Un brillante avvenire dietro le spalle: la F1 e la minaccia elettrica.

Ogni grande business attraversa momenti di grande crescita seguiti da momenti di crisi che lo portano sull’orlo del collasso, quando non al collasso, per poi ripartire e magari tornare più forte di prima. E’ accaduto a molte grandi o grandissime aziende, la Apple tanto per non fare nomi importanti. Se si guarda alla storia della F1, si vede un’espansione fortissima partita a metà anni 70 e continuata fino alla fine del primo decennio del nuovo secolo. Poi, lo dicono i numeri degli ascolti, è iniziato un declino, che non sembra essersi riflesso sul giro d’affari, ma che è stato evidente in termini di credibilità dell’evento sportivo, oltre che dei partecipanti stessi, con l’uscita di molti grandi costruttori e la presenza di team che fanno fatica a terminare la stagione, sempre sull’orlo della bancarotta, coi creditori alle calcagna e in alcuni casi anche falliti.

Il calo dell’audience, di per sé, non è ovviamente significativo se è associato ad un giro d’affari costante o in aumento. Potrebbe volere significare un riposizionamento del target. In altre parole, ci si vuole rivolgere ad un pubblico con maggiore capacità di spesa, e quindi di un età maggiore, in linea con i brand che investono grandi quantità di danaro nelle sponsorizzazioni. Si punta cioè sulla qualità e non sulla quantità, e per la F1 degli ultimi anni probabilmente è stato così.

E’ innegabile che nel tempo sia stata fatta selezione sulla clientela, sia quella costituita dai tifosi, sia quella delle aziende sponsor. Se negli anni 70-80 sulle auto si vedeva un po’ di tutto, dalle marche di elettrodomestici a quelle di anticoncezionali, per arrivare persino alle pompe funebri (presenti sulla Merzario che corse ad Imola nel 1979), dalla fine degli anni 90 sulle auto hanno iniziato a comparire sempre meno marchi, quasi sempre di aziende dal profilo elevato, e più o meno la stessa tendenza si è avuta per le pubblicità sui circuiti.

La selezione è stata ovviamente fatta sulla base di un prezzo di ingresso molto più elevato, con l’obbiettivo di fare della F1 un prodotto di marketing di altissimo livello. Il risultato è stata la concentrazione degli sponsor più importanti su pochi team, con gli altri a raccogliere le briciole, spesso con macchine monocolore e con le ovvie enormi difficoltà finanziarie conseguenti. E la necessità di far pagare i sedili, trasformando i piloti in procacciatori di sponsor.

D’altra parte, a dare la direzione al business sono sempre gli stessi, o, meglio, sempre lo stesso, e anche la recente manifestazione di interesse da parte di un grande gruppo americano non si è ancora concretizzata in un vero e proprio deal. Il mancato rinnovamento del management è un’altra costante delle aziende che arrivate al culmine del successo, poi iniziano una discesa più o meno veloce. Se si vuole continuare a crescere, bisogna cambiare, avere idee nuove per attrarre nuovo pubblico, e la F1 non ha fatto nè l’una nè l’altra cosa. O, meglio, ci ha provato, con due grandi cambiamenti regolamentari, quello del 2014 e quello che entrerà in vigore nel 2017, ma da un punto di vista dello spettacolo e dell’interesse, almeno il primo si è rivelato un completo fallimento, aprendo un periodo di dominio da parte di un solo team come mai si era visto prima. E facendo crollare ulteriormente interesse e indici di ascolto.

Sarà da verificare se il nuovo cambio regolamentare, che sulla carta è molto promettente, non sia arrivato troppo tardi. Se, in altre parole, i buoi non siano già scappati. E per buoi intendiamo sia il pubblico, in particolare i giovani, ai quali della F1 interessa obbiettivamente molto poco, sia i grandi costruttori, quelli che hanno dato il via, alla fine degli anni 70, al salto di qualità, e che sono fuggiti in concomitanza con la grande crisi del 2008. Si pensava sarebbero tornati, ma così non è stato, perchè nel frattempo il mondo è cambiato, la percezione dell’auto anche, e la FIA per la prima volta nella sua storia ha iniziato a supportare con convinzione una serie diversa, che in teoria non fa concorrenza alla F1 ma che di fatto ne rischia di diventare un concorrente molto pericoloso: la Formula E.

Recentemente ha fatto scalpore la dichiarazione di Marchionne in merito ad un ingresso della Ferrari in FE. Mai e poi mai ci si aspetterebbe di vedere una Ferrari elettrica, e il motivo è molto semplice: potenza e rumore non si associano ad un motore elettrico, e una macchina rossa è sia potenza che rumore. Ma se il secondo di sicuro non è una caratteristica di tale tipo di motore, la prima non è detto che non lo diventi. E qui sta il punto: quanto siamo disposti a scommettere che la tecnologia non ci porti, nel giro di pochi anni, se sviluppata in un ambito racing, ad avere auto con una potenza importante (>500 cv) che riescano a girare per una quantità di tempo accettabile? Per ora di sicuro non se ne parla, ma è ormai chiaro, per tutti i costruttori di automobili, che l’endotermico ha gli anni contati. Forse più per una questione di immagine che per una questione di rispetto ambientale, o forse per entrambi, ma ciò che è sicuro è che tutti i grandi costruttori si stanno spostando sull’elettrico passando dall’ibrido, che rappresenta una via di mezzo molto complicata da un punto di vista tecnologico e probabilmente nemmeno troppo apprezzata dal mercato.

Non dobbiamo dimenticare quanto accadde negli anni 70 con il motore turbo. Quando la Renault decise, nel 1976, di tentare la via del 1500 sovralimentato, le prime versioni a fatica arrivano a 500 cv, e c’era chi scommetteva che non avrebbero cavato un ragno da un buco. Sette anni dopo, il 4 cilindri BMW raggiungeva, in qualifica, i 1400 cv. In mezzo c’era stato uno sviluppo frenetico di tutte le componenti, grazie al grande livello di competizione portato dal coinvolgimento di diversi grandi costruttori, che vedevano nella F1 una grande opportunità di mettere in mostra le loro capacità tecnologiche. Proprio ciò che sta succedendo in FE, e non è detto che la storia non si ripeta anche dal punto di vista dell’enorme miglioramento della performance. Oggi la potenza delle auto è, espressa in cavalli, di circa 270 come picco massimo (che può peraltro essere mantenuto per pochissimo tempo), e vi è la necessità di cambiare auto dopo 25 minuti, caratteristiche piuttosto lontane dall’essere accettabili per una formula da considerarsi “maggiore”. Chissà se fra 7 anni vedremo motori elettrici con 500 cavalli di potenza e batterie in grado di alimentarli per un’ora. Oggi sembra tecnicamente molto improbabile, ma non lo si può certo escludere a priori.

Per quanto riguarda il pubblico, la categoria elettrica ha scelto un approccio totalmente opposto a quello della F1, puntando ai giovani, e scegliendo di correre in città, vicino alla gente, con tutto il programma svolto in un’unica giornata. Dopo la prima stagione, i grandi costruttori hanno aderito in massa, chi partecipando direttamente costruendo motore e cambio (le uniche componenti al momento lasciate libere dal regolamento), chi dando solo il proprio nome al team. Coloro che attualmente non partecipano, come Mercedes, BMW e Toyota, o stanno seguendo attentamente l’evoluzione della categoria o hanno già pubblicamente manifestato il proprio interesse ad entrare nei prossimi anni come competitor.

Dal punto di vista di chi costruisce automobili destinati al grande pubblico, la FE si sta quindi dimostrando molto più interessante della F1, e questo deve fare riflettere chi della F1 stessa gestisce il presente ma sopratutto gestirà il futuro. Se proviamo ad immaginarci cosa vedremo in pista fra 20 anni da un punto di vista del propulsore, dobbiamo probabilmente pensare a qualcosa di completamente diverso da ciò che c’è oggi. Anche se questo fa inorridire gli appassionati di lunga data, quelli che, come chi scrive, hanno vissuto gli anni 70 e 80, l’idea di una vettura di F1 silenziosa nella quale la potenza motrice sia generata in grande percentuale, se non per la sua totalità, da energia elettrica, non è probabilmente sbagliata. E questa prospettiva, assieme alla necessità di attrarre un pubblico giovane, o molto giovane, deve essere tenuta in grande considerazione fin da ora. Il futuro di medio-lungo termine potrebbe vedere la F1 e la FE convergere in quella che potrebbe essere una “F1E”, prendendo il meglio di entrambe le categorie, e non è detto che sia una cosa negativa. Anzi, potrebbe essere una evoluzione inevitabile per mantenere tale quella che da oltre 50 anni è la categoria regina del motorsport.