L’aspirapolvere più veloce della storia: la Brabham BT46B

Si dice che la necessità aguzzi l’ingegno. E c’è chi di ingegno, ma soprattutto di furbizia, ne ha da vendere.

Questa è la storia dell’unica monoposto di F.1 che vanti una percentuale di vittorie del 100%, frutto della mente geniale, ma in questo caso soprattutto furba, di Gordon Murray, uno dei migliori progettisti di un’epoca nella quale le auto nascevano dalla matita di una o al massimo due persone, e dove un team fra ufficio progettazione e squadra da inviare sui campi di gara faceva al massimo una decina di persone. Ma questo non impediva di vedere, quasi ad ogni gara, novità strabilianti, tali da far riempire pagine e pagine dei settimanali motoristici che a quei tempi si vendevano in centinaia di migliaia di copie ogni settimana, e raccontavano storie mai banali.

Come avvenne al GP di Svezia del 1978, quando in corsia box si presentarono due auto rosse con due tondi coperchi di bidoni della spazzatura a nascondere il posteriore, e l’intero circus della F1, piloti, team manager, meccanici, a guardare questi coperchi fra il divertito e l’incuriosito, con la scena immortalata dalle cineprese e inevitabilmente tramandata ai posteri.

Ma facciamo un passo indietro per vedere come si era arrivati fino a lì. Da qualche anno la Brabham di Bernie Ecclestone era un team che occupava stabilmente le prime posizioni delle griglie di partenza e delle classifiche finali dei GP. Vinceva qualche gara, impiegando piloti fortissimi come Reutemann, il compianto Pace, Watson, e, dal 1978, il fresco campione del mondo Niki Lauda, il quale aveva lasciato la Ferrari l’anno prima per una questione di soldi. Ma, nonostante i buoni risultati e gli ottimi piloti, di stare in lotta per il Mondiale non se ne parlava.

Eppure le monoposto, a partire dalla originalissima e promettente BT44 del 1974, non erano male. Progettata dall’allora ventottenne ingegnere sudafricano Gordon Murray, si discostava dalle tendenze dell’epoca in materia di design, rappresentando la base concettuale che avrebbe caratterizzato tutte le sue monoposto proprio fino al 1978.

Ma nel 1976 per spingere le auto di Murray fu scelto il pesante e assetato motore Alfa Romeo, in luogo del leggero ed efficiente Ford Cosworth, in ragione di un numero di cavalli in meno del secondo che però non compensava i difetti del primo. Difetti fra i quali c’era anche l’architettura piatta, che aveva il vantaggio di abbassare il baricentro, ma il grande svantaggio di allargarsi verso le fiancate, impedendo al progettista di applicare, già nel 1978, il principio dell’effetto suolo che si era visto in pista l’anno precedente sulla Lotus 78, e del quale, forse per primo fra gli avversari, Murray aveva compreso i grandi vantaggi.

Restiamo nel 1978: avendo capito che quell’anno non ci sarebbe stata competizione, Murray fu costretto, a stagione già iniziata, ad improvvisare una soluzione. Attività nella quale, sia detto per inciso, era molto bravo, come dimostrò nel 1981 introducendo a stagione iniziata i martinetti idraulici, e nel 1982 progettando in poche settimane la BT52 a fondo piatto quando già era in pista e pronta per la stagione successiva la BT51 ad effetto suolo. Ed in entrambe le occasioni vinse poi il mondiale.

Nel 1978, la soluzione furba non era contenuta in un principio della fisica, ma in una frase. Il regolamento dell’epoca recitava più o meno così: “se un dispositivo mobile ha un effetto aerodinamico sulla vettura, è regolare a patto che la sua funzione primaria sia diversa“. Quel “primaria” fu interpretato da Murray e dai suoi collaboratori a proprio comodo, come usava all’epoca fra i cosiddetti “garagisti” inglesi. Il ragionamento era il seguente. Quale è il modo migliore per succhiare l’aria da sotto la vettura (generando una depressione)? Una ventola. Cosa serve per raffreddare i liquidi del motore? Aria, possibilmente forzata sui radiatori con una ventola. Quindi, se dichiariamo che la ventola serve principalmente per raffreddare il motore, e questa incidentalmente crea una depressione sotto l’auto, non abbiamo comunque violato il regolamento.

E così fecero, mutuando un’idea peraltro non originale, perchè si era già vista in pista qualche anno prima nella serie Can-Am, e precisamente sulla Chaparral 2J, la quale era dotata di due ventole posteriori. La Can-Am era una categoria nord-americana molto in voga fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, dove si cimentavano molti piloti e costruttori di F.1. Aveva un regolamento estremamente permissivo, ma le ventole furono comunque bandite perchè avevano la ovvia tendenza a sparare sassi verso le macchine che seguivano.

E nemmeno in F.1 c’era un divieto espresso, la ventola violava solo lo spirito del regolamento, quello spirito che all’epoca pareva esistere solo per la Ferrari. E torniamo così al Gran Premio di Svezia del 1978, dove la rossa Brabham BT46B, dotata del suo ventolone posteriore, rigorosamente adibito al raffreddamento del potente boxer Alfa, si presentò al mondo.

E ovviamente dominò. Subito dopo i primi giri in prova, i piloti capirono che stavano guidando un missile, e gli avversari, soprattutto Chapman e Andretti, iniziarono a sbraitare. Proprio loro che stavano dominando il mondiale facendo uso di un dispositivo mobile con funzione, quella sì, principalmente aerodinamica, e cioè le minigonne. Murray, per non dare troppo nell’occhio, ordinò di fare la qualifica con le gomme più dure a disposizione e il pieno di benzina. Nonostante questo Watson e Lauda si piazzarono in seconda e terza posizione, con il solito Andretti in pole. In gara Andretti tenne il comando per la prima parte con Lauda incollato agli scarichi, ma dopo la metà l’austriaco lo sorpassò all’interno della curva veloce prima del traguardo, a suo dire passando su una macchia d’olio come se questa non ci fosse, e se ne andò a vincere in totale tranquillità. Andretti si ritirò qualche giro dopo con il Cosworth in fumo. E se Watson non si fosse anch’egli ritirato, probabilmente sarebbe stata doppietta.

Dopo la gara fu chiaro a tutti che se la BT46B avesse continuato a gareggiare, avrebbe vinto facilmente le restanti gare, e con esse il mondiale. Aumentò così la pressione su Ecclestone il quale, non va dimenticato, oltre ad essere proprietario del team Brabham, era già presidente della FOCA, l’associazione dei costruttori. Bernie, saggiamente, non volle rischiare defezioni (Chapman aveva già minacciato di andarsene), e ritirò la macchina. Contrariamente a quanto si pensa, non fu quindi la FISA (così si chiamava all’epoca l’attuale FIA) a decretarne formalmente l’esclusione dalle gare, ma Ecclestone a decidere di non farla più correre. Anche se la FISA stessa aveva già deciso di bandire la ventola per ragioni di sicurezza, modificando il regolamento per escludere qualsiasi interpretazione furba.

Inutile ricordare che nelle gare successive la Brabham ritornò nell’aurea mediocrità che l’aveva contraddistinta precedentemente. Lauda  vinse solo la sfortunata gara di Monza, grazie alla squalifica di Andretti e Villeneuve per partenza anticipata. L’anno successivo, con la BT48 ad effetto suolo e il nuovo motore Alfa a V di 60°, i risultati furono pessimi, e contribuirono a spingere Lauda al ritiro dalle competizioni dopo avere effettuato pochi giri nelle prove libere a Montreal, sede della penultima gara. E smise nel momento sbagliato, perchè proprio quella gara segnò l’abbandono del motore Alfa, con grande soddisfazione di Murray, e il debutto della gloriosa BT49 a motore Ford Cosworth, futura vincitrice del Campionato del Mondo 1981, e che si dimostrò immediatamente molto migliore della vettura che l’aveva preceduta.

La vicenda dell’auto con la ventola rappresenta uno dei tanti, clamorosi, episodi controversi che caratterizzarono la F.1 a partire dalla stagione 1978. Mentre la popolarità dello sport aumentava, di pari passo si elevava anche il livello della competizione, e la gara era non solo a chi trovava la soluzione tecnica migliore, ma anche, e soprattutto, a chi era più furbo, e quindi a riuscire ad interpretare un regolamento tecnico stranamente sempre pieno di buchi. Ed è così anche oggi che il regolamento stesso viene scritto dagli ingegneri delle squadre.

Ma almeno le furbate di allora erano visibili e soprattutto comprensibili anche agli appassionati. Quelle di oggi spesso si nascondono nel software di una centralina elettronica, e il loro fascino è decisamente diverso.

P.S.
Ci si può a giusta ragione chiedere come mai non esista un’auto che porti la sigla BT47, mancante nella successione dei modelli al pari della BT51 sopra citata, che invece venne costruita e vide la pista. Ebbene, stando a quanto dichiarato da Murray, avrebbe dovuto essere la vettura per il 1979, con due ventole in stile Chaparral 2J, per di più dotate di geometria variabile. Sarebbe stato interessante poterne vedere almeno il concept, per capire in che modo il genio sudafricano pensava di alloggiare due ventole su una F.1.