IL PUNTO DELLA REDAZIONE – ATTO IV

Sono le 08:45 ed i meccanici si presentano a lavoro in anticipo (appuntamento ore 09:00) sia per non rischiare di fare tardi e sia perché c’è l’entusiasmo del primo giorno, visto che da quel momento avrebbero collaborato con un nuovo pilota che era già due volte campione del mondo. I meccanici, appena arrivati, rimangono quanto meno sorpresi  nel vedere il nuovo pilota Ferrari, da poco preso dalla premiata ditta Montezemolo – Todt, già seduto sulle scale ad aspettarli da mezz’ora che gli indica col dito indice, in modo stizzito, l’orologio. In quel preciso istante, tutti capirono che a Maranello il vento era cambiato e che tutta la metodologia di lavoro al quale tutti erano abituati sarebbe stata cestinata in un amen, perché da quel momento si faceva sul serio… con lui si sarebbe fatto sul serio!

In questa ultima settimana dell’anno, dove le illazioni a riguardo delle nuove monoposto, soprattutto a riguardo della Ferrari, aumentano in modo direttamente proporzionale alla quantità di alcool che è stato consumato prima durante e dopo il Santo Natale, l’unica cosa di cui vale veramente la pena parlare è il protagonista dell’aneddoto con il quale ho aperto questo articolo: Michael Schumacher. Purtroppo, in questa Santa Settimana ricorre un triste anniversario che è quello dei dieci anni che sono trascorsi da quel maledetto 29 dicembre 2013, quando Michael, a causa di una caduta dagli sci, batte violentamene la testa, spezzando la sua vita così come l’ha sempre conosciuta… per sempre! Il campione tedesco si era da poco ritirato definitivamente dalla F1 ed iniziava a godersi la sua pensione in maniera tranquilla, senza affanni, senza il pensiero onnipresente che a gennaio avrebbe dovuto riprendere allenamenti e tutto quello che comporta l’impegno nell’affrontare una nuova stagione. Sono trascorsi già dieci anni eppure tutti noi lo ricordiamo come se fosse ieri. All’epoca, sebbene internet non era quello dei primi anni duemila, i social iniziavano ad entrare prepotenti nella vita di ognuno di noi, anche se non erano così scontati come ora, così come gli stessi smartphone nascevano solamente in quel periodo: tenendo presente tutto ciò, lascio immaginare a chi legge, soprattutto a chi all’epoca era un infante, non tanto la confusione delle notizie, quanto l’attesa di una notizia vera che ci dicesse in maniera chiara cosa realmente fosse accaduto e, soprattutto, come stesse. Già, perché è questa la vera domanda da un milione di dollari come si suol dire: “Come sta Michael Schumacher?”. Tutti lo vogliono sapere, soprattutto chi dell’informazione di un certo (basso) livello (click bait e spazzatura del genere) ne ha fatto un mestiere, ed ecco che in questi dieci anni abbiamo dovuto conoscere le peggiori debolezze dell’essere umano, visto che sono stati usati droni per fotografare il campione dall’alto, mentre evidentemente veniva portato fuori per prendere una boccata d’aria, oppure venivano trafugate cartelle cliniche per essere vendute al miglior offerente: una vergogna appunto. Se c’è una cosa che ha contraddistinto la vita di Michael è stata quella di preservare la sua privacy, facendo di questo credo una vera e propria religione, tanto che i suoi adepti (in questo caso la sua famiglia con a capo la sua Corinne e la sua sempre fedele addetta stampa Sabine Kehm) non hanno fatto altro che attuare questo credo. Nessuno sa niente, nessuno lo può vedere, tranne pochissimi intimi come l’amico Jean Todt e Luca Badoer (che da Michael ha ricevuto il dono di essere padrino di battesimo dei figli). Ciò che mi chiedo è: davvero è importante sapere come stia Michael? Il campione è vivo, respira autonomamente e poi cosa c’è da sapere di più in un essere umano che ha subito danni permanenti al cervello? Cosa ci cambia a tutti noi vederlo steso in un letto di ospedale, nella sua casa in Svizzera, con lo sguardo perso nel vuoto, con la morfologia del viso cambiata e chissà con cos’altro? Davvero è importante vedere questo Michael? Se c’è una cosa che un incidente, o comunque una malattia che ti condanna a letto per sempre con qualcuno che ti deve accudire ventiquattro ore al giorno, è che quel malanno ti toglie la dignità, perché ti mortifica nel fisico prima e nell’animo dopo e la sofferenza (specie se non si è in grado di intendere e volere) è solo di coloro i quali gli devono stare vicino, sapendo di essere impotenti nel non poter fare più di quanto è stato fatto sino a quel momento.

Allora ben venga la blindatura che la moglie Corinne ha operato attorno al marito, ben venga il silenzio imposto a tutti, a partire dai figli fino ai quei pochi intimi che possono ancora vederlo, perché a noi appassionati di vedere Michael così com’è ora non solo non ci cambia l’esistenza, non ce ne deve nemmeno fregare nulla perché non sono affari che ci riguardano. Ciò che veramente ci deve premere è ricordare le sue gesta, affinché la memoria non venga mai perduta, è parlarne continuamente e prenderlo come metro di paragone, standard per tutti coloro che vogliono divenire campioni del mondo. In questi dieci anni ne sono accadute di cose durante la sua assenza. In questo periodo abbiamo avuto tre campioni del mondo diversi: Hamilton (che di Schumacher ha eguagliato il numero di titoli), il suo compagno di squadra (quando il campione tedesco era in Mercedes), cioè Rosberg, ed infine Verstappen. Chi si avvicina di più a Michael se dovessimo fare un paragone? Paragone impietoso per i due alfieri della Mercedes: Hamilton, di Schumacher, ha solo il numero di titoli e la storia finisce qui, perché sebbene abbiano entrambi sette titoli, il modo come questi sono stati conquistati, rispettivamente dai due campioni, non può essere assolutamente paragonabile; fosse solo che il numero di GP che si corrono oggi rispetto ai primi anni duemila è aumentato in modo sconsiderato. Nico, che di Schumacher è stato compagno di box avrà sicuramente imparato più che possibile e sicuramente contro Hamilton avrà applicato la lezione della determinazione… sono sicuro che se Schumacher non avesse subito quel terribile incidente, impedendogli di poter stare in un paddock di F1, lo avrebbe festeggiato con piacere genuino. Dei tre campioni citati, quello che più è confrontabile a Michael è proprio Verstappen: ho sempre detto che Max è stato educato alla vecchia scuola e nessuno più di lui, attualmente in griglia, può conoscere meglio la determinazione di Michael, visto che suo padre Jos ne è stato il compagno di box ai tempi della Benetton. Schumacher, da campione quale era, sapeva imporsi in pista come fuori: quando venne a sapere che Todt poteva essere allontanato dalla Rossa, lui lasciò in mutande tutti con quel “Se va via lui, vado via anche io” e allo stesso modo, il campione olandese si è imposto nel non mandare via sua “eminenza grigia” Helmut Marko. La determinazione e la cattiveria dell’olandese ricordano molto quella del tedesco, che di certo in pista non era un santo ed Hill e Villeneuve figlio, ne sanno qualcosa. Resta il rammarico, in questi dieci lunghi anni, che lo Schumacher padre non sia potuto stare vicino al figlio, che con tanto coraggio (si dia a Cesare ciò che è di Cesare), ha deciso di affrontare l’avventura F1, portandosi il peso di un cognome che scotta e pesa. Purtroppo Mick non sia avvicina nemmeno dall’essere un buon pilota di F1, eppure chissà se sarebbe stato così con il padre accanto. Dieci anni… chissà cosa avrebbe pensato, nel vedere cosa la sua Ferrari oggi sia divenuta, la stessa Ferrari che vive di luce propria nonostante le cocenti sconfitte, grazie e soprattutto alle sue gesta.

Caro Michael, manchi maledettamente a tutti noi!

PS

Cari amici, termina un anno lungo e sofferente, sportivamente parlando, anno che ho cercato di raccontare sulle pagine del “Bastian contrario” e di questa nuova rubrica, grazie al prezioso supporto del BLOG DEL RING, nelle persone del direttore Andras e di Salvatore, due amici innanzitutto oltre che un riferimento. Grazie a tutti voi che avete la pazienza di leggere il mio pensiero e di metterlo in discussione continuamente e pacatamente, perché solo così si cresce… con il confronto.

Auguri di buon anno a tutti.

Vito Quaranta