Quando la Storia diventa marketing

21 maggio 1950: Juan Manuel Fangio conquista la pole position e vince il gran premio di Monaco distanziando di un giro Alberto Ascari, al debutto con una vettura destinata a fare la storia delle corse: la Ferrari.

Per Fangio fu la prima vittoria in Formula 1 e arrivò alla guida dell’Alfa Romeo, che la settimana precedente, nel primo gran premio della storia, “occupò” il podio con Farina, Fagioli e Parnell. La scuderia italiana vinse inoltre tutte le gare stagionali ad esclusione della 500 miglia (allora in calendario) cui non partecipò  e conquistò il titolo piloti con Farina, concedendo poi il bis l’anno seguente con Fangio campione del mondo nonostante un impiego di risorse piuttosto esiguo. Al termine del 1951 l’Alfa venne ritirata in quanto, anche a causa della crescente concorrenza,  non vi fu l’intenzione di affrontare le ingenti spese derivanti da progettazione e produzione di un nuovo modello.

Il rientro nel Circus avvenne negli anni sessanta attraverso la fornitura di motori per alcuni team, prima di stabilire un accordo con la Brabham; contemporaneamente alla presenza da motorista, che portò un paio di vittorie e alcuni piazzamenti, nacque il progetto di una nuova scuderia, portata al debutto nel 1979 da Bruno Giacomelli. Nonostante le grandi ambizioni e l’impiego di piloti di spessore quali Patrick Depailler (deceduto ad Hockenheim durante una sessione di test) e Mario Andretti, l’esperienza non diede i frutti sperati. La squadra del Biscione, in un derby “tutto italiano” riuscì a giocare comunque un brutto tiro ad Enzo Ferrari, che dell’Alfa era stato un elemento importante sia al volante che in azienda, prima di fondare la propria, togliendosi la soddisfazione di superare il maestro: nel 1980, una delle stagioni più nere del cavallino, nella prova conclusiva disputata a Watkins Glen, con Gilles e Jody in nona e dodicesima fila, la pole fu conquistata da Bruno Giacomelli, che condusse la gara fino al trentaduesimo giro quando fu costretto al ritiro per noie al motore, vedendo sfumare una concreta e storica possibilità di vittoria.

Due anni più tardi fu Andrea De Cesaris a partire al palo sull’ostico tracciato di Long Beach (seconda e ultima pole dell’Alfa del rientro), ma venne fermato da un guasto ai freni dopo un bel duello con Lauda, mentre alcune settimane dopo, a Montecarlo, finì la benzina a pochi Km dal traguardo con la vittoria in tasca; ebbe modo di rifarsi parzialmente l’anno seguente con due straordinari secondi posti, ma il declino era dietro l’angolo e, nonostante l’ingaggio di Patrese e Cheever, provenienti da team di prima fascia, il team chiuse i battenti dopo un paio di stagioni anonime, fornendo poi per alcuni anni i motori alla Osella senza alcun risultato.

L’epopea dell’Alfa Romeo è parte della grande storia della Formula 1, campo di battaglia dove si sono confrontate le grandi case, i team indipendenti che Enzo Ferrari chiamava assemblatori, o addirittura piccoli artigiani e privati. Nel corso degli anni il progresso tecnologico ha portato lo scontro su un piano sempre più professionale, costoso ed impegnativo, mentre l’ingresso prepotente dei media ha successivamente spostato l’attenzione verso fattori distanti dal lato sportivo e romantico che ha sempre contraddistinto i pionieri del motorsport.

I “Competitor”, assortiti tra marchi automobilistici, istituti di credito e produttori di bevande, tendono ora a ragionare più in un’ottica di mercato, cercando ovunque sponde e opportunità di promozione, a confronto con uno sport divenuto show business e con regolamenti “ragnatela” che hanno intrappolato fantasia e sperimentazione, spingendo tecnici e piloti a districarsi alla ricerca di tattiche volte alla gestione dei consumi e dei ricambi più che all’istinto e alla competizione pura.

Non è più l’era delle case contro gli “assemblatori”, si sta tentando più che altro la via dei colossi automobilistici e commerciali con piccole strutture d’appoggio, i cosiddetti junior team,  per la necessità di far maturare i giovani, sempre più spesso sbalzati in “Serie A” giovanissimi saltando le serie propedeutiche ufficiali, oltre alle esigenze di una serie che richiede un numero minimo di partecipanti ma che è in crisi e con essa i piccoli team, sempre in cerca di piloti paganti o appoggi per sopravvivere. Tra le squadre in crisi c’è la Sauber, già di proprietà Bmw per alcuni anni, poi ritornata in mezzo alla griglia con tanta forza ma altrettanti guai, un team che senza troppa fortuna esiste da più di vent’anni, come capitò alla Arrows molto tempo fa, non un’impresa da poco visti i costi e l’impegno richiesto da questo settore.

Una delle ipotesi ventilate è quella di rendere la Sauber un team satellite della Ferrari attraverso il marchio Alfa Romeo, ma i castelli di carta sono destinati a crollare e i nomi non bastano per creare fondamenta solide: le case come l’Alfa o i team di “assemblatori” come la Lotus hanno vissuto la propria storia con la propria dignità, nel bene e nel male, riprenderne l’etichetta per scopi pubblicitari non rende giustizia a nessuno, sia che si litighi per chiamare il proprio indebitatissimo team “Lotus”, sia che si impieghi l’Alfa Romeo come satellite senza forma e contenuti, anche se della Ferrari.

Le vittorie degli anni cinquanta, la pole al Glen, De Cesaris che lotta con Lauda tra i muretti, ma anche e tragedie e le delusioni, sono storie di Gran Premi, è Formula 1, vera ed autentica… E’ sufficiente ricordare per capire che non c’è nulla di buono nell’ipotetico ritorno del biscione senza i presupposti (ormai inesistenti, per ovvi motivi) di un team indipendente e ambizioso, che aveva sicuramente più dignità in fondo al gruppo con Brambilla o Cheever, piuttosto che dipinto sul telaio di un altro team a far da recupero crediti per la spartizione dei diritti televisivi.

Il valore della Storia, nella frenetica era del marketing e dell’apparire a tutti i costi, interesserà ancora a qualcuno? Sicuramente non nel mondo patinato della F1 2.0, sperando che la vicenda della Sauber/Alfa sia solo un ennesimo e noioso spot pubblicitario senza attinenza con la realtà.