideriamo che nei test batté il tempo fatto segnare nelle qualifiche di Barrichello fermandosi a meno di un decimo da quello di Hulkenberg, si capisce che Stoneman avesse un potenziale interessante.

In Williams aveva lasciato un’ottima impressione; nel 2011 avrebbe disputato la Formula Renault 3.5 (una serie che in quegli anni era considerata al pari, se non meglio, della F2/Gp2); avrebbe avuto Daniel Ricciardo come teammate. Aveva vent’anni e la carriera si stava mettendo molto bene.

Fu insieme l’inizio e la fine.

Mentre disputava il campionato di F2, Stoneman si lamentava di una serie di sintomi: bruciore di stomaco, spossatezza, capezzoli doloranti, mancanza di respiro, talvolta dolore alle braccia ed altri. Trattandosi di un atleta in piena adolescenza, per i medici si poteva spiegare come il risultato dei cambi ormonali tipici dell’età. La diagnosi palesò l’inadeguatezza in tutta la sua drammaticità nel Gennaio 2011, quando Stoneman scoprì un nodulo allo stomaco della grandezza di una pallina da golf.

Se preso per tempo, il cancro ai testicoli è uno dei più curabili; ma Stoneman aveva disputato una stagione intera lasciando che il tumore si radicasse. In quel momento era a due ore dal perdere una gamba, due giorni dall’essere incurabile e a sette giorni dalla morte.

I medici lo operarono ma ormai aveva sviluppato metastasi in tutto il corpo; per gli specialisti aveva solo il 40% di probabilità di sopravvivere. La sua carriera passò in secondo piano e passò il resto dell’anno a curarsi, a sottoporsi a cicli estenuanti di chemioterapia (anche 14 ore al giorno), a diverse operazioni chiurugiche. Ad un punto rischiò seriamente la vita per via di alcuni coaguli che stavano per raggiungere i polmoni. In suo aiuto venne il fatto che, dal momento che aveva dovuto sostenere il test di F1, in quel momento era all’apice della sua forma fisica, quindi poteva sopportare trattamenti che avrebbero piegato chiunque.

In un anno era passato dal paradiso all’inferno; ma alla fine, concluse le cure, ce l’aveva fatta. Era il momento di tornare alla normalità – che per un pilota significa una cosa sola: correre.

Dato che ripartiva da zero, e poiché suo padre all’epoca era stato un campione, ripartì dalla motonautica. Stoneman non perse tempo e vinse il campionato internazionale al primo colpo. Il successo fu tale da invogliarlo a rimettere le ruote sull’asfalto.


2013: tre anni dopo l’ultima corsa, più magro e con i capelli sfoltiti, Stoneman tornò nel motorsport su pista. Ricominciò dal basso, con le GT3 nella Porsche Carrera Cup GB. Nella prima gara dopo l’inferno, siglò la pole. Partì bene: prima curva, una macchina di vantaggio sul secondo. Seconda curva, tre macchine, terza curva, quattro. Al termine del primo giro aveva sei macchine di vantaggio sul secondo. Dominò il resto della gara, così come la successiva. Il resto della stagione fu più altalenante, con altre tre vittorie e un quinto posto finale, ma aveva dimostrato che c’era ancora. Era logico a questo punto vedere come sarebbe andata su una monoposto.

Dean Stoneman (GBR) Koiranen GP. Motorsport.motorionline.com

Verso la fine del 2013, Aaro Vainio lasciò la Koiranen GP, pertanto in Gp3 si liberò un sedile proprio per il round finale ad Abu Dhabi. Capitò proprio al momento giusto per Stoneman, che aveva appena concluso la Carrera Cup. Nelle prove libere concluse ottavo e si qualificò nono, davanti al leader di campionato. In gara-1 si tenne fuori dai guai (a differenza del collega) e concluse sesto. Partito terzo in gara-2, conquistò la seconda posizione al via e per poco non passò il leader Tio Ellinas nel finale, concludendo alle sue spalle per soli tre decimi.

La sua carriera ricominciò là dove l’aveva lasciata, ad Abu Dhabi.

Nei test post-gara si rivelò tra i più veloci. Ora un ritorno a tempo pieno sulle monoposto non era solo auspicabile, ma anche possibile. Firmò con la Manor (legata alla Marussia F1) per disputare la stagione 2014 in Gp3.

2014 GP3 Series Round 1 – Race 1.
Circuit de Catalunya, Barcelona, Spain.
Saturday 10 May 2014.
Dean Stoneman (GBR, Marussia Manor Racing)
Photo: {Sam Bloxham}/GP3 Series Media Service.
ref: Digital Image _SBL6733

Il team era modesto, ma Stoneman riuscì a guidare sopra i problemi. Vinse il season opener a Barcellona primo round e mantenne alto l’onore del team, anche se nel frattempo stava finendo in bancarotta, conquistando numerosi altri piazzamenti in top-6 e vincendo di nuovo a Spa e a Monza. Pochi giorni dopo quest’ultima vittoria, la Manor annunciò che non avrebbe partecipato al round successivo a Sochi. “Commercial Reasons” era la motivazione ufficiale, ma la realtà era che il team di F1 era prossimo al ritiro e non c’era ragione (né la possibilità economica) di continuare a mantenere il junior team.

Race 1 winner Dean Stoneman (GBR) Koiranen GP celebrates in parc ferme.
GP3 Series, Rd8, Sochi Autodrom, Sochi, Krasnodar Krai, Russia, 9-12 October 2014.

Quella che sembrava l’ennesimo stop, si trasformò in un nuovo inizio. La Koirainen GP gli venne di nuovo incontro: scaricarono Carmen Jordà (che non era andata oltre la 17° posizione in tutto l’anno) e gli offrirono una macchina per le ultime due gare. Il team in tutto il campionato non era riuscito a qualificarsi oltre l’ottava posizione; al primo tentativo Stoneman siglò pole, vittoria e giro più veloce (!). Nella conseguente gara sprint mancò la doppietta per soli tre decimi. Alex Lynn era praticamente sicuro di vincere il mondiale a Sochi ma Stoneman rimandò la festa, e dato il suo stato di forma poteva essere anche più di una semplice seccatura.

Race 1 podium and results:
1st Dean Stoneman (GBR) Koiranen GP, centre.
2nd Marvin Kirchofer (GER) ART Grand Prix, left.
3rd Alex Fontana (SUI) ART Grand Prix, right.
GP3 Series, Rd8, Sochi Autodrom, Sochi, Krasnodar Krai, Russia, 9-12 October 2014.

Per vincere il campionato avrebbe dovuto replicare il risultato di Abu Dhabi. In gara-1 gli mancò solo la pole, mentre in gara-2 rimase vittima di un contatto al via. Malgrado ciò, concluse secondo in classifica, alle spalle di Alex Lynn, che guidava con la più nota Carlin e soprattutto faceva parte del programma Red Bull. Helmut Marko prese nota.

Quando Lynn lasciò la Red Bull per la Williams, che gli avrebbe garantito un sedile in Gp2, per Stoneman si aprirono le porte per il più prestigioso dei programmi giovanili. In quattro anni Stoneman era passato dall’essere a una settimana dalla morte, a reinventarsi la carriera e infine essere selezionato tra i migliori giovani del programma Red Bull, che gli avrebbe garantito un posto nella Formula Renault 3.5.

Se fosse un film Disney, questo sarebbe il momento in cui alla fine il protagonista vince eroicamente e riscatta tutte le difficoltà degli ultimi anni. Ma la vita è un po’ più complicata della finzione cinematografica.


Malgrado test precampionato molto promettenti, l’anno si sviluppò tra alti (pochi) e bassi (molti). Stoneman ottenne quattro podi, tre arrivi fuori dai punti e quattro ritiri. Il confronto con Olivier Rowland, che vinse il titolo dopo essere andato a podio in quasi tutte le gare, fu impietoso. Il suo sesto posto finale non ebbe alcun valore al cospetto di Helmut Marko; uno stint in Gp2 di cinque gare e un solo punto non cambiò nulla, anzi. La Red Bull gli levò il supporto.

Senza la solidità finanziaria necessaria per continuare nelle serie europee, Stoneman prima corse in America, dove si tolse svariate soddisfazione nella Indy Lights (inclusa la vittoria a Indianapolis), dopodiché trascorse diversi anni nell’endurance, nel Bancplain GT, dove sembra aver trovato la sua dimensione. Dopo diversi anni di lontananza dai primi posti, nel 2020 vince il Trofeo Lamborghini.

A 30 e passa anni un secondo, eroico, ritorno nei piani alti del motorsport è molto difficile, ma Dean Stoneman ci ha già insegnato che nulla è impossibile. 

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya

[Tutte le foto, compresa quella di copertina, sono tratte dal sito www.deanstoneman.co.uk, salvo diversamente specificato]

LA STORIA DEL DRAKE PARTE 12 – FERRARI E FIAT

1969 Anno veramente intenso per la storia dell’umanità: l’uomo sbarca sulla Luna, il 15 agosto comincia a Woodstock una tre giorni di musica rock, cultura hippie ed eccessi, il 29 ottobre, alle 22:30, lo studente Charley Kline effettuò il primo collegamento remoto tra due computer, in funzione rispettivamente presso l’università della California e lo Stanford Research. Il mondo è completamente in fermento.

Per la nostra nazione invece il 1969 sarà un anno durissimo, anno della Strage di Piazza Fontana, anno in cui comincia ufficialmente  l’era degli anni di piombo.

Per quanto riguarda la Formula 1 il 1969 sarà l’anno di nascita di un certo Michael Schumacher. Esattamente il 3 gennaio nascerà a Hürth, in Germania, uno dei piloti più grandi di questo sport (ma questa è un’altra storia).

E la Ferrari?

Avevamo lasciato il racconto della storia del Drake nella mitica cornice del circuito di Daytona. La Ferrari aveva conquistato una bellissima vittoria e lasciava presagire che sarebbe stata allo stesso livello in altri ambiti sportivi.

Purtroppo come ben sappiamo il mondiale a Maranello tornerà solo nel 1975 con il grande Niki Lauda.

L’ultimo titolo mondiale piloti vinto, quello del 1964, vinto da John Surtees lasciava ben sperare ma una crisi tecnica e, ancora prima, finanziaria stava vessando il Cavallino Rampante.

Da questo limbo Il Cavallino Rampante doveva uscire e anche in fretta. Ferrari ha appena rifiutato di collaborare con la Ford e la situazione sembra catastrofica ma c’è, fortunatamente, la soluzione a portata di mano. Il bandolo della matassa può essere sciolto semplicemente giocando in casa.

A spartirsi il bottino dei titoli costruttori saranno: Lotus (1965, 1968, 1970, 1972 e 1973), Brabham (1966, 1967), Matra ( 1969), Tyrell (1971) e McLaren (1974).

 

Era il 18 giugno 1969, una di quelle date che deve rimanere impressa nel cuore e nella testa di ogni ferrarista che si rispetti a questo mondo.

Sono passati cinquantadue anni da quella fatidica data. Il Drake si trovata a Torino, precisamente in Corso Marconi e non era solo, infatti, al suo fianco c’era il fedele amico Franco Gozzi. E proprio insieme a Franco che Enzo salì sino all’ottavo piano della Sede della Fiat.

Di lì a poco si sarebbe tenuto il colloquio con il presidente dell’azienda torinese Gianni Agnelli, all’anagrafe Giovanni Agnelli. Gianni era stato nominato presidente della Fiat il 30 settembre del 1966, non era da molto al timone dell’impresa ma subito mostrò di avere le idee abbastanza chiare.

L’incontro fra i due fu molto proficuo e fu spontanea la nascita dello storico accordo. In base a tale nuova alleanza la Fiat era a tutti gli effetti azionista al 50% dell’intera Ferrari. Ma come facilmente intuibile alla famiglia Ferrari rimaneva una completa e totale indipendenza sulla Gestione Sportiva.

Enzo voleva proprio quello, rimanere autonomo nelle scelte sportive assicurando alla sua azienda comunque un futuro in questo momento di crisi.

La Formula 1, inoltre a livello tecnico, stava diventando uno sport sempre più competitivo e a Maranello serviva stabilità e concretezza, serviva davvero una base sicura su cui appoggiare qualsiasi strategia di sviluppo.

Da una parte la garanzia di fondi per avere un sostegno per migliorare le vetture in questo periodo così complicato, dall’altra la libertà decisionale. Enzo voleva proprio questo per la Ferrari e anche per se stesso. Ferrari finalmente aveva trovato una persona che rispettava la sua figura di costruttore e di appassionato del mondo delle corse.

Dall’altra parte Gianni era una persona altamente lungimirante e sapeva che sicuramente quell’accordo nel futuro gli avrebbe fruttato qualcosa di buono.

Sei anni prima Enzo si era scontrato con la Ford e li aveva bellamente cacciati dalla sua sfera di azione. In questo caso invece Fiat e Ferrari suggellarono alla perfezione i due intenti ed entrarono in simbiosi.

 

Facendo un passo indietro. Ma chi era Franco Gozzi?

 

Franco fu il braccio destro di Enzo.

Direttore sportivo, addetto stampa, direttore della comunicazione, confidente del Drake, insomma un factotum.

Nato a Modena, il 29 novembre 1932, Gozzi, laureato in giurisprudenza, divenne un testimone oculare di parte della storia del Cavallino e del mondo delle corse in generale. Passò la sua vita a stretto contatto con Enzo Ferrari ed è vissuto in un’era storica satolla di personaggi e stelle del firmamento del motosport. Da Ascari a Schumacher, passando per Gilles Villeneuve e Lorenzo Bandini.

Franco entrò nell’ambiente di Maranello alla fine degli anni 50 per aiutare Enzo, impegnato nella scrittura della tesi honoris causa che ricevette nel 1960.

Franco fu ufficialmente assunto il 20 agosto dello stesso anno ed ebbe inizialmente il ruolo di assistente di Gerolamo Gardini,  direttore commerciale.

L’anno successivo, dopo la morte di Von Trips, Gozzi fu nominato responsabile dell’ufficio stampa, ruolo mantenuto con grande senso di serietà a cui successivamente ha associato altre mansioni. Infatti Franco fu anche Direttore Sportivo nel 1968 e per metà del 1970 e con il passare del tempo il suo rapporto con il Drake divenne sempre più stretto.

Personaggio rispettoso, fedele, simpatico era una botte sicura per Enzo Ferrari  talmente tanto che dalla sua bocca non uscì nemmeno un segreto, nemmeno dopo la morte del Drake nel 1988.

Ecco cosa pensava Franco Gozzi di Enzo Ferrari:

(Articolo: “Enzo Ferrari. La vita, il mito, le manie, le curiosità” Di Franco Gozzi, Autosprint n 32/33 del 5 agosto 2008)

“Ferrari era un organizzatore impareggiabile. Il suo capolavoro di conduzione organizzata sono i 10 anni della Scuderia Ferrari negli anni Trenta, durante i quali fece funzionare l’ingranaggio in modo che la Casa madre, l’Alfa Romeo, lo trattasse con favore, i clienti-soci della Scuderia pagassero la macchina con la quale gareggiavano e si assumessero un po’ di spese, e per coprire tutto il resto inventò gli sponsor! Altrettanto talento di organizzatore e amministratore lo sfoderò quando diventò imprenditore, realizzando finalmente il sogno di costruire macchine col suo nome. A questo punto perfezionò le strategie collaudate negli anni della Scuderia e diventò, come lui schiettamente si definiva, un “agitatore di uomini”. Che vuol dire “agitare” gli uomini? Significava mettere a frutto il patrimonio psicologico maturato in lui dopo tante esperienze da pilota, direttore sportivo, uomo d’officina, dirigente, affarista, e se si mette insieme tutto questo ne risulta, per forza di cose un abile, machiavellico gigante in una folla di nani. Ragionava e agiva a un livello superiore, puntava dritto ai suoi disegni rimuovendo, anche spietatamente, qualsiasi contrarietà potesse costituire un ostacolo.”

Gozzi era a tutti gli effetti un eletto alla corte di Ferrari, presente quasi sempre ai pranzi che il Drake organizzava al sabato e passò tutta la sua vita a Modena.

Franco amava talmente tanto il Cavallino Rampante che rimase, anche dopo la sua pensione, attivo all’interno in qualità di assistente e consulente per Montezemolo.

Una vita dedicata per Ferrari e per la Ferrari. Una vita davvero unica. Enzo non poteva scegliere persona migliore con cui condividere questa tappa fondamentale della storia dell’impresa modenese.

Gozzi morì il 23 aprile del 2013.

 

“Ci ha lasciato una figura fondamentale nella storia della Ferrari” – ha detto il Presidente Luca di Montezemolo dopo la sua morte – “Di lui ricordo soprattutto le tante ore trascorse insieme a parlare di piloti ed automobili e gli sono grato per essermi stato vicino quando ero un giovane direttore sportivo della Scuderia. Difficile condensare in una sola parola cosa sia stato Franco per l’azienda: direttore sportivo, addetto stampa, direttore della comunicazione, soprattutto uno dei più stretti collaboratori e confidenti di Enzo Ferrari. Quanto sia stato parte attiva, e non soltanto un suo testimone, della vita della casa di Maranello lo si comprende guardando l’album delle fotografie storiche in cui spesso, lungo un arco di trent’anni, compare accanto al Fondatore: ne era il portavoce o, talvolta, il latore dei suoi silenzi. Chi lo ha conosciuto da vicino e ha condiviso con lui momenti salienti e vita quotidiana dell’azienda ne ricorda l’umanità e l’ironia, chi lo ha incontrato nell’ultima fase del suo capitolo di vita a Maranello ne rammenta la grande capacità di trasmettere attraverso aneddoti in apparenza marginali quei valori che hanno reso la Ferrari un mito in tutto il mondo”

Ecco come lo ricorda Piero Ferrari, figlio del Drake: “Ho passato con Franco tanti anni insieme. Dal 1965, anno in cui entrai a lavorare in azienda, fino a quando lui non ne è uscito. Un periodo lungo quasi una vita, che mi ha permesso di conoscerlo ed apprezzarlo in profondità, sotto ogni punto di vista, umano e professionale. La sua dote più grande era quella di riuscire a non arrabbiarsi mai: aveva sempre la battuta pronta, anche dopo qualche proverbiale strigliata di mio padre”.

Dopo questa piccola digressione ma dovuta su un personaggio così importante per la storia del Drake ritorniamo all’accordo stipulato fra lui e Gianni Agnelli.

Cosa propose la Fiat? Gianni offrì alla controparte lo studio di un nuovo propulsore sportivo, il futuro 6 cilindri Dino, motore che doveva essere utilizzato per i nuovi modelli di Fiat Dino, spider e coupè.

Grazie a questa intesa sarebbe nata anche la Dino che venne realizzata a Maranello. Inoltre Enzo aveva assolutamente la necessità di omologare le vetture di F2 (Dino  166) e, per raggiungere tale scopo, si dovevano costruire 500 vetture di serie motorizzate con il propulsore che aveva ideato Dino stesso.

Enzo e Gianni comunque già si conoscevano, e il rapporto, sebbene non profondo, era stato creato almeno 20 anni prima.  Durante tutto questo tempo si erano incontrati almeno quattro volte. A questi incontri si associa un breve ritrovo per il ritiro di un prototipo dotato di carrozzeria Pininfarina.

C’era stima reciproca fra i due e l’accordo avvenne dopo un parto molto semplice, fu quasi naturale per i due trovare un punto d’accordo. La collaborazione ebbe inizio.

Agnelli oltretutto apprezzava già tantissimo le Ferrari, talmente tanto che ne divenne cliente. La prima che comprò fu la 166 MM Touring Superleggera del 48, successivamente la collezione dell’avvocato torinese divenne più numerosa, fra gli esemplari da lui comprati sono annoverate anche la Testarossa Spider e una 365 P.

 

Ferrari 166 MM Touring Barchetta 1948

(1948 Ferrari 166 MM Touring Barchetta)

Ferrari aveva provato già nel 1937 a chiudere un contratto con la Fiat il cui presidente era allora il professor Valletta ma l’accordo sfumò: l’intento per Ferrari era quello di creare un reparto corse italiano forte per contrastare il dominio tedesco.

Ma questa è storia del passato.

Il tanto sospirato accordo fu raggiunto e iniziò così un sodalizio importantissimo fra due realtà che possono essere definite come le colonne portanti dell’automobilismo italiano.

A Maranello – scrisse Ferrari – io ho dato il nome di una fabbrica di automobili. La Fiat ha realizzato una vera fabbrica di automobili”.

 

Laura Luthien Piras

LE F1 INVISIBILI – PAUL WARWICK

Esiste quella che chiamo la “F1 invisibile”, quell’insieme di personaggi che potevano essere campioni ma che hanno mancato l’appuntamento col Destino.

La storia è opaca. Noi vediamo chi ce l’ha fatta; ignoriamo chi ha fallito. Tutti i miei articoli alla fine parlano di questo: gli articoli sulla F2 mostrano la Storia che si dispiega in tempo reale; questi altri ambiscono invece a dar corpo, sia pure per un attimo, alla F1 invisibile.

Qualunque serio appassionato di storia della F1 conosce Derek Warwick: fu una grossa promessa del motorsport britannico, era veloce tuttavia non rese quanto era lecito aspettarsi. Ma è una figura comunque realizzata, che aveva trovato la sua dimensione e il suo spazio. Stavolta voglio invece parlare del fratello Paul, classe 1969, 14 anni più giovane.

[COURTESY OF THRUXTON.F9.CO.UK]

Mentre Derek esordiva nella massima Formula, nel 1981 Paul iniziava la sua carriera nel mondo del karting. Warwick jr filava forte davvero: diventò campione nazionale Superstox nel 1984 a Ipswich (dopo aver falsificato i documenti per risultare più vecchio e aggirare i limiti di età), East Anglian e British Champion nel 1985 a Wisbech. Nel1986 passò alle monoposto: alla sua prima stagione in Formula Ford 1600 Paul riuscì a vincere otto delle dodici gare della Dunlop-Autosport Star of Tomorrow e, già che c’era, conquistò pure la Townsend Thoresen Junior. Lo stesso ruolino di marcia di un paulista mooolto discusso…

[COURTESY OF THRUXTON.F9.CO.UK]

Nel 1987 Paul approdò in Formula Ford 2000. Il campionato era in declino, senza un grande supporto finanziario e tecnologico; l’annata fu complicata da carenze tecniche e da un ambiente instabile, ma comunque mostrò velocità e solidità. I risultati conseguiti infatti gli permisero di proseguire e di approdare nella F3 britannica con il team che l’anno prima aveva vinto con Johnny Herbert. Entrò nel campionato da gran favorito, tuttavia non andò come sperava, sia per motivazioni tecniche (una cattiva integrazione tra telaio e motore – dico solo che in una gara si ritrovò con il volante in mano) che per una salute traballante, e non andò oltre l’ottava posizione.

[COURTESY OF PINTEREST.COM]

Il 1989 fu simile, malgrado, per l’ennesima volta, un cambio di scuderia avesse fatto ben sperare. Ancora una volta si era trovato nel posto giusto al momento sbagliato: il telaio era peggiore di quello dell’anno prima e il motore era un rantolo. Neanche i compagni di squadra Vincenzo Sospiri e Damon Hill (!) riuscirono a estrarre qualcosa di buono da quella macchina. Gli sponsor si mettevano in mezzo e facevano pressione, i risultati non arrivavano, nel team non si respirava una bella atmosfera. Con tre punti chiuse lontanissimo dai primi, comunque davanti agli illustri teammate, a dimostrazione del suo talento.

[COURTESY OF AUTOMOTORFARGIO.WORDPRESS.COM]

Che fare? Le opzioni a questo punto sono tre: spostarsi in F3000 (la F2 dell’epoca), arretrare nella Formula Vauxhall Lotus o continuare a erodere la sua reputazione in F3. Andare in una categoria superiore sarebbe stato incerto e costoso, retrocedere avrebbe sancito in pratica la sua fine agonistica, pertanto Paul decise di restare in F3. Stavolta, spostatosi in un team dall’ambiente più favorevole, le prestazioni furono incoraggianti, ma ancora una volta fu sopravanzato da piloti meno esperti ma con macchine più supportate.

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Dopo aver meditato di lasciare le corse, riuscì a trovare un sedile in F3000. Era solo una sostituzione per quattro gare e la macchina era una tremenda Leyton House (non che il team non fosse abile, tutt’altro, solo che stavano concentrando le loro risorse in F1), ma fu sufficiente. Senza la pressione opprimente della F3 si mostrò finalmente competitivo e portò a casa i migliori risultati stagionali per il team.

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Aveva retto molto bene l’incremento delle potenze; Nigel Mansell, che in quel periodo gestiva anche una scuderia, rimase colpito e gli offrì un volante per correre nella F3000 britannica, uno dei campionati al vertice delle serie minori. Paul accettò e a questo giro concretizzò l’occasione. Prima gara, pole e vittoria come non accadeva da tre anni. Seconda, idem. Il suo dominio fu strepitoso: nelle prime quattro gare ottenne sempre la pole, la vittoria e il giro più veloce. La F1 e la F3000 Giapponese (campionato prestigioso, all’epoca – fece anche un test) si stavano interessando a lui.

I was gutted and remember thinking ‘for f***’s sake, what do I need to do to beat this guy?” pensò il suo rivale Phil Andrews dopo che, a Oulton Park, per la quinta volta Paul ottenne la pole. In gara si ripetè lo stesso copione: Warwick jr mantenne la testa al via e staccò il gruppo senza fatica. Fino a sette giri dalla fine.

La Knickerbrook è una rapidissima curva a destra che prende il nome dal fatto che, durante la costruzione del circuito, in quel punto venne rinvenuta della biancheria intima femminile (cercate “knicker” sul dizionario). All’epoca lì si toccavano i 260. Oggi è preceduta da una chicane lenta.

A sette giri dalla fine Warwick impostava per l’ennesima volta la Knickerbrook; era in totale controllo della gara, ma il mezzo fli riservò una sorpresa. Un braccetto della sospensione anteriore cedette, e Paul si trovò senza sterzo né freni proprio in prossimità della curva. “There was a puff of smoke from his car and he went straight in to the barrier (…) It just came straight back out from the barrier, but it also went up in the air after the impact and then it just erupted in to flames” raccontò Richard Dean, il più vicino degli inseguitori.

Dean fermò la macchina nei pressi dell’impatto; gli altri piloti pensarono semplicemente che avesse forato sui detriti e tirarono dritti. “I could see the rear of the car but the smoke was so thick it was difficult to see anything beyond that. I tried to feel for the cockpit of the car with my hands but there was just nothing there. I could see the wheel was attached to the rear bulkhead and the front axle was intact but the cockpit opening was just shattered“.

Dean aiutò i commissari a estrarre Paul. L’eroismo fu inutile e non ebbe mai un riconoscimento ufficiale: Paul Warwick fu trasportato in ospedale ma morì subito dopo l’arrivo. La gara fu stoppata e, secondo il regolamento, la classifica da tenere in considerazione era quella del giro prima. Paul Warwick risultò pertanto vincitore per la quinta volta consecutiva; abbastanza per vincere il campionato. Un campione postumo, proprio come era accaduto in Formula 1 a Jochen Rindt, ventuno anni prima.

Dal principio all’epilogo, si era sempre trovato nel posto giusto al momento sbagliato.

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La sua carriera fu dimenticata in fretta. Lasciò un segno solo sulla Knickerbrook, che venne rallentata da una chicane, come di solito accade.

Lorenzo Giammarini, a.k.a. LG Montoya

[Immagine di copertina tratta da au.Motorsport.com]