Il Nurburgring, un eroe italiano, e il suo nipote d’oltreoceano.

Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera……….

Con queste parole di una canzone (che adoro!) di Guccini, quantunque non abbia mai amato il suddetto cantante, mi piace descrivere una storia di legami, di affinità emozionali seppur accompagnati da distanze caratteriali, eppure tutte convergenti nella definizione di due esseri che, a torto e a ragione, vengono spesso accostati l’uno all’altro per descrivere un modo, una tecnica, una passione e un approccio alle corse che si possono, per tutti i piloti della storia, contare sulle dita della mano. Due miti che idealmente e a-temporalmente faccio camminare insieme in una dimensione che non appartiene a noi.  Parlerò di uno solo dei due, ma per me sono uniti dall’invisibile filo che unisce anime affini. Ovviamente e banalmente parlo di corse, di uomini, e di uomini “da corse”. Gente che sembrerebbe nata solo ed esclusivamente per fare un mestiere meraviglioso che, almeno in me, suscita un invidia indicibile, il mestiere del pilota. L’hanno fatto così bene al confronto con gli altri, che qualunque cosa abbiano fatto prima, insieme e dopo di loro è relegata al campo della normalità. L’immagine che mi piace vedere è quella del vecchio che cammina e viene raggiunto dal bambino, e così facendo gli passa il testimone. Purtroppo però non c’è stato il tempo per quel bambino di scappare e continuare la corsa, così le loro strade non si dividono più.
Lasciamo per un attimo andare il “bambino”, di cui anche in questo luogo hanno splendidamente parlato altri, e parliamo di me, (del “vecchio”), e di una corsa nel Ring….
Mi chiamo Tazio Nuvolari e nasco a Castel D’Ario, Mantova, nel 1892, la mia passione per le macchine e i motori nasce quasi insieme a me, perchè non ho memoria di un prima senza, ma comincio a correre seriamente solo a 28 anni, fino a quando dai 31 anni faccio di questa passione un lavoro vero e proprio. Non è mia intenzione raccontare di tutte le mie vittorie, dei miei cambi di casacca e delle mie vicende personali, (sarebbe un romanzo che non avrebbe giusta dimora in questo luogo), ma solo di fare un quadro sufficiente a capire chi fossi prima di arrivare alla mia gara più importante, almeno per la maggior parte dei miei estimatori!
Sono esile, basso di statura e con una gamba più corta dell’altra, nonostante ciò ho raggiunto risultati incredibili e irripetibili! In effetti per alcuni anni, fino al 1930 quando entrai a far parte della scuderia Ferrari, non seppi decidermi su quale mezzo mi piacesse di più, o comunque mi desse più opportunità tra auto e moto, e modestamente ero un fenomeno con entrambe. Eclettico e intraprendente da giovane ho costruito addirittura un aereo e sono riuscito a farlo volare….Nel 1924 ho avuto l’incontro con colui che sarà determinante per la mia carriera, Enzo Ferrari, che scrisse di me: “Il mio primo incontro con Nuvolari risale al 1924. Fu davanti alla Basilica di Sant’Apollinare in Classe, sulla strada ravennate, dove avevano sistemato i box per il secondo Circuito del Savio. Alla partenza, ricordo, non avevo dato troppo credito a quel magrolino, ma durante la corsa mi avvidi che era l’unico concorrente in grado di minacciare la mia marcia. Io ero sull’Alfa 3 litri, lui su una Chiribiri. E in quest’ordine tagliammo il traguardo. La medesima classifica si ripeté poche settimane dopo al Circuito del Polesine…”.
Da questo momento in poi per me la serie dei successi è interminabile, inizialmente più sulle moto e poi mano mano anche e sempre più sulle macchine, ed è continuata anche dopo aver lasciato la Ferrari nel 1933..
Qualcuno lo ha scritto che ho inventato la derapata controllata, sbandando e controllando la macchina di traverso in sovrasterzo. “la derapata è un apostrofo nero tra le parole gomma e asfalto……e se mi vedi diverso è perchè son di traverso!!!!” questa frase l’ho presa dal futuro, su uno dei vostri blog!.

Una descrizione del mio stile di guida sempre di Enzo ferrari, mi piace e la prendo a prestito: “Tazio Nuvolari abbordava la curva alquanto prima di quello che l’istinto di pilota avrebbe dettato a me. Ma l’abbordava in una maniera inconsueta, puntando di colpo il muso della macchina contro il margine interno, proprio nel punto in cui la curva aveva inizio. A piede schiacciato faceva così partire a macchina in dèrapage sulle quattro ruote, sfruttando la spinta della forza centrifuga e tenendola in pista con la forza traente delle ruote motrici. Per tutto l’arco della curva il muso sfiorava il margine interno, ma quando la curva terminava e ricominciava il rettilineo, la macchina si trovava già in posizione normale per proseguire diritta la corsa, senza necessità di correzioni”.
All’epoca non era poi così normale, tanto che quella era una “curva alla Nuvolari”, e nessuno dei miei contemporanei è mai riuscito a riprodurre questa manovra con la stessa efficacia, manovra poi successivamente superata ovviamente dal progresso e dalla tecnica, vabbè, tutto passa.
Spesso i racconti attorno alle mie gesta sono un misto tra realtà e leggenda, tanto che io sono assurto spesso più al ruolo dell’eroe che del semplice pilota. Il fatto che fossi un pilota ai tempi del Fascismo non fu certo la ragione della mia fama, che era alimentata da imprese reali, ma fu sicuramente la ragione per cui io, così famoso, amato e positivo italiano del ventennio, ebbi onori trasversali dal Duce, dal Fuhrer, ma anche da Roosvelt. Ero soprannominato dagli americani “il cow-boy imbattibile dell’automobilismo”, o anche “il diavolo della velocità”, specie dopo che nel 1936 ho trionfato a New York, nella coppa Vanderbilt, su Alfa Romeo. Ho guidato molte macchine vincendo praticamente con tutte…Chiribiri, Bianchi, Alfa Romeo, Bugatti, Maserati, MG, Cisitalia, Fiat, Auto Union….Tra queste l’Alfa Romeo 8 cilindri sovralimentata, la P3, è stata la protagonista della mia impresa più gloriosa. Penso che per me sia adatta una frase di un noto poeta (sempre del futuro), ancorchè coniata con un altro profondo significato, poichè è l’essenza di chi non accetta la banalità, e io non l’ho mai accettata quando correvo:

“io cerco le curve anche nei rettilinei”.

La mia storia è ricca di aneddoti, probabilmente anche di esagerazioni, ma spesso anche di episodi al limite dell’incoscienza, anzi in piena consapevole e meravigliosa incoscienza. Insomma, mi sono divertito tanto!
Ho corso su tre ruote, ho finito gare sui cerchi, ho guidato con una chiave inglese al posto del volante, ecc. ecc. ..”di morire non gli importa niente…..” ha scritto per me in una bella canzone del futuro un certo Dalla.
Questo ero io: una vita per le corse, le corse per una vita.
Ma veniamo al racconto di ciò che si svolse al Ring nel luglio del 1935.
Negli anni precedenti, fino al 1934, le macchine italiane, e l’Alfa in particolare, mietevano successi nazionali ed internazionali. Sicuramente l’Italia era la culla di geniali invenzioni e all’avanguardia della tecnica in generale, compresa la meccanica e l’automobilismo, il tutto incoraggiato e aiutato saggiamente dal regime fascista che ne aveva il suo bel ritorno di immagine ed economico. All’epoca i tedeschi erano indietro, Hitler si preoccupava più dell’espansione territoriale e del progetto ariano di supremazia che del resto. Successe però che nel ’34 le auto tedesche furono praticamente umiliate dalle Alfa Romeo in una gara sul circuito di Berlino proprio davanti al Cancelliere stesso. In quella gara mi ricordo che arrivai quinto su Maserati guidando con una pedaliera speciale e un piede solo poichè l’altra gamba mi si era fratturata in più punti 40 giorni prima…..ma non era mica un motivo per non correre! Certo quella sconfitta è stata uno smacco che non poteva passare senza conseguenze. Il regime nazista decise così di incrementare di parecchio il già attivo programma di potenziamento dell’industria automobilistica teutonica, Mercedes e Auto Union, affinchè raggiungessero e superassero qualsiasi altra industria del Mondo (comprendendo le competizioni sportive). In effetti la cosa riuscì, e fu subito chiaro a tutti che i nuovi leader della produzione e della tecnica motoristica erano i tedeschi, i nuovi avversari praticamente impossibili da battere. Corsi e ricorsi storici a quanto pare..!
Inoltre, nel 1934, le regole delle competizioni internazionali cambiarono stabilendo un peso massimo di 750 Kg per le vetture atto a ridurre l’escalation delle potenze, cosa che però sembrò quasi avvantaggiare le auto tedesche.
Fu in questa atmosfera che, invitata personalmente dal Fuhrer baldanzoso e ansioso di restituire la magra figura incassata a Berlino, l’Alfa, che io guidavo ormai 43enne, si apprestava a confrontarsi con le auto tedesche accreditate di una vittoria certa, tanto che le autorità del regime nazista avevano già predisposto i festeggiamenti in pompa magna. Tutto era pronto per far vedere al Mondo intero che la grande Germania aveva raggiunto e superato i maestri di un tempo.
Il problema era che l’Alfa, la più titolata a gareggiare per rappresentare l’Italia, viveva da un po’ di tempo una crisi tecnica. Si decise dunque di modificare una vecchia P3 da 265 CV, e Vittorio Jano (insieme a me), il padre delle Alfa vincenti degli anni migliori, cominciò a preparare una macchina che avrebbe dovuto fare una non troppo brutta figura. Questo era l’obiettivo, competere senza sfigurare con le Mercedes accreditate di ben 460 CV e le Auto Union di 375 CV, con una Alfa Romeo P3 che infine arrivò a 330 CV….ma per me non era abbastanza, volevo andare oltre, per me la matematica è sempre stata un’opinione, tre più tre fa sempre sette (mi sa che anche questo l’ha scritto quel Dalla!) Ero sicuro di poter disputare una buona gara su un circuito così tecnico e pieno di difficili curve come piaceva a me. Si sa che il Ring non è un circuito per deboli di fegato, o per chi alza troppo o troppo presto il piede in curva….è lungo 22,8 chilometri, ha *74 curve ed ha un dislivello di circa 700 metri, e chi se non io, il leggendario Nivola, poteva interpretare alla sua maniera quel circuito? Le prime prove comunque sono appannaggio delle auto tedesche, e i giornali di casa non perdono l’occasione e si lanciano in sfottò, mi descrivevano come “l’ormai anziano pilota italiano”, scrivevano che ero “storia vecchia”. Vecchio a me! Ve lo faccio vedere io pensai….così nelle ultime prove gli regalai una sorpresa, effettuai il giro più veloce, danzando sui cordoli sporchi di quelle infinite curve con la mia Alfa, ma i tedeschi non se ne curarono, ed erano talmente convinti della loro superiorità da spiegare il fatto con un errore nel cronometraggio.
Il giorno della gara duecentomila persone affollavano le tribune e l’unico dubbio che avevano era su chi, tra la Mercedes e la Auto Union, avrebbe tagliato il traguardo per prima. Ma a me piaceva rovinare i piani di quei mangia crauti, ed ero di tutt’altro avviso, e molto sicuro di me chiesi che la vecchia scolorita bandiera italiana issata sull’autodromo venisse sostituita con una nuova poichè era così che volevo venisse salutata la mia impresa. Il resto è storia ma va raccontata…
Alla partenza parto a fionda e vado in fuga, fin quando ho potuto son restato in testa mentre gli altri combattevano per tenere la macchina in una pista inzuppata d’acqua, fino al rientro ai box, dove ho perso più di due minuti, per ritrovarmi sesto al rientro in pista con tre macchine tedesche davanti a circa 1 minuto. Non mi son perso d’animo e ho cominciato a guadagnare terreno, all’ultimo giro, dopo quattro ore di gara, avevo davanti a me solo Von Brauchitsch, al quale dovevo recuperare 31 secondi in 22 chilometri. Naturalmente ci sono riuscito, approfittando del fatto che il tedesco per non farsi superare distrusse le sue gomme. La cosa che mi ha divertito di più però è che alla fine del giro un boato del pubblico accolse la vettura vincitrice con le bandiere tedesche che si issarono e la premiazione preparata per i “sicuri” vincitori. Nessuno tra pubblico e organizzatori si era però accorto che la macchina non era tedesca, era italiana, con un “vecchio” italiano al volante, una rossa Alfa Romeo coperta dal fango accumulato durante la gara, rossa come il colore dell’Italia motoristica, un’Alfa che si era lasciata dietro 9 Mercedes! Neppure la registrazione dell’inno italiano era a disposizione dei tedeschi che non pensavano di doverlo trasmettere. Per fortuna ne avevo una copia su disco con me in valigia, giustamente convinto della vittoria! Qualcuno dirà poi che avevano “O’Sole Mio” e trasmisero quella…a me va bene comunque. Così io, il mantovano volante, Nivola per tutti, divenni “Der teufel”, il Diavolo per i tedeschi!
Non smisi di correre, nel 1936 sempre con l’Alfa Romeo, la 12 C-36, battei ancora i tedeschi nel Gran Premio d’Ungheria, in quello di Donington e in quello di Peña Rhin. Corsi anche con la  Auto Union sostituendo nel ’38 un certo Rosemeyer….
Fino a 56 anni, in cui disputai una mitica Mille Miglia, non mi arresi. Solo la morte mi portò via dalle piste, e lo fece come vorrebbero tutti (magari non malati come me), in un letto. Non io però, non in un letto, un pensiero che mi infastidiva. Lontano dalle piste, lontano dal rombo dei motori e dalla strada che mi correva veloce sotto gli occhi ero un’anima persa. Sono conscio di avere incarnato per decenni la voglia di vincere a tutti i costi e con qualsiasi mezzo, e anche la volontà di una intera nazione di risorgere dalle ceneri di secoli di declino economico e sociale. Io che ero un uomo piccolo, non certo un piccolo uomo, avevo più coraggio di un gigante e rappresentavo la bandiera di un popolo orgoglioso.
Quello stesso coraggio io, lontano dal vostro Mondo, l’ho ritrovato circa 40 anni dopo in un altro piccolo grande uomo, un pilota canadese, che non era esattamente sovrapponibile a me, ma era quello che mi somigliava di più, un accostamento non tentato fino ad allora e mai più verificato dopo la tragica fine di quel “bambino”…ma questa è un’altra storia….

………il bimbo ristette, lo sguardo era triste, gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio con voce sognante: “Mi piaccion le fiabe, raccontane altre.”

Commento al me in Tazio.

Ho preso tutti i ricordi che avevo e li ho rinfrescati con libri e internet, in modo da non dare all’articolo un taglio troppo “cronachistico”, e poi ho raccontato come fosse una descrizione di me, nell’intento comunque di essere abbastanza dettagliato. Se ci sono imprecisioni o inesattezze dunque perdonatemi. Raccontare Nuvolari, un personaggio che ad un certo punto nell’immaginario comune si è staccato dal terreno andando nel metafisico, non è un’impresa facile. E’ una storia lunga, complicata, affascinante e sofferta. per farlo sono sempre state efficaci brevi frasi o aggettivi, e qualcosa ho riportato. Mi è sempre piaciuto come è stato descritto da Maurizio Messori in un bel libro il cui titolo è: “pericoloso rallentare”. Arrivare primi non è un optional, è il senso della gara, lasciamo De Coubertin ai privi di ambizione e di autostima, come faceva lui (almeno credo). Perchè ho scritto di Tazio? Perchè mi riconosco in lui e nella sua febbre per la velocità, e perchè la memoria salva la storia e sorregge il futuro.

Ringraziamenti:

Ai Ringers tutti per stare qui con me.