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La Beffa di Adelaide

La Formula 1 “che fu” deve la propria fama a gare spettacolari, gesti eroici, fallimenti clamorosi, grandi uomini, circuiti affascinanti, innovazioni tecniche e tanto altro, oltre indubbiamente a rivalità e dualismi dai risvolti sportivi e umani molto intensi; storie che attirano il pubblico, coinvolto a sua volta in diatribe infinite che spesso superano la carriera e a volte l’esistenza stessa dei protagonisti delle vicende narrate. Su una di queste storie Ron Howard ha prodotto un film che ha riscosso un grande successo al botteghino, incontrando i favori del grande pubblico e dividendo gli appassionati di Formula 1, visto che alcuni si aspettavano forse una riproduzione più tecnica e fedele delle avventure di Lauda e Hunt, ma non possiamo dimenticare che quella pellicola è prima di tutto intrattenimento e in un’era dove la Formula 1 è distante come non mai dalla gente vedere le file al cinema per ammirare le gesta di due eroi dei gran premi dovrebbe bastarci.

“Due sono i mondi in cui gli uomini si ritrovano messi a nudo, tutte le facciate spariscono, in modo che è possibile vedere il loro nocciolo duro. Il primo è il campo di battaglia.” Edward Bunker 

Senza scomodare i pionieri della Formula 1 e restando nell’era moderna, c’è sicuramente un incontro/scontro che se trasferito a Hollywoord meriterebbe una trilogia in stile “Lord of the Rings”: stiamo parlando ovviamente di Senna e Prost, il duello dei duelli, in pista e fuori, tra dichiarazioni al vetriolo, colpi proibiti e un finale romantico reso amaro dalla tragedia. La Mclaren in quel periodo non aveva rivali all’altezza e riuscì a controllare la situazione incamerando titoli mondiali a ripetizione, ma in casa Williams una situazione analoga portò risultati nefasti in ben due occasioni. Nel 1981, con Reutemann e Jones a condividere il box, il team non riuscì a gestire il conflitto con logica “aziendale”, vanificando le prestazioni dell’auto favorita e lasciando strada ad un terzo incomodo teoricamente svantaggiato, ma abile a raccogliere i risultati necessari per tenersi in gioco fino all’ultimo incredibile round. Il terzo incomodo rispondeva al nome di Nelson Piquet, che cinque anni più tardi si trovò a sua volta al centro di un aspro conflitto con il compagno di squadra Nigel Mansell alla corte di Sir Frank.

Dopo due titoli mondiali in sette stagioni alla Brabham, team di nobile origine destinato ad un rapidissimo declino, Piquet aveva trovato nuovi stimoli nell’offerta della Williams, pronta a tornare ai vertici grazie ad uno staff di prim’ordine e una FW11 di nuova concezione, più convenzionale e affidabile, dotata di un propulsore Honda che si dimostrò non solo potente ma più equilibrato nel rapporto tra durata e prestazioni, limando anche i cronici problemi di turbo-lag che lo avevano afflitto nelle prime stagioni in F1. Il campione carioca trovò ai box Nigel Mansell, pilota aggressivo e istintivo che dopo le iniziali difficoltà convinse gli addetti ai lavori in merito alla proprie qualità, entusiasmando il pubblico per l’attitudine da guerriero senza paura, come quando a Dallas partì dalla pole e dopo alcuni problemi tecnici svenne al traguardo dopo aver spinto la vettura rimasta senza benzina. Il leone inglese era arrivato in Williams l’anno precedente, accolto con poca simpatia da Rosberg, anche se lavorando insieme i due riuscirono ad instaurare un rapporto di reciproca stima e collaborazione importante per i risultati in pista e lo sviluppo della vettura; sarebbero riusciti i due nuovi compagni di squadra a creare lo stesso clima?

A proposito: Senna, Prost, Mansell, Piquet. Incredibile pensare che per un decennio quei quattro nomi fossero presenti in un’unica griglia di partenza! C’è una bella foto che li ritrae insieme, sorridenti e rilassati (evento raro), quattro tra i piloti più forti di tutti i tempi protagonisti di un’era che, purtroppo, non potrà ripetersi, ma questa è un’altra storia.

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“Resistere significa semplicemente tirare fuori gli attributi, e meno sono le chance più dolce è la vittoria.” Charles Bukowski

Arrivò finalmente l’atteso “Via” e i test invernali indicarono la Williams Honda come la compagine favorita per il titolo, anche se il team prima dell’inizio del campionato venne sconvolto da un drammatico incidente stradale di cui fu vittima il Patron Frank, da quel giorno costretto a vivere su una sedia a rotelle. Tra gli altri team il rivale più accreditato era sicuramente la Mclaren dominatrice delle ultime due stagioni, con il campione in carica Alain Prost, finalmente smarcatosi da quell’etichetta di eterno secondo che lo aveva perseguitato nei primi anni di carriera. A far compagnia al professore francese arrivò Keke Rosberg, mentre la Lotus confermò l’astro nascente Ayrton Senna, pilota micidiale sul giro secco, implacabile in condizioni di pista avverse e sempre più maturo, tanto aggressivo in pista quanto influente all’interno del proprio team, da anni lontana dai fasti degli anni d’oro ma ancora in grado di mettere in pista una vettura competitiva, con uno staff molto attento alle indicazioni di un pilota sicuramente in grado di fare la differenza.

Nel tradizionale appuntamento di apertura a Jacarepagua Ayrton Senna confermò le proprie doti in prova rifilando sette decimi a Piquet e oltre un secondo a Mansell, mentre in piena era del turbo la differenza tra colossi dell’auto e piccoli team divenne sempre più evidente, tanto che a metà schieramento si riscontravano distacchi pesanti e nelle ultime file le “sorelle minori” giravano oltre dieci secondi al giro più lente. In gara Mansell fu vittima di un eccesso di agonismo ed uscì subito di scena nel tentativo di passare Senna, che chiuse secondo alle spalle di Piquet; deluse invece le aspettative la rivoluzionaria Brabham BT55 denominata “sogliola” , con Patrese costretto presto al ritiro e De Angelis fuori dalla zona punti a tre giri dal vincitore, un fallimento probabilmente decisivo per le sorti del team fondato da Black Jack.

Dopo 5 anni la Formula 1 tornò in Spagna nel nuovo impianto di Jerez, aspramente criticato per la conformazione poco adatta alla categoria e le misure di sicurezza giudicate insufficienti, ne uscì comunque una bellissima gara, destinata ad entrare nella storia: Senna, ancora in pole con quasi un secondo sulla diretta concorrenza, tentò di prendere il largo, mentre alle sue spalle non mancarono i duelli; a metà gara Mansell passò in testa ma iniziò a patire un eccessivo degrado degli pneumatici, prendendo poi troppo tardi la decisione di sostituirli: rientrato in pista dopo il pit-stop iniziò a macinare giri record e in poco tempo si riportò alle spalle di Senna e i due arrivarono al fotofinish con il brasiliano primo con 14 millesimi di vantaggio!

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“Fortis cadere, cedere non potest.” Proverbio latino

Prost, fino a quel momento defilato, calò un bis di vittorie a Imola e Montecarlo, portandosi in testa al mondiale, mentre le Williams sorprendentemente stentavano a decollare. Quella del principato fu purtroppo l’ultima presenza di Elio De Angelis: i suoi sogni di gloria, già ridimensionati da un team tanto ambizioso quanto deludente, si infransero infatti definitivamente il 15 maggio 1986 in un ospedale di Marsiglia, a causa delle ferite riportate in un gravissimo incidente avvenuto il giorno precedente al Paul Ricard durante una sessione di test privati dove le misure di sicurezza si rivelarono fatalmente inadeguate. La Brabham decollò per il distacco di un alettone e prese fuoco in seguito all’impatto, De Angelis restò nella macchina in fiamme per sette minuti e i primi a soccorrerlo furono i piloti (Alain Prost tentò di estrarlo dall’auto) mentre meccanici e commissari giunsero tardivamente. Cediamo per un attimo la parola a Ezio Zermiani: “Basta con questi laceranti rumori, ora potrai rilassarti come piaceva a te. Ricordi? Ssshht, non disturbiamolo, Elio sta sognando”

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“Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te.” Friedrich Nietzsche

Ancora commosso per l’assurda perdita di Elio, l’ambiente della Formula 1 ripartì nel segno di un duello tra quattro piloti consapevoli l’un l’altro di avere di fronte tre nemici di altissimo livello, vietato abbassare la guardia dunque, con ovvia soddisfazione per gli spettatori di un’opera di prim’ordine, probabilmente uno dei campionati più entusiasmanti della storia.

A Spa Berger si mise in evidenza in prova ma al via costrinse al contatto Senna (comunque secondo) e Prost, ottimo sesto al termine di una gara di rimonta dopo essere finito in fondo al gruppo; Mansell approfittò del ritiro di Piquet per vincere la gara e recuperare terreno, concedendo un gradito bis a Montreal, insidiato realmente dal solo Rosberg, tanto aggressivo quanto eccessivo nei consumi. A quel punto il leone aveva affiancato Senna a due sole lunghezze dal leader Prost, come sempre costante e attento nella visione strategica in ottica campionato, mentre Piquet, visto da molti come il grande favorito a inizio stagione, sembrava non essere in grado di incidere.  Dopo un quinto posto a Detroit, dove vinse Senna, Mansell riprese la fuga vincendo sia al Paul Ricard (drasticamente rivisto dopo l’incidente mortale di De Angelis) che a Brands Hatch, di fronte a Frank Williams, che tornò per la prima volta ai box dopo l’incidente, assistendo ad una gara dove le sue vetture terrorizzarono la concorrenza doppiando tutti. Quella di Brands Hatch fu anche l’ultima gara per Jacques Laffite, che proprio in quell’occasione eguagliò il record di presenze di Graham Hill, ma fu coinvolto  in una carambola innescata da Boutsen che gli procurò gravi ferite alle gambe. Protagonista con la Ligier a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, l’umile Jacquot non ha mai attirato l’attenzione dei riflettori come altri suoi colleghi, ma è sicuramente stato tra i piloti più veloci in una generazione di fenomeni e salutò tutti con 176 presenze, 6 vittorie, 7 pole e 32 podi.

A quel punto Piquet era a 18 punti dal compagno di squadra, ma Nelson non era certo tipo da abbattersi, come dimostrano le incredibili rimonte che lo portarono al titolo nel 1981 e 1983, quando a metà campionato nessuno, come in questo caso, avrebbe scommesso sulla sua vittoria. Non a caso il brasiliano calò un tris di successi tra Hockenheim e Monza, confezionando tra l’altro all’Hungaroring un sorpasso su Senna destinato ad entrare nella leggenda: un primo tentativo avvenne forzando la staccata in fondo al rettilineo, ma la Williams finì larga, Piquet rimase incollato agli scarichi di Senna per sfruttare al massimo la scia della Lotus e all’esterno della solita staccata dopo il rettilineo di partenza percorse tutto il curvone di traverso, riuscendo a controllare con un controsterzo incredibile la sua Williams, un sorpasso leggendario che portò il brasiliano di Rio a vincere il primo GP d’Ungheria della storia.

1986 Hungarian GP - Piquet Senna

In mezzo ai tre successi di Piquet vinse un Gran Premio anche Prost, sempre incollato alle Williams, mentre Senna fu vittima di due ritiri consecutivi che lo allontanarono dal vertice; nel frattempo si mise in luce il nostro Teo Fabi, protagonista a Monza e sull’Osterreichring con due pole position che, causa guasti meccanici, non portarono punti, mentre all’Estoril Mansell colse la quinta vittoria stagionale, rifilando una vera e propria mazzata alla concorrenza: con due sole gare da disputare il Leone poteva ora contare su ben 70 punti, con un margine di 10 lunghezze su Piquet e 11 su Prost. A Città del Messico il mondiale poteva chiudersi anticipatamente ma le condizioni del tracciato favorirono il compagno di squadra di Fabi, Gerhard Berger (già pronto per il passaggio in Ferrari) che regalò la prima vittoria alla Benetton con la complicità degli pneumatici Pirelli, grazie ai quali riuscì a non fermarsi ai box al contrario degli avversari gommati Goodyear, tra questi Mansell, che chiuse la gara al quinto posto ad un giro del vincitore, mentre Prost, secondo, riuscì a riaprire il mondiale, anche se la conferma del titolo sembrava comunque un’ipotesi poco probabile.

“Veni, vidi, vici” Giulio Cesare

Ad Adelaide, prova conclusiva del mondiale, in quello che poteva essere un trionfo annunciato la Williams, arrivò addirittura Sōichirō Honda, padre fondatore dell’azienda che portava il suo nome; le prove confermarono le sensazioni della vigilia con le Williams in prima fila, grazie a Mansell primo e Piquet secondo, con Senna (ormai fuori dai giochi) al terzo posto e Prost quarto ad oltre un secondo di distacco.

Davanti ad un foltissimo pubblico Ayrton Senna fu velocissimo allo start, mentre dopo pochi giri fu sorprendentemente Rosberg a prendere il comando, deciso a dare l’addio alla Formula 1 nel migliore dei modi al termine di una stagione tribolata. Mansell continuava a controllare la corsa in quanto sia Piquet che Prost avrebbero potuto sopravanzarlo in classifica solo vincendo il Gran Premio, situazione che nella prima fase di gara appariva ancora improbabile tenendo in considerazione che Piquet fu protagonista di un testacoda senza conseguenze che lo aveva ulteriormente allontanato dal leader, mentre Prost rientrò ai box causa una foratura perdendo alcune posizioni. Questo cambio gomme imprevisto si rivelò quanto mai decisivo, ma in quel momento nessuno avrebbe potuto immaginarlo.

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La Goodyear aveva rassicurato i propri clienti sul fatto che le proprie gomme sarebbero durate per l’intero Gran Premio, ma al sessantatreesimo passaggio la gomma di Rosberg cedette e Keke fu costretto mestamente ad accostare; la Williams forse sottovalutò l’episodio, oppure le comunicazioni non furono sufficientemente tempestive, ad ogni modo ai box del team inglese non suonò il campanello d’allarme e Mansell rimase in pista, ma nel giro successivo sul velocissimo Brabham Straight la sua gomma posteriore sinistra esplose alla velocità di 290 Km/h: l’inglese diede prova di grande temperamento controllando la vettura fino alla via di fuga, ma a quel punto poteva solo assistere al finale di gara sperando in un miracolo.

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La Williams tentò di correre ai ripari e Piquet venne richiamato frettolosamente ai box mentre Prost, che aveva già sostituito gli pneumatici dopo la foratura, prese il comando e non lo lasciò più, gestendo nel finale la rincorsa di uno scatenato Piquet, che inanellò una serie di giri veloci insufficienti per recuperare lo svantaggio. Si era ormai consumata quella che nella storia della Formula 1 è ricordata come la beffa di Adelaide. Alain Prost vinse il suo secondo titolo mondiale, per la Mclaren fu invece il terzo consecutivo, la compagine capitanata da Ron Dennis aveva già in programma un anno di transizione in vista del passaggio ai motori Honda, che arrivarono nel 1988 insieme ad Ayrton Senna, con l’intento di continuare il proprio ciclo vincente in Formula 1.

Box Mclaren, Senna e Prost, ma questa è un’altra storia…

TO BE CONTINUED

Mister Brown

Rob Walker, di professione gentleman

Così era scritto sui documenti di Robert Walker nato a Rickmansworth nel 1917. Figlio di un discendente della dinastia Walker (quelli del whisky Johnnie Walker). A 11 anni per Natale la madre compra a lui e suo fratello John la loro prima auto su cui Rob impara a guidare nella tenuta di famiglia, questo è stato il secondo “errore” della madre. Il primo lo commise nel 1924 quando, in vacanza in Francia, portò i figli a vedere il GP di Boulogne dove alla fine della corsa, caricati i ragazzi sul taxi, gli fa fare il giro del circuito con Rob che grida “Faster! Faster!”.

Nella sua giovinezza Rob ha posseduto diverse auto (21 all’età di 21 anni), frequenta Cambridge e passa le estati  in Francia per imparare la lingua dove si ritrova in una famiglia appassionata di auto, così ha l’opportunità di vedere le gare che si svolgono oltremanica e dove nel 1938 conosce la sua futura moglie, Betty (anche lei in Francia per imparare la lingua). Riesce anche a prendere il brevetto di volo, per venir bandito poco dopo per aver sorvolato un ricevimento troppo da vicino.

Nel 1938 si trova a Donington per vedere, con alcuni compagni, le grandi Auto Union e Mercedes nel GP dove un immenso pilota cementerà definitivamente la sua passione per il motor sport. Rob trova posto proprio dietro un albero che gli permette di vedere la discesa verso il tornante dove un’auto aveva lasciato una macchia d’olio; vede tre piloti passare sullo sporco e tutti e tre finire fuori, poi Nuvolari, che toccando la macchia a 225 kmh sbanda, controlla il mezzo, mette la prima, passa il tornante e va a vincere la gara.

Convinto ad entrare nel mondo delle corse compra prima una Lea-Francis e dopo una Delahaye 135S con cui aveva corso il Principe Bira. Si iscrive ad una gara in 2 manche a Brooklands nel ‘39 dove essendo un pilota novizio deve fare 5 giri sotto il controllo di due piloti esperti per avere il permesso di prendere parte alla corsa. Rob approccia due piloti al bar (posizione da cui avrebbero potuto vedere tutto il circuito) noti bevitori, e chiede se avessero potuto guardarlo mentre percorreva i 5 giri; pur avendo fatto un testacoda nell’ultimo giro, e con l’idea che probabilmente non avrebbe avuto l’autorizzazione, si ripresenta ai due signori chiedendo se tutto fosse a posto, ottenendo come risposta “Sì, assolutamente, perfetto” rendendosi conto che forse non lo avevano neppure osservato. Poco dopo legge un articolo su Autocar dove si discuteva su quale fosse l’auto più veloce d’Inghilterra, per questo venne organizzata una corsa in 2 parti (la prima di salita e la seconda su un circuito) con in palio £100 ed un dipinto, Rob iscrive la Delahaye e riesce a vincere mettendosi dietro una Talbot ed un Alfa Romeo.

Le Mans

Nel giugno ’39 Rob Walker iscrive la sua Delahaye alla 24hr di Le Mans per guidarla in coppia con Ian Connell. Per Rob l’inizio non sembra dei migliori perché le prime prove partivano all’una di notte, fortuna volle che un concorrente, tale Shrubsall, che acquistato sotto i fumi dell’alcol una Talbot di proprietà di Chinetti, aveva ben pensato che se era ubriaco durante l’acquisto dell’auto doveva esserlo anche la prima volta che l’avrebbe guidata; nel mentre gli organizzatori esposero le bandiere rosse per fermare le prove, lui continuò imperterrito a girare fino a che si fermò per vedere se la curva che aveva fatto era davvero lì!!! A quel punto fu arrestato e all’alba i piloti poterono riprendere le prove. In corsa, a causa di un guasto, l’abitacolo della Delahaye era diventato un forno bruciando i piedi di Connell, Walker guidò l’auto per le restanti 12 ore, salvandosi dal calore grazie alle sue scarpe che avevano la suola di corda e saltando in un secchio d’acqua ad ogni rifornimento. A due ore dalla fine dai box gli espongono il cartello PIT e Rob rientra pensando che lo avessero chiamato per capire se era stanco, in realtà era per bere dello champagne, visto che era rimasta l’ultima bottiglia, la volevano condividere con lui. Alla fine si classificherà ottavo assoluto e terzo di classe avendo fatto tutte le 24 ore con un solo treno di pneumatici.

Durante la seconda guerra mondiale Rob è nella Raf, dove riesce a picchiare qua e la un paio di aerei, e nel frattempo si sposa con Betty a cui promette che non avrebbe più corso.

Rob Walker racing team (in colori blu e bianco scozzesi)

Dopo la guerra Rob tira fuori ancora la sua Delahaye e decide di diventare manager, causa la promessa fatta alla moglie, iscrive l’auto alla 24 ore di Le Mans affidandola al duo Rolt\Jason-Henry che si dovranno ritirare a metà gara quando erano in quinta posizione causa rottura di un cuscinetto (strano visto che era durato tutte le 24 ore 10 anni prima!!). Dopo alcune gare vende la Delahaye e compra un Aston Martin per le gare sport e un paio di Delage (di cui una usata per i pezzi di ricambio) per le gare di Formula. Per le stagioni ‘52-’53 Rob compra una Connaught, sempre guidata da Rolt, che riporterà alcuni successi tra cui il Coronation Trophy. Per il ’54 si assicura la guida di Peter Collins, per la Formula 2; a Crystal Palace si accorge della differenza tra un pilota professionista e non, la voglia di vincere sempre, la gara corsa in 2 manche e nella prima vede Peter bloccato in seconda posizione da un pilota più lento al primo posto che non lo faceva passare, allora tra le due manche Peter gli si avvicina dicendogli “se lo fai ancora ti butto fuori” nella seconda manche solito scenario, però questa volta Peter lo spinge veramente fuori e vince.

Nel ’55 e nel ’56 la scuderia è attiva principalmente in Gran Bretagna dove Walker farà correre principalmente Tony Brooks e Reg Parnell sulla Connaught prima e su una Cooper poi, per le gare di formula e su di una Mercedes 300SL per le gare sport.

Nel 1957 Rob compra una Cooper T43 per le gare di Formula 1 e decide di ingaggiare un giovane Jack Brabham, faranno la loro prima corsa a Siracusa finendo sesti; a Monaco sono vicini a non qualificare l’auto, ma a pochi minuti dalla fine delle prove Gregory Masten si gira a St. Devota, il commissario di pista in quel punto era il capo barista all’Hotel de Paris, Rob lo conosceva bene, e lo convince ad esporre la bandiera rossa per pulire la pista; così facendo a 3 minuti dalla fine ripartono le prove e Jack riesce a qualificare l’auto. Durante la corsa, vinta da Fangio, Brabham riesce a portarsi al 3 posto, ma una rottura al tornate della stazione a 5 giri dalla fine costringe il pilota ad andare di inerzia e poi a spingere l’auto fino al traguardo agguantando un sesto posto.

L’inizio di una grande amicizia

Alla fine del ’57 Jack annuncia a Rob che andrà a guidare per Cooper, fortunatamente Moss stava cercando un auto da guidare per la F2 (essendo sotto contratto con Vanwall per la F1) e si offre a Rob dichiarando che secondo lui la sua Cooper è la migliore auto da F2. Fortuna vuole che ad inizio’58 la Vanwall non era ancora pronta per la stagione e Ken Gregory, il manager di Moss, chiama Walker per farlo guidare la sua Cooper F1 nel GP di Argentina; Rob si trova in difficoltà visto che non ha i soldi per spedire via aereo l’auto a Buenos Aires, le soprese non finiscono, perché gli argentini sono ben felici di pagare le spese per avere Stirling a correre. Rob rimane in Inghilterra e spedisce i suoi due meccanici; in accordo con Moss decidono che per la gara non dovranno cambiare gli pneumatici perché rispetto agli avversari (Ferrari e Maserati) avrebbero impiegato più tempo al pit-stop. La gara parte e Stirling è terzo, dopo il giro dei pit ed aver passato Hawthorn si trova in testa davanti a Fangio, tutti si aspettano una sosta da parte della piccola Cooper ma Moss cercando di non stressare le gomme riesce a vincere davanti a Musso e Fangio con gli pneumatici che non sarebbero durati un altro giro. Questa è la prima vittoria nel mondiale di Formula1 per Rob Walker, che lo verrà a sapere durante la notte, e per una Cooper; ma soprattutto la prima vittoria per un privato.

Per il resto dell’anno per le gare di Formula1 Rob si affida a Trintingnant che riuscirà a vincere il GP di Monaco oltre ad altre corse, alla fine dell’anno saranno 10 le vittorie per il team, ma soprattutto Walker riesce a garantirsi la Guida di Stirling Moss per l’anno successivo (che pur se nel ’58 aveva corso per ben tre team diversi, sembra di essersi trovato in “famiglia” con il Rob Walker team)

La morte di un campione

22 Gennaio 1959, Guildford, pioggia.

Rob Walker esce di casa per andare al suo garage sulla sua Mercedes 300SL, Mike Hawthorn  sta andando a degli incontri, in quanto campione del mondo, sulla sua Jaguar customizzata che chiama “the Merc-eater”, i due si trovano uno dietro l’altro, si fanno un cenno e aumentano la velocità, arrivati a 160 kmh la Jaguar di Mike affianca Rob che decide di alzare il piede pensando “Beh, molto bene per un campione del mondo, ma io sono troppo vecchio per queste cose.”. Appena sorpassata la Mercedes la Jaguar ha una sbandata, il primo pensiero di Rob è che Mike la riprenda senza problemi, ma l’auto si gira, finisce nei campi e tra una “fontana” di fango e acqua colpisce un albero. Immediatamente Walker ferma l’auto e si va ad accertare delle condizioni dell’amico trovandolo disteso sul sedile posteriore, gli dice solo “Dai Mike,è stata una cosa stupida da fare per un campione del mondo” prima di accorgersi del sangue che gli cola dalla bocca ed ha gli occhi chiusi, Hawthorn o è morto o sta morendo.  Ci sono molte teorie sulla causa dell’incidente (girando in rete ho trovato perfino uno che si dichiara testimone oculare, ma non ho approfondito), Rob ricorda solamente di aver sentito il motore su di giri durante il testacoda,  la Jaguar aveva l’acceleratore manuale installato da Mike per riposarsi nei lunghi viaggi, ed arriva alla conclusione che molto probabilmente si è inceppato tutto aperto causando il disastro.

Stirling Moss

Per la stagione ’59 il Rob Walker Racing Team era così composto: Rob, la segretaria e 4 meccanici per 3 auto da F1 e 2 da F2, più un Aston Martin DB4GT per le corse sport, i piloti sono Moss e Trintignant e Ken Gregory fa da manager sia per Moss che per il team. Ancora con una Cooper affrontano il mondiale, la stagione non promette bene perché l’auto ha un cambio fragile, ma comunque Moss riuscirà a vincere, doppiando tutti, in Portogallo e a Monza (grazie ad un pitstop meno rispetto alla Ferrari). Trintignant riesce a fare due podi (3°a Monaco e 2° a Sebring), più i due piloti riportano alcune vittorie in Formula 2. La stagione ’60 inizia sempre con la Cooper in Argentina dove Moss rompe, ma prende l’auto del suo compagno (che causa mal di denti vola dal dentista) e riesce a fare 3° con il giro veloce. Nei 4 mesi che intercorrono tra il Gp d’Argentina e quello di Monaco si affaccia sulla scena delle corse la Lotus 18 progettata da Colin Chapman che riesce a vincere in F1 e F2 a Goodwood e in F1 a Silverstone dimostrando che pur essendo fragile è l’auto più veloce; Walker ne chiede una a Chapman che si domostra felice di dargliela pensando che Moss abbia più possibilita di vincere una gara mondiale rispetto a Ireland. A Monaco è subito vittoria (la prima per una Lotus in un Gran Premio di F1) pur se la Lotus dimostra ancora fragilità, visto che all’ispezione post gara i meccanici si accorgono che il motore è solamente sorretto da un tubo del sistema di raffreddamento. Nella successiva gara Moss riesce a fare 4° dopo un incidente con Brabham, a Spa ha un incidente nelle prove che lo costringe a saltare tre gare per tornare in Portogallo dove subisce una squalifica,non corre a Monza ma riesce a vincere negli Usa l’ultima gara del mondiale. Walker per il fine stagione compra una Ferrari 250GT con cui Moss vince il TT. Nel ’61, con un cambio di regolamento, le Ferrari e le Porsche si troveranno avvantaggiati e seppur Moss riceve un’ottima offerta de quest’ultima preferisce restare con Rob. A Monaco dopo un’inaspettata pole un’ora prima della corsa i meccanici scoprono una frattura su un tubo del telaio, verrà saldato sulla griglia di partenza, poi dato il caldo Moss richiede di levare i pannelli laterali della sua Lotus; dopo 100 giri tirati al massimo con la paura che le Ferrari lo potessero riprendere Stirling vince la prima gara del mondiale, l’auto non si dimostrerà all’altezza per il resto del campionato. Moss però riesce a vincere una gara spettacolare al Nurburgring, con una Lotus inferiore in velocità di punta rispetto alle Ferrari monta sull’auto gomme da bagnato segnate con un punto verde (che denotava gomme da asciutto) per partire su pista asciutta. Dopo alcuni giri comincia a piovere, Moss si porta in testa in queste condizioni e riesce ad arrivare primo portando gli pneumatici a fine gara con non più di 5mm di battistrada.  Alla fine dell’anno il team di Rob walker ha vinto due gare in una stagione dominata (e anche tragica) dalle Ferrari, ma è riuscito anche a ottenere l’unica vittoria per un auto a trazione integrale in F1 (con una Ferguson P99) nella Gold Cup a Oulton Park.

“Caduta” e ripresa

Nel ’62 Rob Walker (grazie anche a Moss) riesce ad ottenere un accordo con Enzo Ferrari per una 156, ma prima dell’inizio della stagione Stirling decide di partecipare a Goodwood per il fine settimana di pasqua mentre il team è impegnato in una gara di F2 a Pau (che vince con Trintignant). Moss durante la corsa avrà un incidente da cui non si riprenderà più e il team Walker si trova senza pilota e in più senza Ferrari, Rob ripiega sulla Lotus 24 e come pilota per la stagione ingaggia Trintignant che non avrà buoni risultati. Il peggio però accade a fine stagione, prima quando Ricardo Rodriguez chiede a Rob di iscrivere un’auto per lui nel GP del Messico (gara non mondiale che Ferrari diserta) dove finirà per perdere la vita; poi quando a dicembre riceve la chimata della BP (suo sponsor) per chiedere se può iscrivere l’auto per un giovane pilota, Gary Hocking campione motociclistico dalla Rhodesia, per gli appuntamenti di fine stagione in Sud Africa; sfortunatamente anche lui perderà la vita e per la prima volta Rob pensa seriamente a chiudere con le corse.

All’inizio dell’anno successivo decide comunque di continuare, per il semplice motivo che le corse sono sempre state il suo mondo e non saprebbe cosa altro fare; sceglie come pilota Jo Bonnier (che Rob reputa un po’ più “premuroso”) e come auto una Cooper che ritiene più “solida” della Lotus. Il campionato non porta grandi risultati, appena 2 quinti e 2 sesti posti, però porta all’attenzione di Rob un pilota svizzero, Siffert. Nel ’64 il team continua con Bonnier, ed oltre la Cooper riesce ad acquistare una Brabham. Trovandosi con 2 auto, dal Gp di Germania, il team noleggia la seconda auto per un pilota locale, così facendo Rob riuscirà a far correre in Austria quello che lui ritiene un bel talento visto in F2, ma all’esordio nella massima serie, Rindt. Per gli ultimi 2 Gp della stagione iscrive sotto suo nome anche l’auto di Siffert, che porta un bel podio in Messico. Nel ’65 Walker sceglie di schierare accanto a Bonnier, che nel frattempo fa anche da manager al team, proprio Siffert, dopo che gli si era offerto Rindt che spinge alla Cooper. In una stagione dominata da Clark, Siffert riesce a malapena a raggiungere i 5 punti causa un brutto infortunio ad inizio anno, mentre Bonnier rimane a quota 0. A fine anno con un cambio di regolamento il team passerà ai “motori” Maserati (montati su una Cooper) e potendosi permettere una sola auto decide di tenere come pilota solo Siffert; peccato che in 2 stagioni con questa auto riusciranno solo a fare tre quarti posti. I famosi motori maserati sono due, uno da usare mentre l’altro è a riparare in Italia, Rob rimane un po’ perplesso che i due motori abbiano lo stesso numero di serie, sembra per non pagare la dogana, il suo pensiero è quello di lasciar fare la maserati, che se un giorno avessero trovato 2 motori con il solito numero seriale all’aereoporto di milano, ci avrebbero pensato loro, confidente che gli italiani sono migliori in questo genere di cose.

Per la stagione 1968 Rob Walker convince Chapman a vendergli una Lotus 49 con i motori Cosworth, che nella sua versione B, Siffert porterà alla vittoria nel GP di Gran Bretagna, che resta l’ultima vittoria del team in Formula 1. La stagione si conclude con un quinto ed un sesto posto tra Messico e USA. L’anno doppo, sempre con l’accoppiata Lotus-Siffert, arriveranno un terzo posto a Monaco ed un secondo posto a Zandvoort. A fine anno Siffert decide di trasferirsi alla March.

La fine del Rob Walker racing team

Già nel ’69 Chapman aveva offerto Hill a Walker, credendolo sulla via del tramonto sopratutto dopo l’incidente al Glen. Pur se i medici non davano buone notizie Hill tutto rotto riesce a fare sesto in Sud Africa nel primo GP della stagione, a Monaco Hill picchia l’auto ed è solo grazie a Chapman che da un’altra Lotus al team per partecipare, alla fine Hill sarà 5°. A Monza Rob riesce ad avere una Lotus 72 ma dopo la disgrazia di Rindt decide di non far correre Hill ritenendo l’auto pericolosa. A fine anno dati i troppi costi decide di unirsi a Surtees per l’anno dopo dove farà sempre da manager per un po’ di anni e gestirà la carriera di Mike Hailwood che decide di dedicarsi solo alla F1. Lasciato il team di Surtees nel ’74 Rob segue Mike in McLaren per gestire il team Yardley. Il ’75 sarà il suo ultimo anno in Formula 1 come direttore dando una mano al team di Harry Stiller dove fa esordire un giovane australiano, Alan Jones.

Rob Walker morirà nel 2002 a 84 anni dopo aver speso una vita prima come pilota, poi come manager e successivamente come giornalista per la rivista Road & Truck solo spinto da una cosa, la passione per le corse.

Landerio

fonti: Rob Walker, Michael Cooper-Evans

Peter Collins, il destino di un cavaliere

“Eravamo tutti coscienti il giovedì, quando andavamo via da casa, che forse non saremmo rientrati la domenica, lo sapevano anche le nostre famiglie. Eravamo pazzi, eravamo piloti del Gran Premio, erano una posizione e un privilegio unici”. Lo disse l’ex ferrarista Patrick Tambay alcuni anni dopo la fine della propria carriera, con i capelli grigi e la consapevolezza di avercela fatta, di aver sconfitto il nemico più insidioso. Il francese non era pazzo, come tanti suoi colleghi era animato da una passione che lo spingeva ogni volta a mettersi al volante con la consapevolezza del fatto che la morte facesse parte del gioco, un pensiero che per molti oggi potrebbe apparire folle ma che per loro non lo era affatto e ancora meno lo era per i Cavalieri del rischio che negli anni cinquanta scrissero i primi capitoli della storia della Formula 1, lasciando ai posteri pagine in bianco e nero di racconti e aneddoti indimenticabili.

Capelli biondi, sorriso da copertina patinata, sposato con l’attrice Louise King: potrebbe sembrare l’introduzione per un divo di Hollywood, ma a Peter John Collins piacevano le macchine da corsa e il suo mestiere era quello del pilota: nato a Kidderminster nel 1931, suo padre possedeva una società di trasporti e un garage, aspetti che probabilmente favorirono la sua conoscenza delle auto, che presto divennero una grande passione per il giovane Peter, capace di guadagnarsi un test drive a Silverstone che gli fruttò un contratto sia con Aston Martin che con HWM. Mentre in Formula 1 la sua carriera stentava a decollare, in altre competizioni riuscì a far emergere il proprio talento, al punto da convincere un pilota del calibro di Stirling Moss ad ingaggiarlo per la Targa Florio del 1955, competizione che tra l’altro i due si aggiudicarono. Nel 1957, anno in cui il compagno di squadra Castellotti perse la vita durante un test, venne affiancato alla Ferrari dall’amico Mike Hawthorn, un altro personaggio dallo stile inconfondibile, con il fare elegante e quel papillon con cui era solito correre; dal 1958, con l’ottima 246 F1, i due potevano pensare seriamente al titolo, da contendere alla Vanwall di Moss e al compagno di squadra Musso. Nel team non c’era una prima guida e nacque un’intensa rivalità sportiva, l’allora fidanzata di Musso dichiarò addirittura che i due inglesi si accordarono per dividersi i premi in caso di vittoria di uno dei due, per motivarsi a stare davanti al pilota italiano.

Luigi Musso era considerato uno dei piloti più promettenti dell’epoca e la sua stagione iniziò nel migliore dei modi, con due secondi posti a Buenos Aires e Montecarlo poi, dopo due gare deludenti, si arrivò a Reims dove purtroppo tuttò ando storto: il pilota italiano partì secondo alle spalle di Hawthorn che prese il largo, il ritmo di gara era tiratissimo, Musso non ne voleva sapere di lasciarlo scappare, ma al decimo giro uscì di strada alla Curva del Calvaire e finì nel fossato, venne trasportato in ospedale con ferite alla testa molto gravi, troppo, per lui purtroppo non ci fu nulla da fare, aveva 34 anni ed era la seconda vittima di quella stagione dopo Pat O’Connor, deceduto a causa di un incidente al via della 500 miglia di Indianapolis, allora in calendario iridato. La gara proseguì e Hawthorn vinse agevolmente compiendo tra l’altro un gesto nobile: poco prima del traguardo raggiunse Fangio ma rallentò e gli consentì di transitare prima di lui per evitargli l’onta del doppiaggio, una mossa semplice ma dal grande significato, anche perché per l’asso argentino fu l’ultima presenza: a fine gara infatti tornò ai box, guardo i suoi meccanici e disse semplicemente “è finita”. A quasi 50 anni e con cinque mondiali in tasca decise che ne aveva abbastanza.

Il gesto di rispetto dell’elegante pilota inglese nei confronti di Fangio a Reims esemplifica quanto fossero “umani” i romantici condottieri degli anni cinquanta, e a rendere ancor più l’idea di questo aspetto è un fatto accaduto proprio all’amico di Mike, ovvero Peter Collins, motivo per cui è necessario tornare al 1956. In quella stagione la Ferrari schierò la D50, vettura progettata dalla Lancia, la quale si ritirò dal mondiale e cedette tutto alla casa del Cavallino in seguito alla tragica scomparsa di Alberto Ascari, avvenuta l’anno precedente a Monza mentre il pilota era intento a provare una vettura Sport. I piloti di punta di Maranello per quella stagione sarebbero stati Luigi Musso, proveniente dalla Maserati, Eugenio Castellotti, il grande Juan Manuel Fangio e il giovane Collins, “fiutato” da Enzo Ferrari nonostante fino a quel momento non avesse ancora ottenuto punti iridati. Il Drake voleva in squadra un campione di razza ma non amava Fangio, che in un’epoca dove una stretta di mano valeva più di contratto era invece molto preparato e attento politicamente, tanto abile in pista quanto nella scelta della vettura e del contratto migliori, al punto da riuscire a strappare ad Enzo Ferrari condizioni fino ad allora mai prese in considerazione. Ben diverso il rapporto del Grande Vecchio con l’inglese Collins, cui venne addirittura regalata una bellissima 250GT; ora che correva per Maranello avrebbe dovuto mettere da parte la Lancia Flaminia con cui era solito circolare.

Il mondiale prese il via e in Argentina furono Fangio e Musso a vincere, dividendosi auto e punteggio (all’epoca il regolamento lo permetteva), situazione analoga a quella di Montecarlo dove a condividere il secondo posto alle spalle di Stirling Moss furono Fangio e Collins, che presto diventarono inaspettatamente rivali in quanto l’inglese, dopo la 500 miglia di Indianapolis, calò un bis di vittorie a Spa e Reims, cui l’argentino rispose con i successi a Silverstone e al Nurburgring; si arrivò quindi all’ultima gara, da disputarsi a Monza, con entrambi i piloti in lizza per il titolo e con un terzo incomodo molto pericoloso: Stirling Moss. Iniziò il Gran Premio: sul velocissimo circuito brianzolo, che all’epoca comprendeva sia il tracciato classico che l’anello ad alta velocità, si viaggiava ad oltre 200Km/h orari e causa la tenuta precaria di gomme e vetture non mancarono soste ai box e uscite di strada: Musso e Castellotti tentarono di prendere il largo, poi fu Fangio a passare in testa, ma prima venne superato da Moss e infine fu costretto a fermarsi per noie allo sterzo; con un pretesto venne richiamato ai box Musso per cedere la vettura all’argentino, ma il pilota italiano ripartì subito senza ubbidire alle direttive del team. Peter Collins era ancora in pista e con Fangio fuori dai giochi aveva concrete possibilità di conquistare il titolo, ma ad un certo punto rientrò ai box, scese dall’auto e fece cenno di salire al compagno di squadra, che partì immediatamente lanciandosi con successo all’inseguimento di quel titolo mondiale che sembrava ormai essergli sfuggito, una situazione ideale anche per Enzo Ferrari che dimostrò ancora una volta al suo pilota che la vittoria del campionato arrivò soprattutto grazie alla propria squadra.

A proposito si aprì un dibattito: alcuni nello staff di Maranello dissero in seguito che fosse stato Enzo Ferrari dietro le quinte ad organizzare e gestire la situazione, mentre il manager di Fangio sostenne invece di aver fermato personalmente Collins e che questi accettò l’ordine. La versione “ufficiale” rimase comunque quella dei piloti: Fangio, sempre riconoscente per il gesto del giovane amico, ammise con sincerità che a parti invertite nulla al mondo sarebbe riuscito a toglierlo dalla propria auto per lasciarla ad un collega,  Collins dichiarò invece di aver preso quella decisione serenamente: disse semplicemente a Fangio,  “Guarda, è più giusto che sia tu a vincere questo mondiale, io sono giovane e avrò altre occasioni”. Purtroppo non andò così.

Collins correva anche fuori dalle piste: amante delle donne e della bella vita, conobbe l’attrice Louise King e se ne innamorò a prima vista, due giorni dopo il primo appuntamento la portò in un Hotel a Miami e le chiese la mano, con celebrazione avvenuta una settimana più tardi tra lo stupore di famiglie e amici. In quel periodo stava spostando la propria attenzione anche su altri aspetti esterni alle corse, come il progetto di una nuova casa e alcuni investimenti tra i quali l’ambizione di aprire una concessionaria Ferrari insieme al padre, traslocò inoltre da Maranello andando a vivere con la moglie di uno yacht a Montecarlo, scelta che il Drake non apprezzò. La carriera di Collins proseguì con un deludente 1957 mentre Fangio passò in Maserati e, ironia della sorte, vinse il suo quinto e ultimo titolo mondiale, contrariamente alle previsioni dell’ex compagno di squadra, nonostante l’età ebbe un’ultima occasione iridata.

Torniamo al 1958: superato lo shock per la scomparsa di Musso, Collins non poteva certo dirsi soddisfatto del proprio rendimento fino a quel punto della stagione, con un solo podio e qualche ritiro di troppo, mentre Hawthorn sembrava involarsi sempre più deciso verso l’iride. Nel gran premio di casa fu però Collins a imporsi con un netto vantaggio sul compagno di squadra, anche se la classifica vedeva i due distaccati di 16 punti con sole quattro gare da disputare, quattro battaglie da vincere a partire dal primo scontro diretto: la temibile Nordschleife, più di nove minuti di curve e cambi di pendenza tra prati, colline e alberi, un inferno verde. Il 3 agosto del 1958 Collins partì quarto e si lanciò come una furia all’inseguimento del leader Brooks, ma nel corso del decimo giro uscì di pista a Pflanzgarten davanti agli occhi di Hawthorn schiantandosi contro un albero; morì poco dopo, a 27 anni, durante il trasporto in ospedale. Mike Hawthorn rimase sconvolto, tanto che subito dopo aver vinto il titolo mondiale annunciò il proprio ritiro dalle corse, in una stagione maledetta che pagò un ultimo tributo di sangue con la scomparsa di Lewis Evans nella prova conclusiva disputata in Marocco. Hawthorn era atteso a sua volta da un tragico destino: morì pochi mesi più tardi in un incidente automobilistico. Alcune fonti parlano di un sorpasso finito male mentre era intento a sfidarsi in strada con Rob Walker, signore del Whisky, e anche se le indagini non chiarirono definitivamente l’accaduto la versione è accettata e tramandata da tutti, forse perché rende l’idea di Hawthorn scomparso mentre faceva ciò che amava, correre in macchina, proprio come Collins.

Quel titolo regalato Collins non riuscì mai a conquistarlo, ma il suo gesto è di quelli che eccitano la fantasia popolare e vengono tramandati come un poema epico, si tratta di un episodio più unico che raro di sportività, amicizia e generosità, ma ai fan della Formula 1 non piacciono solo i bravi, amano tutte le storie che da sempre riguardano i propri beniamini: i sogni infranti di chi ha perso la vita inseguendo un sogno, il coraggio di chi torna in pista quaranta giorni dopo un rogo terribile e poche settimane più tardi ammette di avere paura sotto un diluvio ai piedi del monte Fuji, la passione di chi è disposto a correre su tre ruote tentando di vincere un Gran Premio, quella di chi sviene spingendo una macchina, fino a quelli che pur di surclassare un rivale o un compagno di squadra odiato, temuto e rispettato, hanno spinto sull’acceleratore fino ad accompagnarlo nella sabbia o contro un muretto.

Forse Tambay aveva ragione, erano pazzi,  ma è proprio quella pazzia radicata nel dna dei Cavalieri del rischio ad aver reso la Formula 1 uno sport così popolare e c’è un fattore indispensabile che la F1 2.0 ossessionata dallo share e dallo show ha completamente dimenticato, ciò che nel bene e nel male, con pregi e difetti, entusiasmava davvero i tifosi del Circus dei Gran Premi: l’uomo.

Mister Brown

Un colpo solo

“Un colpo solo”  – Christopher Walken durante la roulette russa che fungeva da epilogo de “Il cacciatore”, capolavoro di Michael Cimino.

Un pilota può avere diverse occasioni più o meno importanti, ma ci sono momenti decisivi che in una carriera possono anche capitare una volta sola, specialmente quando si parla della possibilità concreta di vincere un titolo mondiale, quel momento  che può diventare una roulette russa, un istante dove l’auto, il motore, le gomme, un rivale particolarmente ostico oppure i propri nervi diventano come proiettili: ne basta uno e il sogno svanisce.

“E cosa vuoi tu?” “Il mondo chico… e tutto quello che c’è dentro…”

Al Pacino – Scarface

Ogni pilota che si rispetti punta al massimo e vuole arrivare in alto. Clay Regazzoni era votato all’attacco, correva l’anno 1970 quando a 31 anni dominò l’europeo di Formula 2 e arrivò alla massima categoria dell’automobilismo. Dopo una manciata di gare, a Monza vinse un Gp dai ritmi tiratissimi mettendo in riga Stewart, Beltoise, Hulme e Stommelen, poi grazie ad altri piazzamenti di rilievo arrivò fino al terzo posto in classifica generale nonostante avesse saltato cinque gare, alle spalle di Rindt (deceduto proprio a Monza ma comunque campione) e a un passo dal compagno di squadra Ickx. Con un avvio così prorompente ci si aspettava che potesse arrivare presto al titolo, ma la casa del Cavallino stava affrontando un periodo di crisi e non riuscì a mettere in pista una vettura competitiva, pertanto nei due anni successivi lo svizzero dovette accontentarsi di alcuni podi e poche soddisfazioni, decidendo di cambiare aria alla fine del 1972, stagione in cui debuttò un altro trentenne veloce e promettente: l’argentino Carlos Reutemann, autore della pole al Gran premio d’esordio, impresa rarissima nel Circus.

Regazzoni passò alla decaduta BRM ma dopo una sola stagione fu richiamato dalla Ferrari, che con Luca Cordero di Montezemolo e l’Ing. Mauro Forghieri stava gettando le basi per uno straordinario ciclo vincente: Clay consigliò ad Enzo Ferrari l’ingaggio del compagno di squadra Niki Lauda, ignaro del fatto che l’austriaco sarebbe diventato una macchina da guerra inarrestabile e che presto lo avrebbe costretto ad essere una seconda guida. Che la Ferrari non fosse più relegata al ruolo di comparsa divenne chiaro da subito e al giro di boa del mondiale 1974 alle spalle del leader Fittipaldi si trovavano proprio Lauda (4 pole e 2 vittorie) e Regazzoni, ancora a secco di successi ma più costante dell’austriaco; poi al Nurburgring arrivò anche il momento del ritorno sul gradino più alto del podio per Clay,  cui seguì un altro piazzamento che lo portò a quota 46 punti, contro i 41 di Scheckter, i 38 di Lauda e i 37 di Fittipaldi.

“Chiunque al mondo può perdere un incontro”

Morgan Freeman – Million Dollar Baby

A tre gare dalla fine la classifica poneva dunque Regazzoni come favorito, ma a Monza il motore Ferrari lo tradì e a Mosport non andò oltre ad un secondo posto alle spalle di Fittipaldi, che lo raggiunse in classifica; la questione si sarebbe dunque risolta a Watkins Glen, in un contesto surreale dato che dopo dieci giri di gara Koinigg uscì di strada e fu orrendamente decapitato dal guard rail ma la vettura non venne rimossa. The Show must go on, la Formula 1 in tutto il suo cinismo. Reutemann conquistò la pole e vinse agevolmente la gara davanti al compagno di squadra Pace mentre per Regazzoni fu un calvario: partito nono alle spalle di Fittipaldi, iniziò progressivamente a rallentare tanto che si formò un trenino alle sue spalle, tentò un disperato cambio gomme al 15esimo giro ma la situazione non migliorò, pare per un problema alla sospensione, stesso guaio che costrinse al ritiro Lauda. Clay si classificò undicesimo a quattro giri dal vincitore e a Fittipaldi bastò così un quarto posto per vincere il titolo, in Ferrari prese poi il sopravvento Lauda, che vinse il mondiale nel 1975 lasciando solo le briciole a Regazzoni, il quale colse uno straordinario Grand Chelem a Long Beach nel 1976, anche se i rapporti con il team erano ormai deteriorati. A peggiorare la situazione una frase sibillina di Enzo Ferrari che lo definì, dopo una sua apparizione televisiva, «Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota», espressione non gradita al pilota, che inoltre nel finale di stagione non fu ritenuto sufficientemente efficacie nel contrastare l’avanzata di James Hunt durante la convalescenza di Lauda (il pilota era invece convinto di non essere stato supportato dal team). Avvenuto l’inevitabile divorzio dalla Ferrari trascorse un paio d’anni nelle retrovie con la Ensign e la Shadow, prima di passare alla Williams, dove con l’arrivo della FW07 colse la prima storica vittoria per il team inglese, oltre a quattro podi, risultati che non gli garantirono la conferma in quanto Frank Williams aveva deciso di puntare su Alan Jones e su quel Carlos Reutemann che già lo aveva rimpiazzato alla Ferrari. Tornato alla Ensign, dopo un inizio di stagione deludente i suoi sogni si infransero definitivamente sul pericoloso tracciato cittadino di Long Beach: nel corso del 51esimo giro la Ensign andò dritta causa la rottura dei freni e centrò in pieno la Brabham di Zunino parcheggiata a lato della pista, finendo poi contro il muretto: il pilota fu estratto dopo mezz’ora in gravi condizioni. Avrebbe avuto salva la vita, ma non la possibilità di tornare a camminare, Clay cuor di leone di strada ne fece comunque ancora tanta.

“Coinvolge un bel po’ di persone  collegate da un evento insignificante, una soffiata nella notte…”

Bruce Willis – Slevin

Il grande sogno Ferrari spezzato dalla classe di Lauda e il tentativo di rilancio con una Williams già orientata al proprio pilota di punta Alan Jones, la sceneggiatura di un ipotetico film su Regazzoni che ha ben più di un punto in comune con la storia di Carlos Reutemann, già apparso come attore non protagonista nella carriera del collega.

Pilota di classe e talento ma dal carattere instabile, l’argentino si era fatto in strada in Formula 1 con la Brabham, scuderia con cui ottenne quattro vittorie e due partenze al palo prima di ricevere un’offerta di quelle che non si rifiutano, quella di Enzo Ferrari, che lo contattò per rimpiazzare Niki Lauda, convinto che l’austriaco non sarebbe più stato in grado di correre dopo l’incidente. Reutemann si liberò soltanto a Monza, dove vennero schierate tre rosse, poi si sedette in panchina subentrando dal 1977 al posto di Regazzoni e con l’ipotetico ruolo di prima guida in quanto a Maranello l’epicità di Lauda al volante dopo 40 giorni dal rogo del Ring aveva lasciato il posto all’immagine della resa al Fuji che gli costò il titolo, quella di un uomo impaurito e forse segnato per sempre da quell’evento. The Show must go on, la Formula 1 in tutto il suo cinismo, parte seconda.

La trama ebbe un risvolto inatteso: Reutemann si portò subito in testa al mondiale ma già al terzo Gp a Kyalami, in una gara segnata dalla terribile tragedia di Pryce, colpito dall’estintore di un incauto commissario, purtroppo investito e deceduto a sua volta, Lauda vinse avviando una lunga serie di risultati che gli fruttarono il secondo titolo, con Reutemann spettatore e prigioniero delle proprie incertezze; in tal senso fu emblematico un filmato estratto da un test Ferrari nel quale l’argentino venne pesantemente ripreso da Forghieri in quanto incapace non solo di reggere il passo di Lauda, ma anche di ripetere i propri tempi, rimprovero cui il pilota rispose allargando le braccia e con un malinconico “io non lo posso fare”, segnalando problemi che i meccanici non riuscivano a capire.

Lauda vinse il mondiale e se ne andò sbattendo la porta, mentre Reutemann restò ancora un anno in cui fu protagonista di una stagione di altissimo livello, anche se non poté nulla contro le inarrivabili Lotus, team con cui corse l’anno seguente nel disperato tentativo di inseguire il mondiale, ma la vettura non resse il passo della concorrenza e il titolo, ironia della sorte, tornò proprio a Maranello, nelle mani di Scheckter; a quel punto l’argentino puntò sulla Williams, dominatrice del finale di stagione con Regazzoni e con Alan Jones, ormai consolidata prima guida del team.

“Prima regola del Fight Club, non parlate mai del Fight Club”

Brad Pitt – Fight Club

Reutemann avrebbe constatato personalmente il peso politico e il carattere del ruvido Alan Jones alla corte di Frank Williams attraverso un corpo a corpo che finì per logorargli i nervi. Il primo anno nel team seguì i piani con Jones campione e Reutemann fedele scudiero, poi l’argentino decise che doveva essere arrivato il suo momento e durante il secondo Gp del 1981 passò Jones e vinse senza curarsi degli ordini di scuderia: nel team si creò un forte imbarazzo e l’austrialiano la prese malissimo, tanto da non presentarsi nemmeno sul podio. Secondo a Buenos Aires, terzo a Imola e di nuovo primo a Zolder, a quel punto Reutemann aveva 12 punti di vantaggio su Piquet, mentre dopo il Gp d’Inghilterra il margine salì a +17 con sole sei gare da disputare. Proprio quando il titolo sembrava una formalità Piquet iniziò a recuperare, anche se a Monza fu costretto al ritiro mentre Reutemann litigò con il team, che non ordinò a Jones di farlo passare in ottica campionato; nel successivo appuntamento a Montreal l’australiano rifilò addirittura una ruotata al compagno di squadra che con l’auto danneggiata chiuse decimo e a Piquet bastò un quinto posto per portarsi ad un solo punto dalla vetta. Come avvenuto per Regazzoni nel 1974, anche la roulette russa di Reutemann si sarebbe tenuta negli Usa, dove il maestoso circuito del Glen era stato rimpiazzato da un circuito provvisorio allestito nel parcheggio del Caesar’s Palace Hotel.

“La regola fondamentale è di farli continuare a giocare e di farli continuare a tornare. Più giocano e più perdono.”

Robert De Niro – Casinò

A Las Vegas Reutemann conquistò la pole position ma non era tranquillo: durante il warm up lamentò problemi che i meccanici non riuscirono a individuare, come in quel test Ferrari in cui Forghieri gli chiedeva invano di andare più forte, inoltre in griglia di partenza aveva al proprio fianco Alan Jones, che ovviamente non valutò nemmeno per un istante l’ipotesi di coprirlo ma anzi, lo bruciò al via e prese la testa della corsa, mentre l’argentino iniziò a perdere posizioni scivolando fuori dalla zona punti fino ad un anonimo ottavo posto. Piquet era stremato dal caldo ma riuscì a terminare al quinto posto, piazzamento che gli consentì di laurearsi campione per la prima volta, venne estratto dalla vettura ormai senza forze e salì sul podio dove trovò un sorridente Alan Jones, che si fece beffe di Reutemann dichiarando che ormai poteva solo competere per Miss Argentina. Carlos annunciò il ritiro, poi ci ripensò e si presentò al via del 1982 debuttando con un ottimo secondo posto a Kyalami, ma in seguito ad un incidente con Arnoux in Brasile e soprattutto causa le tensioni politiche tra il suo paese e l’Inghilterra, Patria del team per cui correva, decise di tornare a casa per occuparsi dei propri terreni; al termine di una stagione segnata da colpi di scena e tragedie il mondiale lo vinse la Williams con il promettente Rosberg ed è lecito pensare che il più esperto Reutemann avrebbe potuto dire la sua, ma ormai erano già passati i titoli di coda, nessun rimpianto.

“Non c’è cosa peggiore del talento sprecato” 

Robert De Niro – Bronx

Si può parlare di talento sprecato raccontando la storia di due piloti di successo che hanno vinto, guadagnato e messo in pratica la propria passione fino al massimo livello? Sicuramente no, infatti è una forzatura, semplicemente ci sono colleghi di talento uguale o inferiore che hanno vinto il titolo perchè il loro colpo era quello buono, anche se il titolo ovviamente non è tutto nella carriera di un pilota. Carlos Reutemann ha partecipato a 146 GP iridati e ha collezionato 6 pole, 12 vittorie e 4 giri più veloci in gara, a chi sottolineò quel traguardo solo sfiorato Carlos rispose così: “quando penso a quello, ricordo che prima dovevo cavalcare per andare a scuola e da lì ero arrivato ad essere un pilota di Formula 1: questo risultato non me lo potrà mai togliere nessuno.”

Clay Regazzoni ha preso il via in 132 GP iridati, con 5 pole, 5 vittorie e 15 giri più veloci in gara. Mai domo, dopo l’incidente continuò a correre inventando personalmente alcuni sistemi di guida per ausilio disabili, diventò pure promotore dell’inserimento dei disabili nello sport e rappresentante della Federazione Italiana Sportiva Automobilismo Patenti Speciali. Perse la vita il 15 dicembre del 2006, stroncato da un malore mentre percorreva l’autostrada A1 e lasciando grandi rimpianti in un ambiente che ne aveva apprezzato anche le doti umane. Lauda disse di lui: “Pensando positivo e vivendo sempre fino in fondo tutte le esperienze, Clay mi ha insegnato ad amare la vita. Il gusto della vita l’ho imparato proprio da lui e dopo il mio incidente il suo insegnamento è stato ancora più prezioso. Perché se c’era un talento di Clay superiore agli altri questo era il suo pensare positivo.”

Le storie di Clay e Carlos sono le storie di due piloti e soprattutto di due uomini, con pregi, difetti e debolezze di ogni essere umano, non c’è un vero e proprio lieto fine, ma è tipico di tanti film d’autore il finale amaro, o agrodolce nella migliore delle ipotesi. La Formula 1 che mandava in scena trame epiche, belle e drammatiche degne dei migliori sceneggiatori è ormai un lontano ricordo, ma i grandi classici del passato, quelli non li dimenticheremo mai.

“È stata una bella storia, Beh, io spero che vi siate divertiti”

Sam Elliot – Il grande Lebowsky

Mister Brown

Quell’assurdo 1994, senza il solito triste ricordo

1994

l’estate del “Baggio non aver paura di tirare un calcio di rigore…non è da questi particolari, che si giudica un giocatore” ….poteva andar bene il tiro, per una realizzazione dell’Italrugby, che proprio in quel periodo, iniziava a fare le sue prime vittorie fra i grandi, con il buon Dominguez. Ma ok, siamo qua per parlare del 1994 della F1 e questa volta, lo faremo senza dedicarlo al ricordo di chi non c’è più, perché di articoli e parole per loro, ne sono state spese a iosa negli anni e chi ha una passione forte come la nostra, li ricorderà sempre.

Nella pausa invernale 93/94, si iniziano a delineare i primi problemi, con la federazione che vieta le sospensioni attive, soluzione che era d’eccellenza sulle astroWilliams, tutte le vari possibili assistenze alla partenza, i controlli di trazione, il dialogo da muretto a vettura per il settaggio/reset dei parametri, le cambiate automatiche e quant’altro l’elettronica permettesse, oltre a una riduzione delle dimensioni degli pneumatici. In pratica, si doveva tornare a una F1 dove il pilota dovesse metterci molto più del suo, peccato che la Fia decise queste regole, quando le auto erano ormai in una avanzata fase di progettazione, finendo così a creare delle monoposto molto prestazionali ed altamente instabili, che mettevano in seria crisi i piloti.

Oltre ai divieti sopracitati, alla Williams venne poi pure proibito l’utilizzo del cambio CVT, un 4 marce a variazione continua in avanzato step di sviluppo. Insomma, come se oggi, si prendesse e si vietassero tutte le soluzioni prestazionali di Mercedes, per far si che abbia fine il suo dominio. Ed infatti, già dai primi test, le Williams non furono più le armate invincibili delle stagioni passate, ed anche nelle mani di Ayrton, c’erano grossi problemi di guida, anche dettati dall’estremizzazione della scocca di Newey (ma è storia nota)

Ma i problemi di guida, erano solo un campanello d’allarme per quello che accadrà poi in una sessione di test, a Silverstone, dove un promettente JJ Letho, che aveva appena ottenuto il sedile come compagno di scuderia di Schumi, si ritrova ad avere un bruttissimo incidente, che gli fratturò qualche vertebra cervicale e qualche costola, costringendolo a saltare i primi 2 gp stagionali (sedile preso da Jos “the boss” Verstappen). Anche Jean Alesi, poche settimane dopo, tira una mina pazzesca all’Arrabbiata 2 del Mugello, ritrovandosi nel letto di un ospedale con seri problemi vertebrali. Problemi che lo costringeranno a saltare i gp del Pacifico e San Marino, venendo sostituito da Larini.

Ma la stagione comincia, ed arriva il gp del Brasile, con il campione di casa che commette un errore di guida e si ritira, mentre un giovane Schumi, gli metteva pressione. Ma nella gara di San Paolo,  non fu questo a far notizia, bensì un’altro evento pazzesco, ossia la collisione a 4 fra, Irvine, Verstappen, Bernard e Brundle.

Già, uno dei botti più assurdi e pazzeschi di cui si possa aver memoria, con un Irvine che allarga a sinistra, incurante di Verstappen che lo stava passando. I due si agganciano e parte la carambola, che prende prima dentro Brundle su McLaren e poi Bernard sulla Liger, un miracolo che non si sia fatto seriamente male nessuno, neppure Jos, che volò sopra la McLaren, avvitandosi in un tonneau.

A Eddie, fu inizialmente comminata una sanzione di 10.000 dollari e una gara di squalifica, soldi che vennero condonati dopo un ricorso. Ma visto che l’Irlandese non dimostrava di aver capitò la gravità della sua azione, venne sanzionato con 3 gare di stop. (sulle pagine di Autosprint, ricordo che dopo la gara di Imola, disse di ringraziare il Cielo per non aver corso in quel gp).

Ad Aida ci fu solo la collisione al via fra Larini e Senna, con la complicità di Hakkinen. Ma a Imola successe il finimondo, parve che tutto quello che non era successo negli anni precedenti, trovasse sfogo nel weekend in riva al Santerno.

il Venerdì Barrichello spicca il volo sul cordolo alla variante bassa, piantandosi fra le gomme e il rail, con l’auto che poi si capotta. Il sabato la morte di Roland, seguita da quella di Ayrton la domenica.

Ma al via della gara, ci fu anche l’incidente fra la Benetton di Letho (rimasto fermo) e la Lotus di Pedro Lamy, con il secondo che fini per centrare in pieno la Benetton,  pezzi vari delle auto, comprese alcune ruote, finirono in tribuna, ferendo varie persone del pubblico. Ma le cose si sa, quando vanno storte, non finiscono mai, ed arriva anche l’incidente ai box, con la gomma posteriore di Alboreto che si stacca dalla vettura, andando a colpire pesantemente meccanici e persone presenti nei box, che restano feriti, anche se non in maniera grave. (anni in cui, la pit line di un gp, vedeva un numero folle di persone e il limitatore di velocità era ancora cosa sconosciuta).

Nel weekend di Monaco, la F1 ha in se la certezza che l’immortalità e la spavalderia dei piloti è svanita, per evitare un ripetersi di quanto accaduto ai box, si introdusse per la prima volta la regola della velocità massima di percorrenza della pit line, che fu decisa essere di 80 km/h, per ridurre i rischi a chi ci lavora, oltre a venir ridotto il numero di persone che possono “pascolare” in quest’area.

Altre modifiche non erano realizzabili, vista la vicinanza fra il weekend Imolese e quello Monegasco, e quando le immagini degli incidenti erano ancora ben impresse negli occhi della gente, ne arriva subito un’altro gravissimo, quello di Karl Wendlingher con la sua Sauber. l’Austriaco perde il controllo della sua vettura in staccata, andando a impattare pesantemente di lato con la sua auto sulla barriere della S dopo il tunnel, rimanendo seriamente ferito. Dopo vari giorni di coma, ne usci fuori, ma la sua carriera di pilota fu irrimediabilmente rovinata (anche se ottenne, dei discreti risultati nel turismo e nell’endurance)

Dalla gara successiva, a Barcellona, la federazione decise di dare un taglio alle prestazioni delle monoposto,  introducendo delle limitazioni aerodinamiche,  che andavano a ridurre le ali anteriori, i deflettori e l’estrattore. Tutto questo però non basta, visto che nelle prove, arriva il botto pazzesco di Montermini (il quale a pagamento aveva sostituto Ratzenberg in Simtek). l’Italiano, durante le prove di qualifica fini largo all’ultima curva, perdendo  il controllo della monoposto, finendo per picchiare dritto contro il muro, procurandosi varie fratture alle gambe, visto che i piedi erano finiti quasi fuori dall’auto nell’impatto. Quello fu un nuovo campanello dall’allarme sulle prestazionale e la sicurezza delle attuali F1, oltre a sancire quanto le piste fossero inadeguate ad essa.

In quello stesso weekend, ci fu pure una delle prime folli soluzioni altamente tecnologiche, poste a miglioramento della sicurezza del tracciato, ossia una fantastica S fatta con gomme impilate che parevano dei muri. Tale chicane era stata posta alla curva Campsa, che al tempo andava più larga, dove ora c’è la ghiaia,  prima di inserirsi sul rettifilo opposto a quello del via. I piloti e tecnici erano terrorizzati dalla soluzione usata, per il timore di cosa sarebbe successo finendoci contro. Evento che fortunatamente non si verificò.

Si arriva in Canada, ed ecco che vengono introdotti delle ulteriori regole per ridurre le prestazioni delle vetture, vietando le benzine speciali, si doveva usare la benzina della “pompa stradale” , oltre ad essere introdotte delle aperture di sfiato negli airbox, andando a limitare di un 20% le potenze dei motori. Al layout del circuito, venne aggiunta una variante sul rettifilo che porta verso i box, per ridurre la velocità della staccata prima della S del muro dei campioni.

Il Canada passò praticamente liscio, così come pure la Francia, ma arrivò Silverstone, circuito che si vide modificare le curve dalla Abbey alla Brooklands, ma la cosa più ecclatante, fu assistere a una delle penalizzazioni più incredibili della storia, con una federazione nel pallone, per quanto fin’ora successo, che commina una penalizzazione di 5 secondi a Schumacher, per aver passato due volte Hill nel giro di formazione (si nel regolamento c’era questa articolo che venne poi eliminato).

Il tedesco ignora la sanzione, poi, quando appare la bandiera nera con affianco il suo numero, decide di entrare ai box, scontare solo i 5 secondi di penalità e tornare in pista, invece che fermare la sua corsa. La federazione a questo punto decide di usare il pugno duro, infliggendo due gare di stop al Kaiser, gare che verranno scontate fra Monza e Portogallo, per permettergli di correre la gara di casa.

In Germania arriva l’introduzione di un pattino di legno da applicare nel fondo piatto, dall’altezza di  1 cm, che non deve consumarsi più di 2mm. Soluzione che obbliga le scuderie a mantenere delle altezza da terra maggiori, andando a ridurre la deporatanza generata dal fondo piatto.

Al via della gara però, non andò liscio nulla, infatti ci fu una sequenza di botti incredibili, che portarono al ritiro di 10 vetture, fra cui uno scellerato Hakkinen, che fece una manovra simile a quella di Irvine in Brasile, finendo per uscire lui stesso, e molti altri, compreso Coulthard (ad Hakkinen verrà data una squalifica di una gara a SPA). L’assurdo però arrivò quando, dopo questa mega collisione, non venne data la bandiera rossa, visto il numeroso groviglio di detriti ed auto sparsi qua e la, mettendo solo un mare di bandiere gialle nella zona del via, creando una situazione di elevato pericolo sia per i piloti che per i commissari.

Ma ci fu di peggio ancora, ossia il fuoco che torna a farsi vivo durante il rifornimento dell’auto di Jos, con una vampata incredibile, dopo che la benzina era finita ovunque. Fortunatamente nessuno ebbe conseguenze serie dall’accaduto, tuttavia uscirono fuori le polemiche sulle rimozioni dei filtri sulle pompe della Intertechnique (soluzione che velocizzava il rifornimento). Polemiche che non portarono mai a una sanzione per la Benetton, visto che la stessa concessione fu permessa, dalla ditta stessa, anche alla Larousse, a patto di mantenere l’anello di tenuta.

Dalla gara successiva in Ungheria, i meccanici della Mclaren furono i primi a portare delle tute e caschi, per proteggere gli addetti al rifornimeto, da un eventuale incendio. Le dotazioni li facevano sembrare degli astronauti pronti a una missione spaziale, non solo per la forma, ma anche per la goffaggine nei movimenti. C’è da ricordare la sostituizione di Hakkinen (squalificato) con Alliot, mentre per il resto tutto corre via liscio.

Arriva la gara di Spa, con l’oscena variante messa al posto della fantastica S del Raidillon, che costringeva i piloti a fare una variante lentissima da prima marcia, privando noi tifosi dal poter assistere ai primi tentativi di flat out nella percorrenza di quel tratto. Però si sa, dopo Imola, prima la sicurezza. Per il resto tutto pare tranquillo in quel delle Ardenne. Fino a quando Schumi, che stava dominando il gp, commette una delle sue tipiche distrazioni di quando era leader con grosso vantaggio. Mentre percorre la S del Campuse,  in uscita finisce in testacoda passando sopra al cordolo, limando il fondo scalinato. Già, proprio quel pattino che la federazione aveva fatto mettere sotto le vetture, ed a fine gara, lo scalino in tungsteno della Benetton nr 5, risulterà essere di qualche decimo più usurato di quel che concede il regolamento. Nonostante la presenza chiara dei segni trasversali d’usura provocati dal cordolo, la federazione non vuole sentire ragioni, camminando al tedesco una nuova squalifica (diciamo che non gliene facevano passare una), forse anche per voler penalizzare in qualche modo la Benetton, per la storia della modifica al bocchettone del rifornimento.

Monza, ed ecco incredibilmente che il leader di classifica non partecipa al weekend, per la squalifica presa a Silverstone che si diceva prima. Tutta l’estate fu un tormentone per le richieste di modifica da farsi al tracciato e alle vie di fuga, che portarono al taglio di alcuni alberi, con i verdi messi di traverso a ciò. Si ottenne la modifica della seconda di Lesmo, portandola alla configurazione attuale, che andava a cancellare un curvone da pelo, per una curva a gomito secco, oltre che a vedere ampliate le vie di fughe.

La gara vide subito una bandiera rossa per una collisione multipla, con nel mezzo la Lotus di Herbert, vettura che per questa gara era dotata di un Mugen pompato nei cv, utilizzato per riuscire a fare il risultato grosso, nella speranza di salvare il team. Herbert infatti la portò in quarta posizione in griglia, ma ogni sogno fu vano, quando alla prima staccata dopo il via, Irvine fini per prendersi dentro con la Lotus, generando poi una carambola multipla, facendo uscire la bandiera rossa. Ovviamente la prima variante fu criticata, ed iniziarono gli studi sul come modificarla, tranne poi ficcarci delle gomme sui cordoli, come nel 1996, arrivando solo qualche anno dopo alla soluzione attuale.

All’Estoril Schumi era ancora in tribuna, ma anche qui la federazione aveva richiesto delle importanti modifiche per la sicurezza, con l’aggiunta della S Gancho, il famoso doppio tornantino strettissimo, che serviva per andare a eliminare la veloce piega a destra della Tanque, che c’era prima. Ma neanche il tempo di iniziare a far sul serio, che tac, il buon Eddie va in testacoda e si prende dentro con Damon mandandolo ruote all’aria, durante le prove libere. Per il resto fortunatamente, non successe nulla di rilievo, se non il fatto che verrà ricordato come l’esser stato l’ultimo gp senza nessun campione del mondo al via.

A Jerez nel frattempo si era provveduto a inserire la S di SENNA, al posto della piega veloce della curva 14 (attualmente chiamata Alex Criville) dove ci fu l’orribile incidente che pose fine alla carriera di Martin Donnelly nel 1990.

Ma è a Suzuka che la federazione ci mette nuovamente del suo, nello stesso punto dove 20 anni dopo, decisero che non era il caso di avere memoria storica, ed evitare un ripetersi di una situazione altamente pericolosa in un gp sotto il diluvio. Già, la gara parte sotto un vero acquazzone, le auto da subito hanno difficoltà a stare in strada, ed in molti finiscono fuori pista causa aquaplaning, uno su tutti Morbidelli, che finisce a muro alla Dunlop curve. Credo che questa curva riecheggi in voi qualcosa. In pista ci sono solo delle bandiere gialle,  che in quegli anni si sa, significavano poco più che era solamente vietato il sorpasso, ma per il resto via andare come sempre, ed ecco, mentre i commissari stan portando via la Footwork,  Martin Brundle finisce per uscire nel medesimo punto, schivando di poco i mezzi di soccorso e l’altra monoposto, ma andando invece a investire un commissario, che fortunatamente non si farà nulla di serio. Già, ricordate bene, 20 anni prima era già successa la stessa cosa che capitò a Jules Bianchi, nel medesimo punto, solo che il giovane Francese ebbe più sfortuna, finendo sotto il trattore e rimettendoci la vita.

Adelaide, dove tutto comincia con un mega botto di Schumi e si chiude con un’altro botto dello stesso Schumi , ma stavolta assieme ad Hill. L’epilogo pazzesco che tutti ben conosciamo, che anche i meno appassionati non possono non ricordare, con Michael che arrivo lungo, finisce a muro, torna in pista con la sospensione posteriore destra andata, ma fa un ultimo tentativo di arrivare all’aggancio con Hill, il quale scioccamente, invece di aspettare, decise di buttarsi dentro. Schumi va a muro, Damon piega il braccetto superiore sinistro, entrambi fuori gara, mondiale finito. La Federazione non riusci a stabilire una netta volontà da parte di Schumi nel cercare la collisione, dando anche a Hill parte della colpa per aver osato troppo, ed ecco diventar WDC un pilota che è stato squalificato per 4 delle 16 gare stagionali, qualcosa di pazzesco e incredibile, degna fine di questa annata, che verrà ricordata come lo spartiacque fra la F1 degli scavezza collo e quella della ricerca della sicurezza, sulle piste e sulle vetture.

Eh si, dopo quella stagione molte cose cambiarono, le piste subirono una infinità di modifiche al loro layout, le vetture vennero rese via via più sicure, le procedure cambiate, i duelli fra i piloti sempre più sotto controllo. Del resto, non vi è memoria di tutte queste squalifiche anche per numeri multipli di gp, o  di un livello così elevato di gravi incidenti in una sola stagione. Già, si è fatto tanto, anche se poi accadono ancora cose assurde, come la macchina che entra sul tracciato durante il gp, come in Korea, o i pazzi che saltano le reti ed entrano in pista, le auto ancora possono agganciarsi fra loro e decollare come con Webber a Valencia, oltre che  purtroppo, possono ancora ripetersi gli errori madornali come a Suzuka.

Dagli sbagli si impara e la F1, diciamo che lo ha fatto e continua a farlo, anche se alle volte c’è ancora qualche cosa che non va. Ma il 1994, si spera resti, l’ultimo mondiale della follia e del pericolo troppo elevato.

Tuttavia, ricordiamocelo sempre, “motorsport is dangerous”.

Ho iniziato l’articolo con il ricordo del rigore sbagliato da Baggio nella finale, lo chiudo con ciò che c’era scritto sullo striscione del squadra Brasiliana, in quella partita contro l’Italia; “SENNA…ACELERAMOS JUNTOS, O TETRA E NOSSO!

Davide_QV