LE NON PAGELLE DEL GP DI CITTA’ DEL MESSICO 2024

Ad un occhio poco attento, il GP di Città del Messico (attenzione: non del Messico, tout court, ma solo della capitale) potrebbe essere sembrato una replica dello spettacolo visto ad Austin. Sorpassi, sorprese, doppietta Ferrari. Tuttavia, gli oltre 2200 di altitudine sul livello del mare comportano un’aria assai tersa che non può ingannarci più di tanto e, non senza un pizzico di delusione, ci vediamo costretti ad assegnare un voto più basso al GP corso sull’Hermanos Rodriguez, quantomeno rispetto al GP texano.

Perché? Vi chiederete.

Ebbene, quel che è mancato in Messico e che invece avevo visto ad Austin è stata la tensione strategica. Ma in questo GP non è una novità. Le condizioni di altura così spinte impongono, di fatto, un’unica strategia dettata dalla quasi assente usura per stress delle gomme e dalle impostazioni di assetto obbligate e sostanzialmente identiche su tutte le vetture. L’assetto, naturalmente, dev’essere assai carico per poter sfruttare quel poco di aria che c’è a disposizione e al contempo devono essere allargate le prese d’aria quanto più possibile perché la tendenza al surriscaldamento è inevitabile in quelle condizioni. Non ultimo, l’effetto suolo introdotto nel 2022 qui è meno efficace, il che ha come conseguenza la necessità di gestire la distanza delle vetture come si vedeva nelle deprimenti circostanze, seppur per cause diverse (surriscaldamento più che turbolenze aerodinamiche), di molti GP dell’era precedente. Devo anche confessare, a onor del vero, che l’edizione moderna di questo circuito non mi procura particolari emozioni: l’eliminazione della famosa Peraltada gli ha tolto quel gusto di storia che tanto amiamo in una Monza o in una Silverstone, tanto per fare due esempi noti. Intendiamoci, non si tratta di vuoto quanto inutile tradizionalismo quanto, piuttosto, della intima soddisfazione che si prova nel vedere i migliori piloti del mondo confrontarsi non soltanto tra loro ma anche con le generazioni che li hanno preceduti. E ciò è possibile soltanto se il circuito possiede quel quid di personalità che gli viene attribuito o da un layout rispettoso della storia o da sue più proprie peculiarità che, a prescindere dagli anni che si porta sulle spalle, un circuito a tutto tondo può (o deve) esibire. Monza sarebbe sempre Monza se ne venisse radicalmente modificata la Ascari o le Lesmo? E cosa ne sarebbe di Interlagos, protagonista del prossimo appuntamento di questa stagione, se ci fosse una stretta chicane a metà strada tra la Junçao e la Arquibancadas? A maggior dimostrazione di quanto vado dicendo basti pensare al GP del Belgio a Spa nel 1994: costretti dalle tragiche circostanze di qualche mese prima, i piloti non poterono confrontarsi sul Raidillon Eau Rouge come in passato (e, vivaddio, in futuro) dovendolo affrontare a 80 all’ora in una stretta chicane creata per l’occasione, il che fu piuttosto deprimente. Ebbene, la sostituzione della Peraltada con la breve gimkana immersa tra tribune che è dal 2015 che vediamo piene di tifosi giubilanti, per quanto spettacolare-con-le-virgolette, ha tolto il fascino del passaggio difficile, del passaggio da interpretare, del passaggio problematico che caratterizza quasi tutti i circuiti dotati di forte identità e/o di ampia storia. Che questo non sia un discorso meramente tradizionalistico è dimostrato dal COTA, di Austin in Texas, che abbiamo appena lasciato ancora madido degli emozionati sudori che ci ha regalato, il quale presenta le caratteristiche che, mi auguro, gli regaleranno per tanti anni a venire la reputazione di circuito capace di confrontarsi con i nomi che più amiamo. Al COTA possiamo interrogarci a pieno titolo e senza timore d’essere additati al pubblico ludibrio, sul come vi avrebbero corso Nuvolari, Fangio, Jim Clark, Niki Lauda, Villeneuve, Senna, come l’avrebbero interpretato, come si sarebbero posti in ogni fase del GP, come avrebbero combattuto con gli altri piloti, e così via. Ho nominato il grande Gilles! Sarebbe andato fuori di testa per un circuito come il COTA? O sono solo i miei sogni di bambino che si riaffacciano alla contemporaneità in un singulto di nostalgia? O non è forse proprio per questo, cioè perché capace di farmi e farci porre questi impossibili interrogativi, che il COTA entra di diritto tra i più bei circuiti del circus?

D’altra parte, in questa moderna edizione dell’Hermanos Rodriguez, è assai difficile immaginare un duello Senna-Mansell come nel famoso testa a testa in Spagna nel 1991 (anche per causa del DRS) o la triste corrida tra Villeneuve e Pironi a Imola nel 1982 o, ancora, gli emozionanti duelli che ancora oggi ci regalano la prima variante di Monza e il già citato Raidillon Eau Rouge. Sì, certo, c’è il lungo rettilineo dei box che esita inesorabilmente in tentativi di sorpasso. Ma poiché non è introdotto da una Parabolica o da una Junçaco o dalla vecchia Peraltada si è trasformato in una gara di dragster: stop (nello scenografico stadio) & go. La sola curva 4 riserva emozioni degne di nota, come hanno dimostrato gli odierni duelli tra Perez e Lawson o tra quest’ultimo e Colapinto.

Beninteso: non suoni tutto ciò come pedante bocciatura, il circuito è inserito in un contesto che lo rende comunque interessante e e siamo dunque ben lontani dalla noia di un Abu Dhabi e di Miami o dalle velleità da videogioco delle moderne versioni di Zandvoort o Zeltweg. Si tratta più di una riflessione su quanto sia facile storpiare l’identità di un circuito rincorrendo i pur legittimi interessi dei registi televisivi e, parallelamente, quanto sia facile lasciarsi distrarre dalle contingenze e non riuscire ad ammirare il bello che emerge dalla capacità dei piloti di interpretare al meglio un giro di pista su una Formula 1. Già, il bello: se non ci fosse un’emozione anche estetica queste gare non avrebbero ragione di esistere. Così come un salto in alto alle Olimpiadi o una fulminante stoccata su una pedana di scherma o l’elegante meccanica di un tiro in sospensione sul parquet di un campo di basket anche un giro perfetto in un circuito difficile rilascia questa intrigante emozione. Non è così?

Ma ora siano bandite tutte queste complicate riflessioni e scendiamo in pista con i nostri amati eroi del volante: se le strategie e gli assetti non davano particolari spunti dove avranno trovato, i piloti, le motivazioni per regalarci un po’ di spettacolo-senza-virgolette?

Le cronache narrano di un briefing tra i piloti particolarmente animato e lungo (parecchie ore, dicunt) in cui si sono discussi sino allo stremo le condizioni di regolarità, o meno, dei sorpassi. Certe decisioni prese ad Austin, giuste o meno, sagge o meno, hanno lasciato decisamente il segno. Non mi addentro, non conoscendoli, nei particolari ma l’accordo, quale che esso sia, che ne è uscito portava la firma di 19 piloti su 20: indovinate chi è stato l’unico a non sottoscrivere? La risposta arriverà tra poco.

CARLOS SAINZ

Il buon Carlos regala une delle perle più preziose della sua carriera, seconda (ma solo per spettacolarità) solo a Singapore 2023. Che Carlos fosse in palla lo si è visto già dal venerdì, ove ha potuto evidentemente trovare il miglior bilanciamento possibile su una Ferrari che non pensava di essere così competitiva su questo circuito. D’altra parte si diceva la stessa cosa per Austin e anche lì la rossa ha vinto. Direi che la quadra trovata dalla squadra, unità alla qualità dei piloti e a un muretto meno caotico di qualche anno fa, ha fatto fare quel salto di competitività che i suoi tifosi tanto attendevano. La pole del Sabato è strepitosa, ça va sans dire, e consente a Carlos e ai suoi ingegneri di concepire una strategia di gara più comoda di chiunque altro. Come accennato più sopra, in questo circuito essere in clean air è ancora più importante che in altri. La partenza, in gara, è ottima ma deve fare i conti con lo strepitoso scatto di Verstappen e solo un magistrale controllo sull’erba evita il patatrac. Poco dopo la ripartenza da SC (quella causata dall’incidente di Tsunoda) Carlos non si fa pregare: alla fine del rettilineo esce dagli specchietti di Max all’ultima frazione di secondo possibile e si porta in testa. Di lì in avanti il controllo è totale, da dominio assoluto, da grande della Formula 1. Non solo non sbaglia nulla ma possiede così tanto questo circuito che, pur in controllo, ha un ritmo inarrivabile per tutti, ivi compreso il suo compagno di squadra. Tante volte negli ultimi anni ho esaltato Verstappen proprio per questa capacità di dominare la gara e mi fa piacere poterlo dire anche di Carlos in questa occasione. Chapeau!

NORRIS

Forse non era quello di Città del Messico il circuito in cui la sofisticata aerodinamica McLaren avrebbe potuto rappresentare la leva sulla quale tentare ancora una volta di mostrare la sua superiorità sul resto del gruppo. Tuttavia, eppure un nuovo fondo è stato portato lo stesso. Non ne approfitta in qualifica, il buon Lando, sorpreso più dalle performance di Sainz che non da quelle di Verstappen. Al via della gara si tiene fuori dai guai e si piazza comodamente in terza posizione. La sua gara cambia poco dopo la ripartenza da SC, quando Sainz supera Verstappen. Lando sa che quella è la sua occasione. Gli basta poco per mettere Max nel mirino e tentare un attacco che pare alla sua portata. E sembra aver imparato qualcosa da quanto accaduto a Austin: al giro 10 attacca all’esterno di curva 4 stando bene attento a tenere, guarda caso!, il muso davanti mentre passavano l’apex della curva. La prevedibile e durissima resistenza di Max lo costringe a tagliare la curva e ridare la posizione su Sainz ma NON a Max, sicuro delle sue ragioni. La raggiunta seconda posizione, immediatamente alle spalle di Sainz sembrano preannunciare un lungo testa a testa con l’alfiere spagnolo della Ferrari ma non fa in tempo a finire il ragionamento che dopo due curve Max tenta un impossibile sorpasso all’interno del “mini-snake” che porta entrambi fuori pista. Per Max questa manovra sarà un gran problema, come vedremo, ma per Lando ciò significa tornare dietro all’olandese (e a Leclerc che aveva approfittato della situazione). Le sue speranze di vittoria si spengono lì: per una quindicina di giri, decide di non attaccare più Max, un po’ perché “frenato” dal suo muretto preoccupato di gestione gomme e temperature e un po’ perché sa che questo Max non avrebbe esitato a far uscire entrambi dalla gara. Quando poi questi va ai box e sconta la sua maxi-penalità la gara per lui diventa tutta in discesa nonostante il distacco notevole dai primi. Il ritmo, infatti, è ottimo e riesce nel finale a superare Leclerc piazzandosi in un’ottima seconda posizione. Al di là del risultato, che se pur gli fa guadagnare punti non pare ancora in grado di dargli speranze mondiali, la cosa più positiva del Messico è per lui vedere RBR in grande difficoltà prestazionale e un Max forse più agitato di quanto dovrebbe essere. È questo, e non la matematica, a tenere ancora acceso il suo recondito desiderio.

LECLERC

Di fronte al sontuoso Sainz di Città del Messico anche il volenteroso Leclerc deve inchinarsi. Nelle interviste post-gara lascia intendere che aver mancato la prima sessione di prove libere (il suo posto era occupato da Bearman) non gli abbia permesso di trovare il miglior bilanciamento possibile. Pare una scusa ma vista la differenza di performance con Sainz, sia in qualifica che in gara, forse non ha tutti i torti. Magari non gli avrebbe consentito la vittoria ma più facilità nel conservare la seconda posizione? Difficile esserne certi. La sua qualifica è buona ma non strepitosa come suo solito e la stessa cosa si può dire della sua gara. Sennonché la Ferrari di questi tempi viaggia a velocità di crociera sufficienti per agguantare il podio anche se non si è al massimo della forma. Infatti, la sua gara non presenta particolari rilievi fino al momento in cui, nel finale, viene raggiunto da Norris. La sua resistenza è vanificata dal rischiosissimo passaggio sull’ultima curva in cui stava per mandarla a muro. Il controllo magistrale esibito in quell’occasione vale tutto il week end. Si toglie anche la soddisfazione del giro veloce grazie all’apposito pit del penultimo giro: per come era andata la stagione prima di qualche GP fa, vedere Ferrari poter pittare comodamente al penultimo giro per fare il fastest lap significa vederla a oltre 30 secondi di vantaggio dagli inseguitori: l’avreste mai detto a inizio stagione? Niente altro da aggiungere.

HAMILTON-RUSSELL

La gara degli alfieri di Stoccarda ha il sapore di un viaggio in un limbo tutto loro. Appaiati sia in qualifica che in gara non hanno alcuna possibilità di contendere la posizione a chi li precede né sono impensieriti più di tanto dal ritmo di chi li segue, ivi compreso il Max Furiosus post-penalità. Il duello che li vede impegnati nel finale è pesantemente inficiato dalla volontà di non fare disastrosi patatrac, con Russell alle prese con una piccola difficoltà dovuta ad un’ala anteriore smollata nei suoi flap a sinistra e un Hamilton cauto come se stesse per avere un duello in stile 2021 con Max. Niente ordini di scuderia, del resto, perché era ben chiaro che Verstappen non era assolutamente in grado di raggiungerli. Verso la fine l’eptacampeao riesce nella manovra e si porta a casa lo scambio di posizioni e una posizione ai piedi del podio frutto più di circostanze contingenti che di veri meriti. Mah!

VERSTAPPEN

L’avevate indovinato? Ecco chi è l’unico pilota a non aver firmato il documento della GPDA del venerdì. L’aria rarefatta di Città del Messico, unita alle polemiche di Austin, ha dato i suoi sgangherati frutti! Sarebbe facile continuare con le battute ma il nervosismo di Max è spiegabile più con la mancanza di competitività della sua RBR che non con altro. Malelingue a parte (anche se ce ne sarebbe ben donde…), il passo del gambero che RBR sta facendo in questi GP viene amplificato dall’Hermanos Rodriguez oltre ogni più nera aspettativa. Con Perez, eroe di casa, ancora più nei bassifondi della qualifica (e poi della gara) di quanto già non ci si attendesse e Max alle prese con assetti enigmatici (nelle FP ha girato poco) il secondo posto in griglia ottenuto al Sabato ha del miracoloso. È certamente frutto del suo smisurato talento che però nulla può in gara di fronte al maestoso Sainz visto oggi. Come già ad Austin è subito evidente che Max è ben determinato a perseguire la strategia di controllo su Norris. Solo che nel retrobox di RBR non hanno evidefnemente le idee molto chiare. Controllare Norris non significa solo provare a tutti i costi a stargli davanti ma anche stargli immediatamente dietro. O, magari, è proprio questo che hanno provato a dirgli nel retrobox ma il retrocranio di Max, pieno di azoto liquido come nei peggiori film di corse sfornati da Hollywood, non l’ha ben compreso. L’episodio incriminante, in questo senso, al 10° giro non è tanto il primo tentativo di resistere a Norris in cui, peraltro, viene beffato dalla stessa modalità che lui stesso aveva furbescamente applicato ad Austin, quanto il secondo velleitario tentativo di sorpasso poche curve dopo, nel “mini-snake” in cui si rende protagonista di una manovra che non esito a definire “demenziale”. Le immagini parlano chiaro e le penalità comminate sono altrettanto indicative: basta così, Max, per favore! La strategia di marcare a uomo Norris va bene anche stargli immediatamente dietro, no? E allora se avesse serenamente accettato il sorpasso di Norris avrebbe potuto conservare la terza posizione fino alla fine o, alla peggio, finire quarto limitando la perdita di punti dall’inglese. In ottica mondiale può permettersi perdere più di dieci punti a gara ed è solo questo che conta. Invece così è costretto ad un recupero rischioso e difficile e si porta in una sesta posizione finale che, viste le Mercedes impalpabili, doveva essere migliore. Questo nervosismo, unito alle difficoltà tecniche del suo mezzo, è il suo nemico più grande.

MAGNUSSEN

I voti per il coriaceo Kevin sono ai massimi da quando fece la pole in Brasile nel 2022. Già ad Austin si era visto in grande forma e solo per colpa di una strategia suicida non è andato a punti. Il week end messicano invece lo vede protagonista piacevolmente inatteso grazie a una qualifica strepitosa che lo colloca sulla settima casella ad nulla da Hamilton e ad una gara di altissimo livello che, stavolta con una strategia appropriata, gli consente di confermare la posizione in griglia. Se là davanti non ci fosse stata la straordinaria volata di Sainz non esiterei ad assegnare al buon Kevin l’onore dell’MVP di giornata anche perché ha eclissato, contrariamente al solito, il suo pur ottimo team mate. Quel che più ha impressionato della sua gara è la seconda metà in cui il suo ritmo è decisamente migliore dei tre che ha davanti. Sia Verstappen, infatti, che i due Mercedes giravano circa mezzo secondo più lenti del nostro Kevin. Questo la dice lunga sia sulla sua prestazione sia sui miglioramenti che Haas ha portato in Messico. Dispiace un po’ rilevare che i due migliori interpreti di questo week end vedranno la loro carriera azzoppata nel 2025: Sainz perché costretto dalle circostanze ad accasarsi in un team di poche pretese e Magnussen addirittura fuori dal circus. È un vero peccato.

PIASTRI – voto 4

In un week end importantissimo, viste le difficoltà RBR, Oscar decide di autoeclissarsi. Che sia capace di grandi cose lo ha già ampiamente dimostrato. Ora, però, deve dimostrare anche la dovuta continuità. Il campionato costruttori sembrava cosa fatta per McLaren ma con un Oscar così e le Ferrari così pimpanti non ci metterei la mano sul fuoco. Pessime prestazioni come questa influiscono di riflesso anche su quello piloti: un Piastri “normale”, in questa gara, avrebbe tolto ulteirori punti a Verstappen. Male!

HULKENBERG

Anche Hulk beneficia dei miglioramenti portati da Haas ma è parso decisamente più in difficoltà rispetto a Magnussen.

GASLY

Onestamente, preso dalle vicissitudini degli altri piloti, non ho posto molta attenzione alla gara di Pierre Gasly. Mi limito quindi a rilevare il risultato che è eccellente dato il mezzo che si ritrova.

NOTE DI MERITO

Albon sembrava aver reagito bene alla “febbre Colapinto” prendendosi il Q3 di forza e rimettendo l’argentino al suo posto. Purtroppo per lui la foga di Tsunoda gli è stata fatale dopo pochi metri dal via.

Per una volta do qualche merito a STROLL, l’avreste mai detto?, il quale, pur non andando a punti, ha corso in modo intelligente destreggiandosi con sagacia in mezzo alle peripezie del centro gruppo e strappando una posizione, la undicesima, che non sembrava assolutamente alla sua portata.

NOTE DI DEMERITO

Tsunoda non sarà tecnicamente responsabile dell’incidente capitatogli al via ma moralmente sì: è stato troppo pretenzioso nell’avvicinarsi senza frenare all’imbuto della prima curva e ne ha pagato pesantemente le conseguenze. Il demerito è tanto più grande se si guarda ai prodromi della gara che vedevano il team di Faenza piuttosto in palla.

Lawson è stato molto, troppo combattivo finendo per perdere il filo di una gara che avrebbe potuto essere decisamente migliore

Di Perez e del suo declino si è già detto tanto. Mi limito a sottolineare che se la tanto attesa gara di casa (dove pure in passato si era espresso a ottmii livelli) rappresenta il punto più basso dei suoi anni in RBR allora è giunto davvero il momento di dire stop. Forse il Brasile è troppo vicino ma Marko ci ha abituato a tutto…

 

Ci vediamo a Interlagos!