MIT’S CORNER: TRASFERIMENTI E CLAMORE

 

Per gli appassionati la Formula 1 non è mai davvero noiosa. Di certo non lo è durante un Gran Premio, non lo è durante le Qualifiche, non lo è nemmeno mentre le vetture sono ferme ai box perché sanno interpretare adeguatamente la frenesia dei meccanici intenti a cambiare le gomme o un alettone danneggiato. Figuriamoci poi quando le vetture procedono a rilento e in fila indiana dietro alla Safety Car: la spasmodica e trepidante attesa che segna i momenti in cui i piloti si avvicinano al momento della ripartenza è impareggiabile.

I non adepti, manco fosse una setta, fanno molta fatica a comprendere e se si prova a spiegare loro il senso di quanto sta accadendo e il perché è emozionante ci si ritroverebbe immediatamente oggetto di dileggio e scherno…

… quando va bene! Perché in casi siffatti, è plausibile supporre che a molti lettori di questo blog sarà capitato di leggere indifferenza negli occhi dei propri interlocutori e di percepire una ben poco vaga aura di umiliazione. Sarò nel giusto nel giudicarla peggio del dileggio?

Nonostante ciò, diventa tutto più facile quando si ricorre all’analogia e, con nessuna attenzione per la dovizia di particolari, all’utilizzo dell’aggettivo clamoroso.

Clamore – dal verbo latino clamare=gridare.

Nella Formula 1, il totopiloti, come il cosiddetto “calciomercato”, non è solo un balletto di cifre folli e barbe finte. È un’arena di intrighi, di passioni infuocate e di colpi di scena degni di una telenovela messicana. E quando un pilota decide di cambiare scuderia, il boato del paddock è assordante.

Perché un trasferimento di un pilota può essere considerato clamoroso? Le ragioni sono molteplici. C’è l’effetto domino che può scatenare, con una tessera che ne fa cadere altre in un vortice di cambi di casacca. C’è il tradimento percepito dai tifosi, quando il loro beniamino passa al nemico giurato. C’è il potenziale scontro tra titani, quando due campioni si ritrovano nello stesso team.

Insomma, un trasferimento clamoroso è come un terremoto che scuote le fondamenta del Circus. Un terremoto che può creare nuove gerarchie, accendere nuove rivalità e dare vita a storie epiche che rimarranno impresse nella memoria degli appassionati.

Quindi clamoroso è un fatto che grida da sé l’importanza dell’eco che fa risuonare.

E quanto più il fatto che desta l’eco è inaspettato tanto più è clamoroso.

È sufficiente richiamare in analogia questo clamore e anche il meno esperto potrà finalmente capire. Un Lionel Messi o un Lebron James che cambiano squadra meriterebbero lo stesso clamore, vista l’età e il palmares accumulato dai due campioni di Calcio e Basket.

E quindi eccoci:

Notizia clamorosa! Lewis Hamilton passa dalla Mercedes alla Ferrari!

Poteva esserci di meglio per noi appassionati? Quanto fa e farà discutere questa mossa? Se poi pensiamo che il trasferimento non è immediato ma avverrà nella stagione 2025 allora ecco confezionato il delitto, mediatico, perfetto! Una stagione intera per mettere sotto il microscopio ogni giro del campione, ogni dettaglio tecnico della vettura che lo accoglierà, ogni sopracciglio alzato dal presente e futuro compagno di squadra. Per non dire poi del defenestrato: povero (povero?!) Carlos Sainz che tanto ha dato alla causa (non ultima l’emozionante vittoria a Singapore) in questi anni e deve far posto all’attempato pluricampione di Stevenage. Come si comporterà? Studierà una vendetta tipo il Dottor Destino contro i Fantastici 4? Oppure si metterà di buzzo buono a far vedere le sue qualità per strappare un ingaggio importante per il 2025? E Leclerc? Non si farà intimorire dal palmares epocale del compagno di garage? Accetterà la sfida sperando di pensionarlo definitivamente? E se poi, invece, fosse lui a prenderle? La sua carriera sarà compromessa?

È tutto bellissimo e interessante, financo appassionante. Chiacchiere da bar e al contempo analisi interessantissime si sprecano nell’agone mediatico legato alla Formula 1. Ne godremo assai.

Orbene, tanto è clamoroso questo trasferimento quanto misteriose le vie che ne hanno permesso la realizzazione. Ma anziché lanciarmi in improbabili dietrologie, del cui dolce gusto, sia ben chiaro, non sono affatto scevro, mi domando quando e quanto, nel passato di questo nostro amato (odi et amo?) sport, si è assistito a qualcosa di simile.

Senza alcuna pretesa analitica, ritrovandomi a scorrere la storia della Formula 1 in cerca di episodi analoghi a quello di cui oggi tutti parlano, non mi sono affatto sorpreso quando non ho trovato nulla di paragonabile prima del clamoroso addio di Niki Lauda alla Ferrari nel 1977.

L’epoca, la cui epica è resa tale dalla fumosa e indistinta patina del tempo, che va dal primo campionato dal mondo ufficiale del 1950 al litigio di Sua Santità (copyright Andras) con il vecchio Enzo del 1977, era contraddistinta da trasferimenti rapidi e perlopiù indolori. Piloti e scuderie erano ben consce che ogni GP poteva essere l’ultimo e la permanenza di un pilota in una scuderia era legata a fattori che molto poco avevano a che fare con l’economia. Dinastie pilota/macchina come quelle viste in tempi recenti (Schumy/Ferrari, Vettel/RBR, Hamilton/Mercedes e ora Verstappen/RBR) non c’erano, non potevano esserci e quando assumevano connotati che potevano preludere a quanto visto negli ultimi vent’anni (JimClark/Lotus) venivano interrotte da un tragico destino sempre, ahimè, in agguato.

Pensate al magnifico Juan Manuel Fangio!

Il campionissimo dei campionissimi ha vinto 5 campionati del mondo di Formula 1 ogni volta con una vettura diversa! Nel 1951 con Alfa Romeo; nel 1954 ha fatto i punti necessari guidando addirittura per due diverse scuderie, Maserati e Mercedes; nel 1955 con Mercedes; nel 1956 con Ferrari e infine nel 1957 di nuovo con Maserati. Oltre alla necessaria deduzione di quanto fenomenale fosse come pilota non possiamo fare a meno di godere della sua sagacia nello scegliere di volta in volta la vettura più performante e trarne i dovuti benefici. Quanto è stato diverso da uno dei nostri attuali beniamini che con Fangio condivide l’idioma natale?

Fangio in rosso nel 1956

Negli anni 60 il trend dei piloti che cercano le migliori scuderie continua ma ancora senza il clamore che qui stiamo cercando. Nel 1966 le cronache riportano dissidi tra John Surtees e il Vecchio, reo di aver avallato la sua esclusione dalla squadra di LeMans, che portarono ad un divorzio intra-stagionale poco utile per entrambi. Lo stesso 1966 fu l’ultimo anno di Graham Hill in BRM che cambiò garage tornando dall’amico Chapman accettando il confronto con lo “scozzese volante” ignaro del destino crudele di quest’ultimo che lo avrebbe poi proiettato (nuovamente) in cima al mondo nel 1968. In quello stesso 1968 Hill, dopo la tragica scomparsa di Jim Clark, si ritrovò a duellare al vertice nientemeno che con Jackie Stewart, appena passato, non troppo clamorosamente, dalla decadente BRM sotto l’ala protettrice di Ken Tyrrell.

Brits rule!

 

Tutti i “campionissimi” appena citati, benché protagonisti di diversi e persino numerosi cambi di casacca, non hanno fatto parlare di sé per i trasferimenti da una squadra all’altra quanto, piuttosto, per le imprese portate a termine sui tanti circuiti su cui hanno gareggiato. C’è da dire che i “media” si occupavano di Formula 1 quale una delle tante espressioni del motorsport. Come molti di voi sanno, negli anni 50 e 60 le gare di durata e rally occupavano praticamente lo stesso spazio della Formula 1. L’eventuale clamore di un trasferimento da una squadra all’altra non suscitava certo l’eco che invece avrebbe suscitato una vittoria in una gara importante o di un campionato del mondo, quale che esso fosse. Il “colore” attorno al circus, anche mediatico, si soffermava sull’atteggiamento molto british di un Graham Hill o di un Colin Chapman tanto quanto sulla vena autoctona del Vecchio che attirava su di sé tutte le attenzioni della stampa italica pervasa dall’entusiasmo collettivo del Boom economico. Tuttavia, stagioni agonisticamente entusiasmanti e un progresso tecnologico sempre più spinto fecero sì che nell’ultima parte dei 60 si vide la Formula 1 cominciare a prevalere sempre più nell’interesse dei media e in quello degli sponsor. Le case automobilistiche intravidero nella Formula 1, più che in tutti gli altri tipi di competizione del motorsport, il veicolo più formidabile sia per far valere la propria capacità di innovazione tecnologica sia per organizzare in modo sempre più scientifico, se così si può dire, il marketing della propria offerta commerciale. Delle tante date che potrebbero rappresentare l’inizio di questo percorso intrapreso dalla Formula 1 a me piace indicare quella del 24 Ottobre 1965, data in cui Richie Ginther, nel Gran Premio del Messico, portò il Team Honda Racing alla prima vittoria nel circus. Ad appena un anno dall’inizio dell’investimento del costruttore nipponico in Formula 1 questa vittoria fu il simbolo concreto di come si potesse approcciare uno sport così romantico con lo stesso rigore con cui si approccia la programmazione di un investimento industriale.

Ginther – GP del Messico 1965 – prima storica vittoria di Honda

La coeva rivalità tra Ford e Ferrari nell’Endurance o quella tra i “garagisti” inglesi nelle Formule non era nulla di paragonabile, intrise com’erano del senso romantico della sfida cavalleresca da un lato e di sfogo ormonale dall’altro. Quella vittoria della Honda la si potrebbe persino definire spartiacque se non fosse che il processo di industrializzazione della Formula 1 è poi durato molto a lungo protraendosi con diverse fasi nei due decenni successivi. Di certo, comunque, quella simbolica vittoria non sfuggì ai protagonisti dell’epoca. Ford intraprese lo sviluppo del motore Cosworth che già nel 1967 fu portato alla vittoria da Jim Clark. Ferrari intraprese le trattative con Fiat che culminarono nel 1969 con la vendita del pacchetto azionario in cambio di investimenti. De Gaulle, in Francia, stanziò una cifra spropositata per consentire all’industria francese di primeggiare nel motorsport e di cui beneficiò Matra con le vittorie in Formula 1 insieme a Tyrrell e Stewart nel 1969 e poi nel mondiale prototipi con vittorie multiple a Le Mans e nel mondiale stesso negli anni tra il 1972 e il 1974.

Il processo fu lungo, per l’appunto, e si protrasse per parecchi anni. Quel che importa, ai fini di questo discorso, è che il progressivo impegno delle principali case automobilistiche nel motorsport ne cambiò i connotati in modo importante. L’attenzione degli sponsor, sempre di più e sempre più munifici e dei media crebbe a dismisura e con esso l’attenzione del pubblico.

Il che ci porta al clamore.

Le straordinarie imprese dei protagonisti che ho citato prima facevano parlare di sé, certamente, ma solo nei vaghi resoconti scritti delle riviste specializzate e nelle uscite glamour di qualche piazza ben introdotta nel jet-set internazionale. Non erano nulla al confronto dell’attenzione che si è generata progressivamente negli anni 70 grazie all’entrata di tanti sponsor e alla TV. Già, la TV. Dei tanti eventi allora più o meno di pari importanza che il motorsport offriva la Formula 1 era il più adatto al mezzo televisivo. Il Gran Premio durava tra le due e le tre ore, ce n’erano una dozzina in stagione e ben si prestavano all’organizzazione televisiva dell’evento. Non lo stesso si può dire delle gare Endurance che duravano tra 8 e 24 ore o dei Rally che addirittura duravano una settimana e più. Sicché la TV si concentrò sulla Formula 1. Il circolo virtuoso (o vizioso se vogliamo…) si innestò prepotente: più investimenti delle case automobilistiche, più sponsor, più attenzione, più tv, quindi più soldi, quindi più investimenti, più sponsor più attenzione e così via. Tutto questo fu aiutato da stagioni che dal punto di vista prettamente agonistico furono tutte straordinarie. La lotta serrata tra costruttori, scuderie e piloti diede vita ad annate memorabili di cui ancora oggi ne si tratteggia lo svolgimento con un racconto che non esita neanche un secondo di fronte all’utilizzo di un vocabolario preso a piene mani dall’epica cavalleresca o da quella romantica.

A questo punto, con tutta questa attenzione, con tutti questi soldi e con tutta l’importanza assunta dal Circus è evidente che un fatto in precedenza poco o nulla significativo come il passaggio di un pilota da una scuderia all’altra cominciava ad assumere ben altro significato che in passato.

Già, perché, se prima, alle spalle del suo ingaggio, un pilota vedeva nulla più che un mero percorso agonistico ora, invece, era diventato il punto più avanzato di un investimento fatto non solo dalla scuderia ma dalla trafila di soggetti che le stanno dietro. Non c’è più il senso romantico della sfida che viene realizzata in comunione d’intenti dai piloti, i meccanici, gli ingegneri e il patron della scuderia. Ora ci sono gli sponsor, le Case, i media, persino i tifosi che non sono lì solo a guardare ma a creare qualcosa che fino ad allora era gestito solo dietro la saracinesca abbassata del garage: l’aspettativa.

Il pilota e la scuderia non corrono più per se stessi ma per soddisfare tutta la pletora di investitori, a vario titolo, che pretendono da loro dei risultati. L’aspettativa e la pressione aumentano a dismisura e non c’è più nulla che possa mitigarne l’influenza, non foss’altro che in termini di pressione esterna.

Ecco, quindi, che ogni evento legato all’asset organizzativo dei partecipanti al Campionato del Mondo di Formula 1 assume un rilievo che prima non aveva. E, ça va sans dire, i piloti finiranno per ricevere le maggiori attenzioni perché più facili da trattare mediaticamente, perché sono comunque quelli che rischiano di più, perché inevitabilmente sono quelli che più entrano nel cuore degli appassionati (con l’ovvia aggiunta del Cavallino Rampante).

Si arriva così al primo clamoroso voltafaccia di questa nuova epoca della Formula 1, al primo evento mediaticamente clamoroso, nel senso che spero si sia tratto da tutto questo discorso, e che ha dato la stura a tanti successivi di cui quello di Hamilton di questi giorni è solo l’ultimo. Stiamo parlando nientepopodimeno che di Niki Lauda e il suo clamoroso addio alla Ferrari del 1977.

Non è questa la sede per raccontare i come e i perché di quel clamoroso addio: essi meritano un racconto a sé. Quel che è importante sapere è che Niki Lauda e la Ferrari, prima della clamorosa rottura erano un vero e proprio binomio, letto come tale da tutti gli appartenenti al circus, da tutti i media, da tutti gli investitori e da tutti gli appassionati, tifosi e non, della Formula 1 del tempo. Le straordinarie imprese ottenute dal 1974 al 1977 da questo binomio sono leggendarie e il clamore suscitato da quel divorzio aleggia ancora nell’aria ogni volta che capita qualcosa di simile.

Il senso più profondo di quella repentina divisione e il motivo per cui suscitò tanta eco è l’inevitabile conseguenza del processo che era in corso in quegli anni e che stava velocemente trasformando la Formula 1 in uno sport di massa. Se la verve dei protagonisti era ancora romantica (tutti i piloti di allora erano cresciuti all’ombra dell’epoca precedente) le aspettative di chi li circondava non lo erano più. I media e gli investitori non erano più in vena di racconto, nonostante la facciata, e le pretese che riponevano nei protagonisti stavano assumendo caratteristiche “industriali” che di romantico non avevano nulla. Investimenti, pianificazioni, strategie tutto questo era in gioco nel binomio Lauda-Ferrari, certamente non come lo sono al giorno d’oggi ma quel binomio era il primo esemplare di quelli che vediamo già da tempo ormai in F1 e fu straordinariamente vincente. Ora, con quell’addio, il giocattolo, se mai così lo volessimo chiamare, si era rotto. Anzi, si era clamorosamente rotto!

E da allora nulla fu più come prima.

Lauda al top

Il divorzio tra Sua Santità e Ferrari non fu buono per nessuno dei due. Niki galleggiò nel limbo per qualche anno per poi cantare come un cigno nel 1984. Ferrari non riuscì a vincere nel 1978 (ma chissà? Con Lauda? La T3 non era per niente male) e sebbene il 1979 sia stato straordinario sappiamo che poi le delusioni si sono protratte per i 21 anni successivi.

Di altri divorzi clamorosi farò ora un breve riassunto.

1984 PROST da Renault a McLaren

Quando nel 1981 Prost si accasò in Renault sembrava che finalmente gli investimenti del costruttore francese in formula 1 potessero portare i frutti sperati. Tuttavia, nonostante un buon numero di vittorie di tappa e ben due mondiali persi all’ultima gara, il francese si ritrova ai ferri corti con la squadra e decide, clamorosamente, di spostarsi (in realtà è un ritorno) in McLaren. Il clamore è dovuto al fatto che Renault nel 1983 è molto più forte di McLaren (giunta solo 5° nel costruttori) e sembrava una scelta non consona alle sue ambizioni. Se a ciò aggiungiamo che Prost era ben sostenuto, in patria, da Elf e dai fondi statali, è evidente che la scelta è stata decisamente radicale.

L’ultima di Prost con Renault – Austria 1983

Com’è andata?

Be’, facile. Prost ci ha guadagnato tutto: perde il mondiale 1984 per mezzo punto contro il suo compagno Lauda (a causa del celeberrimo Montecarlo di quell’anno…) ma poi fa suoi i mondiali 85-86 e 89, senza dimenticare il quarto posto dell’87 e il secondo posto del’88 (solo per via degli scarti…). La Renault, invece, è affondata. Nell’84 Warvick e Tambay raccolgono una manciata di podi e miriadi di ritiri facendo precipitare nel costruttori al 5° posto. Ancora peggio nell’85 con 7° posto nel costruttori che prelude al definitivo ritiro.

Il simbolico momento in cui iniziò la rivalità tra Senna e Prost

1986 PIQUET da Brabham a Williams

Il connubio tra Nelson Piquet e Brabham pareva inossidabile. Tolta l’annata di esordio (1979 – anche se aveva già corso qualche gara l’anno prima) Piquet in Brabham centra almeno una vittoria in ogni stagione, coglie due vittorie mondiali e un secondo posto. L’ultima stagione in Brabham lo vedeva arrancare e nonostante alcune zampate da fuoriclasse il buon Nelson tratta non tanto segretamente con Frank Williams per accasarsi sulla vettura che stava rapidamente progredendo nel ranking mondiale.

La BT54: bella ma fragile

Com’è andata?

La scelta di Piquet fu azzeccatissima: perde il mondiale 86 all’ultima gara (e con non poche polemiche con l’altra metà del box) ma si aggiudica da vero campione quello 87. Brabham, invece, inizia un declino che finirà mestamente con il definitivo ritiro nel 1992.

Un podio mica male!

1988 SENNA da Lotus a McLaren

L’esperienza di Senna nelle tre stagioni in Lotus (85-86-87) è stata esaltante. Pur con una vettura che ogni anno doveva cedere qualcosa rispetto ai futuri vincitori riusciva sempre a dire la sua riuscendo anche in alcune fasi a trovarsi in testa alla classifica mondiale. Tuttavia, il campionissimo di San Paolo aveva perfettamente capito che continuare in quella scuderia sarebbe sempre stato un calvario e nel suo ultimo anno di permanenza in Lotus smanovrò, mi si passi il termine, abilmente con i giapponesi fornitori del motore per farsi spingere a forza in McLaren l’anno successivo. L’annuncio verso fine stagione fu clamoroso, sì, ma non troppo.

Odi et amo

Com’è andata?

Senna si issa definitivamente nell’olimpo della Formula 1 e la Lotus entra nel definitivo declino che si conclude mestamente nel 1994. Nel 1988 Senna sfodera una stagione da urlo, con prestazioni al limite dell’umano la cui traccia rimarrà nella memoria degli appassionati per sempre.

Imola 1988 – La prima di Senna in McLaren

1990 PROST da McLaren a Ferrari

Frustrato dalla difficile convivenza con Senna nelle annate 88 e 89 Prost decide di sparigliare le carte e si accasa nientepopodimeno che in Ferrari! La missione è ardua: riportare a Maranello il titolo che manca dal 1979. Vista l’acerrima rivalità che si era creata con Senna, compreso il celeberrimo quanto famigerato incident a Suzuka, quel trasferimento fu veramente clamoroso! Arrivare poi nella bolgia che era la Ferrari in quegli anni (non che oggi sia poi così diversa…) fu un atto di coraggio notevolissimo da parte del francese.

Suzuka 89 – la madre di tutte le polemiche

Com’è andata?

Il 1990 fu un’annata spettacolare. La sfida Prost/Ferrari-Senna/McLaren fu epocale. Mi verrebbe da dire che entrambi i soggetti ci hanno guadagnato ma solo per quella stagione perché poi Ferrari non fu capace di dare a Prost una vettura per poter continuare il duello.

Sapevate che la 100a vittoria Ferrari è di Prost?

1996 SCHUMACHER da Benetton a Ferrari

Che Schumy fosse destinato a grandi traguardi Ayrton Senna lo capì subito e a nulla valse la sgridatina in diretta mondiale a Magny Cours 1992 per far recedere il tedesco dai suoi intenti. L’anno prima, a Spa, tutto il paddock capì che Michael Schumacher era un fenomeno ma il più lesto ad approfittarne fu Briatore che lo portò in Benetton in modo rocambolesco. Il connubio tra il tedesco e la Benetton crebbe di gara in gara fino ad aggiudicarsi i mondiali 1994 e 1995. Con un team siffatto la possibilità di continuare la striscia vincente era assai concreta e fu quindi clamoroso l’annuncio dell’accordo tra Schumy e Ferrari. I media italiani non mancarono di rendersi ridicoli agli occhi del mondo: tra una punzecchiatura e l’altra sulla possibilità del “teutonico” di ben trovarsi a Maranello, frecciatine sulla sua presunta antipatia, persino strali quando rispondeva in inglese e non italiano, in pochi pensavano che quella storia sarebbe finita bene. Clamoroso lo fu eccome quel trasferimento. Il coraggio mostrato da Schumy ebbe dell’epocale perché la missione di riportare il titolo a Maranello dopo tanti anni di astinenza, viste le premesse, non si prestava all’ottimismo di nessuno.

Schumy che vince a Spa 1995

Com’è andata?

Se guardiamo all’immediato nessuno dei due soggetti, Schumy e Benetton, ha guadagnato dallo scambio. Nel 1996 Schumy non ha rivinto il mondiale e Benetton nemmeno ci si è avvicinata. Va da sé che la straordinaria tenacia di Schumy ha poi portato agli straordinari successi che tutti conosciamo. Ah, nostalgia canaglia! Quella gara a Barcellona…

Barcellona 96: Schumy nella leggenda

2007 ALONSO da Renault a McLaren e ritorno

Come Schumacher nel 1996, anche Alonso decide di lasciare la Benetton (anzi, Renault) dopo due mondiali vinti consecutivamente nel 2005 e nel 2006. Di clamore, in quel trasferimento ce ne fu tanto perché fu parte di un giro di sedili di top driver come se ne sono visti pochi. Ci furono li ritiro di Schumy, il passaggio di Raikkonen in Ferrari, l’esordio di quel giovane di Stevenage di cui si diceva un gran bene e anche l’insolita cronologia dell’annuncio. Sin dall’inizio del 2006, infatti, si sapeva che Alonso sarebbe passato in McLaren. Polemiche? Tante.

Shangai 2006: Fernando senza alcun timore reverenziale

Com’è andata?

Be’, la stagione 2007 è stata una delle più emozionanti cui mi è capitato di assistere. Per l’unica volta nella sua carriera Fernando aveva azzeccato in pieno il momento del cambio di scuderia e tra gare spettacolari, duelli incredibili, e le polemiche infinite con Ron Dennis (e persino una spy story di proporzioni epocali!) non si può certo dire che la stagione 2007 non l’abbia visto tra i principali protagonisti nonostante i mal di testa che Lewis gli ha provocato. Fu clamorosa anche la stagione, dunque, come clamoroso fu l’addio di Alonso dopo un solo anno per tornare in Renault.

Lewis è contento come un bambino ma Fernando…

2015 VETTEL da RBR a Ferrari

Il connubio tra Sebastian Vettel e RBR ha segnato un’epoca. Più sopra accennavo al fatto che il clamore suscitato da un trasferimento, da Niki Lauda/Ferrari in poi è strettamente legato alla progressiva industrializzazione della Formula 1 con tutte le conseguenze del caso in termini di aspettative. La storia del Team Red Bull, Red Bull Racing o RBR per gli amici, ha segnato un passaggio ulteriore nell’evoluzione della Formula 1. Red Bull non è una casa automobilistica, né una scuderia storica (sebbene nasca dalle ceneri di Stewart-Jaguar la cui origine risaliva appena al 1996), né un’azienda che abbia a che fare direttamente con il settore automotive. Fanno bibite. E tuttavia il programma che ha creato è per certi versi straordinario. Infatti, il visionario Mateschitz non si accontentò di rilevare una scuderia per poi vedere cosa sarebbe successo ma mise in piedi una vera e propria filiera contraddistinta da un team principale, uno secondario (Toro Rosso, oggi Racing Bulls), un’accademia di giovani piloti con rigidi programmi di crescita e un numero incalcolabile di sponsorizzazioni in tutto il motorsport. (Ah, dimenticavo, ha anche ricoperto d’oro il mago dei righelli e delle squadre!) Questa impostazione è stata, di fatto, poi “copiata” anche dagli altri protagonisti della Formula 1 sicché dire che ha fatto scuola è dir poco. Sebastian Vettel è stato il primo esito della programmazione RBR e i successi sono stati innumerevoli. Dopo la straordinaria vittoria a Monza con la Toro Rosso nel 2008, Sebastian viene immediatamente promosso e se l’anomala stagione 2009 fosse durata un paio di GP in più Button poteva scordarsi di mettere in bacheca il titolo. Seguono poi 4 stagioni passate da dominatore (assoluto nel 2011 e 2013, tenace e combattivo nei più difficili 2010 e 2012) per finire in un 2014 complicato dal passaggio all’ibrido in cui Mercedes ha sbaragliato il campo. L’annuncio a fine 2014 del suo passaggio alla Ferrari ebbe sì del clamoroso ma non fu del tutto a sorpresa. Fu clamorosa anche, se vogliamo, l’indifferenza di RBR nei confronti del suo campione e la freddezza con la quale lo trattarono alla prima vera difficoltà. L’idea di ripetere in rosso le gesta del suo idolo Schumacher deve averlo scavato assai in profondità per tutto il 2014.

Seb nel 2014 alquanto pensieroso

Com’è andata?

Per quanto il sogno di Sebastian di vincere il mondiale con una Ferrari non sia stato coronato dal successo non si può certo dire che non abbia tratto vantaggio dal cambio. I suoi primi 4 anni in Ferrari sono stati comunque di alto livello e di emozioni ne ha regalate in quantità. E RBR? Difficile da dire. Il dominio Mercedes degli anni successivi e la scoperta di Verstappen (che però ha avuto bisogno di maturare) non danno una misura esatta del plus/minus. Secondo il mio personalissimo parere ci guadagnò di più Vettel.

Il 2015 di Seb in Ferrari fu bellissimo

Siamo giunti alla fine. Di tutti i clamorosi trasferimenti che ho citato credo di poter assegnare la palma del più clamoroso a quello di Alonso in McLaren nel 2007. Ma è un mio, personalissimo, giudizio.

E voi? A chi assegnate il vostro primo premio?

Ad maiora!

MIT